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Melius Club

La crisi dell' influencer


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In questo settore iniziano ad essere in molti a vedere il re nudo, anche se alcuni l'avevano già fatto notare da anni (compreso il sottoscritto).

Al di là dell'epica cui il pueblo (anche quello selezionassimo e scafato di Melius) ha abboccato le cifre raccontano tutt'altro.

Non solo ragazzi che grazie ai loro "creative contents" sbarcano il lunario o si arricchiscono, ma in buona parte dei disperati che per creare contenuti alla fine spendono più di ciò che guadagnano.

Le cifre parlano chiaro: in Italia il settore muove oggi 300 milioni di euro da dividere per circa 350.000 influencer e content creator.

Finalmente abbiamo quasi più influencer che avvocati.

I conti sono presto fatti: anche volendo immaginare che tutti si dividano equamente la fetta (cosa lontanissima dalla realtà) restano pochi spicci a testa. Ma siccome in realtà il grosso viene diviso al massimo fra un migliaio di persone, tutte le altre ( quasi 350.000) pigliano briciole oppure nulla.

Le grosse aziende stanno iniziando a sfilarsi dal settore alla chetichella (partendo da quelle della moda, le prime a credere 10 anni fa nel marketing veicolato dagli influencer) per riportare in-house tutta la parte di promozione e pubblicità.

La trentenne Giovanna Ferrero (digital strategy manager del Salone del Mobile/ Fiera di Milano, già manager di WPP ed Havas) in una recente intervista ha imposto l'estrema unzione al settore, dichiarando che ormai fra algoritmi delle piattaforme che cambiano ogni mese e inflazione di "facce" che si prestano alla qualunque in cambio di spiccioli ormai per le grosse aziende diventa più un rischio che un ritorno affidarsi ad uno o più influencer. 

Per anni un pubblico sterminato ha ritenuto la  “disintermediazione” offerta dagli influencer (vale anche per i contenuti YouTube cui molti qui nel forum paiono abbeverarsi con una allegra acriticità) una garanzia di autenticità, ignorando che al costo di produzione dei loro contenuti dovesse corrispondere un compenso elargito dalle aziende per la pubblicità ottenuta.

E ora avanti con la prossima esca per boccaloni.

 

Qui uno degli articoli usciti recentemente in merito, merita una lettura:

https://www.ilfoglio.it/societa/2023/07/15/news/tempi-duri-per-gli-influencer-ora-l-esercito-dei-content-creator-e-in-crisi-5500977/

 

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@UpTo11 eh già, ogni azienda che si rispetti ne ha almeno uno. Ma è chiaro che in Italia dove persino il marketing lo fa il figlio del titolare perché almeno così gli diamo qualcosa da fare per giustificare il sostanzioso stipendio, sono ruoli difficili da comprendere 

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6 minuti fa, UpTo11 ha scritto:

Sono questi titoli altisonanti in inglese che trovo di un ridicolo e deprimente più unico che raro

Avevo aperto un thread in merito lo scorso anno.

Se leggo i titoli in calce alle mail che mi arrivano al lavoro mi ribalto dalla sedia ridendo a crepapelle.

Il bello è che nella sostanza al titolo (o ai molti titoli) non corrisponde alcuna reale competenza. Specie nelle materie "fuffologiche" che ahimè circondano la mia professione.

Ma se da un lato comprendo che "lavori nuovi" derivati dal mondo anglosassone abbiano nomi nuovi, dall'altro è ridicolo che quello che ieri era "il grafico" oggi sia diventato "graphic designer, content creator, head creative director".

Poi ci parli, ed è lo stesso minchione di prima che massacra le immagini con tagli improbabili.

 

 

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cactus_atomo

tutte le bolle speculative prima o poi scoppiano e quella degli influencer non fa eccezione. già il nome, influencer mi da fastidio mi fa pensare ad una malattia purtroppo i nomi che nascondono la fuffa sono tanti, a partire da testimonial.

una volta il pubblico si fidva di quello che trovava online e gli influencer erani accreditati di una sorta di terziarietà rispetto a quello di cui parlvano, ma c'è voluto poco a capir che sempra di marchette si tratta, a favore o contro non importa.

ma sicome influencer ci si può autoproclamare sono tabti quelli che ci provano, nella speranza di attivare al grande successo (come chi si iscrive ad una scuola calcio pensando di diventare messi e poi finisce per giocare solo in serie d), la presunzione è merce che abbonda

fortunatamente ho sempre evitato tutto questo ambaradam l'unico social che seguo un poco è acebook ma esclusivmente per tenermi informato sui dettgli delle serate di tango

 

 

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1 ora fa, Velvet ha scritto:

ormai per le grosse aziende diventa più un rischio che un ritorno affidarsi ad uno o più influencer. 

Forse per le grosse aziende, forse.

Io ne ho una in casa ( e non la chiamerei influencer) che ha cominciato per gioco, ora riceve decine di proposte di collaborazione al giorno, anche da enti esteri, aperta relativa partita iva, si diverte, viaggia e guadagna qualcosa.

vedremo come va in futuro.

Per me, con tutta evidenza (diretta), è presto per il de profundis.

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Gli influencer hanno comunque avuto il loro momento:  Una parente che da studentessa lavorava part-time presso un grossista di cosmetici mi raccontava dell'effetto dirompente dei video di Clio-make-up, praticamente era lei a decidere gli ordini di ricostituzione del magazzino, avevano 1FTE incaricato di presidiare i canali youtube e social della Clio per avvisare prontamente delle uscite. Anche quando non menzionava prodotti, doveva intuire cosa sarebbe andato: Il picco di ordinativi a distanza di pochi giorni era certo. 

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@Martin Anche il modello Clio makeUp pare essere in crisi. Lo ha ammesso lei stessa dopo un veloce periodo di shitstorm che si è abbattuto sui suoi canali social.

In sostanza pare che improvvisamente sia girato il vento e sia stata accusata dai suoi stessi follower di dare consigli banali e privi di costrutto (cosa non destituita di fondamento nella stragrande maggioranza dei casi che riguardano creator "che fanno cose" e "spiegano cose" del tutto banali o alla portata di chiunque).

L'articolo che ho linkato più su affronta anche l'argomento "banalità del contenuto" che prima o poi viene a noia e si rivela di utilità scarsa per lo spettatore che così "cambia canale" con conseguente emorragia di follower e calo degli introiti.

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extermination
2 ore fa, Velvet ha scritto:

leggo i titoli in calce alle mail che mi arrivano al lavoro mi ribalto dalla sedia ridendo a crepapelle.

Se dietro al "titolo" c'è un ruolo e qualcuno che li paga ( magari pure bene) per ricoprire ed esercitare quel ruolo, credo ci sia ben poco da ridere.

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