briandinazareth Inviato 7 Maggio 2024 Inviato 7 Maggio 2024 16 minuti fa, ferrocsm ha scritto: Quindi la massima espressione dell'illuminismo la fai coincidere con la rivoluzione francese no, non con la rivoluzione, ma con molti dei principi illuministi, così come si sono diffusi nelle costituzioni democratiche. in realtà già l'idea della verità eterna della tua citazione è contraria a qualunque principio di libertà ed è totalitaria in se. 8 minuti fa, senek65 ha scritto: Il problema è che l'uguaglianza, di fatto, per come è costruita la società, e pure la genetica, non può esistere se non in modo ristretto. Idem per il concetto di libertà che, oltre ad essere vago e mutevole, non può essere di certo assoluta. in assoluto niente di umano ha senso, intendo dire che come quasi sempre è una questione di quantità.... viviamo, rispetto al passato, in una situazione molto più libera, molto più rispettosa della differenza fra individui e per questo molto meno violenta, è qualcosa di molto positivo. ma è una lotta quotidiana, non siamo ad un punto di arrivo, anche perché le pulsioni violente e tribali sono qualcosa di profondo in noi, solo con la razionalità diffusa e allenata si riesce ad evitare che trabocchi e che porti alla tragedia. questo sebbene l'uomo sia il primate più domesticato, normalmente meno violento e più collaborativo anche al di fuori della cerchia familiare.
ferrocsm Inviato 7 Maggio 2024 Inviato 7 Maggio 2024 5 minuti fa, briandinazareth ha scritto: in realtà già l'idea della verità eterna della tua citazione Di Robespierre intendi. Di mio c'era solo la domanda sull'illuminismo in riferimento alla rivoluzione francese, illuminismo che se non ricordo male nacque in Inghilterra, ma da cui i francesi poi attinsero a piene mani.
briandinazareth Inviato 7 Maggio 2024 Inviato 7 Maggio 2024 13 minuti fa, ferrocsm ha scritto: Di Robespierre intendi. Di mio c'era solo la domanda sull'illuminismo in riferimento alla rivoluzione francese, illuminismo che se non ricordo male nacque in Inghilterra, ma da cui i francesi poi attinsero a piene mani. si, intendevo la citazione di robespierre che hai riportato. ricordando sempre che anche la migliore delle idee e delle aspirazioni diventa tragedia quando resa estrema e dogmatica. spesso si fa risalire la nascita dell'illuminismo a locke e newton, quindi in inghilterra. in realtà è stato un movimento europeo più articolato, con le importanti propaggini americane. nella pratica i pensatori francesi sono tra quelli che hanno contribuito di più alla società moderna come la viviamo oggi.
Amministratori cactus_atomo Inviato 7 Maggio 2024 Amministratori Inviato 7 Maggio 2024 anche nelle socirà totalitarie c'è sempre dell'indidualismo, il re, il dittatore, l'uomo della provvidenza, è un individuo che poe la sua individualità al di sopra di tutto. illuminante il percorso di hitler, campione della grande gernania, che a guerra oersa è entrato nella logica di muoia sansone (hitler) cin tutti i filistei (in questo caso i tedeschi). L'uomo è animale sociale e in una qualunque struttura sociale l'indivduo deve cedere parte della sua indiviualità a favore del gruppo. l'annullamento della individualità (ovviamente non per chi comand) può avvenire però solo in strutture rigidamente gerarchiche o titalitarie, Ma anche nll'antico egito, con il faraone di origine divina, si sono succedute oltre 30 dinasie, perchè alla fine l'individuo vine sempre fuori, presto o tardi il problrma è come coinigare individualità e gruppo, senza che nessuna posizione stravolga l'paltra. e qui le teorie contano poco, anzi più si teorizza più si ingessa un sistema che di per se è dinamico
Roberto M Inviato 7 Maggio 2024 Inviato 7 Maggio 2024 E’ interessante anche analizzare il concetto di individualismo-collettivismo nel mondo animale. Vi consiglio di leggere questo libro, del 1906 eppure abbastanza attuale. https://liberliber.it/le-societa-degli-animali-di-alessandro-canestrini/
Savgal Inviato 7 Maggio 2024 Autore Inviato 7 Maggio 2024 La cultura, quella vera che diviene carne e sangue, rende l'individuo consapevole del suo essere soggetto effimero. Citando: "Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris". L'individualità priva di cultura degrada in quel narcisismo che caratterizza il nostro presente, la regressione infantile per cui si crede assurdamente di essere il centro dell'universo, con la sua nemesi, ossia la paranoia. Il concetto di individuo può essere meglio compreso attraverso un altro concetto centrale nelle scienze sociali, l'idea di comunità con la sua contrapposizione a quella di società. Se avrò tempo recupererò qualcosa su questi due concetti.
Savgal Inviato 10 Maggio 2024 Autore Inviato 10 Maggio 2024 COMUNITÀ E SOCIETÀ In Aristotele l’essenza dell’uomo, la sua umanità, è in ragione del suo appartenere ad una comunità, che egli considera anteriore al singolo individuo, convinzione condivisa quasi unanimemente fino alla modernità. Sarà l’emergere dell’individualità e il suo correlato, la società, a far divenire tematico, e quindi problematico, il concetto di comunità. Il termine comunità diverrà quindi un concetto fondamentale nel dibattito all’interno delle scienze sociali. L’introduzione del concetto di comunità in sociologia è legata al nome di Ferdinand Tönnies (1855-1936). Nel 1887 egli pubblica un'opera dal titolo Comunità e società. Tönnies parte dall’uso del termine nel parlare comune, nel quale la parola comunità rinvia alla vita privata, intima, mentre società rimanda alla vita pubblica, formale, fredda. "La società umana viene intesa come un puro coesistere di persone indipendenti l'una dall'altra". La comunità rinvia al passato, alla tradizione, mentre la società è un fenomeno nuovo, "la comunità è la convivenza durevole e genuina, la società è soltanto una convivenza passeggera e apparente. È quindi coerente che la comunità debba essere intesa come un organismo vivente, e la società, invece, come un aggregato e un prodotto meccanico". Comunità e società sono forme di manifestazione delle relazioni umane, ma con connotazioni sostanzialmente differenti. Tönnies riconduce la comunità a tutti quei rapporti che hanno come base o come modello le relazioni legate alla vita. Il principale fra queste è il rapporto che esiste fra genitori e figli. I rapporti di parentela, basati sui legami di sangue, formano il nucleo della comunità La comunità è fondata su rapporti altrettanto stretti, ma spirituali, sono le relazioni che si manifestano nei rapporti di vicinato e nell'amicizia. Un elemento che caratterizza la comunità in tutte le sue forme è per l’autore la comprensione. Scrive Tönnies: "Ciò che si deve intendere per comprensione (consensus) è un modo di sentire comune e reciproco, associativo, che costituisce la volontà propria di una comunità. Essa rappresenta la particolare forza e simpatia sociale che tiene insieme gli uomini come membri di un tutto". La comprensione implica una conoscenza intima che si esprime nella lingua materna. La lingua è il luogo della comprensione, a partire dalla vita domestica, per poi passare a tutte le altre forme comunitarie, fino a giungere alla vita di un intero popolo. Essa ha stesse caratteristiche costanti, di collaborazione spontanea, non disciplinata da un contratto, di tacita intesa sui valori, di istintivo rispetto reciproco. La comunità si definisce in opposizione a società, le caratteristiche che possiede rinviano a caratteristiche opposte che sono tipiche di quest’ultima. La società, secondo Tönnies, è anch'essa una forma di vita collettiva, che riunisce persone che abitano pacificamente le une accanto alle altre. Ma mentre nella comunità le persone sono legate l’uno all’altra, malgrado tutte le possibili differenziazioni, comprese quelle di ceto e classe, nella società esse sono separate, nonostante i legami che possono esservi fra di loro. L’elemento che caratterizza la vita dell’uomo nella società è che nei comportamenti della sua persona non si manifesta una volontà collettiva, bensì ciascun individuo è separato rispetto a tutti gli altri, in uno stato continuo di tensione. La comunità è caratterizzata dal diritto naturale, mentre nella società è caratterizzata dal contratto, dal rapporto prestazione e controprestazione. Mentre nella comunità gli intenti convergono, nella società le volontà dei singoli non sono più concordi ed ogni scambio fra individui consegue da un accordo tra due volontà che sono divergenti. Nella comunità l’ordine, la coesione sociale, consegue dall’integrazione morale dei soggetti. Identificazione, dedizione, abnegazione e altruismo sono considerati atteggiamenti tipici, funzionali al perseguimento di interessi e fini collettivi, cui subordinare gli interessi e i fini individuali. Nonostante queste caratteristiche, la comunità non ha necessariamente costituzione egualitaria, la comunità coesiste con l’esistenza di un ordinamento gerarchico e di una stratificazione del prestigio, del potere e del reddito. Specifiche della comunità sono le forme di allocazione delle posizioni di autorità e la distribuzione dei compensi sociali (status), la gerarchia sociale è definita in base al contributo fornito dal ruolo svolto dal singolo, quale servizio reso alla collettività. Tönnies fa corrispondere queste tipologie astratte, questi “idealtipi”, a esempi storici. La comunità corrisponde al Medioevo, si esprime nella comunità di villaggio e dei piccoli borghi e permane nella vita di campagna. La società corrisponde all'età moderna, borghese, mercantile e capitalista. Descrivendo le due forme di associazione, comunitaria e societaria, Tönnies ripercorre la strada che è stata percorsa dalle società verso la modernizzazione. L'individuo si libera dai legami che derivano dalla parentela e dalla tradizione, ma diviene un “individuo”, un soggetto che non è più protetto da dal corpo sociale, che offre se stesso sul mercato, che percepisce gli altri individui come dei concorrenti potenziali, che disconosce la validità assoluta dei precetti di tipo morale, che vive un’esistenza instabile, mai definitiva. Il valore del cambiamento è, infatti, un valore costitutivo della società, mentre stabilità e sicurezza lo sono nella comunità. Nella rappresentazione di Tönnies di comunità e società è presente un’idealizzazione della comunità, mentre della società vengono colti soprattutto gli aspetti conflittuali. L’idea di comunità dell’autore, in contrapposizione a quella di società devono essere intesi come “tipi ideali”, nel significato ad essi attribuiti da Max Weber. Weber evidenzia più volte che si deve fare attenzione a non confondere il tipo ideale ed il suo valore euristico con la realtà storica e di ritenerlo esaustivo nella spiegazione del fenomeno in esame. “Poiché scopo dell’elaborazione di concetti tipico-ideali è sempre quello di rendere esplicito con precisione non già ciò che è conforme al genere, bensì, al contrario, il carattere specifico di certi fenomeni culturali.” All'interno della società, cioè della vita urbana, individualista, che si svolge in un gruppo retto da un contratto sociale, permangono modi di vita comunitari, l'amicizia ne è l'esempio principale. Tornando a Weber, l’autore pone la comunità fra le relazioni sociali. Una relazione sociale è comunità "se, e nella misura in cui, la disposizione dell'agire sociale poggia [...] su una comune appartenenza, soggettivamente sentita (affettiva o tradizionale) degli individui che ad essa partecipano". Una relazione sociale, invece, è associazione "se, e nella misura in cui, la disposizione dell'agire sociale poggia su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente (rispetto al valore o allo scopo)". Per Weber comunità e associazione sono presenti sia nelle società tradizionali, sia in quelle moderne. Émile Durkheim utilizza nello stesso significato della coppia comunità/società e la coppia corrispettiva di solidarietà organica/solidarietà meccanica. Le società a solidarietà organica sono semplici, prescrittive e repressive. Le società a solidarietà meccanica sono complesse e basate sulla divisione del lavoro. Nel dibattito contemporaneo una rivalutazione del concetto e del termine comunità è stata proposta da alcuni filosofi della politica statunitensi, che si definiscono appunto "communitarians" (comunitari): Michael Sandel, Alasdair MacIntyre, Charles Taylor, Michael Walzer. Essi si oppongono da una parte all'individualismo tipico del liberalismo, secondo il quale il punto di partenza è un individuo staccato dal suo contesto, isolato e libero, e dall'altra all'universalismo, per cui esisterebbero norme o valori validi ovunque per ogni comunità storica a prescindere dalle sue condizioni e dalle sue tradizioni. Il neo-comunitarismo rivendica su un fronte il fatto che ogni individuo è un individuo che vive in una comunità, e sull'altro, il fatto che una comunità universale è un’inutile astrazione. Si deve partire dalle comunità locali, reali, esistenti, che possiedono tradizioni proprie, diverse le une rispetto alle altre. Tutta la critica della cultura ottocentesca e novecentesca ha utilizzato il concetto di comunità, idealizzata e presa a modello di una vita collettiva armoniosa, per criticare la società contemporanea, che appariva artificiosa, troppo legata all'economia e al successo, eccessivamente razionale, libera da vincoli, ma al tempo stesso oppressiva come nessuna delle comunità esistite nella storia era stata. Era la tirannia della maggioranza, che Tönnies aveva intravisto e che era stata già descritta da Tocqueville nel suo saggio “La democrazia in America”. Aggiungo delle mie considerazioni personali. Quanto sopra risale ad oltre 20 anni fa, in questo periodo alcune dei caratteri attribuiti alla società hanno assunto caratteri ancora più estremi. Gli ultimi residui della vita comunitaria si stanno dissolvendo. Si moltiplicano i conflitti, non più mediati e ricondotti alla razionalità dalle ideologie, le quali, pur partendo da assunti indimostrabili, consentivano una rappresentazione del mondo e della società coerente e condivisa da parte di chi vi aderiva. Ciascun individuo o gruppo ritiene che i suoi interessi siano i soli legittimi, contribuendo ad alimentare un clima sociale da “bellum omnium contra omnes”.
Savgal Inviato 10 Maggio 2024 Autore Inviato 10 Maggio 2024 La diffidenza del mondo antico e medioevale nei confronti dell’individuo conseguiva dal fatto che questo era considerato come un elemento di turbamento dell’ordine sociale, soggetto che poteva innescare conflitti potenzialmente in grado di disgregare lo stesso ordine. Per ordine sociale la filosofia politica intende la coesistenza pacifica dei soggetti, singoli o aggregati, in una società, con la conseguente accettazione delle istituzioni che la regolano. L’ordine sociale si manifesta anche nei rapporti tra i diversi soggetti sociali in relazione al ruolo da essi svolto nella gerarchia della società. In linea di massima nel mondo antico e medioevale, in cui dominava la comunità, la tradizione a questa connaturata e l’emarginazione delle pretese individuali, consentiva di limitare i conflitti, garantendo una coesistenza relativamente pacifica ed ordinata, fenomeno che nella storia e nella sociologia si definisce con il termine “consenso”. Con questo termine si deve quindi intendere l’adesione ai valori e la condivisione ed accettazione dei caratteri fondamentali dell’assetto politico, economico e giuridico di quella società, nonché le modalità con cui di distribuiscono i beni materiali ed immateriali. Da queste forme di distribuzione conseguono la collocazione nella gerarchia sociale, con le relative differenze nell’accesso ai beni. Quanto sopra corrisponde metaforicamente all’aria che respiriamo, sono fenomeni in cui siamo totalmente immersi ed è per questa ragione che molto spesso non ne abbiamo piena consapevolezza. Le questioni relative all’ordine sociale ed al consenso sono state oggetto di riflessione già in Platone, che scriveva nella Repubblica: “Ti sembra che una Città o un esercito, o una banda di delinquenti o di ladri, o qualsiasi altra associazione che si formi allo scopo di delinquere, potrebbe combinare qualcosa, se al suo interno si comportasse al di fuori di ogni principio di giustizia? (..) L’ingiustizia, Trasimaco, è fonte di sedizioni, di odi, di conflitti fratricidi (..) sì da rendere impossibile ogni forma di reciproca collaborazione”. Platone intende per giustizia l’accettazione e lo svolgimento del proprio compito (ruolo) ed è esso a garantire l’unità dello stato e l’accordo nella comunità. Il problema che Platone si pone è come far coesistere individui con interessi diversi e conflittuali, evitando una guerra di tutti contro tutti condurrebbe alla distruzione della società. Egli giustifica la stratificazione sociale prima ricorrendo ad una “nobile menzogna”, poi alle caratteristiche dell’anima dei diversi soggetti. L’Atene di Platone è per alcuni caratteri simile alla nostra, non più una comunità, dissoltasi per via di quella che fu la prima esperienza di governo democratico. Fu esperienza breve, cui seguì il ritorno alle tradizionali forme di organizzazione politica. Nel momento storico in cui le comunità si dissolvono, e con la dissoluzione l’adesione istintiva al loro ordine sociale, queste divengono società composte da individui potenzialmente in conflitto tra di loro. Tale conflitto potenziale pone il problema della costruzione del “consenso”, ossia di come costruire quella condivisione di valori e convinzioni fondamentali che consentono l’ordine sociale. Nel momento in cui tradizione e religione, connaturate all’ordine comunitario, non riescono più a garantire il consenso, nel momento in cui le relazioni fra gli individui sono prioritariamente definite dai contratti, diviene centrale il tema della condivisione di valori e convinzioni in grado di garantire un ordine sociale relativamente stabile. Il “disincantamento dal mondo” rende improbabile la possibilità che la condivisione di valori e convinzioni possa avvenire attraverso il richiamo alla tradizione e alla religione, soprattutto in Occidente. Al pari considero improbabile un consenso duraturo prodotto artificialmente mediante l’indottrinamento, la mobilitazione ideologica, il controllo e l’impiego sistematico dei mezzi di comunicazione, la repressione politica e culturale al dissenso, l’appello irrazionale alla conformità. L’individuo, come è oggi inteso, è l’universalizzazione dell’uomo borghese e della razionalità borghese, un “tipo ideale” cui tuttavia corrisponde una quota marginale di individui, lo si deve realmente rendere universale. Una scolarizzazione di massa al più elevato livello possibile consentirebbe una reale universalizzazione dell’individuo borghese e con esso la possibilità di una forma di consenso “naturale”, consapevole, con l’interiorizzazione autonoma di un sistema di valori, di convinzioni, di norme coerenti che riflettano un ordine “giusto”, nel senso attribuito da John Rawls all’idea di giustizia. È l’utopia di recuperare l’idea di comunità, dell’uomo come “bios politikos”, attraverso l’adesione razionale e consapevole ai suoi valori e alle sue norme.
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