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Raccontare l'orrore di Auschwitz - I cinque (non) sensi


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Inviato

 

VISTA – La vista. Vedere l’orrore. Vedere e non poter far nulla. Vedere una mano che si muove, Da un lato si va a lavorare, ad essere sfruttati, ma a continuare a vivere. Dall'altro si va a morire. Vedere questa mano che si muove, forse seguendo una logica, forse a caso. Qualche volta si muove lentamente, altre volte tentenna, altre volte ancora si muove velocemente, meccanicamente. Si muove anche distrattamente. Vedere questa mano che decide il tuo destino. Il terrore sta in quella mano che vediamo, che vedo. A destra, a sinistra. Famiglie separate, mogli divise dai mariti, madri dai figli, fratelli dalle sorelle. Vite, pensieri, gioie, speranze, futuro: tutto è nelle mani di una mano. Di un soldato o di un medico che è seduto, che ti squadra, che ti guarda, che non sa chi sei e che decide. Di farti vivere soffrendo o di mandarti a morire in una camera a gas. La sua mano è il destino. Vedere questa mano che si muove, che separa, che decide. Una mano che è puro terrore. Non voglio più vedere questa mano mentre aspetto in fila che si muova anche per me. Sposto lo sguardo. E vedo. Vedo una ciminiera, un camino. Vi esce del fumo, scintille. Che ci fa in questo posto una ciminiera, perché ci sono questi camini? Il terrore avanza. Vedo persone che, nude come vermi, attendono dinanzi al luogo dove c’è la ciminiera. No, non può essere. Ma vedo. Il mio sguardo corre alla mano, mi sto avvicinando. La mano continua a muoversi, il camino continua a vomitare fumo. Vedo la mano, vedo la ciminiera. L’orrore mi assale, sono ad un passo da quella mano. Il mio sguardo incrocia lo sguardo distratto del medico. Ora guardo la sua mano. Indica una direzione, avrebbe potuto indicare anche la direzione opposta. Non c’è un motivo, non c’è una spiegazione. C'è solo, per me, una certezza. Vedo sempre più lontana quella mano, vedo sempre più vicina la ciminiera. Così si vede ad Auschwitz.

 

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Inviato

 

TATTO - Il tatto. Toccare l'orrore. Tocco la cuccetta di legno che mi è stata assegnata. È di legno. Legno solido, pieno di morte. Non sono il primo a stendermi su queste tavole. È legno che ha assorbito altro sudore, altra paura. Tocco la coperta. Le coperte mi hanno sempre dato una sensazione di calore, di protezione, di morbidezza. Questa coperta non dà calore e nemmeno protezione. È una coperta fredda, corta. La tocco e sento il gelo.

Il gelo della solitudine, della disperazione. Tocco la coperta e sento lo sporco. È una coperta sporca di sudore, di vomito. E una coperta che ha avvolto altri uomini, altre donne. Altri morti. Non c’è alcuna differenza nel toccare il legno della cuccetta e la coperta che dovrebbe coprirmi. È tutto uguale. Il mio tatto non coglie differenze. C'è gelo e morte dappertutto, sul legno, sulla coperta. Ma non solo. Tocco la maniglia della porta della camerata. Sento il gelo di chi l’ha toccata e che ora non c'è più. Tocco il vetro di una finestra: stessa sensazione di morte.

È diventato tutto uguale: non c’è differenza, infatti, nel toccare la terra del campo o la neve che un giorno è caduta sopra. Le dita trasmettono solo freddezza, solo orrore, solo disperazione.

Toccare il campo, dovunque e dappertutto, significa toccare la morte. Il mio tatto mi trasmette solo gelo. E sono convinto che se fosse possibile toccare il cuore del soldato che sulla torretta sta bevendo e sghignazzando, sentirei la stessa sensazione. Un gelo che annuncia l’orrore supremo: non solo è diventato tutto uguale, ma in realtà non c'è più nulla. Tocco il campo e non sento nulla. Non sento nulla perché sono il nulla.

 

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Inviato

 

OLFATTO - Gli odori ad Auschwitz. Il primo odore che senti è quello non della morte, che non ha odore, ma quello dei morti. Che invece puzzano. Ci sono fosse dove hanno sepolto tanti uomini, donne e bambini uccisi. Ma poi le fosse non bastavano più, e i proiettili costavano. Hanno provato a bruciare i corpi su cataste di legno con la benzina e nell’aria c'è questa puzza di carne bruciata. Si sente anche il terribile odore dei gas di scarico dei camion: già, all’inizio hanno provato a gassare gli uomini e le donne, ma soprattutto i bambini, con camion, i cosiddetti ‘gaswagen’, progettati in modo da far rifluire all’interno i gas di scarico per uccidere simultaneamente più persone. Ma il sistema era troppo lento, troppo dispendioso. E allora sono nate le camere a gas, dove fanno scendere lo ziklon b, un antiparassitario che a contatto con il calore dei tanti corpi ammassati insieme, sprigiona un gas velenoso potentissimo. Si muore subito, in venti minuti, ma si diventa incoscienti ancora prima, tanto da non sentire forse nemmeno l’odore dello sterminio. Ma nel campo non c’è solo l’odore dei morti, che continuano ad essere bruciati nei forni crematori. C'è anche la puzza dei vivi. I nostri abiti sono sporchi e puzzano. Noi stessi puzziamo, ci laviamo sommariamente la mattina alle cinque, poi viviamo nella polvere, nel fango. La notte, mentre cerchiamo di dormire, sentiamo la puzza del piscio che si versa a terra quando il secchio è pieno. Vale la regola che l’ultimo che riempie il secchio di urina deve portarlo fuori a svuotare e così non solo molti cercano di non pisciare fino a quando il secchio non viene svuotato, ma chi va a svuotarlo si bagna e si sporca i piedi e torna nella sua cuccetta con i piedi che puzzano pure di urina. La puzza ci avvolge, non sentiamo più nulla. E anche quando un giorno sono passato accanto ad un’aiuola, mentre la moglie del colonnello che stava dando acqua ai fiori ne sentiva il profumo, io ho sentito che pure quei fiori puzzavano.

 

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Inviato

 

GUSTO - Il gusto. È possibile parlare di gusto ad Auschwitz? Il primo sapore che senti è quello amaro della disperazione, della solitudine. Senti l’acido sapore della disumanizzazione. La bocca ti si impasta di paura, terrore. Ogni momento può essere l’ultimo, ogni giorno sai che potresti passare in quella ciminiera sempre funzionante. Lavori come un mulo, ti trattano come uno schiavo, non hai diritti, non sei nulla, non sei uomo. Però, per poter sfruttare ancora, per poterti umiliare anche un altro giorno in più, ti danno da mangiare. Ti fanno mangiare per farti sentire ancora di più che hai fame, che la fame ti divora, che soffri perché hai fame, perché vedi gli altri morire di fame, perché sai che faresti di tutto per un pezzo di pane caduto nel fango. Le razioni alimentari, qui nel campo della morte, sono scarsissime. Il regolamento parla chiaro: a colazione hai diritto a mezzo litro di caffè, una bevanda allungata e calda; a mezzogiorno, c’è la minestra, che quattro volte la settimana dovrebbe contenere carne; la sera, poi, quando siamo sfiniti, ti mettono in mano 35 grammi di pane accompagnati da una piccola salciccia o, il più delle volte, da un po’ di margarina o di marmellata. O, almeno, così dicono. Io non noto differenza, sento solo che ingoio brodaglia e pezzi di qualcosa. Non so più distinguere. Non mastico neanche più. Ingoio. Non sento sapore, non sento sapori. Non ho più il gusto. Sento solo l’incubo della fame. Per i lavori pesanti che svolgiamo, in qualsiasi condizione atmosferica, avremmo bisogno di cibi sostanziosi ed abbondanti. Invece, la sera allungo la mano per ricevere trentacinque grammi di pane. Non sono niente. E io mi sento niente. Ed è quello che volevano: annientarci.

 

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spersanti276
Inviato
7 minuti fa, Savgal ha scritto:

@spersanti276

E' parte principale di una piccola opera teatrale scritta da un amico e collega che non è più con noi.

Stamane l'hanno recitata i miei studenti in auditorium. Io ho recitato la parte del narratore, che precede le parti che ho postato.

 

Ottima iniziativa, benissimo.

Inviato

Considerando che oggi è il "Giorno della memoria", va ricordato che l'Olocausto ad oggi è un unicum, ma non perché sia il solo genocidio della storia. I nativi americani furono sterminati tra il XVI e il XVIII secolo, in tempi più recenti si ricorda il genocidio degli armeni. E sono solo due esempi.

Vi è una caratteristica che rende unico l'Olocausto, i campi di sterminio sono ad oggi il solo esempio di "fabbriche della morte", in cui ogni particolare è stato progettato per la massima efficienza con il minimo costo. Un sistema assurdamente razionale per sterminare un popolo, in cui scienza e tecnologia si sono messe al servizio del progetto di una "fabbrica della morte".

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