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La questione palestinese: opinioni e riflessioni


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Inviato
14 minuti fa, ferrocsm ha scritto:

E ci sta @Jack inutile scrivere il contrario, ma non possiamo vedere e condannare la violenza a singhiozzo. Secondo i dati Onu i palestinesi uccisi dal 2008 al 5 di ottobre del 2023, quindi prima dell'ultima strage, sono 6500, quindi dato per veri i dati Onu  vengono uccisi quasi settemila civili in pochi anni, se milioni di persone in Cisgiordania sono soggette a tribunali militari da tantissimo tempo, se ci sono quasi tre milioni di persone dentro la Striscia di Gaza delle quali quasi il 60% minori di 15 anni  che vivono senza poter usufruire dei servizi più elementari, allora a mio avviso (ben inteso) questa violenza strutturale deve essere portatata a conoscenza, le ragioni e lo sai meglio di me non possono stare come hai anche scritto da una sola parte.

Si è così

Ma non c'è più un modo decente per ovviare.

 

Da un lato uno stato potentissimo - tecnologicamente soprattutto - con una popolazione in continua crescita da sempre per gli afflussi di ebrei da ogni dove, dall'altro un popolo bambino ed arretrato (che non è un'offesa bensì un triste dato di fatto), di lato un serie di paesi che dopo avere sciupato negli anni 50 e 60 una soluzione accettabile sono conciati come cristo in croce ed oggi oggettivamente non in grado di incidere: Siria distrutta, Libano instabile e sempre sull'orlo della guerra, Giordania ormai ritirata su se stessa senza territori da concedere anche volendo. L'Egitto che non ha più interesse nella regione e gli basta avere il Sinai di mezzo a tener lontano i problemi.

Convitato di pietra l'Iran sciita che usa la situazione per turpi ragioni interne e inconfessabili desideri di predominio ed eliminazione dell'Islam sunnita, moderato e tendenzialmente filo occidentale ormai.

 

Non c'è più un modo decente per ovviare.

Si ammazzeranno ancora per decenni.

 

 

Inviato

Ad esempio una cosa trovo interessante della “lezione” di Paolo Mieli.

La smentita, da un punto di vista tecnico-giuridico asettico e non ideologico, della narrazione secondo cui Gaza sarebbe un “territorio sotto occupazione” in cui “vige l’Apartheid”.

Questo e’ ontologicamente falso.

Gaza e’ stata completamente restituita ai palestinesi nel 2003, a seguito dell’illusione di Rabin di ottenere la pace cedendo terra, 15.000 cittadini israeliani sono stati deportati a forza fuori dalla striscia abbandonando le loro serre, le fabbriche e le abitazioni ai palestinesi. 

Due anni dopo Hamas ha vinto le elezioni, instaurato una feroce teocrazia abolendo successive elezioni e governando in tutto e per tutto la striscia di Gaza.

Che quindi, tecnicamente, non può definirsi “occupata” da Israele.

Poi chi ha governato a Gaza non ha “scambiato terra per pace” ma ha continuato ad aggredire Israele, che quindi ha blindato i suoi confini, con i muri, per proteggere i suoi cittadini.

Quindi, dice Mieli, e’ tecnicamente sbagliato dire che Gaza e’ occupata e che li i palestinesi vivono nell’apartheid, casomai si può dire che Gaza e’ “assediata”, ma neanche in questo e’ corretto dare la colpa ad Israele perché confina pure con l’Egitto.

Che pero’ guarda caso, chiude anche lui i confini perché’ teme infiltrazioni di terroristi, di cui gli egiziani sono vittime (dei fratelli Musulmani, di cui Hamas e’ emanzione.

 

 

  • Confused 1
Muddy the Waters
Inviato

Però c’è da riflettere sul mielismo:

 

Claudio Rinaldi, direttore de L'Espresso, conia il termine "mielismo" per definire lo stile giornalistico della nuova stagione del Corriere. La voce "mielismo" viene accolta nella Treccani. Il "mielismo", secondo Filippo Ceccarelli che con Mieli ha lavorato a La Stampa si può riassumere così: "Inconfondibile miscela di spirito alto e materia bassa; attenzione a tutto quanto è televisivamente popolare e popolarmente televisivo; suggestioni perlopiù antiretoriche, non di rado articolate attraverso disseminazioni di dubbi su mitologie consolidate; apparente leggerezza; allegra e spavalda disponibilità al gossip (vulgo: "pettegolezzo"), quindi al divertente, all'eclettico, al frammentario; visione conflittuale della realtà, con conseguente sottolineatura di 'casi', 'polemiche', 'duelli' e, quando possibile, spargimento di polpettine di zizzania destinate soprattutto a uomini politici e intellettuali che si prendono troppo sul serio; culto del dettaglio, ancora, talvolta tirato fino all'estremo limite, e cioè ben oltre la vicenda in cui esso dettaglio s’inscriverebbe".[42] Edmondo Berselli preferisce chiamarlo "metodo Mieli".[43]

  • Melius 1
Inviato

Anche Israele e’ peraltro da sempre assediata, circondata da Stati arabi che non ne gradiscono l’esistenza, eppure si e’ sviluppata.

Posto che Gaza (tecnicamente) non e’ “occupata” e che, casomai, potrebbe parlarsi di “occupazione” solo per alcune zone della Cisgiordania (spiega Mieli) e’ paradossale che l’orribile mattanza dei civili massacrati in quel modo sia venuta da Gaza.


Di qui l’obiezione, se i palestinesi si fossero opposti ad Hamas, o avessero scelto diversi governanti, avrebbero potuto impiegare i miliardi di dollari ricevuti da tutto il mondo, per creare una specie di Hong Kong, Taiwan, una città-stato ricchissima, occuparsi dei bisogni della popolazione e dello sviluppo sociale.


Invece, esattamente come l’Isis, si sono tutti votati all lotta armata per cacciare tutti gli ebrei infedeli dalla Palestina ovvero sottometterli, cancellare Israele dalla carta geografica proprio, quindi, invece di costruire fabbriche, ospedali, new-co, infrastrutture e magari rifugi per i civili in caso di guerra, hanno preferito la guerra santa permanente, spendendo i soldi per arricchire i loro capi (come all’epoca Arafat, si parla di patrimoni di miliardi di dollari) e per costruire tunnel e rifugi sotto gli ospedali, armi e missili sempre più potenti, indottrinare (con la complicità dell’UNRWA) intere generazioni all’odio, sin da bambini.

 

Dal mio punto di vista la soluzione, ora, e’ eradicare completamente Hamas, stabilire un “protettorato” multinazionale coinvolgendo direttamente i paesi arabi (in primis l’Egitto) e voltare pagina completamente.

Quindi, certamente, arrivare ai due popoli due stati. 

  • Melius 1
Inviato

@Roberto M ti muovi, come avevo ampiamente previsto, più su posizioni di pancia che di testa,condendo il tutto anche con un filo di ideologia.

Non se ne esce.

 

  • Melius 1
briandinazareth
Inviato
Adesso, Roberto M ha scritto:

Di qui l’obiezione, se i palestinesi si fossero opposti ad Hamas, o avessero scelto diversi governanti,

 

purtroppo lo avevano fatto, prima che israele finanziasse hamas e facesse di tutto per far cadere la parte laica maggioritaria. 

ma vale l'obiezione dei diversi governanti, ancheper israele, che aveva chi stava trovando la pace e ha scelto i più estremisti e fanatici per farsi governare. 

purtroppo genee che veramente pensa e dice che quella terra è loro per diritto divino e quindi i palestinesi non esistono, basti vedere cosa sta succedendo da tanti anni con i coloni che si comportano come nel vecchio sudafrica, anche con una certa licenza di uccidere.

il tentativo di addossare le responsabilità ad una delle due parti è solo tifo da ultras.

  • Melius 1
Inviato
1 ora fa, Roberto M ha scritto:

usando preferibilmente fonti mainstream

...giustamente perchè sono terze parti...

  • Melius 1
Inviato

Dire che Hamas è il nuovo nazismo è uno slogan che serve a giustificare tutto. Ma se così fosse non si potrebbe parlare di terrorismo arabo o mussulmano e di guerre di civiltà. Se invece si usano le parole a vanvera allora buono tutto ma si tratterebbe solo di propaganda. Vedere neri americani nelle università USA definiti nazisti, probabilmente manda in crisi isterica i bravi ragazzi del KKK e i suprematisti bianchi che votano Trump. Io i nazisti me li ricordavo bianchi, biondi e con gli occhi azzurri. Si vede che non ci sono più i nazisti di una volta. Il meticciato delle SS.

Inviato
1 ora fa, Panurge ha scritto:

Israele nasce

ho sempre sentito (dove? boh...) che alla fine della guerra mond, Il terreno di Israele fu comperato. Almeno in parte forse. Da chi ?e a chi fu comperato?...

Inviato

Ripropongo (da fine Ottocento al 2000)

 

 

ISRAELE E LA QUESTIONE PALESTINESE

 

Fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il 1903 si registrò in Palestina un notevole afflusso di ebrei provenienti dall’impero russo sia per effetto dei frequenti pogrom in quell’area sia per la radicalizzazione e la diffusione del sionismo ispirato al pensiero di Theodor Herzl, convinto assertore della necessità di costituire uno stato ebraico nella regione palestinese.

Già dalla fine degli anni Ottanta si verificarono i primi scontri fra i nuovi arrivati e le popolazioni arabe stanziate da secoli nei territori dell’antico stato di Israele.

Il congresso di Basilea del 1897 sancì (e i successivi congressi sionisti confermarono) la volontà degli ebrei di costituire un proprio stato, e individuò i principali strumenti per realizzare tale obiettivo nell’incremento dell’immigrazione in Palestina, nell’educazione nazionale e nelle trattative che l’Agenzia ebraica avrebbe dovuto condurre con il governo ottomano per permettere agli ebrei facilitazioni nell’acquisto di terre.

Vi fu un rapido incremento della popolazione ebraica in Palestina (che nel 1914 raggiunse le 85.000 unità), con l’acquisto da parte dei nuovi arrivati delle terre più fertili.

La prima guerra mondiale, il crollo dell’impero ottomano e l’ambigua politica adottata dall’Inghilterra in Palestina durante e dopo il conflitto scatenarono infine lo scontro fra gli opposti nazionalismi ebraico e arabo.

Dopo essersi impegnata a riconoscere l’indipendenza degli arabi palestinesi in cambio di un loro attivo coinvolgimento nella guerra, il 2 novembre 1917 l’Inghilterra dichiarò di condividere il progetto sionista di istituire un “focolare nazionale ebraico” in Palestina.

Da questa data si intensificò ulteriormente il movimento migratorio di ebrei verso la Palestina, che continuò durante tutto il primo dopoguerra, aumentando ulteriormente negli anni delle persecuzioni razziali naziste.

Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale la Gran Bretagna aveva frattanto ottenuto la possibilità di esercitare la propria influenza sulla zona siriaco-palestinese, e nel 1920 la Società delle Nazioni le affidò il mandato sulla Palestina.

L’intensa opera di colonizzazione ebraica, favorita anche dal governo inglese, provocò scontri fra i coloni e la popolazione araba, che iniziò a organizzarsi politicamente dal 1936, quando si ebbe una grande sollevazione araba in opposizione all’immigrazione ebraica e all’ambigua politica inglese.

Tra il 1936 e il 1939 scoppiarono acuti conflitti, anche armati, tra arabi ed ebrei. Una proposta britannica nel 1937 di procedere alla spartizione della Palestina venne respinta dagli arabi; sicché gli inglesi nel 1939 avanzarono la proposta, che venne rifiutata dalle due parti, di costituire entro dieci anni uno stato palestinese binazionale.

La reciproca collaborazione fra i paesi arabi venne sancita dalla conferenza di Alessandria del 1944, che portò alla formazione della Lega araba (1945), subito divenuta il punto di riferimento per tutti coloro che rifiutavano la costituzione di uno stato ebraico in Palestina.

Dopo la seconda guerra mondiale, il genocidio compiuto dai nazisti nei confronti degli ebrei diede grande forza al progetto sionista di costituzione di uno stato ebraico indipendente, trovando un appoggio determinante negli Stati Uniti. La Gran Bretagna, cui restava affidata l’amministrazione della Palestina, si trovò a dover fronteggiare contemporaneamente l’afflusso di immigrati clandestini ebrei e il crescere della conflittualità tra ebrei e arabi.

Alla fine del conflitto – quando ormai si contavano oltre mezzo milione di ebrei e più di un milione di arabi – si consolidò ulteriormente la volontà ebraica di indipendenza.

La Gran Bretagna optò per una linea di progressivo disimpegno dalla questione ebraico- palestinese, rimettendo alle Nazioni Unite il compito di dirimere il problema. Il governo di Londra annunciò il ritiro dalla regione entro il 15 maggio 1948.

La risoluzione adottata dall’ONU il 29 novembre 1947, forte del voto statunitense, sovietico e francese e dell’astensione inglese, pur con l’opposizione dei paesi della Lega araba, dell’India, della Grecia e del Pakistan, fu quella di giungere a una divisione della Palestina fra le due popolazioni, attribuendo agli ebrei la Galilea orientale, la fascia costiera da Haifa ad Ashdod e la regione del Neghev (per Gerusalemme era prevista la creazione di una zona internazionale).

Ultimata la partenza delle truppe britanniche, il 14 maggio 1948 un governo provvisorio ebraico guidato da Ben Gurion proclamò la creazione dello stato d’Israele. L’atto fu contestato come unilaterale dagli stati arabi, che vedevano in esso una forma intollerabile di sopraffazione da parte della minoranza ebraica appoggiata dai paesi occidentali nei confronti della maggioranza della popolazione araba residente in Palestina, già all’epoca economicamente subordinata. Il nuovo stato d’Israele fu subito riconosciuto da USA e URSS.

La scelta di cercare una soluzione armata al problema palestinese si rivelò disastrosa per la Lega araba e per gli arabi di Palestina. Dopo aver dichiarato guerra allo stato ebraico all’indomani della sua proclamazione, il 15 maggio 1948, gli eserciti egiziano, transgiordano, siriano, libanese e iracheno vennero duramente sconfitti.

La prima guerra arabo-israeliana, conclusasi con gli armistizi separati del 1949, permise il rafforzamento territoriale di Israele rispetto al precedente piano di spartizione previsto dall’ONU per la Palestina e, sul piano internazionale, portò al riconoscimento del paese da parte di molti altri stati e al suo ingresso nelle Nazioni Unite (marzo 1949).

La proclamazione dello stato di Israele nel 1948, la guerra arabo-israeliana del 1948-49 e le guerre successive determinarono un esodo massiccio di popolazione araba dalla Palestina controllata dagli ebrei. E’ la nascita della “questione palestinese”.

La negazione intransigente del diritto all’esistenza di Israele da parte della Lega araba, naturale punto di riferimento degli arabi di Palestina, determinò negli anni successivi l’accentuazione delle basi etnico- religiose dello stato ebraico, vanificando per molto tempo ogni progetto di soluzione della questione palestinese.

I palestinesi della diaspora, che non riconoscevano la legittimità del nuovo stato, cercarono appoggio presso gli stati arabi, entrati a loro volta in conflitto endemico con Israele. Parola d’ordine generale degli arabi, che svilupparono atteggiamenti di ostilità non solo verso lo stato ebraico ma anche forme di antisemitismo virulento, divenne la distruzione del nuovo stato.

Per parte sua lo stato di Israele, dentro il quale era rimasta una piccola minoranza di arabi, soggetto a una condizione di permanente militarizzazione, vide svilupparsi al proprio interno atteggiamenti violentemente ostili a tutto ciò che era arabo e musulmano.

A partire dal 1948 il flusso migratorio di ebrei nello stato d’Israele crebbe incessantemente, anche grazie a due leggi varate dalla knesset nel 1950 e nel 1952 (le cosiddette leggi del ritorno) volte, rispettivamente, a concedere la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei immigrati e limitarne fortemente la concessione ai non ebrei.

Alla crescita della popolazione ebraica fece riscontro il forzato abbandono del territorio israeliano da parte di oltre 500.000 arabi espulsi alla fine del primo conflitto arabo-israeliano e rifugiatisi prevalentemente nel Libano meridionale e in Giordania.

Nel corso dei primi anni Cinquanta Israele si schierò nettamente con i paesi occidentali, parallelamente all’avvicinamento dei paesi arabi, e in particolare dell’Egitto di Nasser, all’URSS.

L’avvicinamento alla Francia e all’Inghilterra fu la premessa per il coinvolgimento israeliano in una politica intransigente e militarista verso il mondo arabo, che portò a un nuovo conflitto arabo-israeliano in occasione della crisi di Suez (1956).

Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che un intervento militare potesse provocare un ulteriore avvicinamento dei paesi mediorientali all’URSS, fra la Francia, la Gran Bretagna e Israele si venne a saldare un’intesa per procedere all’intervento armato. Fra il 29 ottobre e il 5 novembre 1956 le truppe israeliane guidate da Moshe Dayan riuscirono a sconfiggere le truppe egiziane, occupando la penisola del Sinai e la striscia di Gaza.

L’operazione non ebbe però l’esito sperato per la condanna statunitense e soprattutto sovietica: su pressione dell’URSS l’ONU costrinse le truppe israeliane al ritiro, che venne completato nel marzo 1957.

Il secondo conflitto arabo-israeliano determinò quindi un temporaneo isolamento internazionale di Israele, e accelerò la costituzione di un movimento per la liberazione della Palestina, che si diede nel 1964 una propria specifica struttura con la nascita dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Lo schieramento palestinese, deciso alla guerriglia e all’esercizio del terrorismo contro gli israeliani, era composto dal gruppo di al-Fatah, il cui capo, Yasir Arafat, diventò nel 1968 presidente dell’OLP, e anche da altri gruppi di orientamento islamico e marxista. I palestinesi si appoggiavano agli stati arabi e all’Unione Sovietica. Nel 1974 le Nazioni Unite riconobbero l’OLP, che costituì un governo in esilio.

Il terzo conflitto arabo-israeliano scoppiò nel giugno del 1967. Il mese precedente il presidente egiziano Nasser aveva voluto il ritiro delle forze dell’ONU dalla zona del Canale di Suez e il 22 maggio aveva decretato il blocco del golfo di Aqaba per le navi dirette verso Israele. A queste azioni lo stato ebraico rispose con il bombardamento, il 5 giugno, dei principali aeroporti arabi, mentre l’esercito, guidato da Moshe Dayan, occupava la striscia di Gaza, la Cisgiordania, l’alta Galilea, il Golan e tutta la penisola del Sinai.

Nel giro di sei giorni (5-10 giugno) Israele giunse così a una vittoria militare schiacciante, che acuì di riflesso anche le tensioni fra le due superpotenze. Anche la parte orientale di Gerusalemme fu annessa unilateralmente dal governo israeliano e venne proclamata capitale dello stato, nonostante la condanna dell’ONU.

Respinta sia da Israele sia dai paesi arabi e dall’OLP la risoluzione dell’ONU che prevedeva la restituzione dei territori occupati in cambio del riconoscimento di Israele, lo stato ebraico non riuscì anche in questo caso ad avviare un autentico processo di pace che gli consentisse di sfruttare completamente la sua vittoria militare.

In mancanza di trattati di pace con i paesi arabi (che non poterono essere sottoscritti per il rifiuto di questi ultimi di riconoscere lo stato ebraico), Israele ignorò da parte sua la risoluzione dell’ONU per quanto riguardava la restituzione dei territori occupati, avviando anzi un processo di colonizzazione delle nuove terre.

La progressiva creazione di insediamenti ebraici nelle zone occupate (per fronteggiare l’incremento della popolazione ebraica a seguito di nuovi afflussi provenienti dal Corno d’Africa e anche dall’URSS) e l’utilizzazione nello stesso territorio israeliano della popolazione araba delle zone occupate come manodopera non specializzata creò un rapporto di totale subalternità economica dei palestinesi, fomentando ulteriormente il loro spirito di rivalsa contro gli occupanti. Dal 1968 l’OLP radicalizzò la sua posizione e incominciò a minacciare direttamente la sicurezza di Israele.

Gli israeliani scelsero di proseguire sulla via della colonizzazione dei territori occupati e dell’intransigenza verso gli arabi, mentre in politica estera si rafforzarono ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti (anche per compensare i sempre più tiepidi rapporti con i paesi europei).

La rigida politica israeliana trovò d’altra parte riscontro nei paesi vicini: in Egitto anche il successore di Nasser, Sadat, tentò in un primo tempo la via dello scontro armato con Israele.

L’attacco congiunto sferrato dagli eserciti egiziano e siriano nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, il 6 ottobre 1973, venne respinto dalle forze israeliane, che nella loro controffensiva giunsero a minacciare la stessa capitale egiziana. La guerra mise però anche in luce la vulnerabilità di Israele sul piano militare e soprattutto la fragilità economica di un paese privo di materie prime di fronte alle enormi risorse petrolifere di cui disponevano i paesi arabi (che non a caso le usarono come arma di ricatto verso l’Occidente).

Con la decisiva mediazione degli Stati Uniti, si giunse ad un’importante apertura nei confronti dell’Egitto sanzionata dalla visita di Sadat a Gerusalemme (1977), dagli accordi di Camp David del 5 settembre 1978 e dal trattato di pace fra Egitto e Israele stipulato a Washington nel marzo 1979. Israele rinunciò allora alla penisola del Sinai in cambio del consolidamento delle frontiere e del suo riconoscimento da parte del più grande paese arabo (che subì per questo l’espulsione dalla Lega araba).

A questo successo in politica estera non corrispose però un mutamento di indirizzo nei rapporti con i palestinesi, con i quali anzi si scelse la linea più dura. Nonostante i dissensi interni e le negative reazioni di Egitto e Stati Uniti fu ripresa la politica di colonizzazione in Cisgiordania.

L’incursione aerea del giugno 1981 a Tammuz, in Iraq, il rifiuto di diversi piani di pace e soprattutto la decisione di annettere, nel dicembre 1981, le alture del Golan siriane furono le più evidenti manifestazioni di una politica aggressiva che non mancò di ritorcersi contro lo stesso Israele (con l’annullamento da parte degli Stati Uniti degli accordi di cooperazione firmati solo pochi giorni prima).

Nel maggio 1982, dopo ripetuti scioperi generali della popolazione palestinese e in un clima di violenza generalizzata, il governo israeliano avviò l’operazione denominata “pace in Galilea”, diretta contro il Libano meridionale. L’intento era    di stroncare la minaccia del terrorismo palestinese, che trovava terreno fertile nei campi profughi, e soprattutto di schiacciare definitivamente l’OLP, che aveva in Beirut il suo quartier generale.

Alle incursioni aeree contro le basi palestinesi del Libano meridionale seguì quindi, nel giugno 1982, l’invasione del paese vicino, che portò l’esercito israeliano allo scontro con l’aviazione siriana nella valle della Bekaa e all’occupazione di Tiro e Sidone. Il quartier generale dell’OLP dovette allora abbandonare Beirut per trasferirsi a Tunisi.

 

Particolarmente gravi furono, nel settembre, i massacri avvenuti nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila operati dalle milizie cristiane libanesi con la sostanziale complicità dell’esercito israeliano. Solo negli ultimi mesi del 1983 il crescente dissenso interno, la dura condanna della comunità internazionale, i gravi costi economici e umani dell’operazione costrinsero Israele a risolversi a sgomberare il Libano meridionale (progetto attuato però solo fra il gennaio e il giugno del 1985).

Sotto la guida di Peres ogni tentativo di prendere contatti con i paesi arabi moderati per avviare a soluzione l’irrisolta questione palestinese fu ostacolato dalle forze governative di centrodestra. Con il governo Shamir (1986) si intensificò l’opera di colonizzazione e di repressione nei territori della Cisgiordania e di Gaza. Proprio in queste aree la costante conflittualità venne esacerbata dallo scoppio, nel 1987, della rivolta della popolazione araba, l’Intifada (“guerra delle pietre”).

Dopo anni di scontro frontale, l’OLP, prendendo atto della impossibilità di distruggere lo stato di Israele, nel 1988-89 cambiò la propria strategia politica, affermando di riconoscere l’esistenza dello stato a patto che Israele riconoscesse a sua volta il diritto per i palestinesi di costituire uno stato indipendente, la cui esistenza venne proclamata nel 1988 dall’OLP, comprendente la Cisgiordania e Gaza. La nuova politica di Arafat andò incontro al totale rifiuto delle organizzazioni palestinesi estremistiche, in particolare del gruppo islamico di Hamas.

Nel maggio 1989 il nuovo governo israeliano guidato da Shamir, pur senza abbandonare la politica della repressione nei confronti della rivolta palestinese, accettò di organizzare elezioni nei territori occupati, riconoscendo così la legittimità di una rappresentanza araba in campo amministrativo (nella speranza di soddisfare la componente palestinese moderata).

Rimase invece irrisolta la questione del ritiro israeliano da quelle aree, sia per la difficoltà di smantellare le colonie ebraiche sorte al loro interno sia perché quelle zone erano comunque diventate (pur nella loro subalternità) parte integrante del sistema economico israeliano.

Nel 1991, sempre grazie alla mediazione statunitense, diede inizio alle trattative di pace con i paesi arabi, pur permanendo il problema del mancato riconoscimento dell’OLP come legittima controparte dei negoziati.

Nel 1993 il nuovo governo riconobbe l’OLP e siglò a Washington, con la mediazione statunitense, uno storico accordo di pace con il quale fu concessa ai palestinesi l’autonomia a Gerico e nella striscia di Gaza. Nell’ottobre del 1994 fu siglato un trattato di pace con la Giordania. Nel 1995 l’autonomia fu estesa alla Cisgiordania.

Il processo di pace fu altresì lento e difficoltoso per l’opposizione della destra israeliana e dei fondamentalisti islamici. Il capo del governo, Rabin, cadde vittima di un attentato terroristico nel novembre del 1995 e gli subentrò al governo S. Peres.

Alle elezioni del 1996, che furono precedute da gravissimi attentati terroristici messi a segno dal gruppo di Hamas, i laburisti furono sconfitti dalle destre, che frapposero nuovi ostacoli al processo di pace, favorendo l’insediamento di nuovi coloni nei territori occupati. Un nuovo accordo siglato nel 1998 tra Israele e l’OLP rimase di fatto senza seguito. .

Nel 1999 i colloqui di pace ripresero il loro corso, pur tra molteplici difficoltà, sempre con la mediazione USA. Nel maggio del 2000 gli israeliani completarono il ritiro dalla fascia di sicurezza nel Libano meridionale.

Inviato
17 minuti fa, bost ha scritto:

Da chi ?e a chi fu comperato?

alcuni ebrei sionisti comperavano da chi vendeva, anche palestinesi

senza dimenticare che la zona era mandato britannico

però fin dall' inizio dell' inizio e cioè dopo la prima guerra mondiale ( non 

la seconda ) laggiù ci furono atti terroristici e di sabotaggio da parte degli ebrei

quindi comperato ok, ma nella realtà bisogna anche vedere come

  • Thanks 1
Inviato
18 minuti fa, 31canzoni ha scritto:

Io i nazisti me li ricordavo bianchi, biondi e con gli occhi azzurri.

Hai ragione.

Gli occhi non si vedono bene, però sono di incarnato effettivamente bianco.

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Pasukan Gunung Waffen SS

Inviato

@bost per inquadrare meglio la situazione tieni anche presente che israele ha avuto come premier ex terroristi,

tipo shamir che faceva parte della banda stern e poi collaborò con i servizi segreti per commettere omicidi di stato o collaborazionisti di terroristi tipo begin ( non ha sciolto l' irgun e poi ci fu il massacro di deir yassin ). a begin hanno anche dato il nobel per la pace; il nobel per la pace lo presero anche rabin e peres. certo che con tutti questi nobel gli ebrei compreso kissinger son proprio forti eh poi però si torna nella realtà e visti i risultati beh meglio che soprassediamo vah

Inviato
2 ore fa, Roberto M ha scritto:

discutere pacatamente, usando preferibilmente fonti mainstream (no fanpage, no fatto quotidiano) per discutere su questo conflitto e sull’andamento della guerra.

 

@aldofranci in questo thread si usa il Digital Service Act, il primo intervento legislativo che istituzionalizza la censura mediatica sulle piattaforme europee.

Naturalmente ciò che riceve lo stigma di "disinformazione" sono sempre soltanto le tesi che turbano la narrativa corrente.

Ovvero più mentono e più hanno bisogno di uniformare le notizie.

Lo fanno per il nostro bene, beninteso.

Addirittura si aprono i finti dibattiti. :classic_biggrin:

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