LUIGI64 Inviato 29 Giugno 2024 Autore Inviato 29 Giugno 2024 In un corso di lezioni sulla filosofia della religione, Hegel osserva che l’oggetto della religione sarebbe “Dio e soltanto Dio” . Neanche il buddhismo costituisce un’eccezione. Cosí Hegel semplicemente equipara il centrale concetto buddhista di “nulla” a Dio: Il nulla e il non-essere è la realtà ultima e suprema. Solo il nulla ha vera autonomia, tutta la restante realtà, tutto il particolare non ne ha alcuna. Dal nulla è scaturito il tutto, il tutto ritorna nel nulla. Il nulla è l’Uno, l’inizio e la fine di tutto. […] Di primo acchito non può non colpire il fatto che l’uomo pensi Dio come nulla; la cosa non può non sembrare molto strana. Ma ad un esame piú attento, questa determinazione non significa altro che questo: Dio non è assolutamente niente di determinato , egli è l’indeterminato; non c’è alcuna determinazione, di qualsiasi genere, che si addica a Dio; egli è l’infinito. Infatti, quando diciamo: Dio è l’infinito, ciò significa: Dio è la negazione di tutto ciò che è particolare. Hegel interpreta dunque il buddhismo come una forma di teologia negativa. Il “nulla” esprime la negatività di Dio, il fatto che egli si sottrae a ogni determinazione positiva. Tratto da: Filosofia del buddhismo zen ( Byung-Chul Han - ha studiato filosofia e letteratura tedesca, teologia cristiana a Friburgo in Brisgovia e a Monaco di Baviera. Ha ricevuto il Ph.D. nel 1994 con una tesi su Martin Heidegger. Nel 2000 si è trasferito all'Università di Basilea, dove si è abilitato all'insegnamento universitario di filosofia. Nel 2010 è diventato professore e dal 2012 insegna all'Universität der Künste Berlin)
LUIGI64 Inviato 1 Luglio 2024 Autore Inviato 1 Luglio 2024 Sempre tratto da Il respiro religioso dell'Oriente (A. Natale Terrin)
LUIGI64 Inviato 14 Luglio 2024 Autore Inviato 14 Luglio 2024 I Conquistatori insegnarono la vacuità allo scopo di eliminare tutte le visioni filosofiche apprese. Perciò è detto che chiunque abbia una visione filosofica senza la “vacuità” è davvero perduto. (Nagarjuna, Madhyamakasastra) Il Buddhismo giammai ha preteso di essere una “teoria”, o una sorta di spiegazione dell’universo; esso invece è una via di salvezza, un modo di vivere… (E. Zurcher, La Conquista Buddista della Cina) ...Da parte mia, io suggerisco che il Madhyamika venga letto come un tentativo radicale ad abbandonare le ossessioni verso un Assoluto metafisico che dominò il pensiero filosofico e religioso dell’India post-Upanishadica.... ...L’intelletto, quando è adeguatamente disciplinato tramite lo studio della filosofia destrutturativa del Madhyamika, è una potente ed efficiente guida che può indirizzare il bodhisattva nella direzione corretta e può anche condurlo lungo la Via per una certa distanza. Modelli ereditati di concettualizzazione, percezione, e uso linguistico impongono che noi si svaluti il razionalismo come mero pensiero discorsivo o che si metta un premio sulla precisione logica, oppure che si faccia simultaneamente entrambe le cose, frammentandoci in componenti intellettuali e spirituali che possono essere ricuciti insieme solamente tramite il potere della fede. Qui, come altrove, il Madhyamika apre una via intermedia tra questi due estremi. Il pensiero razionale dovrebbe poter essere usato, dato che esso è uno strumento particolarmente efficace, ma nulla più di uno strumento, ed il solo pensiero critico non è sufficiente per produrre l’attualizzazione della vacutà. Il risultato dell’analisi destrutturativa deve essere portato a maturare nella personale esperienza. La solida presa intellettuale della struttura simbolica della filosofia Madhyamika deve essere coltivata tramite la pratica. Per procedere, i bodhisattva devono imparare a cessare di aggrapparsi a qualunque concetto di “verità” e “realtà” - inclusa la vacuità - aspettando pazientemente e osservando con tutta la loro attenzione intensamente focalizzata, tramite la meditazione, la struttura di interpenetranti relazioni che gradualmente viene rivelata tramite lo studio dei testi e la riflessione critica su ciò che è stato appreso... Tratto da: Una Introduzione all'antico MADHYAMIKA indiano - La vacuità della vacuità Tratto da Insegnamenti di Gheshe Namghyal Wangchen di C. W. Huntington
LUIGI64 Inviato 30 Luglio 2024 Autore Inviato 30 Luglio 2024 Tra questi giganti della fisica moderna, Werner Heisenberg ha avuto l’influenza di gran lunga più rilevante sul mio pensiero. Da giovane studente a Vienna, lessi il classico di Heisenberg, Fisica e filosofia, in cui l’autore fornisce un vivido resoconto delle prime indagini sui fenomeni atomici e subatomici da parte dei pionieri della fisica quantistica. I loro esperimenti li misero in contatto con un mondo strano e inatteso. Nello sforzo di afferrare questa nuova realtà, divennero penosamente consapevoli che i loro concetti fondamentali, il loro linguaggio e il loro intero modo di pensare erano inadeguati a descrivere i fenomeni atomici. I loro problemi non erano di carattere meramente intellettuale, ma comportavano un’intensa crisi emotiva e, si potrebbe dire, perfino esistenziale. Qualche anno dopo aver letto il libro di Heisenberg, mi ricordai delle sue vivide descrizioni di quei paradossi quantistici quando lessi dell’uso di enigmi paradossali, noti come koan, quale mezzo di insegnamento nel buddismo Zen. Immediatamente scorsi alcune sorprendenti analogie tra queste due aree – la fisica quantistica e lo Zen – e queste analogie si approfondirono quando cominciai a studiare più sistematicamente le tradizioni spirituali orientali. A quell’epoca, verso la fine degli anni sessanta, in Europa e negli Stati Uniti c’era un forte interesse per le tradizioni spirituali orientali, e molti libri di carattere accademico sull’induismo, il buddismo e il taoismo venivano pubblicati da autori sia orientali sia occidentali. Anche in alcuni di quei libri si accennava a paralleli tra queste tradizioni e la fisica moderna. Per me, collegare la fisica e il misticismo fu in un primo tempo un esercizio puramente intellettuale. Mi ci vollero diversi anni per superare il divario tra pensiero razionale, analitico e coscienza meditativa, per fare esperienza di come la mente possa fluttuare liberamente, di come le intuizioni spirituali vengano spontaneamente, senza alcuno sforzo, emergendo dalla profondità della coscienza. Tratto da: Le relazioni della vita (F. Capra)
LUIGI64 Inviato 13 Agosto 2024 Autore Inviato 13 Agosto 2024 Tra l'altro, ricorda l'espressione Cristiana: sia fatta la Tua volontà Tratto da: Il salto di Steve Taylor 1
LUIGI64 Inviato 21 Agosto 2024 Autore Inviato 21 Agosto 2024 La mia passata esperienza mi aveva portato a conoscere intimamente vari tipi e livelli di silenzio. C’è un silenzio interiore; c’è un silenzio che discende dall’esterno; un silenzio che ferma l’esistenza e un silenzio che inghiotte l’universo intero. C’è un silenzio del sé e delle sue facoltà: volontà, pensiero, emozione. C’è un silenzio in cui non c’è nulla, un silenzio in cui c’è qualcosa; c’è infine il silenzio del non-sé e il silenzio di Dio. Se esistesse un sentiero su cui poter segnare le tappe della mia esperienza contemplativa questo sarebbe il sentiero sempre più vasto e profondo del silenzio... Quando la gioia che mi dava il vuoto cominciò a svanire, decisi di rinvigorirla trascorrendo qualche tempo in solitudine, e in contemplazione del mio vuoto sé. Quantunque il nucleo centrale del sé fosse scomparso, ero sicura che il vuoto che restava, con il suo silenzio e la sua gioia, fosse Dio stesso. Così un giorno, con una decisione totalmente edonistica, mi sistemai comodamente e volsi lo sguardo al mio interno. Quasi immediatamente, lo spazio vuoto cominciò ad espandersi, e si espanse così rapidamente da dare l’impressione che potesse esplodere. A questo punto avvertii alla bocca dello stomaco la sensazione di chi precipita per cento piani in un ascensore non-stop e sentii che nella caduta mi veniva aspirato ogni senso di vita. Al momento di toccare terra, la consapevolezza: quando non c’è sé personale, non c’è neppure Dio personale. Vidi chiaramente come i due procedano insieme: quantunque non abbia mai scoperto dove siano andati. E tuttavia, se c’è un aspetto del viaggio che vorrei veramente mettere in risalto questo è l’evidente necessità di venire infine a patti con quel nulla e quel vuoto dell’esistenza che a me sembrarono l’equivalente del vivere, una volta che mi trovai senza Dio o un qualche suo sostituto. Soltanto quando accadde questo, solo quando l’adattamento a una vita senza realtà ultima fu completo, quando non restò più né speranza né fede, solo quando dovetti finalmente accettare l’esistente, realizzai all’improvviso che l’esistente è la verità stessa e tutto ciò che È. Dovetti scoprire che è solo quando ogni singola idea ed esperienza interiore, conscia ed inconscia, si è estinta, completamente estinta, che la rivelazione della Verità diventa possibile. Quantunque non abbia potuto stabilire con precisione quando il viaggio si sia concluso, tendo a calcolarne la fine in coincidenza col momento in cui non riuscii più a scorgere relative differenze fra l’avere il sé e il non averlo, o col momento in cui mi venne a mancare del tutto la sensazione della quiete interiore. Originariamente, la consapevolezza del non-sé era semplicemente la consapevolezza dell’assenza del sé con tutte le sue abituali reazioni, sentimenti, emozioni, pensieri, esperienze. In questo senso, la consapevolezza del non-sé è puramente relativa a ciò che è stato il sé. Ma via via che, col processo di adattamento e aggiustamento a un nuovo modo di vivere, la distanza fra i due aumenta, l’antica vita-col-sé sbiadisce sempre più fino a svanire del tutto: e con essa sparisce il relativo contrasto. Questo significa che non si è più consapevoli del silenzioso, calmo, imperturbabile non-sé, che è stato tanto necessario per compiere il viaggio, particolarmente nel Grande Passaggio. Così, con lo svanire del non-sé seppi che il viaggio era finito; oramai era soltanto un evento passato: e come tutti gli eventi passati, via via che recede nella memoria e perde la sua importanza per il qui e ora, esso sempre più impallidisce e si spegne. Tratto da: L'esperienza del non-sé (Bernadette Roberts) Interessante esperienza, in quanto trattasi di una religiosa mistica cattolica
LUIGI64 Inviato 28 Agosto 2024 Autore Inviato 28 Agosto 2024 La più elementare delle ragioni addotte è che interrompendo la propria attività di pensiero, l’individuo umano si espande al di là dei propri limiti personali, diventando ricettivo a un totalmente altro che potrebbe cogliere l’occasione per manifestarsi in lui; si mette in ascolto dell’“intimo”, cioè di ciò che è ancora più profondo della propria interiorità personale; e si immerge nel silenzio per prestare attenzione ad un verbo che si presume non abbia nulla a che fare con le parole del linguaggio articolato. Un’altra ragione connessa è che Dio, questo ideale regolatore della maggior parte delle correnti della vita contemplativa, così come della morale kantiana, non è, forse, altro che ciò che si mostra alla coscienza ordinaria come vertigine di assenza. L’uomo, affermano i fondatori del giudaismo hassidico, unendo tra loro le due ragioni menzionate, deve diventare vuoto come un corno d’ariete scavato servendo da richiamo annunciatore (un shofar in ebraico), se vuole permettere “alla voce divina di risuonare in lui”. Deve “annullare il suo io, svuotarsi di sè stesso” per realizzare infine che egli “dimora nel seno stesso del nulla” della vita divina. L’autore anonimo del testo mistico medievale in lingua inglese, The Cloud of Unknowing, non dice altro quando indica che la pratica dell’orazione ha come unico scopo di stendere “una nube di oblio tra voi e tutta la creazione”, e di prepararvi, attraverso ciò, a contemplare questo “nulla” nel suo “non luogo”, che il senso interiore riconosce come “tutto”. Un’ultima ragione, infine, esplicita la precedente pur correggendola del suo residuo di ingenuità. Invece di affermare che Dio non possiede l’essere ma, al contrario, tutto ciò che è si ritrova ad essere riempito da lui, e anziché dichiarare che Egli non è “niente di ciò che è”, si ha l’improvvisa intuizione che continuare a evocare “Dio” perfino in questa negazione (contrapponendolo a qualcosa che non è, e brandendolo, volenti o nolenti, come un’entità a parte), equivale paradossalmente a restare prigionieri della matrice intellettiva che ce “lo” rende inaccessibile. Per poter superare quest’ultimo ostacolo inatteso, bisogna avere il coraggio di sostituire “essere niente” con “niente”; niente di definito che possa fungere da predicato a qualcosa tramite la copula “è”; un niente forse analogo a quello dell’esperienza pura, che condiziona la manifestazione pur senza essere qualcosa di manifesto. Perciò, per comprendere questa verità ultima che non si rivela se non perdendo la sua ultima ed eminente denominazione, fa notare Meister Eckhart, bisogna farsi simili ad essa, lasciarla distendere su di sé fino a cancellare i confini tra la conoscenza, l’apparizione, e l’essere del vero. Il genere di verità qui evocato è prossimo all’estasi del sentire, di cui solo gli artisti sono capaci di esprimere l’intensità; è simile a quello “stupore” del contatto sensibile in cui il soggetto stesso della sensazione si perde in essa, dove “muore” annegato nel suo oceanico splendore, e dove non rinasce che contrapponendosi (temporaneamente) ad essa. Solo che la verità eckhartiana necessita di una generalizzazione dello stupore nella quale ogni modalità di coscienza possa acquisire l’intensità e l’autenticità del sentire dopo aver demolito i filtri interpretativi che rischierebbero di distanziarcene. Tutte le interpretazioni devono essere vagliate, approfondite e infine dissipate come un velo di nebbia, per rendere possibile questo rapimento ineffabile del vero. “Prima che esistessero delle creature”, scrive Eckhart (ovvero prima di qualunque possibilità per loro di interpretare e categorizzare), “Dio non era Dio, Egli era ciò che era”. Il non-interpretato, l’acategoriale per eccellenza, non si lascia catturare da una categoria particolare, e soprattutto non da una categoria teologica che esorterebbe a escludere qualcosa o qualcuno. Egli è ciò che è; Egli è tale; dove “tale” dissolve fino a l’“Egli” introduttivo. Qui possiamo vedere meglio come interpretare i paradossi dell’autore del Cloud of Unknowing: non essere questo o quello non vuol dire ridursi al nulla (annullarsi), ma semplicemente, quasi con innocenza, essere tale; essere, cioè, pienezza di determinazioni senza alcuna limitazione da parte di qualsivoglia determinazione particolare e infine essere pregno di tutto. Di conseguenza, per scivolare in lui, per farmi simile alla sua anelata verità senza pretendere di afferrarla (poiché significherebbe perderla), “io prego Dio di liberarmi da Dio”. Io lo prego (ma chi è “lui”, chi è “io”?) di liberarmi dalle pastoie mentali che mi spingono a pregare “lui” piuttosto che un altro, di impedirmi di dare alla mia ricerca forma di preghiera, o altra forma o nessuna forma; in altre parole, io lo prego di evitare che io “lo” determini in atto. Se mi avvalgo del veicolo dello stato di credenza, qui rappresentato dall’atteggiamento di preghiera, è solo per trasportarmi lontano dalle sue strettoie, presso la sorgente generativa, che non si cura dei limiti e del vocabolo stesso che tenta invano di definirla. ...Al termine di un tale lavoro di disgregazione, per non dire di sbriciolamento, dell’apparire, risulta evidente che qualsiasi entità con vocazione alla generalità, o con una pretenzione pur debole di permanenza, non può che essere considerata come una disposizione convenzionale di fugaci fenomeni. né gli universali concettuali, né la sostanza imperitura, né soprattutto la persistenza dell’“ego”, possono essere considerati se non come mere attribuzioni fittizie aventi finalità pratiche e funzione di pseudo-collante per una realtà che appare frammentaria e intermittente. Anche se la profondità di questa decostruzione della stoffa del mondo può risultare perturbante per chi la comprenda, e senza dubbio più ancora per chi ne fa esperienza diretta, è lei ad essere considerata come la miglior garanzia della finalità soteriologica del buddismo, in quanto dissipa l’illusione della costanza di sé e delle cose, e “placa” in tal modo il vano impulso a catturarli in maniera durevole. --- Questi pensieri sembrano essere formulati da un sacerdote, un monaco, o da uno dei tanti bistrattati santoni ed invece... --- Estratto di “Cambiare stato di coscienza” pubblicato da Mimesis edizioni di Michel Bitbol (Direttore di ricerca emerito presso il CNRS e Archives Husserl a Parigi. Laureato in medicina, con un dottorato in fisica e una “Habilitation” in filosofia, ha curato i testi di Erwin Schrödinger ricevendo nel 1997 il premio dall’Académie des sciences morales et politiques, per il suo lavoro sulla filosofia della meccanica quantistica. In seguito ha approfondito lo studio delle relazioni tra fisica e filosofia della mente) https://www.indiscreto.org/come-si-fa-a-cambiare-stato-di-coscienza/ --- 1
zigirmato Inviato 10 Settembre 2024 Inviato 10 Settembre 2024 https://www.focus.it/scienza/spazio/telescopio-james-webb-ha-visto-la-galassia-piu-antica. Questa sera ho visto su Netflix un bel documentario ,Telescopio James Webb , praticamente con questo fantastico telescopio hanno scoperto nuovi orizzonti nello spazio , nuove stelle nuove galassie nuova luce . Mi pare sempre più impossibile di essere gli unici in questo meraviglioso universo . @LUIGI64 Mi è piaciuto molto quel che ho letto qui sopra , cioè quel che hai scritto .👍 1
LUIGI64 Inviato 11 Settembre 2024 Autore Inviato 11 Settembre 2024 Andando un po' fuori tema, ma non troppo, ho appreso che anche il padre del microprocessore F. Faggin è approdato alla filosofia perenne e al pensiero orientale (Veda) Tratto da un'intervista: Lei ha detto di aver vissuto altre esperienze (di "risveglio") simili a quella di Lake Tahoe. È capitato per caso o si serve di qualche tecnica, come per esempio la meditazione? È accaduto sempre spontaneamente, anche se in risposta a domande che mi stavo ponendo sulla natura della coscienza. L’obiettivo è quello del risveglio, cioè dell’esperienza diretta di essere inseparabili dal tutto. È un processo di conoscenza di sé, che si riconnette anche alle tradizioni esoteriche e soprattutto a quella che chiamiamo la filosofia perenne, cioè la filosofia/spiritualità che comincia dai Veda. Filosofia barra spiritualità. L’aspetto esperienziale, non l’aspetto dogmatico, della nostra unione con il tutto. https://lucysullacultura.com/microchip-coscienza-e-sentimenti-intervista-a-federico-faggin/
zigirmato Inviato 12 Settembre 2024 Inviato 12 Settembre 2024 @LUIGI64 Ange des enfant Penso che la luce si presenti con il migliore dei modi nel nostro mondo immaginario.
LUIGI64 Inviato 12 Settembre 2024 Autore Inviato 12 Settembre 2024 Tratto da: Una nuova visione della realtà (B. Griffiths)
LUIGI64 Inviato 22 Settembre 2024 Autore Inviato 22 Settembre 2024 Tratto sempre dal testo di cui sopra:
extermination Inviato 23 Settembre 2024 Inviato 23 Settembre 2024 Anche nell' hi-fi non mancano diatribe tra realtà fisica e realtà percepita.
LUIGI64 Inviato 23 Settembre 2024 Autore Inviato 23 Settembre 2024 2 ore fa, extermination ha scritto: realtà fisica e realtà percepita. Banalmente, sono necessarie entrambe Anche se l'approccio meccanicistico e scientista, tende a demonizzare le esperienze soggettive, avendo dell'essere umano una visione, seppur corretta, molto riduttiva e parziale. Almeno, secondo me
LUIGI64 Inviato 25 Settembre 2024 Autore Inviato 25 Settembre 2024 Sempre dal testo più sopra riportato: È importante notare la differenza tra andare oltre il pensiero (stati elevati di coscienza) e le esperienze irrazionali e pre logiche, a cui in maniera fallace, spesso sono ricondotte le esperienze mistiche ed unitive 1
LUIGI64 Inviato 26 Settembre 2024 Autore Inviato 26 Settembre 2024 Il 12/09/2024 at 22:36, LUIGI64 ha scritto: Una nuova visione della realtà (B. Griffiths Per chi fosse interessato a comparazioni tra il pensiero orientale ed il Cristianesimo, con riferimenti alla filosofia perenne, è un testo che mi sento di consigliare caldamente Ricchissimo di spunti e citazioni molto, molto interessanti
LUIGI64 Inviato 26 Settembre 2024 Autore Inviato 26 Settembre 2024 Lontano da proverbiali rigidità e posture divisive: Tutte le religioni sono un cammino per arrivare a Dio. Sono – faccio un paragone – come diverse lingue, diversi idiomi, per arrivare lì. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio. “Ma il mio Dio è più importante del tuo!”. È vero questo? C’è un solo Dio, e noi, le nostre religioni sono lingue, cammini per arrivare a Dio. Qualcuno sikh, qualcuno musulmano, qualcuno indù, qualcuno cristiano, ma sono diversi cammini. Understood? Papà Francesco https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/september/documents/20240913-singapore-giovani.html
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