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Limiti del comunismo e miti della perizia in borsa


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Inviato

….poi anche riguardo alla musica, mettendo da parte i compositori classici (di cui, ammetto, poco so e poco mi interessano) da quella parte di mondo non è venuto nulla. Il jazz, il blues, il rock, l’elettronica, insomma tutte le rivoluzioni/innovazioni musicali del 900 nascono e si sviluppano in tutt’altra parte di mondo (guarda caso sempre quella).

Inviato

@micfan71 ho parlato di controintuizione. Quello intendevo, guidare secondo logica  e non farsi guidare dal buonsenso e dal luogo comune. Non volevo andare OT, se è così mi scuso, non volevo far deragliare la discussione ma utilizzare un esempio famoso per dimostrare che le nostre certezze spesso sono basate su logiche  intuitive più che corrette. 

Inviato

Per esempio, durante le lezioni di fisica tecnica, un problema applicativo era quello di calcolare lo spessore minimo di isolante su un tubatura che massimizzasse l'effetto.

 

Con le formulette si arrivava alla soluzione, con la controintuitiva ricaduta che lo spessore minimo era anche l'unico giusto, nel senso che uno spessore maggiore avrebbe ridotto l'efficacia!

 

Tutto bello e interessante, ma c'entra nulla col tema del 3d

Inviato

@31canzoni ho postato l'ultimo intervento prima di leggere il tuo ultimo...😅

 

Comunque sì, tutto chiaro, era solo un inciso, non polemico👍

  • Thanks 1
briandinazareth
Inviato
2 ore fa, Superfuzz ha scritto:

Ma di che dati stai parlando?! L’economia sovietica, tutte-senza eccezioni-le economie di stampo collettivista sono un colabrodo, un insieme di inefficienza, burocrazia e corruzione. Tra i tantissimi e restando pure a sinistra, leggiti i racconti di Tiziano Terzani. Ma per favore su.

 

Ma Io sono più radicale di te, anche in un comunismo perfetto, con l'uomo nuovo, senza burocrazia ecc quell'idea economica non poteva funzionare, per i limiti intrinsechi dell'economia pianificata dei quali parlavo all'inizio.

Inviato
2 ore fa, Superfuzz ha scritto:

guarda caso sempre quella).

Si dovevano far perdonare per il resto 

Inviato

Di controintuitivo (ma non per questo valido:classic_laugh:) ci sarebbe anche l'altra verità rivelata

della religione comunista: l'ingiustizia della proprietà privata...

 

Inviato
5 ore fa, senek65 ha scritto:

il paese più terrorizzato e avverso anche alla più pallida idea di comunismo è pure il paese più individualista di sempre 

Uno strano caso sono i paesi scandinavi: In media sono brutalmente individualisti, persino all'interno delle stesse famiglie (!)  ma socialmente hanno realizzato quanto di più simile ad un "comunismo" ben funzionante esista al mondo. 

Inviato
1 ora fa, Martin ha scritto:

ma socialmente hanno realizzato quanto di più simile ad un "comunismo" ben funzionante esista al mondo. 

Hanno solo costruito un welfare molto generoso in un contesto di economia di mercato che redistribuisce parte della ricchezza prodotta, in assenza della quale non esisterebbe quel welfare e quella società.

Analizzare in un sistema complesso un solo fattore, ignorando tutti gli altri, per dimostrare che siccome uno in teoria non potrebbe funzionare gli altri praticamente non sarebbero responsabili del fallimento e un ragionamento fallace in partenza.

Inviato

Per la costruzione di società inclusiva e solidale ha storicamente fatto sicuramente di più la religione cattolica del comunismo nello stesso lasso di tempo.

Inviato

https://lanostrastoria.corriere.it/2019/01/20/la-terza-via-italiana-tra-corporativismo-new-deal-e-prima-repubblica/
 

La “Terza via italiana” tra Corporativismo, New Deal e Prima Repubblica

Dino Messina

20 gennaio 2019 - 23:36

di 

di Eugenio Di Rienzo

Le cesure nette tra epoche storiche sono spesso semplificazioni che nascondono fiumi carsici e continuità più evidenti di quello che possano sembrare. Questa banale affermazione, valida per molte «fratture» come quella tra Medioevo e Rinascimento, comincia ad affacciarsi anche nel campo della storia contemporanea, in particolare in uno dei terreni più scivolosi per tutti gli storici e cioè il ventennio fascista. Oltre all’irreggimentazione della vita pubblica e al soffocamento del pluralismo politico e sindacale, durante il regime emersero, infatti, alcuni aspetti sociali destinati a durare ben oltre il 1945.

Un recente libro, «La Terza via italiana. Storia di un modello sociale» (Castelvecchi, 2018), opera di Francesco Carlesi, ha voluto indagare a fondo questi elementi, partendo da un accurato studio del corporativismo. La «Terza Via» proposta dal regime voleva affermare un modello alternativo sia al comunismo che al capitalismo, attraverso la collaborazione di classe e la programmazione economica. La difficoltà e la gradualità nell’edificazione di nuove strutture (le Corporazioni videro la luce nel 1934, la Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939), i clamorosi passi indietro di Mussolini non impedirono passi significativi sul piano dello Stato sociale, della contrattazione collettiva e dello sviluppo industriale.

Tutti elementi che hanno lasciato profonde tracce nel dopoguerra, tanto che Sabino Cassese ha affermato: «Si pensi alla continuità tra alcune affermazioni del Codice Civile del 1942 (e della stessa “Carta del Lavoro” del 1927) e talune disposizioni della Costituzione (ad esempio, quelle in tema di proprietà e iniziativa economica); si pensi alla proposta fatta da un sindacalista socialista, nel dopoguerra, di mantenere in vita le Corporazioni, democratizzandole; si pensi alla continuità costituita dal permanere in vita di tanta parte della legislazione del periodo 1930–1940, spesso costituita da norme che erano il frutto del naturale processo di adeguamento delle istituzioni al mutare delle condizioni economiche e sociali».

L’idea corporativa, con tutte le sue fragilità, contraddizioni, promesse non esaudite, clamore propagandistico, risultati non pervenuti, permise a molti economisti e intellettuali di recitare un ruolo all’interno della stagione di più intenso ripensamento delle teorie economiche classiche a livello internazionale. Sono gli anni di Keynes, del «piano», dei decisi interventi pubblici in economia per combattere la crisi. Al corporativismo guardano non solo i regimi dittatoriali, ma anche Roosevelt e i tecnici del New Deal. L’euforia intellettuale si spegne nel sangue e nei dolori della guerra, che farà cadere nell’ombra la riflessione sociale del ventennio dopo l’effimera socializzazione delle imprese condotta dopo il settembre 1943 sotto gli occhi del sospettoso invasore germanico. Ritornata la democrazia, già nella Costituente, «è chiaro che le nuove generazioni, quelle che si erano formate nella palestra del dibattito del corporativismo, non fecero un grande sforzo ad adattarsi al tipo di discussione che si andava formando», ha rilevato Piero Barucci. Il riferimento è qui a uomini come Moro, Fanfani e l’economista Vito. Inoltre, una serie di enti quali l’Iri e l’Agip, da cui Mattei creerà l’Eni, faranno da cornice al boom economico e ad un modello misto pubblico/privato che reggerà per decenni.

Carlesi, padroneggiando la più storiografia sul tema, ci guida in questo lungo percorso citando esperienze come quella dei governi democristiani, del centro-sinistra, di Adriano Olivetti, del Psi di Craxi. Dagli anni ’90, la globalizzazione, il peso della finanza internazionale, la miope politica dell’Unione Europea hanno pressoché annichilito il modo di intendere il ruolo dello Stato nella sfera economica.

L’exception française della Quinta Repubblica gaullista (e cioè il ruolo di stimolo e di contrappeso delle istituzioni pubbliche verso le debolezze, gli atteggiamenti parassitari e le derive iperliberiste dell’iniziativa privata) e l’”eccezione italiana” della nostra Prima Repubblica sono scomparse all’orizzonte. Le conseguenze di questo cambiamento attendono, certo, ancora un giudizio definitivo, ma, oggi, sicuramente anche per altri fattori (esogeni e endogeni), la posizione nostro Paese sembra perdere terreno ogni giorno di più mentre la “mano nascosta” del mercato (Adam Smith), perso il suo effetto benefico e priva di ogni fattore correttivo, stringe alla gola le classi basse e medie dei popoli europei.

Inviato

Non condivido le conclusioni ed in parte l’analisi, ma credo che l’articolo sia centrato con il thread.

Inviato
4 ore fa, Martin ha scritto:

ma socialmente hanno realizzato quanto di più simile ad un "comunismo" ben funzionante esista al mondo. 

Perché hanno molti più soldi di quelli che gli servirebbero.

Per cui, alla fine, diventa,  purtroppo,  una mera questione di denaro.  Che, sarebbe bene ricordarlo, non è una risorsa naturale,  ma  un'invenzione umana praticamente infinita.

 

Inviato
9 ore fa, senek65 ha scritto:

Si dovevano far perdonare per il resto 

tipo il Piano Marshall

  • Haha 2
Gaetanoalberto
Inviato

Poteva essere un bel TD però.

Non ho capito molto il,sia pure elegante, fervore.

Non c'è dubbio che il crollo dei paesi di oltre cortina sia avvenuto per la crisi di uno stato incapace di provvedere non tanto ai bisogni fondamentali, quanto a quelli di progresso, benessere e miglioramento della qualità di vita che il confronto con l'occidente ha fatto impietosamente emergere.

Presupposto di una pianificazione rigida è l'autoritarismo.

Se combini autoritarismo, scarsa qualitá e carenza dei beni ricbiesti dei cittadini, te li trovi ad abbattere i muri.

Il mercato "libero" di far incontrare domanda ed offerta si è rivelato più efficace, ma non ha ancora vinto del tutto la battaglia, visto quel che può accadere in ordine all'approvvigionamento delle materie prime ed alla crisi demografica.

Si è ragionato poco di ruolo dello stato.

Una visione più ampia potrebbe sorprenderci, e far scoprire che, con tutti iimiti delle nostre critiche, si sono sviluppati meglio gli stati in cui l'organizzazione politica ha funzionato meglio, intercettando comunque meglio il consenso dei consociati ma non limitandosi a ratificarlo, promuovendo anche il progresso culturale e dei costumi.

Occidente è una definizione fluida, come economia di mercato, che si presenta con diverse sfumature.

Quanto al mercato azionario, la divinazione non esiste e non è raro che gli eroi del giorno si trasformino nei fessi del giorno dopo. Che poi siano naturali ed ed avicoli la cresta ed il bargiglio del gallo, finché campa e gli va bene, non ci piove.

Tuttavia questi mercati possono esistere solo perchè la libertà è mediata da regole.

Dove queste mancano, abbiamo le crisi di Wall Street e i lanci dal 50mo oiano.

 

 

  • Melius 2
Inviato
4 ore fa, senek65 ha scritto:

Perché hanno molti più soldi di quelli che gli servirebbero.

Secondo me è sopratutto una questione di cultura sociale, già agli inizi del '900 un giornalista americano nello scrivere un reportage sui paesi scandinavi raccontava con un certo stupore: "Da queste parti in pochissimi posseggono due giacche, ma nessuno ne è privo" - e allora erano paesi relativamente poveri, sicuramente lo erano a confronto di USA e UK (cioè della opinione pubblica cui quel giornalista si rivolgeva) 

Certo potrebbero  anche aver organizzato un piccolo mondo con circolazione di denaro ultra-forzosa (tipo soldi del monopoli) ma poi da quel piccolo mondo dovevano anche uscire, commerciare, viaggiare, etc,  e sono tutte cose che agli scandinavi riescono benissimo da decenni. 

Inviato
14 ore fa, Superfuzz ha scritto:

Tiziano Terzani.

che grande persona.

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