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Il Piave mormorava calmo e placido, al passaggio dei primi fanti, il ventiquattro maggio


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Inviato

e se non era per un napoletano nemmeno la si vinceva la guerra.

  • Melius 1
Inviato

A coronamento dell'assurdità dell'atroce mattanza, mi viene spesso in mente un episodio a cui avevo assistito di persona a latere di una conferenza sull'argomento.  All'uscita della sala uno storico ed un colonnello dell'esercito si soffermano a valutare quanto fossero informati i fanti inviati al fronte sulla natura della guerra; l'ufficiale racconta quanto riferitogli dal nonno, pure lui ufficiale impiegato al tempo sul fronte dell'Isonzo. Nonno ufficiale a un soldatino: "Espo', contro chi andiamo a combattere, lo sai?".

Recluta. "O saccio signor tenè, contro li Franzosi". Tragico

Inviato
1 ora fa, Napoli ha scritto:

e se non era per un napoletano nemmeno la si vinceva la guerra.

Insomma ...

Tra l'inazione e la sconfitta, preferisco la sconfitta. Si muova!", gli aveva telegrafato snervato il presidente del Consiglio, Vittorio Emanuele Orlando.

Inviato
19 minuti fa, vizegraf ha scritto:

telegrafato snervato il presidente del Consiglio

Quindi abbiamo vinto grazie alle poste e telegrafi. Il mondo è bello perché è vario.

  • Haha 1
Inviato

Ricordo ancora il sussidiario (si chiamava così) di terza media che sbrigava la seconda guerra mondiale in mezza pagina, occupata a sua volta per metà da una illustrazione. 

Bei tempi gli anni '60.

Inviato
5 minuti fa, meliddo ha scritto:

Ricordo ancora il sussidiario

Guarda che il Sussidiario era uno dei libri delle elementai, l'altro era quello di lettura.

Alle medie c'erano i testi specifici per materia, in questo caso quello di storia.

bungalow bill
Inviato

Mio zio , classe 1890 ( fratello di mio padre ) partì come tanti italiani il 24 maggio 1915 . Fronte Carnia . Mori in combattimento a luglio del 1915 . Non ho mai saputo dove fosse sepolto . L'altro zio fu arruolato in artiglieria pesante , ritornò quasi sordo .

  • Melius 2
Inviato
9 minuti fa, bungalow bill ha scritto:

Fronte Carnia

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Inviato

Che poi sarebbe "La Piave".

Le popolazioni dei luoghi attraversati la chiamano ancora così in buona parte, nonostante la martellante propaganda secolare della "Canzone del Piave" dove è stato resto "maschio e virile" per volontà suprema.

 

Fiume che peraltro nasce nella mia regione nonostante i furibondi tentativi del Doge Luca I° da Bibano di rendere extraterritoriale la sacra fonte.  Un po' come il tiramisù, nato ufficialmente a Tolmezzo ma usurpato dai più ricchi ed abili trevisani che ne hanno fatto un vessillo turistico e gastronomico. 

 

Per il resto, parlando più seriamente la Grande Guerra è stata una tale carneficina da queste parti che la sola idea annichilisce. 

Inviato

 

 

Sul neutralismo  alcune pagine tratte dalle Memorie della mia vita di Giovanni Giolitti, nelle quali si spiegano le ragioni del suo neutralismo; ad esse fa seguito la lettera scritta dallo stesso Giolitti, il 24 gennaio 1915, all’on. Peano e pubblicata il 1 febbraio successivo sulla «Tribuna» con la sostituzione del «parecchio» originario col «molto».

 

Il neutralismo del Giolitti appare frutto di una scelta responsabile, dettata da una lunga esperienza di governo, dall'effettiva conoscenza delle forze antagoniste. Le nostre legittime aspirazioni nazionali potevano, a suo giudizio, essere soddisfatte senza gettare il paese in un conflitto che si profilava lungo e sanguinoso, un conflitto che avrebbe compromesso la nostra economia e le nostre ancora fragili istituzioni liberali. Ma il neutralismo giolittiano aveva il torto di apparire, nel clima esaltato di quegli anni, come la tesi dei pavidi, come un puro calcolo di opportunità. Perciò, a non voler considerare le riposte ragioni che facevano inclinare verso la guerra i nostri ceti industriali ed agrari, il neutralismo giolittiano fu respinto dall'opinione pubblica borghese invasata dalla retorica dannunziana.

Peraltro la maggioranza in Parlamento era contraria all'ingresso in guerra, che si trovò dinanzi al fatto compiuto a seguito degli accordi segreti del patto di Londra (26 aprile 1915).

 

 

Difesa del neutralismo. La lettera del «parecchio»

 

G. Giolitti

 

Io avevo invece la convinzione che la guerra sarebbe stata lunghissima, e tale convinzione manifestavo liberamente a tutti i colleghi della Camera coi quali ebbi occasione di discorrerne. A chi mi parlava di una guerra di tre mesi rispondevo che sarebbe durata almeno tre anni, perché si trattava di debellare i due Imperi militarmente più organizzati del mondo, che da oltre quarant’anni si preparavano alla guerra; i quali, avendo una popolazione di oltre centoventi milioni potevano mettere sotto le armi sino a venti milioni di uomini; che l'esercito dell'Inghilterra, di nuova formazione, sarebbe stato in piena efficienza, come dichiarava lo stesso governo inglese, solamente nel 1917; che il nostro fronte sia verso il Carso, sia verso il Trentino, presenta-va difficoltà formidabili. Osservavo d'altra parte che, atteso l'enorme interesse dell'Austria di evitare la guerra con l'Italia, e la piccola parte che rappresentavano gli italiani irredenti in un Impero di cinquantadue milioni di popolazione, si avevano le maggiori probabilità che trattative bene condotte finissero per portare all'accordo. Di più consideravo che l'Impero Austroungarico, per le rivalità fra l'Austria e l'Ungheria, e soprattutto perché minato dalla ribellione delle nazionalità oppresse, slavi del sud e del nord, polacchi, czechi, sloveni, rumeni, croati ed italiani, che ne formavano la maggioranza, era fatalmente destinato a dissolversi, nel qual caso la parte italiana si sarebbe pacificamente unita all'Italia.

Inoltre, ricordando le peripezie della Russia durante la guerra col Giappone, e la violenta rivoluzione scoppiata dopo quella guerra, a me pareva dubbio che ad una guerra di molti anni quell'Impero potesse resistere. All'intervento degli Stati Uniti d'America, che fu poi la vera determinante di una più rapida vittoria, allora nessuno pensava, né poteva pensare.

Ciò che era. facile prevedete erano gli immani sacrifici d'uomini che avrebbe imposti la guerra per la terribile sua violenza, dati i nuovi, potenti e micidiali mezzi di offesa e di difesa che la scienza e la tecnica moderna avevano inventati e che allora erano già messi in opera sul fronte francese e sul fronte russo; come era facile prevedere che un conflitto cosi tremendo avrebbe segnata la totale rovina di quei paesi ai quali non avesse arriso una completa vittoria. Oltre a ciò una guerra lunga avrebbe richiesto colossali sacrifizi finanziari, specialmente gravi e rovinosi per un paese come il nostro, ancora scarso di capitali, con molti bisogni e con imposte ad altissima pressione. Consideravo ancora che la guerra assumeva già allora il carattere di lotta per la egemonia del mondo, fra le due maggiori Potenze belligeranti, mentre era interesse dell'Italia l'equilibrio europeo, a mantenere il quale essa poteva concorrere solamente serbando intatte le sue forze.

I fautori della guerra facevano anche appello al sentimento popolare offeso dalla violazione della neutralità del Belgio; ma l'Italia, come l'America, non era fra le Potenze che avevano garantito quella neutralità, e l'America non si mosse se non quando il suo intervento era richiesto all'interesse del suo popolo. In una lettera pubblicata nei giornali il 1915, e che più avanti riporto, io osservavo che non si può portare il proprio paese alla guerra per ragione di sentimento verso altri popoli, ma solo per la tutela del suo onore e dei suoi primari interessi.

Tali sono le ragioni pratiche, che possono essere ricordate da amici ed avversari, per le quali io esprimevo parere contrario all'entrata dell'Italia in guerra; e le quali, per quanto riguarda le previsioni della durata della guerra, delle sue difficoltà e dei sacrifizi di uomini e di ricchezza che essa implicava, furono poi pienamente confermate dagli avvenimenti...

E poiché si continuava a parlare di intrighi politici (cominciati sin dal principio dell'autunno '914), mischiandovi il mio nome, io scrissi al Peano dicendogli che, a mettere ad essi fine, la miglior cosa era di fare pubblicare nella Tribuna, che si era già espressa chiaramente e per conto suo in tale senso contro le voci tendenziose, una lettera che io gli avevo scritto alcuni giorni avanti, E cosi fu pubblicata quella lettera, che qui riproduco:

 

Cavour, 24 gennaio 1915.

Caro Amico,

È stranissima la facilità con la quale, parte in buona, parte in mala fede, si formano le leggende. Ora due tendono a formarsi; una di pretesi miei rapporti col Principe di Bulow, l'altra la opinione che mi si attribuisce che si debba mantenere in modo assoluto la neutralità in qualunque caso.

Conosco il Principe Bulow da molti anni; ho grande stima del suo ingegno e del suo carattere; l'ho sempre trovato amico dell'Italia, ben inteso mettendo sempre in prima linea il suo paese, come è suo dovere.

Egli quando era a Roma come semplice privato veniva spesso a trovarmi. Ora, che venne a Roma come ambasciatore, lo incontrai per caso in piazza del Tritone; egli mi disse che voleva venire a trovarmi; io gli risposi che essendo io un disoccupato sarei andato da lui, e cosi feci l'indomani. Si parlò in modo affatto accademico dei grandi avvenimenti; ma mi guardai bene dall'entrare nell'argomento del contegno che debba tenere l'Italia. Avrei mancato al mio dovere, né egli entrò in tale argomento, perché egli è uomo che non manca mai alle convenienze.

Alcuni giorni dopo venne a rendermi la visita; io non ero in casa, mi lasciò una carta da visita e non lo vidi più essendo io partito da Roma.

La mia adesione al partito della neutralità assoluta. Altra leggenda.

Certo io non considero la guerra come una fortuna, come i nazionalisti, ma come una disgrazia, la quale si deve affrontare solo quando è necessario per l'onore e per i grandi interessi del paese.

Non credo sia lecito portare il paese alla guerra per un sentimentalismo verso altri popoli. Per sentimento ognuno può gettare la propria vita, non quella del paese. Ma quando fosse necessario non esiterei nell'affrontare la guerra, e l'ho provato.

Credo molto, nelle attuali condizioni dell'Europa, potersi ottenere senza guerra, ma su di ciò chi non è al governo non ha elementi per un giudizio completo.

Quanto alle voci di cospirazioni e di crisi non le credo possibili. Ho appoggiato ed appoggio il Governo, nulla importandomi delle insolenze di chi si professa suo amico ed invece è forse il suo peggior nemico.

Gradisca i miei più cordiali saluti

aff.mo GIOLITI!».

 

 

  • Melius 1
bungalow bill
Inviato

Alcuni soldati cantavano una triste nenia : con Cadorna non si torna .

Inviato
5 ore fa, Velvet ha scritto:

usurpato dai più ricchi ed abili trevisani che ne hanno fatto un vessillo turistico e gastronomico. 

Chi arte nol sa far, botega el sèra...  :classic_biggrin:

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