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9 Ottobre 1963 - Il Dramma del Vajont


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Bravo @Angelo83 ; io, nato poco prima, non posso avere ricordi diretti, ma sono passato più volte su quei luoghi,  accessibili anche oggi.

E mio padre che era stato un paio d'anni prima della costruzione della diga, mi ha raccontato molti particolari.

E l'impressione è da brivido anche a quasi 60 anni dagli avvenimenti, se passi a piedi sulla diga.

Il primo disastro naturale agevolato dall'uomo.

Uno spartiacque che però ha insegnato poco.

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Quando ero bambino, metà anni '80, trascorrevamo le vacanze in Cadore e ogni volta che passavamo per la nuova Longarone mio papà ci raccontava la storia. Io e mio fratello eravamo gli unici tra i coetanei a sapere di questa tragedia. Anche in Cadore i nostri coetanei non ne sapevano molto. Per molti anni purtroppo è stato messo tutto a tacere, grazie a una classe politica, DC in primis, connivente quando non complice. Solo dopo si è cominciato a parlarne, anche grazie alla caparbietà di persone come la giornalista Tina Merlin. Basta pensare che il suo libro sulla vicenda, pronto nel 1963, trovò un editore disposto a pubblicarlo solo 20 anni dopo. Per salvarsi la faccia quella classe politica non esitò a trattare i superstiti come polvere da nascondere sotto al tappeto, uno degli argomenti ricorrenti nei libri di Mauro Corona.

Lassù sulla diga, a visitare quei luoghi, non ci sono ancora stato, anche se è da quando ero bambino che vorrei vederli. Ogni volta che penso di andare mi sembra di essere lo squallido turista sui luoghi delle tragedie e alla fine rinuncio.

Doveroso il ricordo, bravo @Angelo83

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22 minuti fa, UpTo11 ha scritto:

Lassù sulla diga, a visitare quei luoghi, non ci sono ancora stato, anche se è da quando ero bambino che vorrei vederli. Ogni volta che penso di andare mi sembra di essere lo squallido turista sui luoghi delle tragedie e alla fine rinuncio.

 

Io ci sono andato diverse volte prima che lo spettacolo di Paolini e poi il film rendessero la vicenda nuovamente conosciuta a livello nazionale.

Oggi è un luogo frequentatissimo, pieno di gente che si fa selfie con la diga sullo sfondo.

 

Prima era un luogo in cui non c'era nulla salvo un piccolo memoriale circondato da erbacce nel piazzale ricavato a poca distanza dalla diga. C'era silenzio, c'erano quelle masse enormi ed un po' informi scivolate nell'alveo a formare collinette spelacchiate, e sullo sfondo c'era lei, la diga grigia che aveva resistito ad una forza d'urto spaventosa. Tutto questo ti faceva pensare a quella gente portata via assieme al loro paese in pochi minuti.

 

Oggi non ci torno più, e se mi capita di passarci (la strada collega una valle della mia regione al basso Cadore) non mi fermo. La folla vociante dei selfie mi urta.

 

Piuttosto, merita una visita il cimitero dedicato alle vittime che si trova a Muda Maè, poco prima di Longarone, progettato da Tentori e Zanuso.

Un luogo semplice ma di grande bellezza, raccoglimento e suggestione, dove le tombe sono accomunate da una scritta uguale per tutte: la data di morte.

 

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Sarebbe desidero mio andare su in quei luoghi perché fa parte della nostra storia. Ci sono sempre passato abbastanza vicino ma non ho avuto mai modo di fermarmi. Ho letto molte testimonianze, tempo fa ho ascoltato il racconto di alcuni colleghi, all'epoca ausiliari oggi in pensione), che intervennero dal comando di Padova e stavo davanti al monitor con gli occhi lucidi. Posso capire i soccorritori e l'animo davanti ad una tragedia simile avendo avuto le esperienze nei due terremoti del Centro Italia e posso capire anche la disperazione di quella povera gente che si è vista spazzare via tutto nel giro di pochi minuti. Secondo me questa è storia che andrebbe raccontata nelle scuole. 

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Mio padre conserva un mazzo di foto scattate a Longarone con la sua Voigtlander circa una settimana dopo la tragedia.

Non pare possibile che in quella distesa di ghiaia, tronchi e grovigli di materiali trascinati ovunque fino a pochi giorni prima ci fosse un antico e popoloso paese di fondovalle nel pieno del miracolo economico.

 

Per noi vicini al fiume Piave i racconti di chi c'era erano quelli di resti umani che passavano per ore trascinati a valle dalla corrente assieme a tronchi, mobili e suppellettili di ogni genere.

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2 minuti fa, Schelefetris ha scritto:

figuriamoci cosa ha potuto provare tuo padre solo pochi giorni dopo il disastro

Non me l'aveva mai raccontato, neanche durante la visione dello spettacolo di Paolini che ricordo guardammo insieme. Fino a quando ritrovai per caso dentro ad una scatola quel mazzo di foto che lui non mi aveva mai mostrato, allora mi parlò di quel viaggio pochi giorni dopo la tragedia, credo per portare degli indumenti ai sopravvissuti.

Potrei sbagliarmi ma credo ne fosse rimasto sconvolto, poi non ne ha più riparlato.

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Uno degli ingegneri progettisti della diga era il padre di un altro noto ingegnere milanese con il quale ho collaborato a lungo.. e pur avendo lui i capelli bianchi era ancora sotto choc, per le presunte colpe di suo padre, poi completamente assolto, dopo anni di martirio giudiziario.

la diga infatti aveva retto, era la montagna che era crollata, nonostante i continui dubbi dei geologi.. quei dubbi dovevano rimanere silenti, c’era un imperativo in quel senso, la politica aveva deciso che quell’opera andava fatta, era un ordine..cui non si poteva dire di no.

una tragedia inenarrabile.. e non fu l’ultima, vedi quella in val di Fassa, e molte altre… a seguire.. 

ora e solo ora vi sono i piani di pericolo idrogeologico obbligatori da noi in Alto Adige, responsabilità dei Comuni… ma giusto per rincarare la zona in gennaio è crollata mezza montagna su un frequentatissimo centro congressi proprio a Bolzano, ed è stato un miracolo che nessuno si sia fatto del male.. era vuoto per puro caso.. 

🥺😡

 

  • Melius 1
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2 ore fa, alexis ha scritto:

nonostante i continui dubbi dei geologi.. quei dubbi dovevano rimanere silenti, c’era un imperativo in quel senso, la politica aveva deciso che quell’opera andava fatta, era un ordine..cui non si poteva dire di no.

Ci pensò il più celebre di quei geologi a fugare i dubbi, sostenendo che lo strato in fase di distacco (ormai lo sapevano tutti ancor prima di invasare la diga) era superficiale e anche in caso di caduta nell'invaso non avrebbe recato danno se non una lieve diminuzione di capacità dello stesso.

Una perizia cucita su misura per la Sade che così si sentì legittimata ad invasare dando il via alla tragedia.

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