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La Quinta e il macellaio.


Pasquale SantoiemmaGiacoia

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Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

 

La Quinta e il macellaio.
Di Giorgio De Maria


 

Tutto cominciò a Torino, la sera del 23 settembre 2003, un giorno qualsiasi.


Al Teatro Regio teneva un concerto sinfonico il maestro Karl Kurz, un francofortese, noto per il piglio energico e la sensibilità, a volte morbosa, con cui affrontava Beethoven. Era un uomo sulla cinquantina, di robusta struttura, con dei capelli di un bianco albino che lo facevano apparire più anziano. In programma, quella sera, c’erano due notissime pagine, 
la Quinta di Beethoven e la seconda sinfonia di Sibelius. Due pagine di forte richiamo. 
Il maestro Kurz era molto amato dal pubblico, sebbene la critica avanzasse nei suoi confronti non poche riserve. In un’intervista a un settimanale berlinese aveva affermato che la musica aveva ormai dato ciò che doveva dare: mancavano compositori contemporanei degni di essere ascoltati. Il ventesimo secolo era cominciato con Debussy e Ravel: dov’erano ora i Debussy e i Ravel? 
Forse tra gli allievi di Berio e Donatoni? 
C’era da ridere... No! La musica, dal punto di vista creativo, poteva senza tema di smentite essere dichiarata morta. 
Non voleva estendere questo giudizio alle altre arti, ma per quanto riguardava la musica era categorico. 
Non rimaneva altro che l’arte interpretativa; per fortuna il passato musicale era abbastanza ricco da poter nutrire di sé questa e le successive generazioni. Solo una profonda palingenesi spirituale avrebbe potuto restituire alla musica il suo empito creativo. 
Ma di palingenesi spirituali non si scorgeva traccia. 

 

Il maestro Kurz considerava il ‘concerto’ uno degli ultimi rituali rimasti sulla faccia della terra, oltre a quelli della Chiesa. 
E bisogna dire che quella sera ‘il rito’ si presentava degno di questo nome. 
L’orchestra, anziché nel golfo mistico, era stata schierata sul palcoscenico assieme al podio direttoriale. 
Come fondale era stato scelto un paesaggio agreste, quasi a sottolineare i legami profondi fra i suoni musicali, con i loro ritmi, e la natura. Il pubblico aveva occupato tutte le rosse poltroncine della sala. 
Alle nove in punto apparve sulla scena l’attesissimo maestro, il volto dalla pelle rosa, la candida chioma, le folte e bianche sopracciglia che quasi ricadevano sugli occhi azzurri. Un lungo applauso, un suo breve inchino, ed eccolo girarsi verso gli orchestrali con la bacchetta alzata. 
Chi non conosce le prime battute della Quinta, quel sol sol sol mi che Beethoven chiamava “il Destino che batte alla porta”? 
Tutti nel pubblico se le aspettavano. Ma tardarono alcuni attimi.

Giusto il tempo perché facesse la sua comparsa un personaggio che nulla poteva avere di più stridente con le atmosfere della musica. 
Sbucò da una quinta alla destra del maestro Kurz. 

Era un uomo corpulento, di statura gigantesca; indossava un grembiule bianco con delle vistosissime chiazze di sangue. 
Sì, era un macellaio. Che cosa era venuto a fare? Lo si seppe presto.

Si avvicinò rapidamente al maestro e con gesto sicuro gli tolse la bacchetta dalle mani,

lo spintonò via dal podio e si mise al suo posto.


Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

Vi fu un attimo di silenzio. 
Poi la bacchetta del macellaio, di quell’incredibile intruso, si sollevò. 
Si sollevò come se avesse dovuto sollevare la volta celeste... e poi: TA TA TA TAAA- A!!!
Mai orecchio umano aveva udito quell’attacco eseguito con tanta potenza. 
E poi ancora... FA FA FA REEEE!!! Placcato, se possibile, con forza maggiore. 
Il re, con la corona, restò a vibrare a lungo, e fu come se tutto il teatro vibrasse per un evento tellurico. 
Il pubblico si alzò in piedi e fece scrosciare un interminabile applauso. 

Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

L’intruso si voltò, accennò un breve inchino e, prima di andarsene da dove era venuto, riconsegnò la bacchetta al maestro Kurz. 
La carnagione rosa del maestro si era fatta bianca quasi come i suoi capelli. 
Raccolse la bacchetta con mano tremolante, e con passo incerto andò a rioccupare il posto tanto brutalmente usurpato. 
Provò ad alzare la bacchetta. Ma la bacchetta tremolava fra le sue dita. Il pubblico si era seduto e aspettava. Aspettava che cosa? 
Che il maestro Kurz avviasse il discorso della sinfonia dopo quel terrificante inizio? E come poteva? 
Quale ‘crescendo’ avrebbe potuto produrre per sentirsi alla pari con quanto aveva appena udito? 
Vacillò... si aggrappò con una mano al podio, lasciò cadere la bacchetta, ma non poté evitare di crollare per terra,

mentre il primo violino si era alzato di scatto per soccorrerlo. Fu portato via di peso. Il pubblico rimase al suo posto a mormorare. 

Poco dopo arrivò uno speaker ad annunciare che il concerto era sospeso,

si scusò con il pubblico, e comunicò che il prezzo del biglietto sarebbe stato restituito alla cassa.

Ma il pubblico, uscito dalla sala, non andò alla cassa. 

Le battute d’attacco della Quinta, così come erano state eseguite, valevano altroché il prezzo del biglietto. 
Nessuno le avrebbe mai dimenticate. 

I quotidiani del giorno dopo, nella pagina degli spettacoli, non diedero grande rilievo all’accaduto. 
Scrissero che il maestro Kurz era stato colto da un malore e che il concerto aveva subìto un rinvio. 
Alle cause del malore, nessun cenno. Ma alla reticenza dei giornali supplì il diffondersi delle voci. 
Non mancarono le esagerazioni. La statura del macellaio giunse a superare i tre metri. 
I suoi occhi erano fosforescenti e lanciavano saette di fuoco. 
Assai più vicine al vero furono le descrizioni che di lui diedero gli orchestrali, ossia coloro che l’avevano visto più da vicino. 
Per essere alto era alto, ma non superava i due metri. I suoi occhi avevano però un particolare fascino, un magnetismo in contrasto con la volgarità del volto, dalle labbra grosse e gommose. 

Quando aveva sollevato la bacchetta, tutti loro, gli orchestrali, si erano sentiti come rapire verso l’alto; 
poi quelle ricadute verso il mi bemolle, e poi verso il re, erano state come due schianti. 
No, il maestro Kurz, per quanto energico nelle sue esecuzioni, non avrebbe potuto sostenere il confronto. 
Il malore che l’aveva colto era stato per lui provvidenziale. 
Certo adesso, dopo quel trauma, era difficile prevedere che cosa sarebbe accaduto della sua carriera. 
Si sapeva che era stata chiamata un’ambulanza e che lo avevano portato al più vicino ospedale. 
Vi era giunto in stato di shock. Aveva perso alcune volte conoscenza, ma poi si era ripreso. 
Si diceva che per ritrovare la pace, per superare il suo profondo turbamento, fosse andato a rinchiudersi in un convento benedettino in Provenza. 
Il maestro era di animo religioso, e certamente l’esercizio della preghiera insieme a quei santi monaci lo avrebbe aiutato a ritrovare se stesso. 
 

Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

Per qualche tempo non si parlò più del macellaio. 
La sua comparsa era stata qualcosa di imprevedibile e misterioso, e non vi erano elementi per rispondere alle domande che aveva su- scitato. Da dove veniva? Era un musicista? In quale conservatorio poteva avere studiato? 
Ripresero così il sopravvento i soliti argomenti: la criminalità e la disoccupazione in costante aumento, l’incapacità del governo di farvi fronte... Ma si trattò soltanto di una tregua. 
Il 24 novembre di quello stesso anno, dagli Stati Uniti, giunse come un fulmine la notizia che il macellaio era ricomparso. 
E in grande stile, a Carnegie Hall, in occasione di un concerto del maestro Julius Meta. 
In programma c’era ancora la Quinta di Beethoven. Il concerto venne diffuso in euroradio, e dell’evento non furono testimoni solo gli americani. Quel TA TA TA TAAAA!!!! poté essere ascoltato da milioni di orecchie. E faceva forse più impressione udirlo per radio che dal vivo, perché l’immaginazione aveva di che ricamarci sopra. I suoni che uscirono dagli apparecchi furono tremendi, da far sobbalzare. E poi il fragore degli applausi... No, il maestro Julius Meta non avrebbe potuto proseguire dopo quella terribile sferzata. 
E invece proseguì... o almeno provò a proseguire. Ma come furono pietosi i suoi tentativi! Sì, quelle che si udirono dopo l’attacco erculeo del macellaio erano indubbiamente le note della Quinta. Ma le note soltanto. Dov’era il pathos? E l’incalzare delle battute che avrebbero dovuto sfociare in una nuova esposizione del tema iniziale? Era tutto un affannoso arrancare. 
Più che suonare, l’orchestra sembrava gemere. 
Finché il maestro Meta, demolito dai fischi e dai numerosi “basta!”, si arrese. 
Gettò via con ira la bacchetta e uscì dalla sala. I giornali americani non furono reticenti come lo erano stati gli italiani, e parlarono diffusamente di quanto era successo. Non mancarono, anche in questo ca- so, descrizioni colorite dell’intruso. 

Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

Occorreva reagire, e prontamente. 
Bisognava che un direttore d’orchestra, meglio se giovane, si decidesse ad affrontare quel macellaio. 
Come a un segnale convenuto, tutti i pensieri si concentrarono su di ‘lui’, sul celeberrimo direttore dal collo taurino 
che regnava da imperatore alla Scala. 
E ‘lui’ raccolse la sfida. 

Mise in cartellone, oltre alla Quinta, la quarta sinfonia di Mahler, detta il “Titano”, e fissò la data del concerto. 
Si giudicò che la sfida non ci avrebbe rimesso a prendere certe misure prudenziali. Così, gli ingressi laterali furono posti sotto la sorveglianza di ingenti forze di polizia, che avevano l’ordine di fermare qualsiasi persona sospetta. 
Ma, oltre agli addetti ai lavori, non fu visto nessuno. All’ora prevista le luci scemarono in sala e si accesero sull’orchestra 
e il direttore ormai insediato al suo posto di comando. 
Le fatali prime battute della Quinta stavano per essere suonate quando, dall’alto, lungo uno dei corridoi che 
separavano i gruppi di poltroncine, il noto, abnorme personaggio fece la sua comparsa. 
Non si era servito degli ingressi laterali, era sbucato da una porta maestra, di quelle riservate al pubblico. 
Velocemente si diresse verso il golfo mistico dentro cui saltò con agilità scimmiesca. 
Seguì un breve silenzio. Poi si sentirono dei rumori come di colluttazione. 
Poi ancora un silenzio, e infine... come dire? Un’esplosione sonora? Ogni tentativo di descrivere ciò che si udì sarebbe inadeguato. 
E altrettanto inadeguato sarebbe tentare di descrivere le reazioni del pubblico. Un applauso delirante? 
No, di più, un invasamento collettivo. Che non accennò a placarsi, anzi si accrebbe quando il macellaio saltò fuori dal golfo mistico e si accinse a ripercorrere alla svelta il corridoio da cui era venuto. Molti tentarono di toccare il suo grembiule insanguinato come se fosse la tunica del Salvatore. Lo speaker annunciò che il concerto non poteva avere seguito e invitò il pubblico ad avviarsi alla cassa per farsi risarcire il biglietto. 
 

Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

Dopo quanto era successo alla Scala, dove la vittima del macellaio era stata il più prestigioso direttore d’orchestra vivente, bisognava fare qualcosa di risolutivo.

Non si poteva lasciare la musica in balia degli eventi: ci voleva una reazione energica e collettiva. 
 

Così, si pensò di convocare un congresso di musicisti e musicologi. Il congresso si tenne a Perugia e vide una folta partecipazione. 
Vi giunsero anche degli psichiatri. Con rammarico, fu notata l’assenza del maestro Kurz, la cui testimonianza sarebbe stata preziosissima. Il tema del congresso era: come salvare la Quinta di Beethoven da aggressioni esterne. 
Non vi era spazio per divagazioni. Su altre opere musicali non sembrava pendere alcuna minaccia. 
Né Brahms né Mozart correvano rischi. Era unicamente quell’attacco della Quinta a destare serie inquietudini. 
La discussione durò a lungo. Alla fine presero forma due possibili soluzioni. 
La prima: tenere una serie di concerti, con in programma la Quinta, in contemporanea. 
Essendo improbabile che il macellaio avesse anche il dono dell’ubiquità, avrebbe potuto scagliarsi solo contro una delle orchestre e il suo direttore; le altre avrebbero potuto eseguire la sinfonia indisturbate. 
Oppure - seconda soluzione - rimandare sine die le esecuzioni della Quinta: il macellaio, non trovando più pane per i suoi denti, 
avrebbe forse desistito. Vi fu una votazione e prevalse la seconda soluzione. 
Nessuno se la sentiva di trovarsi da solo, a tu per tu, con il macellaio. 
Più niente Quinta, quindi. 
Ma si può privare l’edificio musicale, costruito nei secoli, di un pilastro quale la Quinta? Avrebbe resistito la cattedrale sonora? 
Accadde ciò che ci si poteva aspettare: il pubblico disertò in massa le sale da concerto. 
Suonavano Cajkovskij? Certo, suonavano Cajkovskij perché non osavano affrontare la Quinta. 
Suonavano Schubert? Certo, con Schubert si andava sul sicuro. Difficile difendersi da simili osservazioni. 
Molte orchestre sinfoniche furono costrette a sciogliersi. 
Trascorse molto tempo. Arrivò il nuovo anno. Non si poteva dire che il nuovo millennio non avesse portato delle novità. 
Il macellaio era divenuto ormai una figura mitica. 
Si pensava di indire un gran festeggiamento in suo onore, quando sarebbe giunto il primo anniversario della sua vittoria. 
Quel giorno arrivò. Ma quale non fu la sorpresa dei torinesi nel sapere che il 23 settembre 2004, al Teatro Regio, sì, proprio al Teatro Regio, il maestro Kark Kurz avrebbe tenuto un concerto con, in programma, niente di meno che la Quinta di Beethoven 
e la seconda di Sibelius, esattamente come l’anno prima! 
Molti rimasero increduli, ma la curiosità ebbe il sopravvento. 
La corsa all’acquisto dei biglietti fu frenetica. Si fecero persino delle scommesse. 
Chi dava il maestro Kurz per vincente avrebbe guadagnato forti somme. 

Pasquale SantoiemmaGiacoia
Inviato

Il concerto iniziò con la puntualità tipica del maestro francofortese. 
Tutto era stato allestito come la volta precedente: l’orchestra e il podio direttoriale insieme sul palcoscenico, 
lo stesso paesaggio agreste di sfondo. Alle 21 Kurz fece il suo ingresso e, salutato da un ambiguo applauso, 
andò a insediarsi sul podio. All’improvviso, un brivido percorse la sala: dalla quinta a destra del maestro era sbucato, 
con il grembiule ancor più imbrattato di sangue, il mitico macellaio. 
Quella sera, pensarono molti spettatori, si sarebbe assistito a un assassinio. 
E chi sarebbe morto, era chiaro. Comunque Kurz sollevò la bacchetta. 
Il macellaio non gliela strappò di mano. Fece qualcosa di ancora più perfido. 
Si mise a braccia conserte a osservare il maestro che si apprestava a dare l’attacco, guardandolo di sotto in su, 
sogghignando come per dire: “su, avanti, fa’ vedere che cosa sai fare!”. 
La tensione in sala si era fatta palpabile. Il maestro Kurz fece un cenno con la mano, un cenno lievissimo. 
I suoi occhi guardavano una giovane violoncellista dalla bellezza verginale. 
E dallo strumento della giovane uscirono delle note dolci, lente. 
Erano il sol sol sol mi della Quinta, cui seguì, ancora più dolce e lieve, il fa fa fa re. 
Tutti i presenti, compreso il macellaio, rimasero sconcertati. 
La Quinta inizia con un fortissimo, non con un pianissimo. 
L’arte interpretativa di Kurz aveva sovvertito la tradizione dinamica. 
Ma il discorso musicale non si arrestò lì. Proseguì con le note indicate da Beethoven, in un ritmo diverso, però. 
Non era un ‘allegro’, ma tendeva poco a poco a diventarlo. E mentre i tempi, quasi inavvertitamente, 
si affrettavano, anche il volume sonoro cresceva... cresceva tanto da raggiungere il fortissimo, con una vitalità, un impeto inimmaginabili.

Poi ecco, all’improvviso, il TA TA TA TAAAA!!!! 
Potente come neppure il macellaio avrebbe potuto eseguirlo. 
Solo, e questo era il vantaggio che il maestro Kurz aveva sul suo contendente,

solo che adesso quelle note vibravano in un contesto sorretto dalla ragione, e non erano permeate di violenza, ma di giusta forza. 
Il macellaio non c’era più. Il primo tempo della sinfonia giunse al termine, e il calore degli applausi sembrò voler ricompensare il maestro delle freddezze precedenti.

La sinfonia fu eseguita per intero; e per intero venne ascoltata anche la seconda di Sibelius. 

Si narra che dopo l’evento, alla radio, si sentissero delle voci che si esprimevano fra l’ironico e il surreale. 
E che venissero trasmesse musiche diverse da quelle che si era soliti udire. Musiche più alate, più profonde... 
I nomi degli autori non venivano detti. 
Ma era bello rimanere svegli la notte ad ascoltarle... 
facevano bene allo spirito... parlavano di speranza. 

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