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Melius Club

Apple investe 100 miliardi negli USA e Trump punisce l’India.


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Inviato
1 minuto fa, Savgal ha scritto:

Comunque, vi è una forte allergia per alcuni su dati e cifre.

Son cifre che, al primo scricchiolio,  rischiano di fare cadere tutto l'edificio. 

 

Inviato
12 minuti fa, senek65 ha scritto:

@nullo ma tu le sai le cifre totali del debito pubblico +privato usa?

Lascia stare il rapporti,  prendi solo le cifre.

e dai, non ti ci mettere anche tu.

extermination
Inviato
Adesso, senek65 ha scritto:

Son cifre che, al primo scricchiolio,  rischiano di fare cadere tutto l'edificio

Permettimi! Su questo ho forti dubbi.

Inviato
Adesso, extermination ha scritto:

Permettimi! Su questo ho forti dubbi.

Liberissimo di pensarla così. 

Io di dubbi ne ho meno da un lato e molti altri dall'altro. 

Inviato

@senek65

Ho scritto un lungo post sul modello keynesiano rovesciato, in cui è il debito privato ha sostenere i consumi e che questo debito si incrementa ogni anno. Che la crisi del 2008 è in ragione di questo continuo incremento del debito privato erogato senza adeguate garanzie, coperto poi dal debito pubblico. Ma mi rendo conto che leggere un libro vero di autori con i titoli è cosa assai faticosa.

  • Melius 1
Inviato
13 minuti fa, senek65 ha scritto:

@nullo delle % mi frega niente. 

da li ricavi gli assoluti.

guarda e sorprenditi.

extermination
Inviato

la rilevanza del livello e della dinamica del debito pubblico non dipende tanto dal suo valore assoluto quanto da come essi si rapportano ad altre dimensioni macroeconomiche.
Ad esempio, solitamente si considerano il livello e l’andamento nel tempo del rapporto Debito pubblico/PIL, anche se tale indicatore presenta alcune criticità connesse al fatto di rapportare una grandezza stock (il Debito esistente a una certa data) e una flusso (il PIL di un anno); infatti taluni suggeriscono di considerare variabili diverse come la dimensione del risparmio privato inteso come potenziale massimo di domanda di acquisto per far fronte all’offerta di debito pubblico. In ogni caso, pur in un contesto non deterministico e molto incerto sulle reali condizioni di sostenibilità del debito pubblico, è comunque saggio perseguire dinamiche prudenziali che non mettano a repentaglio la fiducia degli investitori privati e che permettano agli Stati di conservare margini di “spazio fiscale” per intervenire in chiave anticiclica con maggior deficit e debito in contesti futuri gravemente recessivi.

Pertanto si ritiene di dare un rilievo sia al livello del rapporto Debito pubblico/PIL sia alla sua dinamica nel tempo. Diviene quindi rilevante determinare i fattori che contribuiscono ad una dinamica decrescente del rapporto Debito/PIL. 

Inviato
1 ora fa, Savgal ha scritto:

in cui è il debito privato ha sostenere i consumi e che questo debito si incrementa ogni anno

 

Screenshot_20250808_155817_Chrome.jpg

Inviato

dati errati o valutazione errata?

Gaetanoalberto
Inviato
50 minuti fa, nullo ha scritto:

dati errati o valutazione errata?

Credo che Sav facesse riferimento alla situazione globale e non solo italiana.

Non so se hai seguito il TD... dagli un'occhiata 

mozarteum
Inviato

Io ho fatto legge ma non sapevo 18 anni fa d’aver scritto qui una cosa come questa:

….Miran (nuovo consigliere della Fed, teorico dei dazi) sostiene che l’economia americana trarrebbe vantaggio da un aumento generale delle tasse doganali che le alzi a un livello medio compreso fra il 20% e il 50%. La teoria di Miran è poco ortodossa però ha dei precedenti anche nel pensiero economico tradizionale. Il punto di partenza è questo: il liberismo presuppone l’esistenza di mercati perfetti, veramente concorrenziali, che non esistono nella realtà. Nel commercio fra nazioni, non ha senso applicare le categorie teoriche del liberismo quando la più grande potenza industriale del pianeta, la Cina, è retta da un sistema dirigista e statalista. Questo significa, tra l’altro, che i suoi prodotti possono essere venduti in dumping, sottocosto, grazie a robusti sussidi e aiuti di Stato, se il governo comunista di Pechino persegue una strategia di conquista dei mercati esteri, dominio di interi settori, e distruzione della concorrenza. Tutta la teoria accademica è inapplicabile a una situazione di questo tipo.”

Pero’ non ho studiato quindi aspettiamo le obiezioni di chi ha studiato.

Una la prevedo ed e’ purtroppo fondata: al punto in cui siamo arrivati, il sistema della produzione e del commercio globale e’ talmente intrecciato che l’applicazione dei dazi genera piu’ distorsioni che vantaggi.

In sintesi come direbbe uno che abbia studiato, i buoi sono usciti da tempo dalla

stalla

  • Melius 1
mozarteum
Inviato

L’articolo di Rampini sul
Corriere e’ interessante. Questo consigliere evoca anche una svalutazione del dollaro

come fece Reagan a meta’ anni 80, che in una coi dazi dovrebbe risollevare il

debito e l’economia americana. Il punto centrale se non ho capito male e’ che gli Usa sono un mercato che puo’ dettar legge lato domanda e che quindi e’ im grado di trasferire sui produttori esteri -che non potrebbero rimpiazzare le quote del mercato americano ne’ rimunciarvi- non sulla cittadinanza americana il costo

dei dazi.

 

  • Melius 1
mozarteum
Inviato

Io penso che prima o poi si arrivera’ a un redde rationem fra Usa e Cina.

Sara’ la nuova linea della Guerra Fredda. 

  • Melius 1
Inviato
25 minuti fa, Gaetanoalberto ha scritto:

Credo che Sav facesse riferimento alla situazione globale e non solo italiana.

Non so se hai seguito il TD... dagli un'occhiata 

ci sono i dati Ita comparati con gli Usa.

di solito lui parla di Usa.

ho postato dati che sono più preoccupanti in Ue

 

Inviato

@Gaetanoalberto

Sì, ma ho ripetuto alla noia che il problema statunitense è l'indebitamento della parte più povera della popolazione, che ha portato alla crisi del 2008. Riportare tabelle di cui non si conosce l'origine e l'attendibilità, ma mai leggere un libro sull'argomento e commentarne il contenuto.

Infine io sono per una distribuzione equa delle risorse considerando che una iniqua distribuzione della ricchezza ha condotto nel 1929 e poi nel 2008 alla crisi. Qui sono in tanti di destra, evidentemente ad alto reddito, che sono contrari ad una distribuzione più equa della ricchezza. Cito Daunton: "Nell'era neoliberale il sistema fiscale di molti paesi è diventato meno progressivo. Nel 1970 gli americani più ricchi versavano circa il 50% del loro reddito in tasse ai governi federali, statali e locali, ovvero circa il doppio di un membro della classe operaia. Nel 2028 versavano invece il 23%, ossia la stessa aliquota di chi aveva redditi modesti. Ciò ha contribuito ad accrescere le disuguaglianze. Le persone ricche hanno risparmiato maggiormente e hanno accumulato più beni, che a loro volta hanno generato più reddito."

Interessante un altro passaggio di Daunton, che coglie bene quanto sta avvenendo: "Tuttavia, anziché prestare attenzione a queste rivendicazioni progressiste per un capitalismo più equo, l'umore dell'elettorato delle città industriali in declino si è fatto catturare dalle sirene del populismo e dal nazionalismo dei «conservatori identitari». I cambiamenti economici hanno avuto non poche conseguenze culturali, che sono state intese come altrettante minacce ai modi di vita e alle identità tradizionali. I vincitori erano istruiti, disponevano di una visione del mondo cosmopolita ed erano a proprio agio con il multiculturalismo, i mercati globali aperti e l'immigrazione. I perdenti, al contrario, tendevano a non avere qualifiche formali, erano legati a città industriali in declino con minori prospettive, nonché a disagio con il multiculturalismo e adottavano una visione nativista. Allo stesso modo la classe media ormai “schiacciata”, che un tempo aveva avuto lavori da colletti bianchi sicuri e ben pagati, soffriva l'informatizzazione, la maggiore precarietà del lavoro e la perdita dei diritti pensionistici, tutti elementi che hanno contribuito ad alimentare la nostalgia per un passato socialmente conservatore. Invece, le società finanziarie della City e di Wall Street, i grandi studi legali e le aziende tecnologiche avevano una portata globale, con un personale multiculturale proveniente da ogni parte nel mondo. Ne è scaturita - come ha affermato un commentatore in modo alquanto riduttivo - una divisione tra gli “impegnati” e i “qualunquisti”, ossia tra i “liberali convinti” - dotati di istruzione universitaria e di capacità di apprezzare la diversità – e i “conservatori identitari” - solitamente più anziani, privi di istruzione universitaria e tendenzialmente avvezzi ad atteggiamenti etnocentrici. Le vecchie divisioni di classe tra destra e sinistra, tra lavoro e capitale, stavano via via cedendo il passo a politiche culturali o dell'identità.

La globalizzazione è stata un utile capro espiatorio che ha portato alla svolta protezionistica del presidente Trump e al rifiuto dell’ordine multilaterale del dopoguerra. Nel suo discorso di insediamento del gennaio 2017 Trump ha annunciato che: «Dobbiamo dell'ordine proteggere i nostri confini dagli altri paesi che ci danneggiano producendo i nostri stessi prodotti, che derubano le nostre aziende e distruggono i nostri posti di lavoro. La protezione ci darà forza e prosperità». In realtà il suo “populismo plutocratico” ha offerto una falsa speranza a chi era stato «lasciato indietro» e ha soprattutto avvantaggiato i ricchi. In Gran Bretagna, invece, il capro espiatorio è stato individuato nell'Unione Europea. Molti sostenitori della Brexit hanno abbracciato la globalizzazione sostenendo che questa avrebbe permesso alla Gran Bretagna di tornare a essere un paese globale e dinamico, al di fuori dei confini dell'unione doganale: una visione che ha dunque fatto appello alla nostalgia del Regno Unito come principale potenza industriale e commerciale mondiale. Gli oppositori hanno invece assimilato questa visione a un'ideologia in stile “impero 2.0”, la cui posta in gioco non era solo un ritorno anacronistico all'impero ma anche la creazione di una “Anglosfera” deregolamentata, neoliberale e fondata sul libero mercato."

 


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