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I lavori piu’ belli


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A me pare che il lavoro, non quello voluttuario e fortunato, ma quello standard, si divida in due categorie:

quello necessario per sostentarsi e li’ nulla da dire. 
quello che serve a raggiungere alcuni obiettivi di vita ulteriori: in questo caso, siccome il fine e’ molto desiderato, si adegua la valutazione dei mezzi. E dunque passa in secondo piano o viene obliata la congerie di seccature, perdite di tempo, infingimenti bordeggiamenti e destreggiamenti che il lavoro richiede nei rapporti necessari al suo svolgimento. 
E qui si innesta la mia teoria: che la fattura o remunerazione espone il corrispettivo  dovuto non gia’ per l’attivita’ prestata, ma per la perdita di tempo -risorsa rara- occorsa ad occuparci di cose di cui non ce ne importa una mazza a ben vedere.

Su questo equivoco, utilmente addomesticato, e addolcito dai generi di conforto che ci si assegna lungo il percorso, si basa tuttavia il progresso.

 

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Dall'insegnamento sono scappato a gambe levate già 30 anni fa, dopo le prime esperienze in mezzo a branchi di bestie ignoranti a cui palesemente non fregava una cippa di qualsiasi cosa dicessi o facessi.

Oggi tra responsabilità, burocrazia, colleghi psicopatici, violenze da parte dei genitori e degli studenti, considerazione sociale sotto al vigile urbano e stipendio inadeguato, lo ritengo uno dei peggiori lavori in assoluto per me, superabile solo dall'addetto allo spurgo dei pozzi neri.

 

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Gaetanoalberto
57 minuti fa, Gaetanoalberto ha scritto:

Concordo. D’altra parte bisogna adottare la seguente tecnica: “abbiamo vinto”, “Hai perso”

 

1 ora fa, lufranz ha scritto:

problema è quando va male: p

Lasciando da parte il faceto, dubito che alcuna professione veda soltanto successi.

In genere è necessario un notevole sacrificio, grande impegno, “resilienza”, si incontrano ostacoli, non tutte le ciambelle riescono col buco.

L’uomo però è strano: credo questa sofferenza produca soddisfazione ex se, ed alla fine nei momenti intimi in cui qualche risultato arriva, è proprio il pensiero del percorso superato, più che il risultato, che determina il compiacimento.

Dopo tutto é risorgente.

Mi permetto solo di osservare, ma non vorrei apparire il solito buonista perché lo penso e l’ho visto davvero, che questi processi si accompagnano all’uomo, indipendentemente dall’attività.

Io li ho conosciuti da vicino: gli agricoltori  a modo ad esempio, che curano ogni angolo del proprio terreno, ogni pianta, arbusto ed albero, ne seguono la crescita ed i frutti, e credo provino le stesse sensazioni.

 

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All’Universita’ pero’ e’ diverso. Li’ capisci chi ha una marcia in piu’ e ce ne sono tanti e nasce un rapporto bellissimo. non c’e’ nulla di piu’ vivificante del contatto non con un giovane qualsiasi, ma con un giovane in gamba. Bisogna prestare anzi attenzione che non ti metta ko con ragionamenti di finezza inattesa.

Immagino che nelle secondarie e primarie sia diverso

  • Melius 1
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Adesso, Gaetanoalberto ha scritto:

In genere è necessario un notevole sacrificio, grande impegno, “resilienza”, si incontrano ostacoli, non tutte le ciambelle riescono col buco.

Hai ragione. Però se non funziona una scheda elettronica è una cosa, se ti va male un intervento chirurgico su un bambino è un'altra.

Una delle mie "idee", a suo tempo, era la facoltà di medicina con specializzazione in cardiologia. La misi da parte perchè mi resi conto che non ero emotivamente in grado di "lavorare" con la vita della gente: al primo decesso probabilmente sarei andato fuori di testa.

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4 minuti fa, Gaetanoalberto ha scritto:

Qui si tocca spesso la scuola… freno i polpastrelli.

Sono figlio di insegnati e marito di insegnante, oltretutto di quelle che si fanno un c**o così (se è richiesto uno lei fa tre e non le basta ancora, in qualsiasi campo non solo nel lavoro). Immaginerai da solo quanti giorni torna a casa imbestialita per un motivo o per un altro. 

 

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6 minuti fa, mozarteum ha scritto:

Immagino che nelle secondarie e primarie sia diverso

Immagini giusto.

All'università non so quanti effettivamente siano come li descrivi tu, ma temo che oggi la percentuale sia abbastanza bassa. Un mio collega ha seguito degli studenti di ingegneria come relatore esterno, mi ha dipinto un quadro sconfortante. 

 

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1 minuto fa, lufranz ha scritto:

Hai ragione. Però se non funziona una scheda elettronica è una cosa, se ti va male un intervento chirurgico su un bambino è un'altra.

Una delle mie "idee", a suo tempo, era la facoltà di medicina con specializzazione in cardiologia. La misi da parte perchè mi resi conto che non ero emotivamente in grado di "lavorare" con la vita della gente: al primo decesso probabilmente sarei andato fuori di testa.

Quello del medico, prima che un lavoro, è una vocazione.

Non è che uno sceglie medicina al posto di economia o giurisprudenza, così, tanto basta studiare: prima ancora di diventare medico devi sentirti medico.

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briandinazareth

per me la cosa importante è cambiare spesso.

Dopo 2 anni della stessa cosa, appena si padroneggia bene la materia, mi annoio mortalmente ed è per me la cosa peggiore. 

non mi riferisco necessariamente a cambiare ambito, tipo fare il pittore, poi il muratore, poi il manager e ancora il pianista, ovviamente deve essere sostenibile anche in considerazione dell'età, le proprie competenze ecc.


quindi qualcosa di non ripetitivo e che comprenda trovare soluzioni, imparare cose nuove e avere influenza su quello che succede.
 

  • Melius 2
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Renato Bovello

@Uncino Ovviamente ti capisco perfettamente e ,in parte,concordo. Puoi sempre avvicinarti agli argomenti che hai citato e farlo ora ti darebbe maggiore serenita' perche' non sarebbe finalizzato al sostentamento. Io credo che la tua scelta di vita sia stata corretta

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