Savgal Inviato 15 Giugno 2024 Autore Inviato 15 Giugno 2024 @Jarvis La questione che intendevo porre è differente. Se il tema dell'eguaglianza è quasi scomparso dal dibattito politico ne consegue che non è più un problema. Se l'eguaglianza non è più un problema le ipotesi plausibili sono due, o l'eguaglianza si è realizzata oppure le diseguaglianze sono ampiamente accettate come naturali ed immutabili (come avveniva nei sistemi comunitari retti dalla tradizione). Tuttavia i populismi, che si autocollocano a destra e a sinistra, hanno quale carattere distintivo l'opposizione tra il "popolo" e le "élite", opposizione che implica la presenza di un conflitto.
Gaetanoalberto Inviato 15 Giugno 2024 Inviato 15 Giugno 2024 Il 13/06/2024 at 11:10, Savgal ha scritto: @Gaetanoalberto Dell'antitesi fra libertà individuali ed eguaglianza parla Augusto Barbera nel suo "Corso di diritto pubblico" (su cui ho studiato per il concorso da DS). La socializzazione dei mezzi di produzione inevitabilmente è una limitazione della libertà intesa in senso negativo ossia di restringere e di molto il perimetro entro cui un soggetto, sia singolo che gruppo, può operare senza ostacoli ed interferenze da parte di altri soggetti. Evidenzio che con la citazione di Platone e del probelma che poneva intendevo aprire una discussione sulla legittimazione della gerarchia sociale. Nel nostro lavoro cosa rende legittimo il nostro ruolo a chi ci è subordinato (insegnanti, impiegati e collaboratori scolastici)? Mentre nelle società tradizionali era la quasi assenza della mobilità sociale e la religione a legittimare la gerarchia sociale, il dissolversi della tradizione e la secolarizzazione della società hanno reso improponibile questa forma di legittimazione. Tuttavia la gerachia sociale nel mondo reale esiste (quello virtuale di internet è altra cosa). Se invece di scrivere su questo forum questa discussione avvenisse nel mondo reale dinanzi ad un pubblico le argomentazioni di un giurista o di un docente universitario o le nostre sarebbero valutate ben diversamente da quelle dell'operaio o dell'impiegato. Il tema è: questa differenziazione è legittima? Riprendo da qui solo come spunto… settimana intensa e poco tempo per temi seri, ma ho letto anche i post successivi, quindi metto assieme un breve “di tutto un po’”. Uguaglianza, disuguaglianza, destra, sinistra, socializzazione dei mezzi di produzione … temi che richiederebbero trattazioni più dotte delle mie, ed infatti pensieri e pensatori si succedono, e i temi ritornano ciclicamente e vichianamente all'attenzione per poi scomparire o quietarsi. Probabilmente l’ultima edizione della differenziazione giuridica é venuta meno con la fine degli assolutismi, anche se resistono monarchie e titoli che, in gran parte costituzionali, non determinano una diversa graduazione giuridica delle classi sociali. Il tema dell’uguaglianza ha investito per reazione prima di tutto il rapporto con lo Stato, tramite l’affermazione delle libertà individuali, che altro non sono che il tentativo di porre su un piano paritario il soggetto stato e gli individui, uguali di fronte alla legge, limite anche per l’esercizio di una sovranità che si sposta dal “sovrano” al “popolo”, che la attribuisce per delega. La prima applicazione in tempi moderni risente del diverso punto di partenza dal quale l’uguaglianza formale si esercita, da cui gli approfondimenti secondo i quali, partendo da condizioni socioeconomiche diverse, quella dell’uguaglianza rischia di apparire un’affermazione vuota di contenuti e favorevole all’affermazione della borghesia. Il pensiero socialista vede dunquenun ruolo attivo dello Stato quale unica organizzazione potenzialmente capace di ridurre le disuguaglianze di fatto, ponendo i prodromi del concetto di uguaglianza “sostanziale”, in cui si interviene per ridurre disagi e porre effettivamente su un piano di parità il punto di partenza. Parlare di destra e sinistra diventa arduo, perché dobbiamo distinguere un approccio liberale (più individuo meno stato), ed un approccio sociale (più stato e collettività e meno individuo). Non saprei se la destra è per le differenze, e poi dovremmo capire di quale destra parliamo, e riferita a quale paese e quale momento storico. La brevità costringe ad essere un po’ superficiali, ma direi che l’approccio socialista e quello fascista, per rimanere alla specificità dell’Italia, si caratterizzano entrambe per una visione che guarda al ruolo dello Stato che limita le libertà, per la realizzazione di una società diversa, promettendo entrambi un miglioramento delle condizioni del popolo, con strumenti diversi, la collettivizzazione dei mezzi di produzione (socialismo) od il mantenimento della proprietà privata con un intervento comunque redistributivo e di servizi, la mediazione delle corporazioni, il nazionalismo e la subordinazione dell’interesse individuale a quello della Nazione per il fascismo. In entrambi i casi si determina la riduzione delle libertà individuali e la realizzazione di uno stato che deve per forza, in modo diverso, essere autoritario. Nelle vene del popolo poi scorre da sempre una visione “egoistica” e miope della politica che guarda al proprio beneficio anche a scapito di quello altrui, ed una più egualitaria nel senso della disponibilità ad interventi nella direzione di una maggiore equità sociale. La mediazione delle istanze ha funzionato a lungo nel “welfare state”.. Il timore dell’ insufficienza delle risorse ha riscatenato gli egoismi, che si trasformano in un pericoloso mix di proposte in cui si è del tutto persa la coscienza storica ed intellettuale delle posizioni di destra e sinistra, sostituite da un populismo becero ed ignorante in cui si prende a destra ed a sinistra ciò che serve di vokta in volta a giustificare il proprio egoismo, vero limite all’uguaglianza, oltre al tradizionale moto di appropriazione delle ricchezza delle categorie organizzate.
Savgal Inviato 16 Giugno 2024 Autore Inviato 16 Giugno 2024 @Gaetanoalberto Leggo slogan "uno vale uno" o "il popolo contro le élite" come una manifestazione, diversa nella forma e con obiettivi nebulosi, del conflitto di classe. Mi scuserai, e scuserete, se mi rifaccio alleie esperienze e ai miei ricordi. Da 14 anni le mie estati le passavo lavorando con mio padre, che con il fratello aveva una microimpresa di trasporti e distribuzione. Viaggiavo spesso sugli autotreni con i dipendenti, il proletariato come si chiamava all'epoca (anni Settanta). Non ricordo di aver mai colto un sentimento che oggi colgo spesso, il rancore. Consideravano ed accettavano il loro ruolo e la loro collocazione sociale. Mai sentiti parlare di vacanze o di auto di lusso, la loro preoccupazione era accumulare risparmi per l'acquisto della casa. Probabilmente era ancora radicata in loro la concezione tradizionale della società. 1
Gaetanoalberto Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 20 minuti fa, Savgal ha scritto: Consideravano ed accettavano il loro ruolo e la loro collocazione sociale. Mai sentiti parlare di vacanze o di auto di lusso, la loro preoccupazione era accumulare risparmi per l'acquisto della casa. Probabilmente era ancora radicata in loro la concezione tradizionale della società. Senza contare che il rispetto era diffuso ed abbastanza reciproceo ed anche minore la tracotanza manifesta del ricco verso il povero. Certo, l’aspirazione al “quarto di nobiltà” era parte del vissuto di alcuni, ed un certo rancore lo trovi già ad inizi 900, ma forse filtrato dalla buona educazione. Ad ogni modo in molti era chiaro il concetto di sacrificarsi per “far studiare i figli” come strumento di miglioramento soprattutto delle condizioni di vita, più che di arricchimento in sè.
damiano Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 Il 13/06/2024 at 09:46, briandinazareth ha scritto: questo è il motivo per il quale una società ha dei vantaggi con più uguaglianza, a partire dall'assicurare un'educazione decente anche ai meno abbienti. anche se la vediamo dal punto di vista utilitaristico si tratta di non perdere talento e capacità, oltre al migliorare le condizioni culturali, e quindi sociali, di tutti. Ed è questo il punto centrale della questione: sociale e di tutti, sono termini che nella società odierna sono sconosciuti ai più. E quei pochi che cercano di portare questi valori nei centri di discussione e decisionali vengono messi in quarantena. Direi anzi che la corsa all'egocentrismo smisurato ed al "mors tua vita mea" tende a far arretrare ogni possibile evoluzione, in senso migliorativo, dell'ordinamento sociale. L'ascensore sociale è stato appesantito dai sacchi di cemento che si sono susseguiti a partire dagli anni 80, quandk è iniziata fatalmente la corsa all'indietro. Ciao D. 1
LUIGI64 Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 9 minuti fa, damiano ha scritto: Direi anzi che la corsa all'egocentrismo smisurato ed al "mors tua vita mea" tende a far arretrare ogni possibile evoluzione, in senso migliorativo, dell'ordinamento sociale Per questo motivo, è fondamentale operare sempre sull'essere umano A prescindere dall'ideologia, o partito politico a cui si aderisce 1
damiano Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 1 minuto fa, LUIGI64 ha scritto: Per questo motivo, è fondamentale operare sempre sull'essere umano È fondamentale ed è l'unica soluzione. Purtroppo la funzione pedagogica è demandata alla TV, che ha iniziato a dare il peggio di sé dagli anni 80, e peggio ancora ai social. La scuola dovrebbe essere l'antidoto...... Ciao D.
Savgal Inviato 16 Giugno 2024 Autore Inviato 16 Giugno 2024 Ciò che mi capita spesso di cogliere oggi è il rancore, inteso come sdegno, risentimento profondo, non manifestato apertamente, ma tenuto nascosto. La scuola ha le sue gerarchie, dal collaboratore scolastico (il proletariato, il bidello), per poi passare all'impiegata amministrativa, al direttore dei servizi amministrativi e ai docenti. I primi sono quelli più litigiosi, tra loro e con gli altri, più rancorosi anche nei confronti delle impiegate, che hanno retribuzioni di poco superiori. Come pure ho visto esibire un senso di superiorità verso i loro ex colleghi di collaboratori passati ad amministrativi. La solidarietà di classe è diventata conflitto tra di loro. Non poche volte si coglie, quando sorgono imprevisti, il tono di chi pensa "io sarei in grado di fare meglio".
Savgal Inviato 16 Giugno 2024 Autore Inviato 16 Giugno 2024 @Gaetanoalberto Non sarei in grado di portare dati a supporto di una mia impressione, ma ciò che mi pare di cogliere è che si sia persa la convinzione che studiare possa far migliorare la condizione sociale dei figli. Poi si è persa un'altra convizione assai diffusa nel recente passato, ossia che la condizione di operaio (di proletario) fosse temporaneo, nell'attesa di diventare anche egli imprenditore e di migliorare così la propria condizione economica e sociale. Il "popolo delle partite IVA" di recente memoria. La dura legge del mercato ha collocato molti di questi soggetti ai margini e dissuaso tanti a tentare di aprire una propria attività autonoma. La condizione di operaio è tornata ad essere per la vita.
micfan71 Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 4 ore fa, Savgal ha scritto: Da 14 anni le mie estati le passavo lavorando con mio padre, che con il fratello aveva una microimpresa di trasporti e distribuzione. Viaggiavo spesso sugli autotreni con i dipendenti, il proletariato come si chiamava all'epoca (anni Settanta). Non ricordo di aver mai colto un sentimento che oggi colgo spesso, il rancore. Consideravano ed accettavano il loro ruolo e la loro collocazione sociale. Mai sentiti parlare di vacanze o di auto di lusso, la loro preoccupazione era accumulare risparmi per l'acquisto della casa. Probabilmente era ancora radicata in loro la concezione tradizionale della società. Bell'esempio, io nei '70 ero un bimbo ma me li sento comunque nel sangue. Epoche diverse, contesti diversi, aspirazioni diverse. Erano gli anni subito dopo (e in parte erano ancora attive) le lotte sindacali, i lavoratori stavano ottenendo importanti riconoscimenti, le donne ancora di più (partivano da più indietro, e dopo mezzo secolo hanno ancora molta strada da fare): si pensava che il mondo potesse cambiare, in meglio ovviamente. Erano gli anni in cui si riusciva a risparmiare per elevare il proprio stato sociale: la macchina, la casa, per qualcuno addirittura quella delle vacanze, la villeggiatura... l'illusione che si potesse accedere, sia pure con le dovute proporzioni, al banchetto che si teneva ai 'piani alti'. Adesso il rancore di cui parli è il frutto del disincanto, la constatazione che non solo non è cambiato nulla, ma che si è perso molto di quanto conquistato all'epoca. La società è in preda al più becero consumismo usa e getta, all'apparire più che all'essere, i social hanno spersonalizzato i rapporti, creando nuove comunità virtuali che hanno ucciso quelle reali e che non hanno nulla a che fare col mondo vero, perchè in quelle virtuali va tutto bene, basta postare foto di tramonti in spiaggia, di bicchieri di spritz, di selfie con tavolate piene di gente che ride: istanti felici che dimostrano inequivocabilmente lo status di gioia e successo personale. La realtà, purtroppo, è ben diversa: ci sono n-mila "bisogni" in più da soddisfare a ogni costo rispetto agli anni '70, infatti all'epoca si campava con uno stipendio, adesso si stenta con due, ci sono n-mila motivi in più per invidiare il parente, il vicino, il "ricco e famoso", ci sono talmente tanti necessori che è impossibile risparmiare. Ci si scopre quotidianamente più poveri, nonostante gli sforzi, ci si rende conto quotidianamente che il divario fra ricchi e poveri è inesorabilmente in aumento, ci si rende conto quotidianamente che è più probabile addormentarsi come cittadini di prima classe e svegliarsi in economica che il contrario. E questo fa paura, perchè la società che ci circonda sembra non accorgersene, tutta impegnata a ballare la samba con lustrini e paillettes, a mostrare immagini che dimostrano inequivocabilmente che 'va tutto bene'.
LUIGI64 Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 Società ed influenze esterne non aiutano, ma a me pare che i meccanismi che muovono noi esseri umani, siano sempre gli stessi
extermination Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 Mah! Io ho cominciato a rendermi conto di come andasse il mondo nel momento in cui sono uscito di casa ed ho iniziato a lavorare (1987) ed ho capito che dovevo darmi da fare che potevo contare su di me e che nessuno ti regalava nulla. 1
Gaetanoalberto Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 Comunque credo che il principio del darsi da fare non sia meno diffuso: molti ragazzi lo fanno. Altre questioni sono l’ascensore sociale, che da noi non è mai stato efficientissimo ed ora anche meno, per cui, come spesso avviene, si va per opportunità fornite dall’ambiente socioeconomico di appartenenza, ed il divario tra redditi medi e potenzialità disponibili grazie a questi redditi. In tempi di espansione edilizia e di cambiali, con tanti sacrifici, la casa, l’auto ed i beni fondamentali se li sono assicurati tutti, anche partendo da zero. Ai prezzi di oggi, sembra più difficile.
damiano Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 5 ore fa, extermination ha scritto: che dovevo darmi da fare Che non è assolutamente in discussione. Tanti giovani lo fanno anche oggi, come ha scritto @Gaetanoalberto, anche lontano da mamma. Secondo me la grande disuguaglianza sta proprio nel fatto che il "darsi da fare" non è uguale per tutti. Darsi da fare con adeguata formazione e competitività individuale è diverso dal darsi da fare come lavapiatti a Londra. Anche questo contribuisce all' ascensore sociale. E poi non si devono dimenticare i "travet", sono indispensabili ed il mondo, per andare avanti ha bisogno di loro. Ciao D.
extermination Inviato 16 Giugno 2024 Inviato 16 Giugno 2024 1 ora fa, damiano ha scritto: Darsi da fare con adeguata formazione e competitività individuale è diverso dal darsi da fare come lavapiatti a Londra Se devo essere sincero, quello che mi colpisce maggiormente, sono i bassi stipendi e i lunghi percorsi di avanzamento; così "ammazzi" i molti giovani capaci di fare andare le mani ed il cervello!!!
loureediano Inviato 17 Giugno 2024 Inviato 17 Giugno 2024 Io da povero ignorante ho sempre visto che a seconda dei momenti il principe da e poi toglie. Dagli anni 80 il principe sta togliendo. Il perché possa farlo impunemente va cercato nella tv
briandinazareth Inviato 17 Giugno 2024 Inviato 17 Giugno 2024 io mi sono fatto l'idea che dietro la scomparsa del concetto di uguaglianza dal dibattito pubblico (declinato come redistribuzione, pari opportunità ecc.) ci sia un grande cambiamento culturale che sottotraccia ci sta avvicinando all'idea protestante anglosassone. ovvero l'idea del merito non solo come il necessario sforzo per avere le persone giuste nei posti giusti, ma qualcosa di morale o addirittura quasi un giudizio divino che dice banalmente che è colpa tua anche se nasci nella famiglia sbagliata. è possibile che questo cambiamento profondo sia legato alla grande influenza dell'immaginario americano su di noi
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