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Massimo Polidoro sulla vittoria di Trump.


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briandinazareth
Inviato
9 ore fa, Superfuzz ha scritto:

l’ascensore sociale negli USA vuol dire soprattutto molteplici opportunità lavorative e valorizzazione del merito. Comunque sia, se in America l’ascensore sociale è bloccato, in Europa e soprattutto in Italia è proprio rotto.

 

Ti sbagli,  i paesi nordici ad esempio hanno un buon ascensore sociale e l'Europa nel complesso è meglio degli usa.  

In Italia non siamo tra i migliori in n Europa 

 

Gli indici specifici sono molto chiari. 

 

Ma è inevitabile per come è costruita quella società,  le opportunità lavorative delle quali parli sono b destinate già a coloro che hanno potuto studiare ad uno specifico livello,  che negli usa significa con precisione quanto i tuoi genitori hanno potuto spendere, dai 5 anni fino all'università... 

 

E non c'è solo questo a frenare la possibilità di crescita delle persone.  

 

Negli usa è un problema noto e sia i repubblicani che i democratici non lo negano. 

 

Un tempo funzionava bene,  ma erano tempi nei quali,  ad esempio,  la tassazione negli usa era incredibilmente più elevata (scaglioni più elevati al 90%, poi portati mi pare al 75... )e permetteva una forte spesa pubblica.  

 

Ad esempio esistevano ottime scuole pubbliche,  adesso sono allo sfacelo (c'è un bel articolo del nyt di poche settimane fa su questo).

 

E un tempo la scuola era pure meno importante per l'ascensore sociale di quanto lo sia adesso. 

Inviato

@briandinazareth non mi sbaglio affatto, se vai a cercarti un po’ di dati vedrai che ho ragione. Vero invece che I paesi del nord Europa rappresentano una parziale eccezione, ma non credo siano confrontabili per un sacco di specifiche caratteristiche. Comunque, a memoria, ne avevamo già parlato, e mi sembra che ognuno è rimasto della sua.

briandinazareth
Inviato
3 ore fa, Superfuzz ha scritto:

non mi sbaglio affatto, se vai a cercarti un po’ di dati vedrai che ho ragione. Vero invece che I paesi del nord Europa rappresentano una parziale eccezione, ma non credo siano confrontabili per un sacco di specifiche caratteristiche. Comunque, a memoria, ne avevamo già parlato, e mi sembra che ognuno è rimasto della sua.

 

Perdonami ma non è questione di opinioni in questo caso. 

 

Il "Global Social Mobility Index" assegna il primo posto alla Danimarca (con 85 punti), seguita da Norvegia, Finlandia, Svezia e Islanda. A completare la rosa dei primi dieci sono l'Olanda, la Svizzera, l'Austria, il Belgio e il Lussemburgo. Tra le economie del G7, la Germania è la più mobile socialmente (11esima, con 78,8 punti), seguita dalla Francia (12esima). Il Canada (14esimo) precede il Giappone (15esimo), il Regno Unito (21esimo), gli Stati Uniti (27esimi) e, infine, l'Italia, che è 34esima, preceduta anche da Portogallo (24esimo) e Spagna (28esima).

Inviato

I primi 10 in gran parte non papisti, sarà un caso?

Inviato

@briandinazareth forse non ci capiamo. I dati che riporti mi risultano vecchiotti, comunque sia non ho scritto che l'ascensore sociale negli USA funziona alla grande, ma bensì che è rallentato, in una situazione sostanzialmente simile ai paesi europei, nord europa escluso, con l'Italia che fa decisamente peggio. Posto che europa e USA rientrano comunque nelle prime 30/40 posizioni a livello mondiale. Piuttosto ho scritto che l’ascensore sociale negli USA vuol dire soprattutto molteplici opportunità lavorative e valorizzazione del merito, mentre in europa si lavora molto più sul sociale e sulle pari opportunità.

Inviato

Un articolo sul tema della mobilità sociale di un noto quotidiano comunista (Il Sole 24 ore), che tocca il mio lavoro.

 

 

I «SUPERPOLLI» E I DISASTRI DI UNA SOCIETÀ SEGREGATA

Le disuguaglianze vanno ridotte non cristallizzate. Per questo occorre contrastare la tendenza nel nostro paese a formare classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi

di Vittorio Pelligra

 

19 gennaio 2020

 

Negli Anni '90 il biologo evoluzionista William Muir condusse un esperimento sulla riproduzione delle galline. L'idea era quella di ottenere esemplari più produttivi attraverso un processo di selezione successiva. Muir formò due gruppi: il gruppo di controllo era composto da galline dalla produttività media (in termini di uova deposte), mentre il secondo gruppo era formato da animali altamente selezionati sulla base delle loro elevate performance. Galline altamente produttive che Muir chiamò "super-chicken".

A questo punto occorreva solo far passare il tempo e verificare se, generazione dopo generazione, l'andamento della produttività dei due gruppi avrebbe iniziato a divergere. L'ipotesi era che i super-selezionati super-chicken, col passare del tempo avrebbero incrementato la loro produttività, in un processo di miglioramento continuo della specie. Dopo sei generazioni, quando Muir osservò il risultato finale del suo esperimento, capì che qualcosa, nelle sue ipotesi, era profondamente sbagliato: gli eredi del gruppo di controllo, quello delle galline "mediocri", erano tutti, infatti, belli paffuti, in salute e altamente produttivi. Le galline superstar, invece, erano quasi tutte morte, uccise a colpi di becco dagli unici tre esemplari superstiti.

Questa storia mi è tornata alla mente, per qualche ragione, dopo aver letto dell'istituto comprensivo di Roma che, nella presentazione della scuola, su sito web, ha scritto che «l'ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell'utenza che appartiene a fasce socio-culturali assai diversificate». Ora sul sito rimane solo questa innocua frasetta, ma, prima che scoppiasse la polemica, si poteva leggere anche altro. Per esempio, che due dei plessi scolastici «accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto», mentre in un'altra sede vengono accolti «prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell'alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)».

 

Aspettativa di vita tarata sullo stradario

Sono convinto che queste frasi, al di là del loro tono anacronistico, non dovrebbero sorprendere, né scandalizzare nessuno. Non siamo ipocriti! La nostra società è diseguale; le nostre città sono diseguali; i nostri quartieri sembrano appartenere, a volte, a mondi differenti, perché, in parte, rispecchiano mondi differenti. Facciamo una passeggiata nella civilissima Torino. Se prendiamo il tram dalla zona della precollina, fino al quartiere delle Vallette, per ogni chilometro percorso che ci allontana dalla zona "bene" del centro, verso la periferia, potremo verificare che l'aspettativa di vita degli abitanti si riduce di cinque mesi. Alla fine della passeggiata, all'interno della stessa città, saremo passati da una zona i cui abitati hanno un'aspettativa di vita di 82,1 anni, ad una nella quale, invece, si può sperare di vivere in media, 77,8 anni; quasi quattro in meno. Ma lo stesso succede a Londra. Percorrendo la Jubelee line della metropolitana, dal centro verso la periferia, ad ogni fermata si perdono sei mesi di vita. A Glasgow e a Washington, sono stati rilevati divari ancora più impressionanti, fino a 15 anni di differenza nell'aspettativa di vita tra i quartieri del centro e quelli della periferia.

 

Classi eterogene e "parità di trattamento"

Anche Roma non fa eccezione. Per questo non ha senso meravigliarsi del fatto che due plessi dello stesso istituto ospitino alunni provenienti da contesti socio-economici differenti. O che la scuola lo dichiari. Sorprendono di più le reazioni di ipocrita sorpresa e di inutile sdegno e gli articoli di stampa intrisi di biasimo e condanna. Dovremmo chiederci piuttosto quali sono le conseguenze di questo stato di cose, c ome gestire al meglio queste disuguaglianze e possibilmente come attivare processi che riescano a contrastare la sistematica tendenza alla crescita della disuguaglianza. Una questione più rilevante della presenza di bambini appartenenti a classi sociali differenti, candidamente e un po' ingenuamente rappresentata dalla scuola di Roma, sarebbe, per esempio, quella relativa ai criteri utilizzati dalla direzione della scuola per formare le classi nel plesso dove coabitano i figli dell'alta borghesia con quelli dei loro giardinieri e delle loro badanti: classi omogenee per "pedigree" familiare o classi, volutamente, miste? Questo dato, sì che sarebbe interessante conoscerlo. Perché i criteri utilizzati per formare le classi influenzano in modo significativo i risultati ottenuti dagli studenti. E i dati della Fondazione Agnelli mostrano che la tendenza nel nostro paese, purtroppo, va verso la formazione di classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi. Classi di "super-polli" che, però, alla fine, danno risultati peggiori. Le classi "miste", eterogenee per composizione, invece, a parità di condizioni, fanno bene a tutti; ai figli dei poveri, come a quelli dei ricchi.

Ma forse questo né i presidi, né i genitori lo sanno. Significa che i risultati sono migliori nelle classi eterogenee, a patto che queste ricevano lo stesso trattamento delle classi "selezionate". Il problema è che il "trattamento" spesso non è lo stesso. Estese ricerche mostrano, infatti, che i docenti delle classi miste tendono ad adottare un atteggiamento più fatalista nei confronti dei loro studenti, che la qualità dell'insegnamento impartito in queste classi è inferiore, che il numero delle ore dedicate all'insegnamento piuttosto che a esercizi ripetitivi è minore, così come lo sono le gratificazioni e gli incoraggiamenti rivolti agli alunni (Dupriez V., Draelants H., 2003. "Classes homogènes versus classes hétérogènes: les apports de la recherche à l'analyse de la problématique", Cahier de Recherche du GIRSEF, Louvain-la-Neuve, n. 24). Ecco perché può risultare difficile parlare di "parità di condizioni".

 

Traslocare per avere una chance

La questione centrale su cui dovremmo tutti concentrarci riguarda gli effetti della disuguaglianza sul futuro dei piccoli studenti di oggi e fino a che punto la scuola pubblica possa rappresentare uno strumento di riequilibrio efficace attraverso la promozione di pari opportunità in partenza, per tutti i nostri giovani. Raj Chetty e Nathaniel Hendren, due economisti di Stanford e Harvard, analizzando i dati di più di sette milioni di famiglie, hanno recentemente mostrato quanto il quartiere in cui si cresce influenzi in maniera determinante variabili come il reddito, la probabilità di andare all'università, la fertilità e i modelli parentali, di cui i bambini di quelle famiglie faranno esperienza nel loro futuro ("The impacts of neighborhoods on intergenerational mobility I: Childhood exposure effects," The Quarterly Journal of Economics, 2018, 133 (3), pp. 1107-1162). I risultati di coloro che si trasferiscono in un quartiere migliore crescono del 4% per ogni anno di vita passato nel nuovo quartiere. In questo dato c'è un elemento importante, che ha molto da dire a chi vorrebbe concretamente operare attraverso politiche di inclusione per migliorare le prospettive di chi nasce in una famiglia "svantaggiata".

 

Quando il quartiere decide il tuo futuro

Il vero nodo dello svantaggio non è tanto, quindi, legato alle condizioni di partenza ma alla segregazione che le condizioni iniziali determinano e, soprattutto, alla mancanza di meccanismi correttivi. Se nasci povero e, per questo, sei costretto a crescere in un ambiente privo di stimoli, di sollecitazioni, di legami sociali significativi e di occasioni formative, allora il tuo destino è segnato. Non tanto perché sei nato povero, ma perché la povertà non scelta ti ha segregato in un ambiente sfavorevole. Ma se, nonostante la povertà originaria, si creano le condizioni per uscire da quell'ambiente deprivato e crescere in uno più stimolante, dove anche l'effetto dei pari esercita una pressione positiva, allora le possibilità che l'ascensore sociale si rimetta in moto crescono significativamente. Purtroppo, i movimenti da un quartiere all'altro sono molto rari, perché, in assenza di politiche pubbliche mirate, si rivelano proibitivamente costosi; una forma di investimento che raramente una famiglia basso reddito può permettersi. Questo elemento cristallizza una situazione che non fa altro che rigenerare disuguaglianza.

 

Perchè dove si studia conta

I dati mostrano che, a parità di condizioni, lo stesso investimento in istruzione, porterà benefici maggiori se si abita in un quartiere con un reddito medio elevato, rispetto ad uno con un reddito medio più basso. Le ragioni possono essere varie e avere a che fare con la qualità delle scuole, con l'effetto dei pari, con la qualità, cioè, delle relazioni interpersonali, con le norme sociali, le reti di amicizie e l'ampiezza delle opportunità. Tutti questi elementi operano in maniera complementare con il capitale umano cognitivo e non-cognitivo dei bambini, amplificandone o riducendone gli effetti positivi. Si capisce, allora, come, soprattutto in un'economia nella quale il mercato del lavoro va sempre più alla ricerca di conoscenze e specializzazione, le condizioni di partenza portino alla creazione di un equilibrio nel quale la scuola, invece che rappresentare un percorso di emancipazione e di creazione di opportunità e, quindi, maggiore eguaglianza, diventa essa stessa, un meccanismo di riproduzione e di accentuazione delle differenze.

 

Meno segregazione per avere meno diseguaglianze

La disuguaglianza che è andata aumentando stabilmente negli ultimi dieci anni in tutte le regioni italiane, tranne che in Molise ed Emilia-Romagna, si combatte anche combattendo la segregazione nelle nostre città. E questo dovrebbe coinvolgere, in maniera integrata, la politica nazionale, le amministrazioni locali, i pianificatori, gli urbanisti, la scuola, la società civile organizzata, tutti. Occorre ripensare i nostri luoghi, i quartieri, il trasporto pubblico locale che rende a volte impossibili gli spostamenti, le scuole brutte, dentro e fuori. Per non parlare, poi, delle cosiddette politiche di "decoro urbano". Amministratori che curano il centro delle loro città come il salotto di casa propria e considerano le periferie alla stregua delle cantine dove scaricare inutili rifiuti. Tappeti sotto i quali nascondere il degrado sociale. Per risolvere il problema basta un'ordinanza contro l'accattonaggio in centro o l'istallazione di quelle panchine progettate apposta per evitare che i barboni possano sdraiarcisi sopra. Architettura e urbanistica ostile, anti-umana e de-umanizzante.

 

A Medellín il valore aggiunto viaggia in cabinovia

Ma invertire la rotta è possibile e, paradossalmente, alcune delle esperienze più interessanti, in questo senso, arrivano da quei paesi che un tempo chiamavamo "in via di sviluppo". Medellín, in Colombia, è una città tristemente nota per il cartello del narcotraffico e per una delinquenza che, fino a poco tempo fa, la rendeva una delle città più pericolose al mondo. Quattro milioni e mezzo di persone che vivono in un centro ricco e moderno, ma soprattutto sulle colline introno al centro, interamente ricoperte da enormi "barrios" fatti di baracche e case abusive. Quartieri cresciuti come funghi, per sovrapposizione, in maniera del tutto caotica. Case che si arrampicano sulle pendici intorno alla valle della Cauca senza lasciare spazio a strade, vie d'accesso, spazi comuni. Più sei povero più vivi in alto, lontano dal centro dove la vita della città si svolge, dove ci sono le scuole e le attività economiche principali.

Un tessuto urbano che porta all'auto-segregazione, visto che, anche volendo, un autobus non potrebbe passare su quelle viuzze e, così, se nasci lì, sei tagliato fuori. Ma qualcosa cambia nel 2004. Visto che gli autobus e i tram non possono arrivare su quelle colline, vengono costruite tre line di cabinovie che collegano i "barrios" con il centro a valle. Nove chilometri di cavi che trasportano ogni giorno 30mila persone e che, velocemente, contribuiscono alla rinascita della città dell'"eterna primavera". Si attiva una risorsa, fatta da migliaia di cittadini che fino a quel momento erano visti come costi, pesi, zavorra appunto. In pochi anni l'occupazione cresce del 15% e si registra un incremento delle attività artigianali del 22 per cento.

 

I musei di San Paolo spazi pubblici per cittadini attivi

Qualche anno prima di Medellín avevo visitato la Pedreira, una favela nella periferia di San Paolo in Brasile. Un agglomerato urbano dove circa 400mila persone vivono in condizioni di difficoltà, precarietà, abusivismo e disagio economico e sociale. Una delle realtà sociali che opera in quel contesto è "Afago", una Ong che tra le attività di formazione ed emancipazione dei piccoli del quartiere, con lezioni di musica e corsi di capoeira tenuti da volontari, molti dei quali ex-utenti della cooperativa, prevede visite ai meravigliosi musei del centro di San Paolo. Non solo perché la bellezza cura la sofferenza, ma perché anche una visita al museo può essere un atto di cittadinanza attiva, soprattutto se compiuto da bambini che, non certo per scelta, sono nati ai margini di tutto. Quei bambini imparano che la città è anche loro, si impossessano in questo modo dello spazio pubblico, riacquistano centralità; loro che, nati ai margini, ai margini sono destinati a stare per sempre, in assenza di una volontà educativa inclusiva. Anche dalle periferie più estreme, dunque, possiamo imparare come combattere la segregazione alla quale, anche nelle nostre città tanti sono condannati.

 

Che il neoministro dell'istruzione con il suo sottosegretario twittino pure post indignati contro la scuola romana, ma poi, invece di usarla come capro espiatorio di responsabilità che stanno altrove, si facciano promotori di azioni innovative, profonde ed efficaci, di riorganizzazione e di integrazione che, anche a costo quasi zero, potrebbero, già da ora, contribuire a sollevare dalle schiene di tanti dei nostri studenti la zavorra che il destino di essere nati lì, invece che là, gli ha caricato sulle spalle.

 

  • Thanks 1
briandinazareth
Inviato
6 ore fa, Superfuzz ha scritto:

forse non ci capiamo. I dati che riporti mi risultano vecchiotti, comunque sia non ho scritto che l'ascensore sociale negli USA funziona alla grande, ma bensì che è rallentato, in una situazione sostanzialmente simile ai paesi europei, nord europa escluso, con l'Italia che fa decisamente peggio.

 

I dati sono del 2020, quelli più recenti sono identici. 

la situazione non è  come l'Europa, è sostanzialmente peggio. Il fatto che noi italiani riusciamo ad  essere indiretto anche in questa classifica,  con risultati molto vicini a quelli degli usa, ci parla molto di noi e meno dei nostri vicini più virtuosi. 

 

La differenza poi fra Europa,  Italia compresa,  e usa diventa ancora più ampia considerando le condizioni di vita in senso più ampio.

un ascensore sociale che non funziona in un paese dove significa anche mancato accesso alle cure mediche,  ad una scuola decente,  ad un quartiere dove non ci siano omicidi continui, una mortalità infantile che sia degna di un paese così ricco ecc.

 

 

  • Haha 1
Inviato

@briandinazareth non solo l’sitalia ma pure altri paesi europei, in quella classifica, fanno peggio. Tutto il resto è di molto esagerato-vogliamo parlare pure del livello di occupazione e soprattutto del reddito medio in USA?-ma credo che la tua visione sia prettamente ideologica.

  • Melius 1
briandinazareth
Inviato
2 ore fa, Superfuzz ha scritto:

non solo l’sitalia ma pure altri paesi europei, in quella classifica, fanno peggio. Tutto il resto è di molto esagerato-vogliamo parlare pure del livello di occupazione e soprattutto del reddito medio in USA?-ma credo che la tua visione sia prettamente ideologica.

 

Perdonami ma a me pare la tua una visione ideologica. I dati sono chiari. Gli USA sono molto poco virtuosi in quella classifica nella quale erano un tempo molto in alto. Un argomento molto discusso nel Paese.

 

Io conosco bene gli USA l, ci ho vissuto e lavorato e sono in contatto frequente con diversi americani, soprattutto ex colleghi, quindi non gente che vive nei sobborghi di detroit, la questione delle scuole è drammatica. È faticoso anche per manager in multinazionali e si indebitano anche pesantemente nella consapevolezza che non è possibile alcun futuro altrimenti. 

 

Quindii Migliorare la condizione economica rispetto alla famiglia di origine negli USA è più difficile che nella maggior parte dei paesi europee. Punto. 

 

Questo non vuol dire "america mezza" ovviamente, i giudizi tranchant di questo tipo sono in genere frutto di ignoranza e non grande capacità di analisi. Andrebbe fatto in generale, ma molta gente preferisce tagliare con l'accetta.

 

Però bisogna anche evitare il mito americano, perché la realtà non è quella di molti film e di quando si fa turismo. 

 

Inviato

@briandinazareth nessuna visone ideologica da parte mia, tutt'altro. In America ci sono stato più volte anch'io, ho parenti e amici, e, francamente, non ho mai visto/sentito il disagio che traspare da una descrizione come questa tua: "paese dove significa anche mancato accesso alle cure mediche,  ad una scuola decente,  ad un quartiere dove non ci siano omicidi continui, una mortalità infantile che sia degna di un paese così ricco ecc.". Gli Stati Uniti che conosco io hanno molti problemi e mille contraddizioni, ma sono pure il paese in cui la ricchezza media è di netto più alta rispetto a quella europea, in cui ci sono mediamente molte più opportunità lavorative rispetto all'Europa, tanto che ci si avvicina alla piena occupazione, sono il paese in cui l’economia da decenni cresce più di quella europea, la produttività è molto più alta, e contemporaneamente i salari sono in costante ascesa. Vero che esiste una inflazione importante (uno dei fattori su cui Trump ha molto puntato in campagna elettorale), ma In effetti le retribuzioni americane crescono ben più di quest'ultima. Anche questi sono dati e fatti, non opinioni.  

  • Melius 1
Inviato

@Superfuzz

Il che mi pone un interrogativo a cui non riesco a trovare risposta che abbia un senso.

Se il paese è in crescita e al pari i salari, se si è prossimi ad una piena occupazione, perché uno slogan "make America great again"? Sostenere ed aderire ad uno slogan che appare a tutti gli effetti un ritorno al passato e quindi in contrasto con un presente che si considera insoddisfacente non è conciliabile con la rappresentazione degli Stati Uniti che sostieni, ovvero non dovrebbe esserlo per coloro che hanno votato Trump.

Inviato

@Savgal bella domanda, a cui, ovviamente, non ho una risposta. Tra le varie ragioni presumo che l’inflazione a due cifre abbia giocato un ruolo importante, anche e soprattutto a livello di percezione generale, poi indubbiamente il fattore immigrazione illegale, infine Trump & Musk sono stati indubbiamente bravi a creare/amplificare un certo tipo di immaginario.

Inviato

 

Quando un'idea ha preso possesso dello spirito del popolo americano, sia o no ragionevole, è molto difficile estirparla.

Lo stesso fatto è stato osservato in Inghilterra, il paese d'Europa che ha avuto durante un secolo la più grande libertà d'opinione e insieme i più invincibili pregiudizi.

Io attribuisco questo effetto proprio alla causa che, a prima vista, dovrebbe impedirgli di prodursi: alla libertà di stampa. I popoli presso i quali esiste questa libertà si affezionano alle loro opinioni per orgoglio oltre che per convinzione. Essi le amano, perché sembrano loro giuste e anche perché sono scelte liberamente da loro, e ci tengono, non solo come a una cosa vera, ma anche come a una cosa che è loro propria.

Vi sono poi molte altre ragioni.

Un grand'uomo ha detto che l'ignoranza è alle due estremità della scienza. Forse sarebbe stato più esatto dire che le convinzioni profonde si trovano solo agli estremi e che nel mezzo è il dubbio. Si può considerare, effettivamente, l'intelligenza umana in tre stati distinti e spesso successivi.

L'uomo crede fermamente, perché accetta le opinioni senza approfondirle. Dubita quando gli si presentano le obiezioni. Spesso riesce a risolvere tutti i suoi dubbi e allora ricomincia a credere. Questa volta egli non si impadronisce della verità per caso o in mezzo alle tenebre, ma la vede faccia a faccia e marcia direttamente verso la sua luce. Quando la libertà di stampa trova gli uomini nel primo stato, essa lascia loro per molto tempo ancora questa abitudine di credere senza riflettere; soltanto cambia giornalmente l'oggetto delle loro irriflessive credenze. In tutto l'orizzonte intellettuale lo spirito umano continua a vedere un punto per volta, ma questo punto varia continuamente. È il tempo delle rivoluzioni improvvise. Sfortunate le generazioni che ammettono tutto a un tratto la libertà di stampa!

Tuttavia il circolo delle idee nuove è percorso rapidamente. Si forma esperienza e l'uomo cade nel dubbio e nella diffidenza.

Si può assicurare che la maggior parte degli uomini si fermerà sempre in i questi due stati: essi o crederanno senza sapere perché o non sapranno propriamente che cosa bisogna credere.

Quanto a quell'altro tipo di convinzione riflessa e padrona di sé che sorge dalla scienza e si eleva in mezzo alle agitazioni del dubbio, esso potrà essere raggiunto solo da un piccolo numero di uomini.

Tocqueville

 

Inviato

 

Benché abbiano parecchie religioni, gli americani hanno tutti un unico modo di considerare la religione.

Essi non sono sempre d'accordo sui mezzi da adottare per ben governare e differiscono su alcune forme che convengono al governo, ma sono d'accordo sui principi generali che devono reggere le umane società. Dal Maine alla Florida, dal Missouri all'Atlantico si crede che l'origine di tutti i poteri legittimi sia nel popolo. Si hanno le stesse idee della libertà e dell'eguaglianza; si professano le stesse opinioni sulla stampa, il diritto di associazione, la Se dalle idee politiche e religiose passiamo alle opinioni filosofiche e morali che regolano le azioni quotidiane della vita e dirigono l'insieme della condotta, troviamo lo stesso accordo.

Gli americani pongono nella ragione universale l'autorità morale, come il potere politico nell'universalità dei cittadini e stimano che bisogna rivolgersi al senno di tutti per discernere ciò che è permesso o non permesso, ciò che è vero o falso. La maggior parte di loro pensa che la conoscenza del proprio interesse bene inteso basti per condurre l'uomo verso il giusto e l'onesto. Essi credono che ognuno, nascendo, ha ricevuto la facoltà di governare se stesso e che nessuno ha il diritto di costringere il suo simile ad essere felice. Tutti hanno una grande fede nella perfettibilità umana; e credono che la diffusione della cultura debba necessariamente produrre risultati utili, l'ignoranza portare effetti funesti; tutti considerano la società un corpo in progresso; l'umanità come un quadro cangiante in cui nulla è, né deve essere, fissato per sempre e ammettono che ciò che loro sembra bene oggi possa domani essere sostituito dal meglio ancora nascosto.

Non dico che tutte queste opinioni siano giuste, ma che sono americane. Mentre sono così uniti fra loro da queste idee comuni, gli americani sono separati dagli altri popoli da un sentimento: l'orgoglio. Da cinquant'anni in qua non si è mai omesso di ripetere loro che essi sono il solo popolo religioso, civile e libero. Essi vedono inoltre che presso di loro le istituzioni democratiche prosperano, mentre falliscono nel resto del mondo; hanno quindi un'immensa opinione di se stessi e non sono lontani dal credere di formare una specie a parte nel genere umano.

Tocqueville

 

briandinazareth
Inviato
14 ore fa, Superfuzz ha scritto:

America ci sono stato più volte anch'io, ho parenti e amici, e, francamente, non ho mai visto/sentito il disagio che traspare da una descrizione come questa tua: "paese dove significa anche mancato accesso alle cure mediche,  ad una scuola decente,  ad un quartiere dove non ci siano omicidi continui, una mortalità infantile che sia degna di un paese così ricco ecc."

 

Evidentemente i tuoi amici stanno bene e vedi la parte ricca dell'America, se sei in quella fascia, non hai problemi a spendere svariate decine di migliaia di dollari all'anno a figlio per un istruzione di buon livello, pagare per un'assicurazione sanitaria decente (ma senza smettere mai di pagarla) l, Vivi in un quartiere dove il tasso di omicidi è radicalmente diverso da quello della media usa ecc.

 

Aiuta molto anche essere del colore giusto, vista l'enorme disparità di reddito (i bianchi guadagnano quasi il doppio), assistenza sanitaria, mortalità infantile, disoccupazione e qualunque altro parametro sociale, tutto legato al reddito in un paese come gli USA 

 

 se sei abbastanza abbiente vivi senza troppi problemi quasi dappertutto ma questo non dice assolutamente niente della realtà sociale. 

 

I dati sono chiarissimi ed evidenti, le singole esperienze personali sono sempre limitate a contesti specifici.

 

 

Inviato

@briandinazareth vabbè insisti a dipingere una realtà univoca ed esasperata. Cosa vuoi che ti dica, resta pure delle tue convinzioni. 

briandinazareth
Inviato
5 ore fa, Superfuzz ha scritto:

vabbè insisti a dipingere una realtà univoca ed esasperata. Cosa vuoi che ti dica, resta pure delle tue convinzioni. 

 

Io ti porto dei dati e dei fatti. Numeri e cose reali che sono inconfutabili, se ti dico che la mortalità infantile fra i neri è molte volte superiore o che il livello di omicidi è elevatissimo e sconosciuto in qualunque paese occidentale e non solo, se il livello di disperazione, il numero di homeless e di gente che muore per mancanza di assistenza medica e al livello indiano, non puoi prendertela con me come se fossero opinioni.... 

 

Ovviamente gli USA sono molto più di questo: 

Sono il paese con la migliore ricerca scientifica del mondo, c'è spesso una correttezza e una cortesia sul lavoro e fuori quasi imbarazzante (noi italiani pensiamo subito ci sia qualcosa dietro), ci sono  molte iniziative di puro volontariato e servizi erogati gratuitamente impensabili altrove, poi tanta della musica che ano viene da li. Così come tanto cinema e letteratura. 

 

L'errore è di sottovalutare quanto poco siano omogenei gli usa.

 

In questo periodo diversi stati stanno spingendo per la preghiera e la Bibbia obbligatorie in tutte le scuole, una misura mostruosa e da talebani, non da persone del nostro secolo e contemporaneamente, in altri contesti, c'è una società profondamente libera e laica, una di quelle che più contribuiscono al dibattito di alto livello.

 

Inoltre ho costruito diverse interessanti conoscenze con persone di grande valore, per cui anche l'idea sciocca che alcuni hanno degli americani su di me non possono attecchire. 

 

Per tutto questo non sono per nulla antiamericano, ma neppure accecato dal mito  dell'America molto parziale di coloro che stanno bene, in zone dove la sicurezza non è un problema grave.

 

 

Inviato
3 ore fa, briandinazareth ha scritto:

Io ti porto dei dati e dei fatti.

pure io, te li ho elencati sopra.

 

3 ore fa, briandinazareth ha scritto:

L'errore è di sottovalutare quanto poco siano omogenei gli usa.

errore non mio, mi sembra di averlo scritto più volte.

 

3 ore fa, briandinazareth ha scritto:

poi tanta della musica che ano viene da li.

diciamo che il 99% della popular music nasce da lì o è diretta discendente da quanto nato lì.

3 ore fa, briandinazareth ha scritto:

ma neppure accecato dal mito  dell'America

neppure io. Per quanto ami certi Stati Uniti, credo di conoscerli abbastanza per vederne anche i tanti difetti. Il punto è che, generalmente, assieme a tanta cieca venerazione, da parte di molti sono pure oggetto di odio ideologico, luoghi comuni e malcelata invidia (spesso inconscia). 


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