Questo è un messaggio popolare. Savgal Inviato 16 Febbraio Questo è un messaggio popolare. Inviato 16 Febbraio In questi giorni il vice di Trump, Vance, ha affermato: “La più grande minaccia all’Europa oggi non è la Russia, non è la Cina, non è nessun altro attore esterno; è la minaccia dall’interno, l’allontanamento dell’Europa da alcuni dei suoi valori più fondamentali, valori condivisi con gli Stati Uniti d’America” "Hanno paura della libertà di espressione e scappano di fronte ai loro elettori, associando lo sforzo per contrastare la disinformazione sui social alla disinformazione di epoca sovietica." Un mese fa mia figlia mi inviò un articolo che sarebbe stato parte di un esame universitario per una verifica lessicale e sintattica. L’articolo intendeva confutare con dati statistici le tesi di un saggio pubblicato nel 1994 dal titolo “The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life” relativo allo studio dell'intelligenza nella popolazione statunitense. Il saggio fu scritto dal politologo conservatore Charles Murray e dallo psicologo Richard Hernstein. La tesi centrale era che il fattore più importante per il successo di una persona fosse la sua intelligenza. In estrema sintesi per gli autori la distribuzione dell’intelligenza nella storia degli Stati Uniti sarebbe stata condizionata sia da fattori endogeni (ovvero ereditati, tipo l'appartenenza a una determinata etnia, a un certo status sociale, etc.) che esogeni (o "ambientali"). Analizzando i dati della distribuzione del quoziente intellettivo, usando i dati statistici del National Longitudinal Surveys del Dipartimento del lavoro gli autori giunsero alla conclusione che il quoziente intellettivo sia il fattore determinante per il successo di una persona. In conseguenza del possesso di questo quoziente intellettivo si sarebbe costituita una élite costituita da persone molto intelligenti. Vi sarebbe anche una un'enorme "sottoclasse" (così la chiamano gli autori) di gente emarginata poiché dotata di scarsa intelligenza. Secondo gli autori era opportuno eliminare quasi completamente il welfare e la previdenza sociale ai meno abbienti, che sono tali in quanto poco intelligenti, e, al massimo, aiutare un po' solo i più intelligenti. Gli autori affermano anche che l'etnia afroamericana sarebbe meno intelligente rispetto ai bianchi e, quindi, destinata a rimanere emarginata e povera. Gli autori giungono alla conclusione che il quoziente intellettivo sia in progressivo declino poiché i più intelligenti fanno meno figli. Inoltre sostengono che sia inutile sostenere la sottoclasse che non posseggono l’intelligenza per essere competitiva. Consigliano anche di non prevedere aiuti per le donne poco intelligenti poiché procreerebbero figli poco intelligenti. Recentemente negli Stati Uniti si è insistito sulla libertà di parola e sui limiti che in Europa si cerca di porre alla diffusione delle c.d. fake news. Ora si ipotizzi che la tesi del saggio sia corretta e se ne traggano le ulteriori conseguenze. 1) Se vi è una sottoclasse di persone dotate di scarsa intelligenza e quindi incapace di comprendere e valutare, non sarebbe il caso che a costoro sia tolto il diritto al voto? 2) Se il quoziente intellettivo diviene la discriminante, non sarebbe opportuno classificare le persone esclusivamente in relazione a questo quoziente destinandole ad un percorso specifico dopo la prima adolescenza? 3) Non sarebbe il caso che gli analfabeti funzionali (in Italia dati attendibili li stimano nel 28% circa della popolazione) siano privati del diritto al voto? 4) Un voto libero e consapevole presuppone che l’elettore possegga competenze e conoscenze considerate minimali e corrispondenti a quelle conseguite al termine dei 10 anni di istruzione obbligatoria. Non sarebbe il caso di verificare che gli elettori con quoziente intellettivo almeno pari a 100 siano sottoposti ad un altro test di verifica di queste conoscenze e competenze, sul modello della prove INVALSI, escludendo dal voto coloro che non superano il test? 1 1 2
micfan71 Inviato 16 Febbraio Inviato 16 Febbraio 20 minuti fa, Savgal ha scritto: Ora si ipotizzi che la tesi del saggio sia corretta È sbagliata ovviamente Non è il QI che comanda Sono i soldi Da sempre
briandinazareth Inviato 16 Febbraio Inviato 16 Febbraio 27 minuti fa, Savgal ha scritto: Il saggio fu scritto dal politologo conservatore Charles Murray e dallo psicologo Richard Hernstein. La tesi centrale era che il fattore più importante per il successo di una persona fosse la sua intelligenza. quel saggio però è totalmente superato e aveva criteri sbagliati all'origine (ed era pilotato in una certa direzione). dagli studi successivi, molto più estesi e dalle meta-analisi, risulta che il qi conta per circa il 20% del successo personale (sia economico che sociale). altre caratteristiche sono molto più importanti: contatti e famiglia di origine, quindi possibilità, che conta ben più del 50%. poi ci sono altre caratteristiche personali che anche loro sono intorno al 20%, quali estroversione, bellezza, altezza, carisma ecc. questo vale in media, invece per le famiglie nei percentili più alti di reddito, l'importanza della provenienza diventa molto più importante, rendendo le altre caratteristiche molto meno influenti. in pratica è molto improbabile che il figlio di una famiglia ricca possa non avere successo. così come è molto raro, in questo momento negli states, una persona intelligente che viene da una famiglia nelle face inferiori, possa avere successo. molto è legato alla scuola in quel paese. una cosa dello studio è invece vera: le persone più intelligenti e le persone piùdi successo fanno meno figli degli altri, in media. cosa questo porti a livello evolutivo difficile da dirsi e anche i tempi di una possibile diminuzione dell'intelligenza.
Savgal Inviato 16 Febbraio Autore Inviato 16 Febbraio @briandinazareth Non sono stato sufficientemente chiaro, peraltro ho scritto che mia figlia ha scritto un articolo per un esame per contestare la correttezza delle elaborazioni statistiche usate dagli autori. Ho riportato agli inizi ciò che ha detto Vance a proposito della battaglia che in Europa si sta conducendo contro le c.d. fake news. Vance ritiene che ciò limiti la libertà di parola, ma dando per scontato che il suffragio universale sia un diritto intoccabile. La tesi è provocatoria partendo dal saggio e portando alle conseguenze estreme le sue tesi. Una delle conseguenze è appunto che chi non ha un quoziente intellettivo adeguato non dovrebbe avere diritto al voto. Negli USA i neri hanno avuto diritto al voto dal 1870. Altrettanto provocatoriamente, le ideologie razziste striscianti discriminano per la razza, perché non discriminare per il quoziente intellettivo? Sempre provocatoriamente il quoziente intellettivo sarebbe meno discriminante rispetto a razza, colore della pelle, ecc., escluderebbe ed includerebbe senza tenerne conto. Se il singolo nero o l'asiatico sono più intelligenti del singolo bianco è quest'ultimo a dover essere discriminato. Il razzismo si regge sul postulato non espresso che chi fa parte di qulla razza è per definizione superiore a chi non ne fa parte, per cui, nella Germani nazista, anche il più stupido dei tedeschi poteva pensare di essere superiore a tutti i neri o slavi. Il quoziente intellettivo è paradossalmente meno disciminatorio e con esso si tocca un nervo scoperto. «Verrà un giorno in cui sarà più grande onore avere il titolo di cittadino del Reich in qualità di spazzino che essere re in uno Stato straniero, e questo giorno verrà certamente, poiché, in un mondo come il nostro, che permette la mescolanza delle razze, uno Stato che dedica tutti i suoi sforzi allo sviluppo dei migliori elementi razziali deve fatalmente diventare il padrone del mondo.» Hitler
UpTo11 Inviato 16 Febbraio Inviato 16 Febbraio 1 ora fa, briandinazareth ha scritto: quel saggio però è totalmente superato e aveva criteri sbagliati all'origine (ed era pilotato in una certa direzione). dagli studi successivi, molto più estesi e dalle meta-analisi, risulta che il qi conta per circa il 20% del successo personale (sia economico che sociale). altre caratteristiche sono molto più importanti: contatti e famiglia di origine, quindi possibilità, che conta ben più del 50%. poi ci sono altre caratteristiche personali che anche loro sono intorno al 20%, quali estroversione, bellezza, altezza, carisma ecc. questo vale in media, invece per le famiglie nei percentili più alti di reddito, l'importanza della provenienza diventa molto più importante, rendendo le altre caratteristiche molto meno influenti. in pratica è molto improbabile che il figlio di una famiglia ricca possa non avere successo. così come è molto raro, in questo momento negli states, una persona intelligente che viene da una famiglia nelle face inferiori, possa avere successo. molto è legato alla scuola in quel paese. una cosa dello studio è invece vera: le persone più intelligenti e le persone piùdi successo fanno meno figli degli altri, in media. cosa questo porti a livello evolutivo difficile da dirsi e anche i tempi di una possibile diminuzione dell'intelligenza. Non servono test dell'ipotesi o meta-analisi, basta ricordarsi di un Gasparri, un donzelli o un Ciccio mojito.
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