UpTo11 Inviato 4 Agosto 2023 Autore Inviato 4 Agosto 2023 Preparata, non c'è che dire... . "Così, intervistata dal Foglio, la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Chiara Colosimo annuncia di voler cambiare entro le europee 2024 la normativa sui cosiddetti “impresentabili“, i candidati che l’organismo segnala al pubblico per i loro guai giudiziari (e che i partiti per primi dovrebbero impegnarsi a non mettere in lista). La deputata di FdI se la prende con la versione attuale del Codice di autoregolamentazione sulle candidature, approvata nel 2019 dalla vecchia Commissione, presieduta dal senatore ex M5s Nicola Morra: “Se lo avessi fatto io lo avrei fatto in un altro modo. Mettervi dentro la diffamazione, il cumulo di reati sopra ai quattro anni dentro cui magari c’è una condanna per rissa o la legge Mancino mi sembra fuori luogo”, dice. Dimostrando, però, di non aver letto il Codice in vigore o di averlo letto un po’ troppo in fretta. Perché la diffamazione e la legge Mancino sono sì citate nel testo, ma proprio per escludere che una condanna per quei reati possa portare in qualsiasi modo alla dichiarazione di “impresentabilità”. Insomma, la crociata lanciata dalla neo-presidente è fondata sul nulla." . https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/08/04/impresentabili-colosimo-annuncia-la-riforma-escluso-chi-ha-condanne-per-diffamazione-o-per-la-legge-mancino-ma-non-sa-che-e-gia-cosi/7252217/ . Anche questa ragazza si muove bene?
UpTo11 Inviato 7 Agosto 2023 Autore Inviato 7 Agosto 2023 Non sto a riportare link o a fare copia e incolla, le parole del responsabile della comunicazione della regione Lazio son note a tutti. Così come dovrebbe essere nota la sua storica appartenenza all'area dell'estrema destra eversiva che gli ha fruttato una condanna, ma che non è stata di intralcio alla sua carriera politica. Anzi.... Rispetto alle sue parole mi limito a dire: parli. Se come dice sa qualcosa che altri non sanno, anzi, se ha certezze, come lui stesso ha scritto, scopra le carte. Perché altrimenti qualche maligno potrebbe pensare che getti il sasso per poi nascondere la mano, così, tanto per continuare ad aggiungere confusione, un po' di nebbia nel momento in cui certe nebbie che hanno inquinato la storia del paese per decenni sembrano diradarsi un po'. Continua a tornare con insistenza il tema che avevo posto in questo thread. La contiguità, ma possiamo ormai dire tranquillamente la continuità, del maggior partito di governo, espressione del PdC e della nuova narrazione, con gli ambienti neo-fascisti eversivi degli anni '60-'80. Conti mai fatti, tenuti in serbo per anni per regolarli al momento opportuno e, soprattutto, a modo loro, cioè proprio attraverso quella nuova narrazione. Comincio a credere che il PdC non mentisse quando all'insediamento disse di non avere nostalgie per il fascismo. I suoi riferimenti, anche per una questione anagrafica, sono più recenti e infatti il suo partito se li è portati a palazzo. È un affare di famiglia, in tutti i sensi vista la difficoltà di districare la matassa di relazioni politiche e di parentela di questa galassia. Dalle porte girevoli tra msi e formazioni extra parlamentari, continuate con AN come dimostra la brillante carriera politica del De Angelis, a quelle che hanno allestito il soccorso nero per tirare fuori dal carcere questi patrioti, a quelle che hanno introdotto loro, parentume vario e amici nelle istituzioni. Sarà cambiata la strategia nel frattempo, ma nella sostanza e nei protagonisti sembra proprio che questo governo rappresenti la realizzazione di quel piano. 1
UpTo11 Inviato 8 Agosto 2023 Autore Inviato 8 Agosto 2023 Eccallà.... Nemmeno un paio di giorni e le certezze alternative si dissolvono come neve al sole. Retromarcia su Roma del camerata Ardito Tengo Famiglia, che offriva il petto al nemico "se dovrò pagare per questo e andare sul rogo come Giordano Bruno per aver violato il dogma, ne sono orgoglioso" e ancora "Non riusciranno a farmi rinunciare a proclamare la verità. Costi quel che costi… Come GioNa tra i flutti non tremo… Vieni a prendermi balena, non ti temo". Mi sa che la balena non l'ha vista arrivare.... da dietro. Balena Gioggia, che tenendo il piede in due scarpe, impone pilatescamente per interposta persona le scuse, ma non la rimozione del personaggio, per non inimicarsi l'ala dei neri duri e puri. Un colpo al cerchio e uno alla botte. Nel frattempo non si fa vedere, l'amico camerata gli ha rovinato la festa del decretone tutti frutti. Ah sì, la ragazza scappa bene. Da mesi o son passerelle a favor di telecamera o in conferenza stampa ci manda i compari, conferenze stampa finte, senza giornalisti o giornalisti rinchiusi in vagoni separati, ecc... Da underdog a dove sta Zazà... 1
wow Inviato 8 Agosto 2023 Inviato 8 Agosto 2023 1 ora fa, UpTo11 ha scritto: Vieni a prendermi balena, non ti temo". Fozza Balena
UpTo11 Inviato 10 Agosto 2023 Autore Inviato 10 Agosto 2023 L’allusione di De Angelis: “Utili idioti” neri per la P2 . Il gergo fascista, si sa, gronda di retorica. “Doppia pena di morte per i terroristi di destra”, proclamava Giorgio Almirante nel 1982, due anni dopo la strage di Bologna. L’album di famiglia del neofascismo italiano – ben lo sapeva il segretario del Msi – annoverava non solo i killer responsabili di decine di omicidi mirati ma anche la manovalanza della strategia della tensione orchestrata in funzione anticomunista dai piduisti infiltrati ai vertici dello Stato: gli stragisti, appunto. Gentaglia che nel suo partito conoscevano bene perché vi erano transitati, gli gravitavano attorno, in qualche caso ne ottennero protezione. Se ancora oggi Giorgia Meloni rifiuta di sfogliare in pubblico quell’album di famiglia è perché della medesima retorica fu imbevuto anche il suo esordio nella militanza politica. Quanti la invitano a recidere i legami con la generazione degli anni Settanta in cui trovò i suoi maestri, non ultimo Marcello De Angelis, sottovalutano l’importanza da lei assegnata ai principi della tradizione e della coerenza. Oltre che le reazioni incattivite che susciterebbe nelle file di Fratelli d’Italia. A proposito di retorica, rileggiamo le parole con cui De Angelis – prima di rimangiarsele da infingardo – ha dichiarato la sua “assoluta certezza” che Fioravanti, Mambro e Ciavardini siano estranei all’attentato di Bologna. Si è paragonato ai martiri cristiani che non rinnegarono la verità per salvarsi dai leoni, a Giona tra i flutti, a Giordano Bruno pronto a salire al rogo. Ridicolo, vista l’abiura dell’indomani. Ma intanto ha lanciato un’insinuazione, una diffida di cui tutti hanno riconosciuto il bersaglio: Ignazio La Russa. Eccola: “La differenza fra una persona d’onore e uno che non vale niente è il rifiuto di aderire a versioni di comodo quando invece si conosce la verità. E accettare la bugia perché così si vive più comodi”. Dunque l’opportunista La Russa che parla di “strage neofascista”, sia pure solo come “verità giudiziaria”, impersona un carrierismo affarista dal quale Giorgia Meloni viene avvertita di guardarsi, pena infrangere la comune appartenenza. Emergono antichi rancori sopravvissuti alla lotta intestina che lacerò la galassia del neofascismo italiano. L’unico traditore citato per nome da De Angelis è lo stupratore del Circeo, Angelo Izzo. Ma si intuisce che l’accusatore mira ben più in alto, risalendo, chissà, fino ai legami organici che il Msi filoatlantico aveva instaurato con i vertici della P2 annidati nello Stato. Prima che finisca nel dimenticatoio il suo grottesco proclama rimangiato a quarantott’ore di distanza, bisognerà pur ricordare che gli eredi di Almirante non ebbero alcun imbarazzo a eleggere De Angelis per due mandati in Parlamento, quando il Msi non esisteva più, benché fosse stato condannato per banda armata dopo una lunga latitanza all’estero. Figuratevi cosa sarebbe accaduto se un partito di sinistra avesse compiuto una scelta simile candidando un brigatista. A destra evidentemente si può. O si deve? Sarebbe interessante leggere un’interpretazione storica delle faide interne alla destra – se non una presa di distanze – da parte dei vari Buttafuoco, Giuli, Veneziani che oggi vanno per la maggiore. Aspettiamo con fiducia. Ma intanto ci facciamo delle domande: l’indicibile, o non comprovabile, a cui l’ex barricadero De Angelis allude senza osar di più, riguarda forse la convinzione che altri di destra piduista abbiano scaricato su Mambro e Fioravanti le loro responsabilità? Chi sarebbero i responsabili dei depistaggi che hanno ostacolato le inchieste giudiziarie? O davvero ci si accontenta di restare abbarbicati alla “pista palestinese” ormai definitivamente confutata dai documenti desecretati? Invano attenderemo una risposta della presidente del Consiglio. Giorgia Meloni, come è noto, si è rifiutata di profferir parola sul centenario della marcia su Roma. Sul 25 aprile ha fatto surfing da equilibrista. Ha sempre preferito riferire i sentimenti e le passioni che la mossero alla militanza identificandosi con i ragazzi di destra ghettizzati delle generazioni successive. Ma è proprio fra questi suoi “fratelli maggiori” che si annidano i protagonisti di una resa dei conti destinata a non finire qui. Pretendere di riscrivere la storia amputandola di quel passaggio cruciale in cui la destra neofascista si rese strumento della strategia della tensione, questo sì, è antipatriottico. Gli italiani hanno il sacrosanto diritto di sapere quale passato hanno alle spalle coloro che oggi negano la matrice fascista della strage di Bologna, 85 morti. Sento dire che agli italiani non importa più, che insistere nel pretendere chiarezza non porta voti. Ma questo argomento di mera convenienza non sarà mai accettabile, in un Paese civile. Una destra che si definisce democratica non può nascondere il suo album di famiglia. . Gad Lerner ilfattoquotidiano 2
Questo è un messaggio popolare. UpTo11 Inviato 12 Agosto 2023 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 12 Agosto 2023 Tutti i fantasmi di Giorgia Meloni nel terrorismo nero È possibile continuare a considerare l’Italia una democrazia liberale a tutti gli effetti quando il partito al governo non pullula solo e tanto di nostalgici del fascismo, cosa acclarata al di fuori di ogni ragionevole dubbio (e chi ne ha, è pregato di documentarsi in proposito), bensì di persone che hanno avuto, ed hanno ancora come il caso di Marcello De Angelis dimostra, un legame affettivo e simpatetico con i terroristi di destra, con coloro che hanno insanguinato questo paese con decine di omicidi, con stragi di innocenti, con agguati devastanti a nemici politici? Il terrorismo ideologico ha piagato l’Italia come nessun altro paese europeo. Nel 1979 si arrivò all’apogeo di più di 2000 azioni violente: «Cifre crudeli» – così si intitolava lo studio dell’Istituto Cattaneo che ha raccolto i dati su quegli anni – che lasciano ancora sgomenti anche se poi, fortunatamente, la violenza politica diffusa e il terrorismo, nel giro di pochi anni, si sono spenti, salvo qualche sporadico colpo di coda. Benché siano passati decenni, suscita un forte disagio constatare quanta contiguità pervade oggi le fila della destra meloniana con persone che hanno attraversato quella stagione. Le molte sigle del terrorismo di destra, dalle capostipiti Avanguardia nazionale (An) e Ordine nuovo (On) alle successive, e più truci, Nuclei armati rivoluzionari (Nar) e Terza Posizione (Tp), hanno attratto centinaia di giovani provenienti dalle organizzazioni giovanili del Movimento Sociale. Per quanto Giorgio Almirante avesse compreso il pericolo di una commistione del suo partito con i gruppi eversivi, non calò mai una paratia stagna. Il senso di comune appartenenza ad uno stesso mondo, ad una comunità, impediva un distacco completo. Anche se lo spontaneismo armato dei Fioravanti e camerati inveiva contro la mollezza borghese del partito, così come nel passato avevano fatto An e On, e addirittura si scagliava contro camerati non in linea, persistevano legami ideologici ed affettivi. Tuttora c’è un mondo, prevalentemente romano, di connivenze tra personaggi che emergono da quegli anni e Fratelli d’Italia. Non è forse un caso che Giorgia Meloni si sia scagliata più accesamente contro la polizia di stato evocando strategie complottiste, che contro gli assalitori della Cgil nell’ottobre 2021, guidati da estremisti di destra ed ex terroristi. E, tornando indietro nel tempo, la stessa Meloni, quando era presidente di Azione Giovani, partecipò al funerale di un personaggio carismatico dell’estremismo romano, arrestato armi in pugno durante una azione dei Nar, Giuseppe (Peppe) Dimitri, detto anche il martello di Thor per l’abitudine di assaltare con quell’attrezzo gli avversari (tanto che ridusse all’infermità permanente uno studente sedicenne). A quel funerale, la cui coreografia in puro stile nibelungico è stata efficacemente descritta da Nicola Rao nel suo Il sangue e la celtica, si dette appuntamento il gotha degli ex terroristi neri. Eppure Meloni non ebbe problemi a parteciparvi. I sentimenti personali di amicizia e affetto sono indiscutibili e insindacabili. Ma quando questi investono una dimensione politica che non è limitata ad una comunità, ma riguarda il governo di un paese, allora le troppe presenze di personaggi dal passato compromesso nelle stanze del governo nazionale e locale, e in quelle del sottogoverno, diventano una questione centrale delle istituzioni democratiche. Del resto, sarebbe stato accettabile un presidente del consiglio di centro-sinistra che avesse partecipato al funerale di un brigatista insieme a tanti ex terroristi? . Piero Ignazi, editorialedomani.it 3 1
UpTo11 Inviato 18 Agosto 2023 Autore Inviato 18 Agosto 2023 Cognati d’Italia Che il camerata Marcello De Angelis tenesse famiglia, si era intuito dalla rapida successione fra il virile “sono pronto a pagare come Giordano Bruno” (per aver assolto i Nar sulla strage di Bologna) e le flaccide “scuse” che tramutavano quell’“assoluta certezza” in un’“unica certezza: il dubbio” per tenersi la poltrona in Regione. Ora scopriamo che ha pure assunto il cognato Edoardo Di Rocco, fratello della compagna, ingegnere esperto in vendite di servizi finanziari, per seguire imprecisate “questioni istituzionali”. Del resto, a segnalare De Angelisa a Rocca, sarebbe stato un altro cognato: il ministro Lollobrigida e la moglie Arianna Meloni, sorella di Giorgia. Giorgia peraltro rischiò di avere De Angelis come cognato, quand’era fidanzata col fratello Renato. I due De Angelis hanno anche una sorella, Germana, che ha sposato Luigi Ciavardini, condannato per la strage di Bologna e difeso dal cognato Marcello. In pratica l’ex quasi cognato della Meloni, amico del vero cognato della Meloni, ha difeso il cognato stragista prima di assumere il cognato ingegnere. Bizzarro che il partito della dinastia cognatesca si chiami Fratelli d’Italia. Diceva Flaiano: “Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati”. E Sciascia: “Tre c sono pericolose: cugini, cognati e compari”. Infatti non c’è scandalo senza cognati. Quello di Craxi, Pillitteri, era sindaco di Milano e prendeva tangenti, come da tradizione famigliare. Quello di Fini, Giancarlo Tulliani, gli rovinò la carriera con la casetta di Montecarlo. Quello di Fontana, Andrea Dini, vinse l’appalto per fornire camici anti-Covid alla Regione guidata dal marito della sorella, ovviamente a sua insaputa. Quello di Renzi, Andrea Conticini, è imputato coi due fratelli per una brutta storia di milioni destinati ai bambini africani e distratti all’Unicef. Quello di Galliani, magazziniere al Milan, fu arrestato per aver rubato magliette e poi assolto. Quello di Lotito, Marco Mezzaroma, è il nuovo presidente di Sport e Salute con cui il presidente della Lazio è indebitato. L’inchiesta sulla Protezione civile di Bertolaso svelò che suo cognato Francesco Piermarini faceva incetta di appalti; immortalò l’imprenditore Gagliardi e il cognato De Vito Piscicelli a ridere sul terremoto dell’Aquila; beccò il dg Rai Mauro Masi mentre chiedeva al provveditore Angelo Balducci un lavoro per Antony Smit, fratello della sua compagna e sommozzatore ad Anacapri, prontamente sistemato al Salaria Sport Village; e intercettò l’imprenditore Anemone mentre parlava con Balducci dei cognati di Bertolaso (Piermarini) e di Rutelli (Paolo Palombelli) e domandava: “Oddio, quanti ce ne sono di cognati?”. Dilettante. Poi dice che uno abolisce l’abuso d’ufficio. M. Travaglio, Il Fatto Quotidiano
UpTo11 Inviato 18 Agosto 2023 Autore Inviato 18 Agosto 2023 "Così De Angelis il nero ha assunto suo cognato alla regione" . Il responsabile della comunicazione istituzionale ha dato un posto nel suo staff a Edoardo di Rocco, fratello della compagna. Un posto senza bisogno di concorso. La Regione: noi all’oscuro . Tutti tengono famiglia. E quando si entra nelle stanze del potere, in Italia – si sa – non è poi così complicato trovare un posto (e uno stipendio) per amici e parenti. Anche per i più duri e puri, di spirito e ideologia. Come Marcello De Angelis, ex estremista di destra, fondatore di Terza Posizione insieme a Roberto Fiore, condannato a 5 anni per banda armata, già parlamentare di An, in passato in ottimi rapporti con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e oggi responsabile della comunicazione istituzionale del presidente della Regione Lazio Francesco Rocca. Nei giorni che precedono l’anniversario della strage neofascista di Bologna, dove il 2 agosto 1980 una bomba uccise 85 persone, e le polemiche per un suo post in cui negava la verità storica e processuale sulle responsabilità dell’eccidio, la Regione Lazio guidata da Francesco Rocca ha trovato un posto in Regione per il fratello della compagna di De Angelis, Edoardo Di Rocco. «Su proposta del capo struttura», spiegano dal Palazzo della Regione (quindi dello stesso De Angelis) Di Rocco sarebbe stato assunto all’interno dello staff comunicazione: «Si occuperà di rapporti istituzionali». Il suo nome ancora non compare sul sito dell’ente, ma l’assunzione – un posto da impiegato legato al mandato del presidente Rocca, senza bisogno di concorso pubblico dunque – viene data per fatta. Dalla Regione fanno sapere che l’ex presidente della Croce Rossa Internazionale non sarebbe stato informato della decisione presa dal suo responsabile comunicazione (a 110mila euro di stipendio annuo), e che «per questo tipo di posti ogni capo struttura assume i suoi uomini di fiducia». Ed è difficile trovare qualcuno più degno di fiducia di un parente stretto. Ma chi è Di Rocco? Quasi 35 anni, studi alla Sapienza in Ingegneria, si presenta come esperto nel settore vendita di servizi finanziari e non. Tra le sue esperienze professionali – si legge sul suo profilo LinkedIn – appaiono consulenze in società che elargiscono prestiti e per palestre. Sugli altri profili social, invece, appare spesso insieme a De Angelis e la compagna. Una Settimana Nera Il fondatore di Terza Posizione rischia di finire nuovamente nella bufera, dopo le polemiche successive al suo post su Facebook sulla strage di Bologna. De Angelis aveva scritto «di sapere per certo che con la strage di Bologna Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (i tre membri dei Nar condannati in via definitiva come responsabili della strage, ndr) non c’entrano nulla. Non è un’opinione, io lo so con assoluta certezza». De Angelis non è però entrato nei particolari dell’estraneità dei tre neofascisti dalla strage. Le sue frasi tra l’altro si contraddicevano con le dichiarazioni rilasciate da lui stesso ai magistrati che indagavano sulla strage dell’Italicus all’inizio degli anni ‘90, a cui aveva affermato che per sua «scienza diretta» della strage di Bologna «non sapeva nulla». Trent’anni dopo, evidentemente, qualcosa è cambiato. Dopo le polemiche però, non raddoppia ma lascia. Con una marcia indietro, sempre sui social network: «Ho espresso il mio dissenso. E sono finito sul rogo. Da uomo libero», aveva postato. La sua uscita cozzava non solo con le dichiarazioni del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che il 2 agosto ha ricordato le responsabilità dei neofascisti a Bologna. Ma anche con quelle del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha ricordato le responsabilità nere e la necessità di rispettare le sentenze. Proprio contro le parole della seconda carica dello Stato, affermano i maligni, sarebbe stata l’uscita di De Angelis, che ha messo in imbarazzo la premier Meloni – che su parentopoli assortite può dire poco o nulla, avendo inserito nel suo cerchio magico la sorella Arianna e il cognato Francesco Lollobrigida, affidandogli incarichi politici – e diviso i partiti della maggioranza. Non è la prima volta che i rapporti tra gli ex Nar responsabili della strage di Bologna ed esponenti di primo piano di Fratelli d’Italia creano polemiche. Come quelli tra la presidente della commissione parlamentare antimafia Chiara Colosimo e Luigi Ciavardini: negli scorsi mesi Report, la trasmissione di Rai3, aveva mostrato la foto della deputata meloniana insieme all’estremista nero, prima che sparisse dai social. Foto che suscitò lo sdegno delle associazioni dei familiari delle vittime delle stragi. Chiesero un passo indietro della Colosimo. Che alla fine rimase al sul posto. Proprio come De Angelis, che nonostante le sue uscite sulla strage di Bologna, rimane al suo. Libero di piazzare i parenti in Regione. . Federico Marconi, editorialedomani.it
Jack Inviato 18 Agosto 2023 Inviato 18 Agosto 2023 chiamate @maurodg65 presto… che je stanno a fregà er ciclostile 2
UpTo11 Inviato 25 Agosto 2023 Autore Inviato 25 Agosto 2023 Nel 2004 l'allora presidente di Azione Giovani, tale Giorgia Meloni, si prodigava nell'organizzare eventi egemonico-culturali, per smarcarsi dalle calunniose accuse di nostalgismo: . https://video.repubblica.it/politica/i-concerti-di-marcello-de-angelis-davanti-ai-giovani-di-atreju-tra-braccia-tese-e-boia-chi-molla/451353/452315 . Melonyland... o Meloni Kampf....
claudiofera Inviato 25 Agosto 2023 Inviato 25 Agosto 2023 Che uno così sia stato candidato senatore,e poi eletto...e adesso è lì che riceve dalla regione lazio uno stipendio da oltre 100.000 euro..non và bene a te,a me e a pochi altri...Evidentemente ,bisogna farsene una (triste) ragione..il grido "al lupo,al lupo" mi sà che non funziona.
UpTo11 Inviato 27 Settembre 2023 Autore Inviato 27 Settembre 2023 Certa politica, mafia, massoneria, servizi deviati e eversione nera. Le 5 dita della mano più o meno occulta che ha condizionato il paese dal dopo guerra in qua. . https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/09/27/tutti-i-buchi-delle-stragi-secondo-scarpinato-il-dispaccio-segreto-di-gladio-sulladdaura-le-indagini-di-falcone-sui-neri-e-il-caso-moro-bis/7304441/. . Tutti i buchi delle stragi secondo Scarpinato: il dispaccio segreto di Gladio sull’Addaura, le indagini di Falcone sui neri e il “caso Moro bis” . Ci sono i dispacci segreti di Gladio su operazioni in “ambito Nato” organizzate vicino al villino di Giovanni Falcone all’Addaura, due giorni prima rispetto al fallito attentato del 21 giugno 1989. E c’è la testimonianza di Pino Arlacchi, lo scrittore al quale il magistrato ucciso nella strage di Capaci confidò che quello di Piersanti Mattarella era “un caso Moro bis“. E poi ci sono pure le intercettazioni in carcere in cui Totò Riina definiva il terrorista nero Pierluigi Concutelli come “massone” vicino a Stefano Bontade. Ma ci sono anche i racconti di Francesco Di Carlo, il boss di Altofonte che ricevette una visita da uomini dei servizi segreti mentre era detenuto nel carcere di Full Sutton in Inghilterra: chiesero un contatto con Cosa nostra per bloccare il lavoro di Falcone, lui li mise in contato con suo cugino, Antonio Gioè. Lo stesso uomo che anni dopo partecipò all’eliminazione di Vincenzo Milazzo, il boss di Alcamo che – come raccontò il suo autista Armando Palmeri – venne ucciso dopo avere rifiutato la proposta di imprecisati “uomini dei servizi“: volevano che partecipasse a un piano di “destabilizzazione dello Stato“. È un filo nero che collega tutti i buchi delle stragi quello tratteggiato da Roberto Scarpinato, in una memoria lunga 60 pagine inviata alla commissione Antimafia nelle scorse settimane. . La memoria a San Macuto – L’ex procuratore generale di Palermo, eletto in Senato dal M5s, ha lavorato su centinaia di atti investigativi, mettendo in risalto quelli che sono gli elementi in comune tra la cosiddetta strategia della tensione e le bombe degli anni ’90. Il risultato è un dossier che mette in fila i collegamenti tra le varie indagini sulle stragi e contemporaneamente prova a dare un‘impulso all’Antimafia per indagare su vari punti oscuri: per ogni elemento, infatti, Scarpinato propone una serie di audizioni di testimoni e acquisizioni di documenti. “Il rigetto della presente richiesta oltre che tradire i compiti e la missione istituzionale di questa Commissione, sarebbe un grave e inammissibile vulnus alle aspettative e al diritto alla verità storica dei familiari delle vittime, nonché una scelta che per il suo carattere ingiustificato incrinerebbe la stessa credibilità istituzionale della commissione, avallando l’interpretazione che per motivi politici di parte non si siano voluti svolgere approfondimenti concernenti il coinvolgimento nelle stragi di apparati statali e di soggetti appartenenti o comunque collegati al mondo politico“, scrive il senatore alla fine della sua memoria, insieme agli altri parlamentari del M5s a palazzo San Macuto. . L’indagine della Colosimo – All’inizio di settembre la presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo, ha anticipato l’intenzione di condurre un’indagine sulla strage di via d’Amelio, che comincerà con le audizioni di Lucia Borsellino e l’avvocato Fabio Trizzino. La decisione ha provocato il dissenso dei 5 stelle, che vorrebbero sentire anche Salvatore Borsellino e il suo legale, Fabio Repici. Il punto sul quale insiste Scarpinato, però, è soprattutto l’intenzione della presidente dell’Antimafia di lavorare solo su via d’Amelio, senza allargare il quadro a tutto il disegno stragista. Una scelta che per il senatore “appare incomprensibile e ingiustificata sia nel merito che nel metodo”. Intanto perché vuol dire che la commissione ammette il suo “disimpegno” a indagare su tutte gli altri eventi ancora oscuri: dall’incipit della strage di Capaci fino al fallito attentato allo stadio Olimpico. E poi perché “il filo conduttore che inanella le plurime e concordanti risultanze sulla compartecipazione di soggetti esterni a tutto il disegno stragista può essere individuato e ricostruito solo se si ricostruisce il quadro globale della sequenza stragista di quegli anni”. Insomma: secondo Scarpinato per indagare su via d’Amelio non si possono ignorare “pregiudizialmente e artificiosamente i nessi che collegano quella strage a quella di Capaci e a quelle successive”. L’ex magistrato ricorda che “molteplici e rilevanti risultanze processuali attestano infatti che i soggetti coinvolti con ruoli di depistaggio e di partecipazione occulta alla strage di via D’Amelio appartengono ai medesimi apparati e ai medesimi ambienti criminali operativi nella strage di Capaci del 23 maggio 1992 e in quelle del 1993″. . Neri, mafiosi e 007: stragi diverse, stessi uomini – Tutto il lavoro di Scarpinato mette in risalto come dalla strage di Bologna alle stragi del 1993 ritornino sempre gli stessi personaggi. Il primo esempio citato è quello di Paolo Bellini, esponente di Avanguardia nazionale, legato ad ambienti dei servizi segreti e condannato in primo grado per la strage del 2 agosto 1980, che era in Sicilia nel periodo delle bombe del ’92: oggi è indagato dalla procura di Caltanissetta come “suggeritore” degli obiettivi da colpire nel ’93, cioè i beni del patrimonio artistico del Paese. Il contatto di Bellini dentro Cosa nostra era Nino Gioè, uomo della famiglia mafiosa di Altofonte, che ai tempi degli obblighi di leva viene definito dai carabinieri come “giovane che offre fiducia per la sicurezza ed ritenuto idoneo a disimpegnare particolari incarichi di natura riservata”. Si chiede oggi Scarpinato: “Quali incarichi di natura riservata furono affidati al Gioè?”. Nella sua memoria il senatore fa notare che il mafioso di Altofonte era il contatto fornito dal pentito Francesco Di Carlo a tre esponenti dell’intelligence. Trafficante di droga con base in Inghilterra, accusato di essere l’assassino di Roberto Calvi, nel 1989 Di Carlo si trova nella prigione di Full Sutton, in Gran Bretagna, quando riceve la visita di tre persone, tutti agenti dei servizi: un tale Giovanni, che si era presentato come amico di Mario Ferraro, uomo del generale Giuseppe Santovito, già capo del Sismi; un secondo uomo di nome Nigel che si qualificò come uomo dell’intelligence inglese e un altro italiano, di cui Di Carlo non percepì il cognome. Che volevano gli 007 dal mafioso detenuto? Secondo Di Carlo gli chiesero un contatto con Cosa nostra per attuare un “piano di delegittimazione” del giudice Falcone, costringendolo ad andare via da Palermo. Lui li indirizzo verso Gioè, che era suo cugino. Tempo dopo il pentito riconobbe sul giornale la foto del terzo agente, quello di cui non aveva sentito il cognome: era Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo che negli anni successivi gestirà la collaborazione di Vincenzo Scarantino, il falso pentito al centro del depistaggio delle indagini sull’omicidio di Paolo Borsellino. “Esiste una connessione tra questa richiesta di La Barbera e il suo successivo ruolo nel depistaggio nelle indagini sulla strage di Via D’Amelio?”, chiede Scarpinato nel suo dossier. . Operazione Domus Aurea – Non si sa cosa fecero gli 007 dopo l’incontro con Di Carlo. Si sa, però, che pochi mesi dopo vennero ritrovati 58 candelotti di esplosivo nei pressi del villino che Falcone aveva preso in affitto all’Addaura, una borgata marinara di Palermo. La storia del fallito attentato al giudice del Maxiprocesso non fu mai chiarita del tutto. È dopo quell’episodio, però, che Falcone parla di “menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi”. A che si riferiva Falcone? Nella sua memoria Scarpinato riporta il contenuto di un dispaccio segreto di Gladio, cioè l’organizzazione paramilitare clandestina che aderiva a Stay Behind, l’operazione promossa dalla Cia in Europa in chiave anti comunista. Quel documento, scovato da un’inchiesta giornalistica e poi depositato agli atti del processo per l’omicidio del sociologo Mauro Rostagno, risale al 19 giugno dell’89 e incarica l’articolazione di Gladio a Trapani di eseguire un’operazione nei pressi di un villino all’Addaura. Il nome in codice dell’operazione è Domus Aurea, che per i romani era la casa dell’imperatore: due giorni dopo venne trovato l’esplosivo nei pressi della villa di Falcone. “Chi e per quali motivi ordinò quell’operazione?”, è la domanda posta da Scarpinato, che chiede alla commissione Antimafia di acquisire i 190mila documenti relativi a Gladio declassificati due anni fa dalla direttive del governo di Mario Draghi. . “Mattarella? Un caso Moro bis” – Per carcare di capire il ruolo di Gladio nel fallito attentato dell’Addaura l’ex procuratore generale di Palermo riporta un altro racconto del pentito Di Carlo, quello contenuto nel libro Dietro le stragi (di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, edito da Paper First): il mafioso spiega che alla fine degli anni ’70 aveva personalmente effettuato per conto dei servizi il trasporto di una grande quantità di armi e di esplosivo da San Vito Tagliamento, in provincia di Udine, fino alla Sicilia, dove il carico era stato ritirato da un furgone guidato da personaggi ignoti. “Quali erano i rapporti tra Cosa Nostra e Gladio?”, si chiede il magistrato. Che poi torna alle convinzioni di Falcone sull’omicidio Mattarella, il presidente della Regione Siciliana ucciso nel 1980. “Il problema di maggiore complessità per quanto riguarda l’omicidio Mattarella deriva dall’esistenza di indizi a carico anche di esponenti della destra eversiva quali Valerio Fioravanti“, raccontava Falcone alla commissione Antimafia nel 1988. “Questa – proseguiva il magistrato – è un’indagine estremamente complessa perché sì tratta di capire se e in quale misura ‘la pista nera‘ sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”. Fioravanti è stato condannato in via definitiva per la strage di Bologna mentre è stato assolto dall’accusa di aver assassinato Mattarella. Secondo Falcone l’omicidio del fratello dell’attuale capo dello Stato “è stato un caso Moro bis, l’esecuzione fu opera di killer mafiosi e di terroristi inviati dalla P2 e sostenuti, forse anche ospitati, dalla base Gladio di Trapani”. Il giudice ne parlà con lo scrittore Pino Arlacchi, che poi riportò la confidenza nel suo libro Giovanni e Io. “Sto ancora cercando riferimenti – spiegò Falcone – è una buona fonte negli ambienti di destra”. Chi era questa fonte di Falcone? Forse Alberto Volo, un professore palermitano che era stato paracadutista della Folgore e aveva militato in alcune formazioni della destra eversiva? Volo verrà sentito più volte da Falcone, raccontando quanto aveva appreso sull’omicidio Mattarella. La sua sicurezza era stata affidata ad Antonino Agostino, un poliziotto che ufficialmente lavorava al servizio Volanti del commissariato di San Lorenzo, ma che in pratica – come è emerso soltanto di recente – collaborava riservatamente con Falcone. Quando l’agente di Polizia verrà ucciso insieme alla sua giovane moglie, il magistrato dirà che quell’omicidio era “un segnale diretto contro di lui“. È per questo che muore Agostino? Perché conosceva i segreti confidati da Volo a Falcone? Ed è per lo stesso motivo che a Francesco Onorato era stato ordinato di assassinare lo stesso Volo? Scarpinato ricorda che Onorato, dopo essersi pentito, racconterà come quest’ordine provenisse da Riina ed era una richiesta fatta a Cosa nostra da Pierluigi Concutelli, il capo militare di Ordine nuovo. Un personaggio che Riina ammetterà implicitamente di conoscere nel 2012, quando intercettato in carcere lo definirà “massone“, in passato vicino a Bontade, il principe di Villagrazia ucciso per ordine dello stesso capo dei corleonesi nel 1981. . Il boss che non voleva le stragi – Scarpinato ritorna spesso sulle parole di Riina. Non solo sulle intercettazioni, ma anche su quelle riportate dai pentiti. Per esempio l’ex magistrato si chiede chi fossero i “personaggi importanti” che – come hanno raccontato i Onorato e Salvatore Cancemi – indussero il capo dei capi ad annullare l’ordine di uccidere Falcone a Roma, ordinando il rientro del commando guidato da Matteo Messina Denaro. Era il marzo del 1992: Falcone doveva essere assassinato a colpi di arma da fuoco nella Capitale. Invece, come è noto, sarà eliminato a Capaci, dove viene allestita una strage che ricorda modalità militari. Dopo l’eliminazione del giudice qualcuno riuscì a entrare nel suo ufficio al ministero della Giustizia, esaminando alcuni file presenti sul suo computer relativi a Gladio e ai delitti politici e cancellandone altri. “Come fu possibile tale ingresso abusivo in una stanza posta sotto sequestro, con quali complicità?”, chiede Scarpinato. Il senatore racconta anche la storia di alcuni delitti sullo sfondo delle stragi, rimasti a lungo indecifrabili. Come quello di Vincenzo Milazzo, il boss di Alcamo ucciso il 14 luglio del 1992, cinque giorni prima della strage di via d’Amelio. Poco dopo uccideranno anche la sua compagna, Antonella Bonomo. Per ammazzarlo si muove il gotha di Cosa nostra: Leoluca Bagarella, cioè il cognato di Riina, Giovanni Brusca, il boia della strage di Capaci e pure Antonino Gioè, il cugino di Di Carlo che era amico di Bellini. Perché viene ucciso Milazzo? “Perchè non voleva le stragi“, disse Gioè a suo cugino Di Carlo. Giustificazione confermata da Armando Palmeri, l’ex autista di Milazzo, che racconta di aver accompagnato il suo capo a tre riunioni con esponenti dei “servizi”, mai individuati. “Volevano mettere in atto una strategia di destabilizzazione dello Stato con bombe e attentati. Da quegli incontri Milazzo usciva molto turbato. Mi diceva: questi sono pazzi scatenati e che quello che volevano fare avrebbe portato alla fine di Cosa nostra e che non avrebbe portato beneficio a nessuno. Milazzo non era favorevole ma rispondeva con un ‘Ni’ a quel progetto. Se avesse detto no sarebbe stato un gran rifiuto e ci avrebbero ammazzato”, è il racconto del pentito, morto improvvisamente nel marzo scorso. Pochi giorni dopo doveva sostenere un confronto con Baldassare Lauria, un anziano medico di Alcamo ed ex parlamentare di Forza Italia, che secondo Palmeri aveva partecipato agli incontri con Milazzo. Il medico ha sempre respinto ogni accusa, ma nella sua memoria Scarpinato si chiede perché Lauria “è stato interrogato per la prima volta solo nell’anno 2020, ben sedici anni dopo” l’identificazione della Dia, avvenuta nel 2004. L’ex magistrato si chiede inoltre se c’è “un collegamento tra l’omicidio del Milazzo e la strage di via D’Amelio, con il coinvolgimento pure di uomini dei servizi interessati a fare sparire l’agenda rossa di Borsellino e sino ad oggi mai identificati”. . Cosa aveva scoperto Borsellino? – Da procuratore generale di Caltanissetta Scarpinato è il magistrato che ha dato avvio al processo di revisione per gli imputati ingiustamente condannati nei primi processi su via d’Amelio. Oggi, nel suo atto parlamentare, scrive che Borsellino aveva annotato sull’agenda rossa “tutte le informazioni che si apprestava a riferire alla procura di Caltanissetta e a verbalizzare in proprio per quanto di sua competenza”. Ecco perché se il diario fosse finito “nelle mani dei magistrati, lo scopo dell’accelerazione della strage sarebbe stato frustato. I mafiosi dopo avere fatto esplodere l’autobomba non potevano attardarsi a cercare e prelevare l’agenda rossa, perché potevano essere visti da qualcuno dalle numerose finestre degli appartamenti degli stabili circostanti. Tale compito doveva essere assolto da insospettabili che grazie alle loro credenziali pubbliche potevano subentrare sulla scena della strage senza destare sospetti”. Ma cosa aveva annotato Borsellino sull’agenda? Scarpinato incrocia le dichiarazioni di Agnese Borsellino, dei pentiti Gaspare Mutolo e Leonardo Messina e le parole pronunciate dallo stesso Borsellino nell’incontro a casa Professa del 25 giugno 1992, quando si era definito “un testimone” oltre che un magistrato. “Era venuto a conoscenza di notizie riservatissime e di portata dirompente non solo per i destini individuali di alcuni vertici dei servizi segreti e delle forze di Polizia, ma anche per i complici eccellenti della strage di Capaci ed i suggeritori della strategia stagista“, scrive Scarpinato nel suo dossier, ricordando che subito dopo la strage di via d’Amelio partì il depistaggio delle indagini. La procura di Caltanissetta, infatti, affidò le indagini “in violazione di tutte le regole di legge”, al Sisde di Bruno Contrada cioè “lo stesso soggetto che Borsellino aveva individuato come colluso con la mafia“. Una decisione che l’allora procuratore Gianni Tinebra prese nonostante Antonio Ingroia, all’epoca pm di Palermo, lo avesse allertato sul contenuto delle confidenze fatte da Mutolo a Borsellino proprio relative a Contrada. Che infatti pochi mesi dopo venne arrestato. . Le donne delle stragi – Il dossier preparato da Scarpinato si basa anche sul lavoro della commissione Antimafia nella precedente legislatura. Per esempio il senatore del M5s ricorda come l’indagine sulla strage di via dei Georgofili nel 2022 è arrivata a ipotizzare che al tritolo usato dagli uomini di Cosa nostra per imbottire il Fiorino trasformato in autobomba “venne aggiunta una ingente carica di esplosivo di natura militare, sicché la deflagrazione di siffatta micidiale miscela ebbe effetti ancor più devastanti”. Ma chi aggiunse quella dose supplementare di esplosivo? E ancora: chi erano le persone di sesso femminile avvistate sui luoghi delle stragi di Firenze e di Milano? “Tenuto conto che tali soggetti non potevano appartenere alle organizzazioni mafiose, di quali entità criminali esterne facevano parte? Quali erano gli interessi di cui tali entità erano portatrici?”, si chiede ancora Scarpinato. . Quella foto in un’armeria – Nel marzo del 2020 la procura di Firenze ha iscritto nel registro degli indagati Rosa Belotti, una 57enne di Bergamo accusata di aver guidato fino in via Palestro l’autobomba. I procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli sono convinti che la ragazza bionda indicata da alcune persone presenti sul luogo della strage sia la donna bergamasca. L’hanno individuata con un software, che ha incrociato l’identikit della donna, costruito sulla base dei racconti dei testimoni, con una vecchia foto che ritraeva una giovane: era stata ritrovata durante una perquisizione del settembre del 1993 in un villino di Alcamo, il paese da cui veniva Milazzo. Quell’abitazione, gestita da due carabinieri, nascondeva un gigantesco deposito di armi clandestino: all’epoca si disse che quelle armi servivano alla struttura di Gladio nel Trapanese, ma poi le accuse caddero. La foto, invece, è rimasta agli atti e molti anni dopo ha messo nei guai Rosa Belotti. La donna ha respinto le accuse: lei in via Palestro non c’era. Ma davanti a quello scatto, recuperato ad Alcamo, ha dovuto ammettere: “Si, quella nella foto sono io”. Oggi Scarpinato chiede all’Antimafia di recuperare tutti gli atti d’indagine relativi alla scoperta di quell’armeria: che tipo di armi custodiva? Cosa ci faceva in quella casa in provincia di Trapani la foto di una giovane di Bergamo? E’ un caso che quella ragazza sia particolarmente somigliante alla donna della strage di via Palestro, a Milano? . “Vogliono che facciamo rumore” – Alcamo è la città da cui veniva Milazzo, il boss che non voleva partecipare al piano di destabilizzazione dello Stato. Dopo il suo omicidio, il posto di capomafia viene preso da Giuseppe Ferro, uno degli organizzatori della strage di via dei Georgofili. Da collaboratore di giustizia Ferro racconterà che dopo Firenze si ipotizzò di colpire anche a Bologna. Fu Bagarella a chiedergli un appoggio nel capoluogo emiliano. Ma Ferro obiettò: “Se noi ammazziamo i carabinieri non interessa a nessuno, se ammazziamo il magistrato non interessa ancora a nessuno, ma quando muoiono donne, bambini non ti può più vedere nessuno e noi altri abbiamo contatti con tutto il Paese”. Bagarella rispose fermo: “Peppe, vogliono che facciamo scruscio“. Fare scruscio in siciliano vuol dire fare rumore. In que contesto “fare rumore” voleva dire uccidere civili inermi, colpire i monumenti e terrorizzare la popolazione. Chi è che poteva chiedere una cosa del genere a Cosa nostra? Chi erano i suggeritori esterni delle stragi del ’93? Se lo chiede Scarpinato e vorrebbe che se lo chiedesse tutta la commissione Antimafia. . Giuseppe Pipitone, Il FQ
Questo è un messaggio popolare. Roberto M Inviato 27 Settembre 2023 Questo è un messaggio popolare. Inviato 27 Settembre 2023 I pipponi del Fatto Putiniano !! Sopraundici, ma veramente pensi che siccome li copiincolli qualcuno li legge ? 2 1
macmac1950 Inviato 27 Settembre 2023 Inviato 27 Settembre 2023 2 minuti fa, Roberto M ha scritto: Sopraundici
Jack Inviato 27 Settembre 2023 Inviato 27 Settembre 2023 24 minuti fa, Roberto M ha scritto: Sopraundici ma neanche… è “fino-a-undici” in realtà 😁
UpTo11 Inviato 29 Settembre 2023 Autore Inviato 29 Settembre 2023 Il 27/9/2023 at 22:36, Jack ha scritto: Il 27/9/2023 at 22:11, Roberto M ha scritto: Sopraundici ma neanche… è “fino-a-undici” in realtà 😁 .
Messaggi raccomandati