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Mostra il contenuto con la massima reputazione da 11/09/2024 in Blog Comments
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@analogico_09 se non vado errato, tu sei lontane origini abruzzesi. Ti segnalo allora la tesi dell'origine di Maramao perché sei morto? Il testo risale secondo la maggior parte dei critici al canto popolare abruzzese Scura maje o Mara maje, canto popolare abruzzese di autore ignoto, nel quale la vedova si lamenta per la scomparsa del marito e l’incertezza per il suo futuro e la serenità e il benessere che ora teme di perdere: “Io avevo una casetta, ora sono senza ricetto, senza fuoco e senza letto, senza pane e companatico". Ancor più simili al ritornello dell’arcinota canzonetta, sono i canti della questua rituale che precedeva la sfilata dei dodici mesi, antica tradizione per propiziare la buona sorte e i buoni raccolti del Carnevale abruzzese. Nel canto di questua infatti, i figuranti procedevano in coppia cantando “Carnevale pecchè te siè morte” con richiesta di cibarie e dolci tradizionali. A Introdacqua, Bugnara, Pratola Peligna e Sulmona (AQ) era tradizione rappresentare il Carnevale con un uomo in carne e ossa, dentro una cassa di morto, e un finto prete presso la bara con una tinozza per acquasantiera e, per aspersorio, uno scopetta di saggina. Intorno al finto defunto le donne così cantavano: Carnevale, pecche sci morte? Pane e vine non te mancava ; La 'nsalata tinive a l'orte : Carnevale, pecche sci morte? O anche: Carnivale, pirchè sci muorte ? La 'nsalata tenivi all' uórte : Lu presutte tenivi appise: Carnevale, puozz' esse accise. Continua qui https://www.abruzzoturismo.it/it/magazine/maramao-perche-sei-morto-il-canto-di-questua-e-la-sfilata-dei-dodici-mesi3 punti
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Un "uccellino" mi aveva anticipato giorni fa che ci saremmo prima o poi imbattuti nella presentazione del libro Eric Hobsbawm da parte del recensore che avrebbe ricevuto in regalo una copia presa un una bancarella dell'usato cosa che aggiunge alla sua puntuale ed interessante presentazione un pizzico di "romanticisto" (in un libro vissuto resta sempre qualche traccia "aleatoria" dei precedenti lettori). Confesso di non conoscere questa "Storia sociale del jazz", ne ho lette di altri autori, ma, poichè l'argomento mi sta particolarmente a cuore, non di rado nelle numerose discussioni sull'espressione musicale afroamericana ho cercato spesso ed "urgentemente" di soffermarmi sul fatto che se non si comprende ed accetta il fatto che il jazz sia una musica socio-politica, sociologica, financo "socialista", antropologico-razziale virata al marxismo, si finisce per prendere il jazz come musica del mero intrattenimento, buona per far scrocchiar le dita e battere il ritmo sincopato col piedino ben calzato, graziosamente swingante, un approccio "bracciantile" al jazz che induce a pensare a come - citando il nostro "recensore" - proprio per questo il jazz è stato spesso imitato, addomesticato, commercializzato. Non mi riferisco unicamente al free jazz che nasce protestatario, quale manifesto iconoclastico e provocatorio, pur sempre eminentemente estetico ed etico, della rivoluzione culturale, sociale, politica razziale del "potere nero", dei movimentismi per l'emancipazione e per i diritti dei neri all'interno degli establishment statunitensi politico-culturali bianchi, borghesi e razzisti. Intendo invero sostenere come la "politica", il sociale, il sentimento di ribellione saldato alla sublime istanza poetica ed estetica, siano già nelle primissime forme musicali afroamericane schiave e successive; presenti nei blues che raccontavano il disagio esistenziale e sociale, politico, razziale, soprattutto la spiritualità e il "dolore" del "popolo del blues". Il dolore associato alla vitalità gioiosa del fare musica dell'anima, ancor prima che dello strumento e delle note. Il dolore catartico e catalizzatore senza il quale il jazz non si concretizza. Leggerò prima o poi questo libro scritto da un bianco spinto anche dalla curiosità di confrontarlo con quello che per me rappresenta il "testo sacro" sul "jazz sociale" nell'offrire un visione critico-estetica, storiologica, musicologica, dall'interno - tutt'altro che faziosa od ideologicamente viziata - già che a scriverla nel 1963 fu Amiri Baraka (Le Roi Jones) scrittore, drammaturgo, poeta, saggista, musicologo, musicista, militante, condannato e incarcerato per aver partecipato alle dure sommosse di proteste antirazziste di Newark, se non ricordo male. Il libro è intitolato "Il Popolo del blues" - sociologia degli afroamericani attraverso il jazz. Il primo capitolo è "Il nero come non americano, alcuni antefatti" ; l'ultimo: La scena moderna (fino al 1962, ovviamente) Ne parlo non certamente per fare "concorrenza" al testo proposto, ci mancherebbe, è solo per arricchire, aggiungere una voce in più, e tante altre se ne potrebbero citare, a quello che è il panorama saggistico-letterario che gravita intorno alla cogente realtà del jazz come musica eminentemente "sociale". Anche per dire di come il jazz sia morto venuta a mancare, od avendo subito profonde trasformazioni, la dimensione poetica ed ispirativa di quelle realtà sociali e di quel dolore fisico, morale e metafisico. Restano tuttavia razzismo e dolore, con qualche correzione - insomma il nero sta meglio, manco troppo... - nella loro mera e prosaica, infruttuosa accezione.2 punti
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bello e interessante, una finestra sulla genese della camzone napoletana2 punti
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@pfrullo Dovresti scrivere tu le sceneggiature su Napoli a Sorrentino... Non conosco bene Napoli, ma in un modo o nell'altro nella mia famiglia c'è stata sempre una presenza di napoletanità, da piccolo andavao al mare dai parenti di Torre Annunziata, lo zio "Pacchianello" mi portava la sera al cinema a vedere Dodzilla; il primo primo regalo giocattolo importante, una macchina da corsa rossa fiammante e di latta tosta, che quando tornai al paese l'amichetti me la invidiavavano mentre facavano la fila per il giretto che generosamente concedevo loro ... me la comprarono alla Rinascente di Napoli; ero nel coro le due volte che demmo un concerto all'auditorio della Rai di Napoli con la prestigiosa orchestra Alessandro Scarlatti che fu in seguito segata come quella di Roma; avevo un zio, marito di una sorella di mia madre che si chiamava Murolo, Lino/Pasquale di famiglia abbiente, un po' "blasè e "dissidente", alquanto avventuroso, nato come cantante che non ebbe il successo che cambia la vita, benche si diceva fosse bravo, morto da attore cinematografico, un buon caratterista, non per parti importanti ma più che semplice comparsa o figurante, veniva chiamato da Rosi, Petri, Comencini per film importanti, anche dalla televisone. Faceva il gangster in quella serie famosa semi musicale che si chiamama Laura Storm, con Lauretta Masiero.., davvero ricordi del medioevo... Mi piaceva molto stare in sua compagnia,. mi raccontava un sacco di cose divertenti di napoli e quando non di napoli con spirito partenopeo, mai banali, con quell'accento napoletano un po' cantilenante... Per tornare alla musica, trovai un 45 giri che contiene la "Canzone Appassiunata" scritta da E.A. Mario ** cantata da Lino Murolo. Nessuna data di registrazione (la canzone composta nel 1922) od altra info è stata postata da un collezionista che nel suo canale ha tanti dischetti antichi nel vero senso della parola... Da wiki, una voce sctitta interamente in napoletano... divertente 🙂 ** Ermete Giovanni Gaeta, cchiù ncanusciuto comme E. A. Mario (Napule, 5 'e maggio 1884 - 24 'e giùgno 1961), è stato nu autore 'e paricchhie canzone 'e granne successo, deventate po'assaie famose e ca nun canosceno fine, come pe' aesempio La leggenda del Piave. 'E canzone fujeno scritte e musecate, cierte inte 'a lengua taliana, ate dinte 'a lengua napulitana; 'e chisti piezze, quase sempe, screveva sia 'e parole ca 'a museca. È stato sicuramente uno fra 'e cchiù gruosse e mpurtante rappresentante d’’ a canzona napulitana d’’ a primma mità d’’ o Noviciento e uno de' prutaguniste prencepale d’’a canzona taliana da' primma uèrra munniàle nfino a ll'anne cinquanta, sia p’’a granne pruduzzione - ca era na cunzeguenza d’’a felice vena puoetica ca nun ferneva maje- ca 'a qualità 'e l' opere soje.2 punti
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Napoli è città fatale. Lo è in essenza. Napoli può trasformare qualunque evento significativo attribuendogli un valore sacro e scaramantico. La sua anima profonda è devota e cultuale senza che ciò richieda un dio specifico. I numeri del lotto, Gennaro, Maradona, la musica, la rivoltella, i morti sono presenze onnivore dai confini incerti. La magia può essere sentimentale, luttuosa, gioiosa o violenta: dipende dagli interpreti. Quindi per me Napoli è la città più dionisiaca del pianeta, insieme forse a Rio de Janeiro. Mentre i napoletani colti sono coloro che sanno distillare ed equilibrare la sua sostanza caotica.2 punti
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Rileggi il mio post con calma e senza pregiudizi, vedrai che il significato non ti sfuggirà. : Ho sottoposto il mio post a CHATGPT per verificare se desse adito alla tua interpretazione; lo ha analizzato in 4 punti ed al punto 3 dice: : Sono quindi grato per la discussione che hai aperto, dandomi la possibilità di esporre il mio pensiero, e della tua obiezione che mi ha fatto scoprire la mirabile sintesi che ne fa la macchina: : In sintesi: L’arte (musica o cucina) va vissuta e gustata, non dissezionata a parole.1 punto
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@campaz non è un libro da primi approcci al jazz. Come testo per neofiti per me il migliore resta il buon vecchio Arrigo Polillo.1 punto
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Lo sto leggendo (a spizziche e bocconi, non è per me un libro attrattivo: ma d'altronde nemmeno l'approccio dell'Hobsbawm storico mi fa impazzire) proprio in questi giorni. Ne ricordo, ero ragazzo, l'edizione Editori Riuniti (all'epoca nel quartiere genovese operaio dove sono cresciuto c'era una libreria di quella casa editrice, stava di fornte all'ingresso dei cantieri navali). Grazie, grazie, grazie.1 punto
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Non so se è, per qualche motivo, un errore voluto, ma riguardo il titolo non andrebbe scritto 'Cosa avremmo scritto...' invece di 'Cosa scriveremmo...' ? Ginetto Scassaminchia.1 punto
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La parte hi-fi non è male, nello stile forse si poteva evitare la confusione tra comicità e coprolalia mentre i nudini naive all' epoca forse potevano stare su riviste erotiche che, però, quando quelle foto sono state scattate (senz' altro prima del '65), in Italia non esistevano. : Queste sono più "anni '70", quella a sinistra credo di averla veramente vista stampata. Quella a destra direi fine anni '60 (capelli cotonati, gonna sopra il ginocchio).1 punto
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Erano delle specie di trattori le macchinette e ottiche russe ma con pochi soldi compravi roba veramente buona... Se conservi ancora le foto postane qualcuna in "Fotografia, dove vuoi. Nel '91 credo fosse ancora vivibile la festa di Cocullo, oggi è diventata impraticabile, come tutto d'altra parte sotto assedio di un turismo di massa che va a greggi oramai, spregiudicatamente,intenzionato a non rinunciaare a nulla. L'ultima volta andai con mia moglie nel 2014, prendemmo il treno, dal paese mio che sta a pochi km, per evitare l'auto, l'impossibilità di trovare un parcheggio lontano 10 km se non arrivi in loco, in quel paesino pittoresco sperduto in mezzo alle montahne .., all'andata andò un po' meglio, al ritorno fu un delirio... peggio degli sfollati. Ho ricordi affatto migliori della festa degli anni passati. Scusa l'ot... (colpa tua...) Che poi le cose ancora più belle della festa sono (erano) il contorno, il prima e dopo la provessione, l'ambiente i suoni, le persone con le serpi allese al collo, portate per mano, e i canti, le musiche jazz antesignate abruzzistate suonate con gli organetti colorati e finemente intarsiati.., le bande che ricodano quelle di New Orleans de noantri... Magari una volta posto un reportage fotografico "scelto"...1 punto
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Tra De Martino, Signorelli e Di Nola mi hanno fatto 'na capa tanta! 😆1 punto
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@appecundria Da abruzzese nato, legittimo e certificato, quest' propr' n' la sapev'... che pozza sci 'nguastit', appecundrì, tu la saj' chiù long' d' mi... 😂 👏 (dialetto marsicano più stretto e meno cantilenante del peligno: Sulmona, Pratola, Introdacqua, Pacentro, etc. ) Immaginiamo la canzone cantata e accompagnata a ritmo swingante da un pregiato organetto abruzzese di raffinata, artigianale costruzione i migliori i teramani, così sentii dire... cui facevano eco la zampogna e la ciaramella e il canto delle pie donne in processione... delle autentiche jam session improvvisate con ritmi saltarelli con sincopi arricchenti (scattai le fotto nella cosiddetta "Festa dei Serpari" che si svolge a Maggio nel pittoresco paese abruzzese di Cocullo, tra la Marsica e il Pelgno, dedicata a San Domenico Abate ed eremita, protettore dei morsi dei seprenti, dei cani rabbiosi e di altri accidenti che capitano ai contadini a stretto e duro contatto con gli animali e la terra - le serpi in processione si vedono solo in Abruzzo...) Ragazzi, il nome jazz che resta di incerta origine, in realtà fu inventato in Abruzzo, derivava dal termine jazz (si pronuncia iazz non giazz) così chiamato aj' paes' me, la glassa o ghiaccia bianca con cui si guarniscono i dolci secchi ottenuta sbattendo il velame dell'uovo e zucchero con la frusta al ritmo swing con cambi di ritmo per non stancare troppo il braccio, facendo con l'occasione un po' di musica percussiva che accompagnava i suoni della citola metallica o di ceramica battuta. Quando ero regazzino piccolo, vedendo mia nonna o mia madre con il contenitore stretto in petto dentro cui battevano il tempo con la frusta muovendosi per la cucina con dei passi di danza, chiedevo loro cosa stessero facendo, mi rispondevano: steng' a fa i' jazz... una parola per me favolosa, esotica, quasi fatata... e quando scoprii che lo stesso termine veniva associato alla musica tutta sincopata che usciva dalla radio e che mi prese subito, immaginavo ometti nascosti dentro la scatola suonante, con il "cotturello" in petto daje a montare i' jazz accompagnati da altri gnometti con gli strumenti giocattolo a fare festa...1 punto
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Un racconto molto interessante dal quale traspaiono in maniera chiara e puntuale i passaggi salienti di una vicenda storica, socio-politica, culturale e razziale complessa e controversa. Mi stavo chiedendo cosa sarebbe successo in quegli anni fascistici se al posto delle forme più sbianchettate della musica afroamericana sbarcate in Italia, ed ivi edulcorate, fossero ad esempio giunti intonsi i complessi e le orchestre veraci di Ma Raney, di Bessie Smith, di Fletcher Henderson, di Andy Kirk, di Billie Holiday, dei roventi musicisti di Chicago, N.Y., New Orleans, etc, e con essi l'eco della profonda tribalità africana, del razzismo, delle secolari violenze razziali, del dolore, della gioia, della rivoluzione estetica, sociale, culturale, infine dello scandalo. Il jazz nasce come rivoluzione e scandalo nella stessa America culla di madre madrigna della quale si fece "asse spirituale" secondo il poeta, figuriamoci come sarebbe stato recepito nell'Italia fascista: probabilmente le loro destinazioni sarebbero state i lager sperduti in qualche parte dell'Albania.., pardon della Polonia o di altri luoghi più vicini a crante Cermania. Il jazz una volta arrivato nel belpaese manterrà la forma del ritmo sincopato e lo swing corretto al beguine e foxtrot a volte virato al liscio, ad altre variantri melodico- saltellanti delle nostre belle tradizioni nazional-popolari destinate all'ascolto e al ballo spensierato. Ma non basta dire "sincopato", o tempo in "levare", swingando, per poter dire jazz. Le cose nel dopoguerra inizieranno a cambiare anche in Italia con gli avvicendamenti di complessi, orchestre, solisti, cantanti e strumentisti che seppero riportare le proprie specifiche esperienze jazzistiche autoctone al grande mare della musica afroamericana dalle quali traevano nutrimento. Le graziose "polifonie" in levare del leggendario "Trio Lescano" e di altre canzoni leggere e divertenti, cosiddette “di fronda”, già menzionate puntualmente nello scritto in questione, resteranno un bel ricordo di gioventù, motivo di nostalgie dei bei tempi andati, quando alle spassose note del "Maramao perché sei morto?" spesso si mescolavano i contrappunti delle sirene e delle bombe che piovevano a grappoli dal cielo mentre vi era e non vi è nulla di più contrario ed antitetico al jazz che la guerra e ogni altra forma di violenza. In fondo erano solo "canzonette" al sapore di jazz, ma giunge a conferma del fatto che il jazz si espanse lungo l'intero globo terreste finendo per influenzare quasi tutte le musiche del mondo in modo più o meno marcato: ancora oggi non c'è canzone, più o meno autoriale o commerciale che non sia jazzata, spesso con effetto di reciprocità. La stessa reciprocità che intercorre tra jazz e musica classica, o "colta", nelle loro forme di reciproca influenza. Altro tipo di discorso.1 punto
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Post interessante e capita a puntino: Sto finendo di leggere "Jazz e fascismo" di Luca Cerchiari ( L'Epos editore 2003) e ritrovo molti degli argomenti citati.1 punto
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Complimenti per il saggio, molto interessante e articolato.1 punto
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Bellissimo scritto. Ho una "Maramao perché sei morto?" cantata da Nicola Arigliano che è un ottimo pezzo.1 punto
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Ottima e fluida anamnesi di un fenomeno storico musicale che ci riguarda da vicino .1 punto
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Simbolicamente potremmo considerarlo tale. Ma nella realtà della commedia si trattava più che di apatia esistenziale e strategica degli effetti del "colpo" in capo che gli avevano fatto pigliare in famiglia al poveruomo oramai rincitrullito che dopo una vita di lavoro amava trascorrere i suoi giorni in serenità con presepi e altre piccolezze con le quali non faceva del male a nessuno...1 punto
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Una volta a teatro, mi pare Natale in Casa Cupiello, ero piccolo: Eduardo a letto con in capo una specie di straccio (né una papalina, né altro di dignitoso)... Quello era il simbolo dell'apatia come rifiuto del faticoso mondo esteriore. Fu un'immagine che mi colpì più di ogni altra cosa nella commedia. Ripeto, ero piccolo, ma quello lo capii immediatamente e molto bene. Fantastico!1 punto
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Sarebbe ipocondria nel senso più radicale; melanconia, così come veniva interpretata nel '500. Con un pizzico di "spleen".1 punto
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Leggo da Fanpage.it I dizionari la definiscono come semplice “malinconia”, ma qualunque napoletano saprebbe spiegarvi come in realtà questa parola racchiuda in sé significati molto più complessi, difficilmente traducibili. È infatti impossibile spiegare il suo significato in italiano senza ricorrere a lunghe perifrasi: la pucundria indica uno stato d’animo senza contorni ben definiti, una tristezza dolorosa che si avvicina alla malinconia ma che si trascina dietro anche la noia, l’insoddisfazione e la solitudine. continua su: https://www.fanpage.it/cultura/apucundria-lorigine-e-il-significato-del-termine-napoletano-pieno-dinesprimibile-malinconia/ https://www.fanpage.it/ Questo stato di indefinitezza emotiva e spirituale, mi fa pensare alla sehnsucht romantica tedesca, alla añoranza spagnola, entrambi stati d'animo diversi e simili, ancor più indefiniti della nostalgia a sua volta piena di vaghezze. Nostalgie, solitudine, tristezza. Felicità, perchè no? "In quasi ogni tipo di felicità c'è un elemento di añoranza, perchè la mente si concentra di più sulle cose di cui viene privata". (Gerald Brenan - A sud di Granada il più bel libro sullo spirito "occulto" della Spagna scritto da un inglese che fanculizzato lo spocchioso Bloomsbury Group londinese se ne andò a vivere tra le capre nell'Alpujarra ai piedi della Sierra Nevada) Sembrerebbe che anche l'appecundria potrebbe rappresentate qullo "strano" stato di nostalgia per ciò che non si sia realmente vissuto se non all'interno del proprio immaginifico lirico, onirico, irreale ma che colpisce nel profondo della coscienza e dell'es". Non c'è inoltre una felicità senz'anche un dolore e un dolore senza una felicità. E' nella natura ambigua, "appecundriaca" della vita. Non vorrei ora spingermi ancora oltre nel rapportare l'appecundria anche allo spirito "cool" di quel jazz davisiano che non volle essere "freddo" e che tale non fu, mentre si creava la necessità per i neri razzistati di porsi in una condizione di distacco, di calma filosofica, saggia ed atavica, senza lasciarsi impressionare dal male di vivere quotidiano benchè nella Napoli più popolare dei "bassi" non fu come nelle remote, orribili provincie degli states del sud. Altro sinonimo: Blasè ... (Archie Shepp) : indifferenza, scetticismo, forma di snobismo popolare sarcastico e sagace, un po' alla "pernacchia" di Eduardo de Filippo... Per dirla con una canzone popolare della appecundria napoletana, canzone della nostalgia semplice e profonda, di una sua certa nobile ed asciutta sentimentalità (segretamente disincantata) non paragonabile ma associabile in qualche misura alla sehnsucht di un lied schubertiano, mi perdoneranno i veraci abitanti del golfo partenopeo e i classicofili le mie eresie... Di LIbero Bovio, insieme a Salvatore di Giacomo e altri fautore dell'epoca d'oro della canzone napoletana.1 punto
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Quel nome è appocundria (a volte scritto appecundria), generalmente considerato intraducibile in italiano.1 punto
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"La canzone napoletana, nelle sue prime espressioni popolari, si caratterizzava per una profonda malinconia sentimentale, specchio delle sofferenze e delle speranze del popolo (qualcuno ha detto blues? )." Presente! Battute non troppo facete a parte, pur nelle ovvie e rimarchevoli dissomiglianze musical-formali, storiche, antropologiche, socio-culturali, in questi mondi fortemente emotivi ed emozionali, franti dal sentimento profondo e lirico della nostalgia, all'origine dell'ispirazione artistica, pur legati all'urgenza del presente, così lontani, così vicini, in entrambi i generi musicali corre quel filo sottile e tenace che senza mai spezzarsi lega insieme la gioia e il dolore, la festa della vita e il rito della morte, con a volte uno scambio di posizione. In ogni musica popolare elettivamente "improvvisata", nel canto malinconico oppure allegro come nel suono di uno strumento che cerca di farsi "voce", vi è il desiderio, il bisogno di di comunicare una forma di espressione, il senso condiviso del cum-patimento che gli antichi chiamavano pathos che viene rinominato, a seconda delle differenti realtà culturali con duende, feeling, saudade, fado... c'è un nome specifico per la musica napoletana? Pino Daniele cantava che A me me piace 'o blues ... quindi potremmo chiudere con questo il cerchio? Ovviamente no, ed proprio il tuo interessantissimo saggio sulla musica partenopea, complimenti davvero per la sintesi tutt'altro che avara e la chiarezza espositiva, a portarci in altri "altrove per alcuni dei quali avevo appena un sentore che ora potrò approfondire, prendendo come spunto la bellissima canzone, romanza?, che da' il titolo allo scritto. Mi ha colpito questa osservazione (non so perchè non mi fa quotare) "Dopo vari accadimenti si arriva al 1353 quando fu edificato il santuario de pedi grotta, con la sua festa, che fu fissata l'8 settembre, giorno della natività di Maria. Il popolo napolitano prese ad radunarsi nella grotta di Posillipo ogni anno alla festa di Piedigrotta e lì a sfidarsi a cantare improvvisato, la canzone giudicata più bella ripetuta da tutti era la canzone dell'anno." Ecco.., fenomeno che si registrava fino a pochi decenni fa c'erano musiche, canzoni che si scolpivano persistentemente negli immaginari di un'intera comunità socio-culturale che si riconosceva collettivamente in esse; spesso bastava rispondere con una di queste canzoni a mo' di allusione.., e senza parlare ci si capiva.., sembrava come se la musica, la melodia, il ritmo, fossero diventater parole, linguaggio, strumenti delle emozioni, del piacere, del dolore, in grado di pronunciare al posto delle parole una confessione d'amore, se non anche, prendendola sul lato sarcastico, un sentimento di contrarità, delusione, derisione, ad libitum. E di canzoni ne fiorvivano realtivamente poche.., forse il giusto e ce le facevamo bastare.., forse perchè proponevano contenuti profondi nell'apparente semplicità, testi e sottotesti, quanti sottintesi, ammiccate, strizzatine d'occhio.., non ci si stancava mai di cercare un altro significato. Forse noi eravamo ingenui e le canzoni più avanti di noi... Uso il plurale non maiestatis.., per comodità lessicale. Da un certo punto in poi, non fu più così... come tutto il resto delle "cose" della vita e dell'arte giunsero i tempi dell'avere tanto, tantissimo, tutto e subito, tutto pewr "avere" non già più per "essere". Ora nel giro di poco tempo escono canzoni a tutto spiano.., si unasno e consumano giusto il tempo per passare alle prossime stampate in tempi da cottimo... Di questo tanto ci resta niente.., ma non è colpa di nessuno, è la società che è cambiata, a ben vedere però in fondo la società siamo noi... Pensiamo a san remo che in 5/5 giorni "vomita" canzoni a tutto spiano... se hai tempi di Bobby Solo la lacrima sul viso bagnava tutta la popolazione italiana per un anno intero, se non di più, adesso cosa resta di canzonette ascoltate e subito dimenticate - le cposce e glutei al vento della divetta stonata? - ognuno compra il suo dischetto o si mette in ascolto streaming ed è finito il senso della canzone che era si un tempo popolare e riuniva le genti sotto la sua desiderata e libera monarchia... Addio chitarre magari strimpellate e coretti pure stonati.., ma parlomeno ci si riuniova e si cantavano tutti insieme le canzoni generazionali per anni ed anni.., e vai di Lucio Battisti, Guccini, De Andrè, e successivi... Mi scuso se sono andato un po' nei dintorni., ma questo mi fa tornare al punto di partenza, alle suggestive descrizioni che ne fa @appecundria alle belle feste che c'erano una volta e ci saranno ancora nei luoghi mitici e magici della musica psrtenope fatta di canzoni e danze popolari, che vanno ad onore della musicalissima, colta città mediterranea che ha per nome Napoli. Io sono abruzzese ma la amo molto, dopo il turco napoletano, corre l'obblico di integrare con un abruzzese napoletano... Mi piacerebbe magari al più presto riprendere il discorso delle origini, delle influenze, esportazioni ed importazioni attraverso cui si è sviluppata la realtà della canzone napoletana, magari riunendo con ciò che ho scritto recentemente nel topic dedicato a Roberto Murolo e alle sue personalissime interpretazioni.1 punto
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@BEST-GROOVE Leggo ora il topic messo in evidenza. Invidio la tua manualità, la pazienza, l'arte di far rinasce allo stato del nuovo ciò che sarebbe destinato allo sfascio in 'sti tempi di consumismo sfasciolato... Gran bel lavoro!1 punto
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