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Melius Club

Le notizie da Bar (thread unico)


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16 minuti fa, ferdydurke ha scritto:

peccato che la Turchia di Europa non abbia nulla,

Al tempo la Turchia era realmente indirizzata a diventare in tutto e per tutto un paese occidentale, era il paese in cui fioccavano gli investimenti stranieri perché era considerato in prospettiva il paese economicamente più interessante, usi e costumi seguivano a ruota il desiderio di Europa, poi ci fu il dietrofront di Erdogan per interessi elettorali.

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Ha ragione @Martin


https://www.oasiscenter.eu/it/turchia-economia-emergente-europa

Fuori dalla crisi globale

È in questo contesto che nel 2002 il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) vince le elezioni, ottenendo il 34% dei voti ma la maggioranza in Parlamento grazie alla legge elettorale. Come il Partito Democratico cinquant’anni prima, l’AKP si rivolge prioritariamente agli “esclusi” dalla strategia di sviluppo, a cominciare dalle popolazioni che, per effetto dell’esodo rurale, si sono insediate in massa nelle bidonville delle periferie delle grandi città. In seguito il partito avrebbe aumentato la sua forza elettorale grazie ai successi economici dei governi del leader Recep Tayyip Erdoğan: 47% dei voti alle elezioni del 2007 e 50% a quelle del 2011.

Islamisti, i dirigenti dell’AKP sono anche pragmatici, pienamente convinti che la prosperità sia la migliore garanzia per conservare il potere. Liberandosi dalle derive delle vecchie élite e non sottraendosi alle riforme necessarie per far uscire il Paese dalla grande crisi del 2001, sono riusciti a conciliare le esigenze della politica di stabilizzazione raccomandata dal FMI con quelle indotte dalla candidatura per l’adesione all’UE.

La prospettiva di adesione, con i progressi istituzionali che essa implica, è servita al Paese da ancoraggio esterno. La stabilità dei prezzi, obiettivo prioritario della politica economica, è assicurata da una politica di bilancio molto severa e da una serie di misure che puntano a risanare le finanze pubbliche, ristrutturare e ricapitalizzare il sistema bancario e garantire l’indipendenza della banca centrale.

Queste riforme dei primi anni del 2000 hanno permesso alla Turchia di superare rapidamente la crisi globale del 2008-2009 e di far registrare in seguito tassi di crescita del PIL tra i più elevati al mondo, dopo la Cina e l’India: +9.2% nel 2010 e +8.5% nel 2011. Con un deficit e un debito pubblico pari rispettivamente all’1% e al 39% del PIL, nel 2011 la Turchia soddisfa i criteri di Maastricht. Le esportazione turche sono ormai composte per il 75% di prodotti industriali, in particolare veicoli da trasporto. Tuttavia la crescita turca ha i suoi effetti indesiderati che si traducono soprattutto in un forte deficit delle partite correnti (11% del PIL nel 2011) causato dalla debolezza del risparmio e da un’insufficiente competitività strutturale.

Un punto di svolta

Il settore informale impiega oggi il 40% della popolazione attiva (il 25% se si esclude l’agricoltura). La manodopera è spesso poco qualificata. Il tasso di partecipazione femminile all’attività economica resta molto fragile (29%). Anche se le imprese anatoliche contribuiscono molto più che in passato all’attività economica, permangono preoccupanti disparità di sviluppo tra l’Est e l’Ovest del Paese: il reddito pro-capite della regione più ricca della Turchia, Marmara, è tre volte superiore al reddito dell’Anatolia sud-orientale, la regione più povera. Nella sola regione di Marmara si concentra il 45% del PIL e il 31% della popolazione. La Turchia moderna si trova a un punto di svolta nella sua storia economica e politica. Se per lungo tempo si è sviluppata ispirandosi al modello occidentale, è sotto i governi “democratici musulmani” che, a partire dai primi anni del 2000, essa ha saputo riformarsi profondamente e porre fine agli errori del passato, e questo più sul piano economico che su quello politico.

Le politiche economiche praticate nell’ultimo decennio hanno reso l’economia turca ben più robusta di quanto non lo fosse nei periodi precedenti. Ma la crisi dell’eurozona e il rallentamento della crescita in Europa da un lato, la grande instabilità che prevale alle frontiere meridionali e orientali dall’altro, mettono a dura prova questa ascesa economica. Infatti, anche se la quota di esportazioni turche che essa assorbe è significativamente diminuita, l’Europa continua a essere il principale mercato della Turchia e la Primavera Araba ha parzialmente messo in discussione la riorganizzazione degli scambi verso i Paesi arabi. Vi è poi un altro motivo di preoccupazione: dopo dieci anni passati al potere, il governo manifesta tendenze autoritarie, come dimostrano i ricorrenti attacchi alla libertà di espressione. Queste tendenze sarebbero indubbiamente contenute se la prospettiva di adesione all’Unione Europea restasse viva. Ma l’Europa non fa avanzare i negoziati di adesione avviati nel 2005. In questo contesto geopolitico la Turchia si vede costretta, di nuovo in una certa solitudine, a ritrovare la propria strada che le permetta di proseguire nel recupero del ritardo economico e affermare il suo status di potenza regionale.

 

 

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