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La spesa storica


appecundria

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Inviato

Il problema è la gestione e l'utilizzo dei soldi erogati.

E, storicamente, al sud si è ampiamente visto come va a finire.

  • Melius 1
Inviato

https://www.repubblica.it/economia/2020/09/26/news/osservatorio_cpi_spesa_pubblica_nord_sud_svimez-268564924/?ref=pay_amp
 

Il falso mito dello "scippo" di risorse del Nord a danno del Sud: al Mezzogiorno la spesa pubblica pesa di più

26 Settembre 2020

Di recente, il presidente dell'Associazione per lo Sviluppo Industriale del Mezzogiorno (Svimez) ha dichiarato che "il Nord ha sottratto al Sud 60 miliardi all'anno". Come è stata ottenuta questa stima? Nell'analisi della Svimez vi sono una serie di peculiarità che a nostro avviso distorcono notevolmente il risultato. Innanzitutto, l'analisi è basata sui dati di spese ed entrate di fonte CPT (Conti Pubblici Territoriali a cura dell'Agenzia della Coesione) la cui somma per regioni è molto diversa dai totali nazionali ISTAT, un punto (di notevole gravità) che è già stato messo in evidenza dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio.

In secondo luogo, viene considerata la spesa  della cosiddetta P.A. allargata, ovvero l'insieme di società partecipate, enti locali e amministrazioni centrali. Di conseguenza, in questi 60 miliardi sono incluse le spese di società come Eni, Enel, Poste Italiane e Leonardo che sono quotate in borsa e non operano in base a obiettivi di perequazione geografica, bensì di profittabilità e che devono comunque cercare di soddisfare la domanda effettiva per i beni e servizi prodotti. È quindi pressoché inevitabile che la spesa di queste società sia maggiore nelle regioni più ricche, in cui la domanda è più elevata e  le opportunità d'affari sono tipicamente maggiori. Consegue che considerare tutta la P.A. allargata è discutibile, in quanto include delle spese il cui meccanismo di allocazione è fondamentalmente il mercato e non una decisione politica.

In terzo luogo, nel calcolo dei 60 miliardi "sottratti" al Mezzogiorno, secondo Svimez, ci sono anche le pensioni, che rappresentano più di 250 miliardi all'anno di spesa pubblica. Tuttavia, lo Stato non ha alcun controllo sulla loro allocazione regionale: dato che al Nord i lavoratori (provenienti sia dal Nord che dal Sud) hanno versato più contributi, i pensionati settentrionali hanno mediamente diritto a pensioni più alte, il che fa inevitabilmente lievitare la spesa pubblica pro capite nelle loro Regioni.

Infine, la Svimez non tiene conto delle differenze molto rilevanti nel costo della vita tra regioni.
 

La distribuzione regionale della spesa

Passando alla pars costruens, per fare un'analisi solida della distribuzione regionale della spesa, occorre fare riferimento all'aggregato della Pubblica Amministrazione (che a livello nazionale è calcolato dall'ISTAT, in base ai criteri Eurostat), la cui disaggregazione per regioni e macroaree è calcolata dalla Banca d'Italia.
 
Tav. 1: Spesa pro capite della P.A.


(Tabella visibile sul link)

Se si considera il dato grezzo dell'intera PA al netto degli interessi sul debito, con riferimento alla media del periodo 2014-2016, il Mezzogiorno appare leggermente svantaggiato nel senso che la spesa pro capite è pari 10.900 euro a fronte di 11.850 euro nel resto del paese, con un gap di 950 euro (Tavola 1, prima colonna). Va detto subito che questo dato non è statisticamente significativo perché, come si mostra più avanti, vi sono differenze significative fra regioni a Statuto ordinario e a Statuto speciale, nonché fra regioni di diverse dimensioni all'interno delle stesse macroaree. In ogni caso, moltiplicando questo gap per la popolazione del Mezzogiorno (20,5 milioni) si ottiene la cifra di 19,5 miliardi all'anno, che è rilevante, ma molto lontana dal dato citato dalla Svimez.

Tuttavia, se si sottraggono le pensioni, sulla cui allocazione geografica il decisore politico non ha alcun controllo, la spesa pro capite di tutta la P.A. nelle varie regioni rimane abbastanza eterogenea, ma la "classifica" non sembra discriminare il Meridione rispetto al Centro-Nord; anzi il gap si rovescia a favore del Mezzogiorno e diventa positivo (+350 euro pro capite, Tavola 1, seconda colonna).

L'altra correzione ai dati grezzi sulle uscite della P.A. muove dalla considerazione che nel Mezzogiorno i prezzi sono più bassi che al Centro-Nord; ogni euro di spesa in una regione del Sud ha quindi un potere d'acquisto - e quindi un valore reale - maggiore rispetto al resto del Paese. Per eseguire l'aggiustamento a Parità di Potere d'Acquisto (PPA) della spesa, è stata utilizzata l'unica fonte ufficiale disponibile che è rappresentata dalle soglie di povertà definite dall'ISTAT. La soglia di povertà nel Mezzogiorno è inferiore del 20 percento circa rispetto al Centro e del 24 rispetto al Nord, rispecchiando una considerevole differenza nel costo della vita. Quando si opera anche questa correzione, il gap diventa molto rilevante (+1950 euro pro capite) e decisamente favorevole al Mezzogiorno (Tavola 1, terza colonna). In valori assoluti, si tratta di una maggiore spesa "reale" nel Mezzogiorno pari a quasi 40 miliardi.

Anche per quanto riguarda le singole Regioni, la spesa non pensionistica pro capite a Parità di Potere d'Acquisto non sembra penalizzare il Mezzogiorno, ma piuttosto appare favorire le Regioni a Statuto Speciale e quelle più piccole (Figura 1).

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Il Mezzogiorno è discriminato?

Per un'analisi più accurata occorre tenere conto delle differenza di spesa determinata da fattori diversi da quelli che sono oggetto di questa indagine, ossia la dimensione delle regioni (dato che vi sono notevoli economie di scala) e il loro status costituzionale (regioni a Statuto Ordinario e a Statuto Speciale). Per fare questo è necessario effettuare una regressione multivariata, che consenta di cogliere separatamente l'effetto della grandezza e dello status di ogni regione sulla spesa pro capite della P.A., lasciando che l'appartenenza al Mezzogiorno spieghi le differenze restanti. In altre parole, si individua la differenza nella spesa pro capite tra una regione del Mezzogiorno e una del Centro-Nord a parità di popolazione e status.


 

Tav. 2: la spesa della P.A. è più bassa al Mezzogiorno? (regressioni)

(tabella visibile dal link)


I risultati sono presentati nella Tavola 2. Come anticipato, la spesa pro capite è minore nelle regioni grandi (350-400 euro pro capite in meno per ogni milione di abitanti) e maggiore in quelle a Statuto Speciale (oltre 2.000 euro pro capite in più). Al netto di questi fattori, se non si escludono le pensioni dalla spesa della P.A., la differenza tra spesa pro capite nel Mezzogiorno e al Centro-Nord è significativa e negativa: i cittadini meridionali riceverebbero ciascuno circa 1.560 euro in meno (colonna (1)). Tuttavia, se si escludono le pensioni da questo calcolo, la differenza tra Sud e Centro-Nord non è più statisticamente significativa. In altre parole, il Sud non è discriminato nella distribuzione geografica della spesa pubblica nominale non pensionistica (colonna (2)). Infine, se si considera la spesa della P.A. a Parità di Potere d'Acquisto (PPA), ovvero se si tiene conto delle differenze nei prezzi, il Sud appare significativamente favorito, nell'ordine di quasi 1.400 euro pro capite (colonna (3)). Questo risultato dipende ovviamente dal fatto che quasi tutti gli stipendi pagati dalla P.A. sono uguali tra regioni e rispecchia quindi il loro maggior valore reale nel Mezzogiorno. In altre parole, tenendo conto anche delle differenze nel costo della vita, il Mezzogiorno riceverebbe un trattamento più generoso del resto dell'Italia. A livello aggregato, questa maggiore spesa pro capite equivarrebbe a circa 28,6 miliardi all'anno.
 

Quante risorse redistribuisce lo Stato?

La combinazione tra un ampio divario in termini di PIL pro capite tra Centro-Nord e Meridione e una spesa pubblica nominale pro capite più equilibrata tra le due macroaree, fa sì che, anche includendo la spesa pensionistica e senza tenere conto delle differenze di potere d'acquisto, il peso della P.A. sul PIL regionale sia estremamente alto nel Mezzogiorno e più contenuto nel resto del Paese. Agli estremi ci sono la Lombardia, in cui la spesa pubblica è poco più del 33 percento del prodotto regionale, e la Calabria, dove questo dato raggiunge l'80 percento, una cifra davvero elevata. Poiché il peso delle entrate della P.A. sui PIL regionali è molto più omogeneo, l'esistenza di massicci trasferimenti (i cosiddetti residui fiscali) tra regioni è inevitabile (Figura 2).

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La Banca d'Italia calcola che nel periodo 2002-2016, i trasferimenti pubblici a favore del Mezzogiorno sono oscillati fra il 15 e il 20% del Pil dell'area; rapportato alla media del PIL 2014-2016, queste percentuali corrispondono a cifre annuali tra 57 e 76 miliardi di euro. Le regioni che hanno sostenuto la quasi totalità di quest'onere sono la Lombardia, l'Emilia Romagna, il Lazio, il Veneto, il Piemonte e la Toscana.

Da parte della Svimez (e di molti meridionalisti) si argomenta che quello dei residui fiscali è un falso problema perché il prelievo riguarda gli individui, non i territori e perché i diritti di cittadinanza non possono variare in base alla residenza. L'argomento è comprensibile e in parte condivisibile. Occorre però tenere conto che in tutte le strutture federali è prevista una qualche corrispondenza fra la capacità contributiva di una regione e la sua spesa. Se si pensa che questa corrispondenza non possa o non debba verificarsi, allora non si capisce che senso abbia dire che l'autonomia delle Regioni prevista dalla Costituzione vada contemperata con i livelli essenziali delle prestazioni; bisognerebbe dire chiaramente che non si ritiene auspicabile alcuna forma di federalismo o tantomeno di autonomia differenziata.

In ogni caso, non sembra in alcun modo accettabile distribuire in ragione della popolazione anche la spesa delle imprese partecipate che operano sul mercato, nonché le pensioni che dipendono dai redditi percepiti nel passato. Quanto alla questione delle Parità di Potere d'Acquisto, si può essere dell'opinione che gli stipendi pubblici e forse anche quelli privati debbano essere gli stessi in tutto il paese, ma non si può negare che un euro al Sud ha un potere d'acquisto - e quindi un valore - maggiore che nel resto del Paese.

Questo insieme di fattori fanno sì che il Mezzogiorno d'Italia sia una della poche aree al mondo in cui il livello dei consumi (privati più collettivi) è superiore al PIL: sempre con riferimento al periodo 2014-2016, tale rapporto è pari a 1,025 nel Mezzogiorno e a solo 0,746 nel resto d'Italia.

In un'altra nota di prossima pubblicazione, mostriamo che ciò è vero dagli anni cinquanta del secolo scorso ed è la ragione principale per la quale la bilancia commerciale del Mezzogiorno è costantemente in deficit, per cifre anch'esse tipicamente comprese fra il 15 e il 20% del PIL.
 

Conclusione e problemi irrisolti

Alla luce di queste considerazioni la dichiarazione del presidente della Svimez circa i 60 miliardi "sottratti" ogni anno dal Nord al Sud - al netto dei gravi limiti dei dati sottostanti - è vera soltanto se si considera l'intera P.A. allargata, senza tenere conto che una larga parte delle sue spese non possono essere distribuite diversamente sul territorio (partecipate e pensioni). Questa dichiarazione è infatti ispirata ad un'interpretazione estremamente estensiva del principio costituzionale di perequazione della spesa pubblica, in quanto sottintende che la distribuzione geografica della spesa pro capite dovrebbe essere simile in tutte le aree del paese, includendo nella valutazione anche le imprese partecipate che operano con criteri di mercato e le pensioni che non possono che dipendere dai redditi passati. In ogni caso, per quanto riguarda la spesa della P.A. in senso stretto - e quindi la spesa che il decisore politico può decidere dove allocare - già al netto delle pensioni il Meridione non appare discriminato; se poi si corregge per il costo della vita sembrerebbe addirittura favorito. Questo trattamento, equo nominalmente e vantaggioso a Parità di Potere d'Acquisto si traduce in ingenti trasferimenti da parte delle amministrazioni pubbliche dal Centro-Nord verso il Mezzogiorno.

Questa considerazione è puramente quantitativa e non è detto che "più sia meglio": come mostrano gli indicatori della stessa Svimez, la qualità dei servizi pubblici al Sud è generalmente peggiore; quindi l'assenza di discriminazione nell'ammontare di risorse non esclude una carenza di servizi, anche essenziali, che pesa negativamente sulle persone e sulle imprese di molte aree del Mezzogiorno.

Inviato
9 ore fa, wow ha scritto:

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Anto’ visto che lo richiami sempre me lo sono appena comprato come eBook, mo me lo leggo. 😁

  • Melius 1
Inviato

E @maurodg65 ha sistemato pure Esposito.

 Appe’, non e’ da te rilasciare questi post fake.

Inviato
2 ore fa, maurodg65 ha scritto:

Anto’ visto che lo richiami sempre me lo sono appena comprato come eBook, mo me lo leggo. 😁

poi linkalo tutto

Inviato
3 ore fa, Roberto M ha scritto:

Esposito

Tu l'hai letto? 

O fai il portavoce alla fate ammuina? 

Almeno Mauro lo leggerà e capirà che si parla di altro rispetto alla lenzuolata di cui sopra... 

Comunque che qualcuno mi spieghi per quale motivo a Reggio Calabria non c'era, almeno fino a qualche anno fa, un asilo nido, mentre a Reggio Emilia (molto più piccola) ce ne sono alcune decine. O per quale motivo un bambino meridionale, mediamente riceve, dal sistema scolastico, un anno in meno di scolarizzazione. 

Insomma, il discorso dei Lep differenti tra N e S, il fondo di perequazione previsto ma mai partito, dite che sono una invenzione di Esposito e dell'opener? 

Dite che al sud, i soldi se li mangiano e al nord no? Che è colpa della tradizionale scarsa volontà dei meridionali che suonano il mandolino invece di lavorare? 

Inviato
23 minuti fa, wow ha scritto:

il discorso dei Lep differenti

allo stato attuale i lep sono dei sogni non ancora meglio precisati

24 minuti fa, wow ha scritto:

per quale motivo a Reggio Calabria non c'era, almeno fino a qualche anno fa, un asilo nido, mentre a Reggio Emilia (molto più piccola) ce ne sono alcune decine

e si vede che il comune di rc non contribuiva in alcun modo, a differenza di re, e le regioni uguale,

perchè prima si usano le risorse interne, e poi si parla di perequazione

Inviato

se a questa tabella non si mette di fianco anche il gettito fiscale che viene dalle due città diventa totalmente fuorviante

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Inviato
2 ore fa, newton ha scritto:

poi linkalo tutto

€ 7,… qualcosa in eBook, puoi anche fare un piccolo sforzo senza andare in rovina.

Inviato
7 minuti fa, Jack ha scritto:

se a questa tabella non si mette di fianco anche il gettito fiscale che viene dalle due città diventa totalmente fuorviante

Quella tabella è concettualmente sbagliata a prescindere dal gettito fiscale.

Inviato
48 minuti fa, Jack ha scritto:

ma minchia Mauro catzooooo

????

1 ora fa, wow ha scritto:

Comunque che qualcuno mi spieghi per quale motivo a Reggio Calabria non c'era, almeno fino a qualche anno fa, un asilo nido, mentre a Reggio Emilia (molto più piccola) ce ne sono alcune decine. O per quale motivo un bambino meridionale, mediamente riceve, dal sistema scolastico, un anno in meno di scolarizzazione. 

Insomma, il discorso dei Lep differenti tra N e S, il fondo di perequazione previsto ma mai partito, dite che sono una invenzione di Esposito e dell'opener? 

Antonio, ho letto quel passaggio e vedremo come proseguirà, ma se partiamo dal fatto che Reggio Calabria non è l’unica città della Calabria e neppure l’unica del sud e che gli asili nido al sud esistono dappertutto evidentemente i problemi non stanno nella redistribuzione ma nelle scelte politiche degli amministratori locali che prediligono fare scelte differenti.

Inviato
2 ore fa, wow ha scritto:

Comunque che qualcuno mi spieghi per quale motivo a Reggio Calabria non c'era, almeno fino a qualche anno fa, un asilo nido, mentre a Reggio Emilia (molto più piccola) ce ne sono alcune decine. O per

Perché da me li hanno fatti e a Reggio Calabria no.

 


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