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Dell'ideologia


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La parola “ideologia” è divenuta lo strumento con cui si accusa l’altra parte politica di avere una visione distorta, falsa, del mondo e di converso che la propria posizione è quella vera. Era un argomento già discusso a suo tempo con i miei studenti, con una “breve sintesi” che propongo a chi avrà la pazienza di leggerla.

Fatta la premessa che è difficile dare una definizione univoca del termine, considerando che numerosi studi hanno accertato che del termine si possono rintracciare decine di significati. In un lavoro di sintesi del 1978 sull'argomento si giunse ad elencarne undici: 1) mitologia e folklore; 2) illusione e autoinganno; 3) senso comune; 4) menzogna, contraffazione, oscurantismo; 5) truffa o inganno consapevole; 6) falso pensiero in generale; 7) filosofia; 8) visione del mondo; 9) intuizione del mondo; 10) sistema di comportamenti; 11) sentimento.

Con qualche forzatura è possibile ridurli fondamentalmente a due. Un primo, più tecnico, con un significato forte, ed un secondo, diffuso nel linguaggio comune, con un significato debole.

In senso forte ideologia è pensiero distorto, insieme di idee che travisano o mascherano (volutamente o meno) la realtà delle cose, al fine, più o meno consapevole, di favorire interessi sociali determinati.

In senso debole ideologia è qualsiasi sistema di credenze politiche avente come scopo l'orientamento e la guida dei comportamenti politici collettivi.

In tutti i casi il termine contiene il riferimento a un rapporto tra pensiero e stato sociale, teoria e prassi, in ciò è differente dalla teoria.

All’origine il termine aveva un altro significato, oggi del tutto desueto. Esso venne coniato dal filosofo francese Antoine Destutt de Tracy, che alla fine del XVIII secolo elaborò il progetto di una ideologia o "scienza delle idee" su basi sensiste. Per il filosofo l’ideologia aveva significato positivo, indicava una scienza che doveva sostituirsi alle filosofie innatiste, metafisiche e fideiste. Fu Napoleone, promotore di una restaurazione anche culturale in Francia, che eliminasse ogni residuo illuministico per un ritorno alla tradizione e alla religione, a condannare gli ideologi come astratti dottrinari, contraffattori della verità. Questo significato negativo è stato da allora attribuito alla parola, sebbene con un intento polemico opposto. Mentre per Napoleone la negatività dell'ideologia era nella razionalità astratta, per la filosofia e la sociologia l’aspetto negativo è dovuto allo stretto legame che lega idee e interessi concreti.

Una teoria esplicita delle ideologia nasce con Karl Marx e Friedrich Engels, anche se tracce si possono ritrovare in pensatori precedenti, con la dottrina del materialismo storico.

Contro la tesi del primato delle idee, essi sostengono che la "struttura" di ogni formazione sociale è data dalla dialettica tra le forze produttive e i rapporti sociali di produzione; tutto il resto (filosofie e religioni, apparato statale e burocrazia...) ha un carattere "sovrastrutturale" e ideologico, nel senso che vive e si mantiene in stretta dipendenza con la base materiale. Tutti i sistemi ideali non sono che il riflesso delle condizioni socio-economiche; le idee non hanno storia, non hanno cioè uno sviluppo autonomo, ma mutano in rapporto alla trasformazione delle strutture di riproduzione materiale della società. "Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, è il loro essere sociale che determina la loro coscienza." L'illusione che il pensiero e la cultura possano vivere di vita propria consegue dalla divisione del lavoro in manuale e intellettuale; "da questo momento in poi la coscienza può realmente figurarsi di essere qualche cosa di diverso dalla coscienza della prassi esistente, concepire realmente qualche cosa senza concepire alcunché di reale: da questo momento la coscienza è in grado di emanciparsi dal mondo e di passare a formare la "pura" teoria, teologia, filosofia, morale, ecc." .

Questa visione dell'ideologia sarà alla base della sociologia della conoscenza; ad essa Marx ed Engels affiancano, in modo non del tutto coerente, un significato "forte". Infatti, se si può concedere che ciascun gruppo, ceto o classe sociale produca una propria ideologia, espressione dei propri valori e delle proprie specifiche condizioni di vita, è un fatto che "le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale". Una classe diventa "egemone" nella misura in cui riesce a presentare le proprie idee come universalmente valide, per cui il suo interesse è presentato come l'interesse di tutti. In questa accezione l'ideologia acquista una connotazione fortemente negativa, essa è falso sapere, una falsa coscienza intesa ad occultare il rapporto di dominazione tra le classi.

Alla teoria delle ideologia di Marx ed Engels sono state rivolte due fondamentali obiezioni.

La prima come su come sia possibile che in una data formazione economico-sociale possano prodursi ideologia distinte e opposte all'ideologia della classe dominante. A questa obiezione si può rispondere che una formazione sociale non è mai statica, perché al suo interno vi sono contraddizioni tra forze produttive e rapporti di produzione, che consentono la formazione di sistemi di pensiero alternativi e "opposti" all'ideologia dominante;

Ma più forte è la seconda obiezione. Se è vero che ad ogni classe corrisponde un'ideologia, o tutte sono parimenti "false" o non lo è nessuna. Con quale pretesa Marx ed Engels possono pretendere di definire "scientifico" il loro punto di vista.

Altre teorie, la più nota è quella di M. Weber, hanno sostenuto, in polemica con il marxismo, che nelle scienze storico-sociali nessuna interpretazione può prescindere da valutazioni o scelte culturali di fondo dello studioso e pertanto nessuna può vantare titoli di scientificità rispetto ad altre, quando queste sono sorrette da adeguate argomentazioni e da riscontri empirici.

Da questi problemi è nata la sociologia della conoscenza, la quale mantiene il principio della determinazione sociale del pensiero, ma abbandona il requisito della falsità. Il fondatore è stato Karl Mannheim, che ha elaborato le sue tesi attraverso un confronto serrato con le teorie marxiste, alle quali ha esplicitamente riconosciuto il suo debito. Secondo Mannheim "la formula generale della concezione totale dell'ideologia è raggiunta dal ricercatore quando egli ha il coraggio di sottomettere non solo il punto di vista dell'avversario, ma quello di ciascuno, il suo compreso, all'analisi ideologica". Mannheim mostra la sua dipendenza dalle analisi dei marxisti, soprattutto di György Lukács, che aveva sostenuto, nell'opera Storia e coscienza di classe [1923], che l'ideologia ha sempre una natura conservatrice, in quanto, nella sua pretesa di porsi come valida universalmente, non riconosce le sue origini pratiche ed è indisponibile al mutamento. Per conseguenza Mannheim introduce la distinzione tra ideologia e utopia, affermando che mentre il concetto di ideologia si riferisce "alle convinzioni e alle idee dei gruppi dominanti", il concetto di utopia esprime il punto di vista "dei gruppi subordinati, così fortemente impegnati nella distruzione e nella trasformazione di una determinata condizione sociale, da non riuscire a scorgere nella realtà se non quegli elementi che essi tendono a negare. [...] Il loro pensiero non è mai un quadro obiettivo della situazione, ma può essere usato soltanto come una direzione per l'azione".

Il pensiero di Mannheim si presentava come una prima sintesi della teoria delle ideologia e poneva le basi per ulteriori elaborazioni sociologiche e politologiche, che in effetti hanno avuto notevole sviluppo.

Una storia delle teorie delle ideologia non può non riservare un capitolo a Friedrich Nietzsche. Se in Marx era già chiara la tendenza a ridurre la filosofia a ideologia ("i filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo..."), ciò costituisce uno degli assi portanti del pensiero di Nietzsche; egli ha voluto dimostrare che tutta la filosofia occidentale ha negato la vita privilegiandone la rappresentazione ideologica. Rispetto allo stesso Marx, peraltro, Nietzsche presenta aspetti di maggiore radicalità, volendo la sua essere una "genealogia", condotta mediante un'analisi psicologica delle ragioni umane che stanno alla base dei sistemi morali e religiosi.

Contributi importanti sono inoltre venuti da altre discipline. La psicoanalisi, che ha scoperto l'esistenza di un complesso ed elaborato apparato simbolico di copertura degli istinti primari e che spiega in termini di "sublimazione" l'origine dei sistemi culturali. Le filosofie analitiche, che si occupano dei travestimenti linguistici del pensiero e smascherano le deformazioni presenti nei processi comunicativi.

La riflessione sull'ideologia occupa un posto centrale negli indirizzi di pensiero che si richiamano a Marx. Si è lungamente dibattuto se il materialismo storico sia scienza o ideologia, quale possa essere il suo tasso di verità, in che cosa consista e quale valutazione dare alla Weltanschauung proletaria, quale sia il rapporto tra la classe e le élites dirigenti, in che misura queste ultime possono considerarsi interpreti autentiche del movimento, quale debba essere il ruolo degli intellettuali, ecc.

Nei primi del Novecento si è assistito ad un vero e proprio capovolgimento del giudizio sulle ideologia Teorie come quelle di Sorel, di Lenin, di Gramsci, per molti versi infatti si inquadrano nella cultura antipositivistica trionfante tra fine Ottocento e primi Novecento, una cultura che ha esaltato il ruolo delle élites e delle "avanguardie creative". Se per Marx l'economia godeva di un primato sulla politica, per Georges Sorel l'ideologia, che nelle sue riflessioni prende il nome di "mito sociale", da fenomeno secondario determinato dalla struttura economica diventa motore della storia e quindi della stessa economia. Antonio Gramscia, inserendosi nella discussione sul carattere "deterministico" del rapporto marxiano tra struttura e sovrastruttura, ha rivendicato la natura di "coscienza critica" alle "ideologie storicamente organiche", necessarie in quanto "organizzano" le masse umane, formano il terreno in cui gli uomini si muovono, acquistano coscienza della loro posizione, lottano, ecc."

Il dibattito sulle ideologia tende a prendere due diverse direzioni, entrambe abbandonano l'elemento della "falsità".

Nella sociologia della conoscenza l'ideologia tende a diventare concetto onnicomprensivo, in quanto non c'è pensiero, cultura o idea che possa dirsi indenne da condizionamenti sociali.

Nella seconda l'ideologia diviene un sistema di idee politiche, da valutare in base non del loro tasso di verità, ma della loro efficacia, cioè della capacità di controllo e di influenza sui comportamenti delle masse, "per orientarle in una direzione piuttosto che in un'altra, per ottenerne il consenso, infine per fondare la legittimità del potere: tutto ciò senza alcun riferimento alla sua [dell'ideologia] funzione mistificante" (Bobbio). Si tratta degli -ismi contemporanei, liberalismo, socialismo, comunismo, nazionalismo, ecc., considerati non tanto nella loro genesi, quanto come sistemi affermati e diffusi a livello di massa. In quanto tali, costituiscono un misto di conoscenze verificabili e di credenze indimostrabili. I critici più severi sostengono che, se le conoscenze sono indispensabili, perché danno alle ideologia una vernice di scientificità e rispettabilità, sono le credenze ad avere il primato. Le ideologia possiedono infatti un potere affabulatorio, hanno un effetto avvolgente, si propongono di convincere più che di dimostrare. Nell'individuo ideologizzato la componente emotiva prevale su quella razionale. Egli crede ad alcune idee, è vero, ma si tratta di "ex- idee, idee-non-più-idee, e cioè "idee che non sono più pensate" (Sartori). Esse sono caratterizzate, per Sartori, da stato cognitivo "chiuso", in quanto non è mai messa in discussione l'autorità da cui provengono, e da alta intensità emotiva, perché vissute con passione e per questo ad alto potenziale attivistico. È di queste ideologia che si proclama il "declino".

 

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