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Ucraina e Russia: e se le trattative ci fossero state ?


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Gaetanoalberto
Inviato

Dal Corriere della sera web

 

Le trattative durarono almeno due mesi e si conclusero con un nulla di fatto, ma allora i colloqui furono estremamente dettagliati e toccarono tematiche che restano tutt’ora come macigni a bloccare la via della pace. In sostanza, Kiev mirava a mantenere vive la propria sovranità e indipendenza, mentre Mosca voleva ridurla a uno Stato vassallo. Nei mesi seguenti le due parti si sono rinfacciate la responsabilità del fallimento. La propaganda di Putin ha mentito negando l’intenzione iniziale di non mirare a occupare militarmente tutto il Paese e la sua capitale. Gli ucraini da sempre sostengono che non fu mai firmato o approvato alcun documento, come ci hanno ribadito più volte i diplomatici europei in Ucraina e gli stessi consiglieri più vicini al presidente Zelensky. Più tardi ancora Putin sostenne che furono Joe Biden e Boris Johnson a convincere Zelensky a non firmare, ma ciò viene totalmente negato sia dagli ucraini che dagli alleati. Tuttavia, è pur vero che allora lo stesso Zelensky si era detto pronto a «congelare» i territori occupati nel 2014 dalla Russia e dalle milizie indipendentiste sue alleate nel Donbass e in Crimea per un periodo che poteva durare anche 15 anni.  Oggi le due posizioni restano più distanti che mai, comunque più distanti che nel febbraio-aprile di due anni fa. Le rivendicazioni ucraine di tornare ai confini del 1991, così come espresse anche al summit in Svizzera in questi giorni, e per contro la proposta rilanciata da Putin per una «pace consolidata» che comprenda tra l’altro l’accettazione ucraina dell’annessione russa delle sue quattro regioni occupate – Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson – e persino il ritiro ucraino dalle zone di queste regioni dove i suoi soldati resistono ancora, evidenziano quanto i due nemici siano ben lontani da poter raggiungere un qualsiasi compromesso.  I documenti pubblicati dal quotidiano americano _ «forniti da fonti ucraine, russe e europee» - aiutano a ricordare che comunque quello fu l’unico periodo in cui le due parti di parlarono direttamente e senza mediatori. E ci furono anche intese parziali. Per esempio, inizialmente i russi esigevano che Kiev riconoscesse la Crimea come territorio russo, ma in una bozza del 15 aprile Mosca accettò che la questione non fosse menzionata. Nella bozza di un altro documento, l’Ucraina promette di non chiedere l’entrata nella Nato e allo stesso tempo assicura di non porre alcuna limitazione all’uso della lingua russa sul suo territorio. «Eravamo riusciti a raggiungere un vero compromesso. Tra metà e fine aprile 2022 arrivammo molto vicini a un accordo di pace», ammise lo scorso dicembre Oleksandr Chalyi, uno dei negoziatori ucraini.  I colloqui iniziarono già il 28 febbraio 2022, quando un consigliere della presidenza polacca condusse in elicottero i negoziatori ucraini a una base militare vicino la Bielorussia. Qui vennero ricevuti dalla delegazione russa condotta da Vladimir Medinsky, uno dei consiglieri di Putin. A Kiev pensavano che i russi fossero rimasti sorpresi dalla capacità di resistenza ucraina, in quattro giorni avevano perso già oltre 3.000 soldati. Ma non parve che i delegati russi ne fossero consapevoli.  La prima concessione significativa fatta da Kiev fu la promessa che sarebbero rimasti «uno Stato neutrale in modo permanente», cedendo alla richiesta russa che non entrassero nella Nato. Poi però gli ucraini chiesero che venissero riconosciuti dalla comunità internazionale i loro confini con l’aggiunta della necessità di accordi per cui gli alleati sarebbero intervenuti in difesa se per caso i russi avessero lanciato una nuova aggressione.  La parte più delicata delle bozze di intesa riguardava la richiesta di Putin che venisse riconosciuta la sovranità russa su Crimea e Donbass. Nella formulazione emergeva la convinzione di Putin per cui l’Ucraina resta uno Stato artificiale che va «denazificato». Vi si limita la libertà di esaltare il nazionalismo ucraino, di erigere monumenti e battezzare vie con nomi di patrioti che Mosca considera «neonazisti». Venne intavolata la trattativa per limitare le forze armate ucraine, compresi i numeri di tank, artiglierie, aerei, navi e soldati. Sembra che gli ucraini fossero disposti ad accettarlo, ma alzando i massimali. Gli alleati occidentali sembra fossero preoccupati, mettevano l’accento sui rischi del disarmo unilaterale ucraino.  I colloqui ripresero a Istanbul il 29 marzo. Qui parve che i russi sarebbero stati disposti a ridurre le loro richieste. In un memorandum di due pagine mai pubblicato gli ucraini sintetizzavano i punti di intesa preliminari dicendosi pronti a rinviare qualsiasi decisione sullo status finale della Crimea per un periodo di 10-15 anni, assieme alla promessa per cui Kiev non avrebbe provato a liberarla con la forza. Più avanti vi sarebbe stato un summit Putin-Zelensky per definire quali territori sarebbero diventati russi. Ma gli ucraini chiedevano la garanzia certa che gli alleati sarebbero intervenuti militarmente se la Russia fosse tornata ad attaccare: una sorta di formula simile all’articolo 5 del trattato di adesione alla Nato. Su questo punto i russi rimasero ambigui.  Ai primi di aprile i russi si ritirarono dalla regione di Kiev, emersero le brutalità di Bucha e la possibilità di intesa parve allontanarsi. Sembra che Putin fosse direttamente coinvolto nei colloqui a quel punto con telefonate dirette ai negoziatori. Ma tra gli alleati non fu mai chiaro se Putin fosse serio nelle intenzioni di pace, oppure cercasse solo di guadagnare tempo dopo gli errori iniziali dell’invasione.  Il 15 aprile apparve una nuova minuta degli accordi in cui si enfatizzava la neutralità ucraina, ma si accettava la sua prerogativa di diventare membro pieno dell’Unione Europea. L’accordo non si applicava alla Crimea e ad altre zone occupate ancora da definire. Uno dei contenziosi irrisolti riguardava il raggio di tiro dei missili ucraini: Mosca esigeva che fosse limitato a meno di 50 chilometri, Kiev ne voleva circa 360. Ma il blocco più grave restavano i Paesi garanti: Kiev voleva che in caso di nuova guerra, sarebbe stata difesa da Usa, Gran Bretagna, Cina, Russia e Francia. Mosca esigeva adesso di aggiungere la clausola per cui lo scudo dei garanti doveva richiedere la loro unanimità. Ciò significava che se la Russia fosse tornata ad invadere, e avesse posto il veto all’intervento alleato, avrebbe avuto carta bianca. Secondo i documenti del New York Times, fu proprio quest’ultima clausola a bloccare il negoziato e spingere gli ucraini ad abbandonarlo. A Kiev parve una gigantesca trappola: dopo essersi ritirata, avere riconosciuto la legittimità dell’occupazione russa su parte del suo territorio e infine disarmata, l’Ucraina veniva di fatto lasciata alla mercè di Putin. «Non avevamo più alcun interesse a continuare quei colloqui», ammettono gli stessi negoziatori.

Inviato

Quello che successe lo spiegò quattro mesi fa lo stesso Arestovich in una lunga intervista rilasciata a Mirko Campochiari.

Gli accordi sul cassate il fuoco erano stati pressoché raggiunti su posizioni migliori delle attuali (attuali di quattro mesi fa, MOLTO migliori delle attuali di oggi), ma poco prima della firma arrivarono a Kiev gli inglesi e Zelensky dette ordine di far saltare il tavolo.

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E siamo ad oggi

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Le aspettative erano per un crollo del fronte a sostegno della guerra degli ucraini entro la primavera, presumibilmente subito dopo le elezioni europee... puntuale come un orologio.

 

Inviato
11 ore fa, Gaetanoalberto ha scritto:

Tuttavia, è pur vero che allora lo stesso Zelensky si era detto pronto a «congelare» i territori occupati nel 2014 dalla Russia e dalle milizie indipendentiste sue alleate nel Donbass e in Crimea per un periodo che poteva durare anche 15 anni.

Questa è la frase chiave.

Inviato

No non lo è.

Per un equilibrio geopolitico la Crimea deve essere parte del territorio usso non per quindici anni ma in via definitiva.

La condizione della Crimea è una voce che non ha mai fatto parte di nessuna base di trattativa.

 

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