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Genocidio sì o no?


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Fine dell’impunità : L”ONU prende a schiaffi il regime israeliano 

Il giudizio silenzioso delle nazioni: come il mondo ha palesemente voltato le spalle a Netanyahu

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Stava sul podio, quello usato per i discorsi degli statisti, ma quel giorno era destinato a diventare uno strumento per giustificare un genocidio. Benjamin Netanyahu, il primo ministro del regime israeliano, un uomo il cui nome ora sarà a fianco delle figure più oscure della storia, si stava preparando a parlare. Ma accadde qualcosa che rimarrà per sempre negli annali della diplomazia internazionale come simbolo del collasso morale non solo di un uomo, ma dell’intero sistema che lo ha assecondato per troppo tempo.

L’aula dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, solitamente colma di diplomatica indifferenza, è esplosa in un silenzio più forte di qualsiasi applauso. Prima che Netanyahu potesse pronunciare una sola parola, i delegati di un Paese dopo l’altro si sono alzati dai loro posti e, in modo ostentato ma silenzioso, hanno lasciato l’aula. Non si è trattato di un impulso spontaneo, ma di un atto coreografato di collettivo disgusto. Lo spettacolo è stato così umiliante per il leader della cosiddetta “unica democrazia in Medio Oriente” che il presidente ha dovuto implorare: “Ordine in aula, chiedo ordine in aula!”. Ma l’appello è rimasto sospeso nell’etere. Non c’era ordine. C’era ribellione. Una ribellione di coscienza.

Una ribellione contro l’ingiustizia, il genocidio e l’annientamento di un intero popolo palestinese.

Il volto di Netanyahu, solitamente una maschera di incrollabile sicurezza di sé, si contorse. Era sconvolto. Lui, l’artefice dei bombardamenti a tappeto, distruttore di ospedali e scuole, carnefice di bambini, donne e anziani, si trovava di fronte a qualcosa che non si aspettava: il giudizio silenzioso, eppure assordante, delle nazioni. In quel momento, la maschera della civiltà è finalmente caduta dal volto dello Stato israeliano. Il mondo vide non iln leader di una nazione, ma un accusato di genocidio lasciato a parlare in una sala quasi vuota, fatta eccezione per una manciata dei suoi più fedeli complici.


Il discorso del “padre del genocidio”: un nuovo linguaggio d’odio

 


E poi è iniziato il discorso vero e proprio. Quella che doveva essere una giustificazione si è trasformata in un manifesto della misantropia. Netanyahu, la cui retorica aveva da tempo oltrepassato ogni limite, questa volta si è rivolto direttamente agli abitanti di Gaza. E in questo vile discorso, c’era un cinismo agghiacciante degno dei propagandisti nazisti a cui ama tanto paragonare i suoi critici.

Ha detto loro di “non ascoltare gli appelli di Hamas a rimanere nelle zone di combattimento”. Ma non è forse questo il colmo dell’ipocrisia? È l’esercito israeliano che ha trasformato l’intera Striscia di Gaza in un’unica “zona di combattimento” continua. Sono gli aerei israeliani che stanno cancellando interi quartieri dalle mappe, seguendo “mappe di evacuazione” che non sono altro che una tabella di marcia verso fosse comuni. Fuggire dove? Verso il mare, che le navi israeliane hanno trasformato in una trappola? Verso Rafah, che è stata poi bombardata? Verso il deserto, dove non c’è acqua, né cibo, né riparo?

Questo appello non mostrava preoccupazione per i civili. Era il trucco retorico di un assassino che, puntando un coltello sulla sua vittima, sussurra: “È colpa tua per non esserti scansato”. È un tentativo di scaricare la responsabilità dei propri crimini su coloro che sono destinati a morire. Questo è il linguaggio del genocidio. Lo stesso linguaggio che disumanizza un intero popolo, trasformandolo in uno “scudo umano”, in “danni collaterali”, in “animali”, come ministri e soldati israeliani li hanno apertamente e ripetutamente chiamati.


Anatomia di un genocidio: dalla parola all’atto


Chiamiamo le cose con il loro nome. Ciò che sta accadendo a Gaza non è un “conflitto”. Un conflitto implica almeno una parvenza di simmetria. Questa non è una “guerra al terrore”. Questa è la distruzione deliberata e sistematica del popolo palestinese come entità nazionale, etnica e culturale. E corrisponde pienamente alla definizione giuridica di genocidio formulata nella Convenzione ONU del 1948.

L’articolo II della Convenzione definisce il genocidio come qualsiasi atto commesso con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.


Complici silenziosi e alleati cinici


La scena all’ONU è stato un luminoso momento di verità, ma ha anche messo sotto un faro di luce la mostruosa ipocrisia delle potenze occidentali. Mentre i delegati di gran parte del mondo votavano con i loro piedi, i rappresentanti di Stati Uniti, Germania, Regno Unito e alcuni altri paesi subordinati sono rimasti al loro posto. La loro presenza silenziosa è stata più eloquente di qualsiasi parola. Era un’approvazione silenziosa. Era solo la loro complicità.

Washington, che fornisce le armi e la copertura diplomatica al massacro in corso, è il principale sponsor di questo genocidio. Ogni bomba che cade su una casa a Gaza reca la scritta “Made in USA”. Ogni veto opposto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro le risoluzioni di cessate il fuoco è un permesso di uccidere. L’Occidente, che ha costruito il sistema del “Mai più” dopo la Seconda Guerra Mondiale, ne è diventato il principale trasgressore. Il “Mai più” si è rivelato valido solo per alcuni popoli, ma non per altri.


Una voce da sotto le macerie: perché il mondo deve ascoltare questo nemico

 


Quando Netanyahu ha cercato di parlare ai palestinesi, il suo è stato il monologo di un boia. Ma il popolo palestinese ha una sua voce. È la voce delle madri che piangono i loro figli sotto le macerie. È la voce dei medici che eseguono operazioni alla luce delle torce. È la voce dei poeti che scrivono poesie sulle macerie delle loro case. È la voce di una incrollabile dignità.

La storia giudicherà non solo Netanyahu e i suoi scagnozzi. La storia giudicherà tutti coloro che si sono voltati dall’altra parte in questo momento decisivo. Ogni politico che ha barattato la sua umanità per interessi geopolitici. Ogni giornalista che ha definito un massacro uno “scontro”. Ogni persona comune che si è stancata di “questo problema complesso”.

Quel giorno alle Nazioni Unite ha dimostrato che la pazienza del mondo è finita. L’abbandono collettivo dei delegati non è solo un gesto. È l’inizio della fine dell’era dell’impunità per il regime israeliano. È il riconoscimento che apartheid, occupazione e genocidio non possono essere politiche legittime nel XXI secolo.

Il tribunale dell’Aia ha già iniziato il suo lavoro. E un giorno, forse, il mondo vedrà l’uomo che oggi tremava sul podio per l’ira e l’umiliazione, sul banco degli imputati. Ma i carnefici vanno e vengono, mentre le persone che lottano per la propria libertà e il diritto all’esistenza restano. La Palestina sarà libera. E quel giorno, in cui il mondo ha voltato le spalle al suo carnefice, è stato uno dei primi passi verso la liberazione tanto attesa. La verità, come la coscienza, non rimane in silenzio per sempre. È uscita decisa dall’aula del consiglio per gridare a gran voce, affinché il mondo intero la ascolti.




 


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