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La rivoluzione russa e lo stalinismo


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Inviato

 

La rivolta degli operai e dei soldati a Pietrogrado nel marzo del 1917 causò la caduta dello zar. Si costituisce un governo provvisorio in cui dominano le forze liberal-moderate. A maggio si forma un secondo governo provvisorio a cui parteciparono tutti i partiti, con l’eccezione dei bolscevichi. Accanto al potere legale si accresceva rapidamente il potere parallelo dei soviet (in russo “consiglio”), eletti direttamente dagli operai e dai soldati. E’ all’interno dei soviet che cresce un entusiasmo utopico per l’emancipazione della società da ogni potere e l’implicito rifiuto di ogni autorità centrale. Saranno i soviet di Mosca e Pietrogrado ad imporre la rivoluzione, per poi essere ridotti a funzioni puramente di facciata nel momento in cui il potere fu assunto dal partito.

Nell’aprile del 1917 Lenin, il leader dei bolscevichi, ritorna in Russia. Con il suo ritorno si accentua l’opposizione dei bolscevichi al governo provvisorio. Lenin richiese che la pace sia firmata immediatamente, cosa che avvenne, nonché la socializzazione delle terre ed il passaggio di tutti i poteri ai soviet. I bolscevichi rimanevano tuttavia una minoranza, fu il contributo da essi fornito per bloccare il tentativo di colpo di stato da parte del comandante dell’esercito generale Kornilov, appoggiato dai moderati, a rafforzare la loro posizione.

Lenin si convinse a questo punto che i bolscevichi potessero conquistare il potere con la forza. Era il 25/10/1917 secondo il calendario russo (7/11/1917 per il nostro) quando i bolscevichi, con un colpo di stato presero il potere (“rivoluzione d’ottobre”). Il governo da essi formato si scontrò con l’opposizione della maggioranza delle forze politiche, che inizialmente non si opposero con la forza, in attesa delle elezioni di fine novembre per l’elezione della assemblea costituente. Queste diedero la vittoria al partito socialrivoluzionario, con la maggioranza assoluta dei voti. Con un ulteriore atto di forza l’assemblea costituente fu subito sciolta; Lenin rompeva così definitivamente la tradizione democratica occidentale. Con il trattato di Brest-Litovsk (marzo 1918) la Russia esce dalla guerra; per rappresaglia i Paesi dell’Intesa appoggiarono le forze antibolsceviche. Fu l’inizio di una guerra civile. Per rispondere alla gravità della situazione i bolscevichi instaurarono una dittatura e costituirono l’Armata rossa; riuscirono così a bloccare e vincere le “armate bianche”.

In materia di politica economica il governo bolscevico prese nel 1918 misure energiche ed autoritarie, il c.d. “comunismo di guerra”, con la centralizzazione delle decisioni e la statalizzazione di quasi tutte le attività produttive. Queste misure si risolsero in un totale fallimento; crollò la produzione industriale e vi fu una carestia che provocò circa 3 milioni di morti. Il fallimento alimentò il malcontento di operai e contadini. Nel 1921 la politica economica mutò con la NEP (nuova politica economica), con una parziale liberalizzazione delle attività economica. La NEP, sebbene stimolò la ripresa economica, provocò effetti indesiderati e non previsti, ovvero la crescita dei contadini ricchi, degli imprenditori ed degli affaristi, mentre la grande industria, in mano allo stato, non mostrò alcuna ripresa.

Nel 1922 nasce l’U.R.S.S., con una nuova costituzione che legittimava la dittatura del partito comunista, l’unico cui fosse consentita l’esistenza. I bolscevichi tentarono nel contempo di trasformare la cultura ed i valori tradizionali, ne conseguì la lotta contro la chiesa ortodossa, ma anche nuove norme sulla famiglia, la proclamazione dell’assoluta parità dei sessi, un grande impegno per l’istruzione e l’educazione dei giovani.

Nell’aprile del 1922 Josip Djugasvili, detto Stalin, fu nominato segretario generale del partito, nel momento in cui si aggravano le condizioni di salute di Lenin. Si apre la lotta per la successione alla guida del partito. Stalin, che non era ben visto da Lenin, il quale lo considerava troppo rozzo ed autoritario, riuscì dapprima ad emarginare Trotzkij, che intendeva limitare i poteri del partito e bloccare la sua burocratizzazione ridando spazio ai soviet. Stalin alla “rivoluzione permanente” contrappose il socialismo in un solo paese, posizione politicamente realista. Sconfitto Trotzkij, Stalin si sbarazzò anche della “opposizione di sinistra”, che chiedeva la fine della NEP e l’accelerazione dello sviluppo industriale. Fu così posto fuori dalla scena il gruppo dirigente storico. Stalin ormai controllava l’onnipotente macchina del partito e con essa affermava sempre di più il suo potere personale

 

Nel corso degli anni ’30, quando la grande depressione soffocava le economie capitalistiche ed i fascismi trionfavano, l’URSS divenne punto di riferimento per gli antifascisti di tutto il mondo, sia per il suo tentativo di costruire una nuova società fondata sul socialismo, sia per i successi nel suo gigantesco sforzo di industrializzazione.

Stalin, sconfitta l’opposizione di sinistra, nel 1927 decise di porre fine alla NEP. Egli era convinto, come lo era tutta la dirigenza del partito, che l’industrializzazione fosse un presupposto imprescindibile per la società socialista, come pure solo una forte industria pesante avrebbe reso l’URSS una grande potenza militare.

Il primo ostacolo ad un’economia totalmente collettivizzata e fortemente industrializzata furono i c.d. “kulaki”, ovvero i contadini benestanti, accusati di essere affamatori del popolo. Alle prime misure restrittive e alle requisizioni, i kulaki risposero limitando la produzione. La rappresaglia di Stalin (era il 1929) fu la collettivizzazione dell’agricoltura e la eliminazione dei kulaki come classe sociale. Il numero due del partito, Bucharin, sostenitore della NEP e contrario all’operazione, fu condannato come “deviazionista di destra”. Si prospettava, come poi in effetti avvenne, una sanguinosa repressione. Tutti coloro che si opposero alla collettivizzazione dell’agricoltura furono considerati “nemici del popolo”. Seguirono migliaia di fucilazioni dopo processi sommari, centinaia di migliaia di arresti, alcuni milioni di deportati in Siberia nei “campi di lavoro”.

Tra il 1929 ed il 1933 fu attuata un gigantesca “rivoluzione dall’alto” (così la definì Stalin) e nello stesso lasso di tempo i kulaki furono eliminati non solo come classe, ma anche fisicamente, con metodi analoghi a quelli nazisti. I costi umani dell’operazione furono altissimi, stimabili in circa cinque milioni di morti, ed i risultati economici disastrosi. Fra disorganizzazioni, inefficienze, resistenze dei contadini, nel biennio 32-33 vi fu una carestia, e solo nella metà degli anni ’30, grazie alla meccanizzazione agricola, fu possibile raggiungere e superare i livelli del periodo della NEP.

Lo scopo che Stalin si proponeva con la collettivizzazione dell’agricoltura era di fornire le basi economiche ed umane per l’industrializzazione del paese. I risultati conseguiti furono considerevoli, sebbene inferiori ai programmati nel primo “piano quinquennale” 1928-1932; la produzione industriale aumentò del 50%, fino al 200% per carbone e acciaio, il numero degli operai passò da 3 a 5 milioni. Con il secondo piano quinquennale (1932-1937) la produzione industriale aumentò del 120% ed il numero degli operai giunse a 10 milioni. Erano ritmi di crescita sconosciuti ai paesi capitalistici ed ancora più eclatanti se confrontati con la profonda recessione degli anni ’30.

Gli strumenti per conseguire simili risultati furono una enorme concentrazione di risorse, reso possibile dall’altrettanto enorme prelievo di risorse a spese della popolazione, nonché l’entusiasmo ideologico che Stalin riuscì a mobilitare sugli obiettivi del piano. Fu questo a rendere possibile che i lavoratori tollerassero sacrifici pesanti in consumi e ritmi di lavoro ed una disciplina militare nelle fabbriche. Furono istituiti dei premi ai lavoratori più produttivi, fra cui si ricorda ancora oggi Aleksej Stachanov, da cui deriva il termine “stachanovista”, inteso come lavoratore produttivo ed instancabile.

Le notizie di questi successi dell’economia sovietica giunsero in Occidente, dove i comunisti trassero da ciò l’auspicio che la rivoluzione avrebbe trionfato presto. Anche le sinistre non comuniste guardarono con ammirazione all’URSS ed al suo straordinario e fruttuoso tentativo di industrializzazione, avvenuta nel momento in cui l’economia capitalistica era in profonda crisi.

Non erano invece ben noti i costi umani e politici dell’impresa e l’immane tragedia storica avvenuta nelle campagne; non era neppure noto il clima di sospetto e di repressione che regnava nel paese, clima che rese ancora più accentuato l’autoritarismo dispotico di Stalin. Costui, grazie ad un apparato burocratico e poliziesco privo di vincoli, ma anche sorretto dal consenso di milioni di lavoratori, divenne un capo carismatico con caratteri in nulla diversi dal contemporaneo Hitler. Stalin era il depositario della vera dottrina marxista-leninista ed il garante della sua applicazione. Ogni forma di critica venne considerata un tradimento, la cultura venne sottoposta ad una rigida censura secondo i canoni del c.d. “realismo socialista” al punto da perseguitare scienziati illustri rei di aver sostenuto teorie “non ortodosse”.

Suscita profondi e inquietanti interrogativi su come sia stato possibile che una rivoluzione, animata da speranze di libertà e di giustizia sociale, sia diventata una tirannide sanguinaria. Lo stalinismo è purtroppo un fenomeno che si inserisce nella storia russa, nel carattere dei russi e nella tradizione imperiale russa, contrassegnata da soggetti dispotici e sanguinari. Sicuramente a questo sostrato contribuì l’esperienza traumatica di una industrializzazione rapidissima e forzata, possibile solo con uno spietato “pugno di ferro”. Stalin, che sembrava un moderno Ivan il Terribile, portò dal canto suo alle estreme conseguenze le premesse autoritarie insite nel pensiero leninista e nel sistema sovietico, aggiungendovi, con i suoi tratti paranoici, una crudele spietatezza ed arbitrio. L’industrializzazione sovietica fu compiuta così con l’eliminazione fisica dei suoi nemici, reali e potenziali, cui vanno aggiunti migliaia di quadri di partito ed un numero incalcolabile di cittadini sospetti di “deviazionismo” o solo non graditi alla polizia politica.

Una “macchina del terrore”, che ha un suo precedente storico nella rivoluzione francese, si avviò con il primo piano quinquennale, con l’eliminazione di contadini, ma anche di commercianti, dirigenti di partito e tecnici. Seguirono poi nel 1934 le “grandi purghe” con l’assassino di Sergej Kirov (pare su ordine dello stesso Stalin), dirigente di punta del partito, cui seguirono ondate di arresti sempre all’interno del partito. Le purghe si susseguirono a ritmo impressionante, giustificate dalla necessità di colpire presunti traditori e nemici di classe. E’, probabilmente, la più grande repressione poliziesca che la storia ricordi; essa colpì milioni di persone, per cui furono creati un numero imprecisato di “lager” disseminati nelle zone più inospitali dell’URSS. Era un universo che Aleksandr Solzenitsyn avrebbe poi chiamato “arcipelago Gulag”, dove Gulag è la sigla burocratica per “amministrazione centrale dei lager”. Moltissimi dei deportati furono prelevati da casa, fucilati e deportati senza aver conoscenza dei capi di imputazione.

Se possibile, anche peggiore fu la sorte di coloro che furono sottoposti a processi pubblici, formalmente regolari ma in realtà basati su confessioni estorte con la tortura. In essi, secondo un copione ripetitivo, i processati si dichiaravano colpevoli di complotti tramati con “trotzkisti” o con agenti del fascismo. Stalin così eliminò tutti gli oppositori (Zinov’ev, Kamenev e Bucharin furono fucilati, Trotzkij ucciso da un sicario in Messico), ma anche molti stretti collaboratori non più graditi. La repressione colpì pure professionisti, intellettuali, scienziati, tecnici, inghiottiti dai campi di concentramento; nel 1937 inoltre 20.000 ufficiali delle forze armate, ad iniziare dal comandante dell’Armata rossa, furono eliminati. Si calcola che nel biennio 1937-1938 circa 700.000 persone furono eliminate nelle “purghe”, mentre dall’inizio della collettivizzazione dell’agricoltura allo scoppio della seconda guerra mondiale stime attendibili calcolano che le vittime dello stalinismo ammontino a 10-11 milioni di persone.

Le “purghe”, le deportazioni di massa, i processi degli anni ’30 destarono impressione in Occidente, ma la denuncia non risultò di grande rilievo: Ad impedirlo furono le scarse informazioni, i pregiudizi ideologici (si ricordi il “Terrore” ed il “Grande terrore” della rivoluzione francese, ritenuto poi componente indispensabile di ogni grande rivoluzione) e le remore politiche per il contributo dell’URSS e del comunismo internazionale alla lotta contro il nazismo.

 

  • Amministratori
cactus_atomo
Inviato

la rivoluzione del 1917 e quella abortita del 1905 sono le figli delle confitte militari, nel 17 i contadin erano stufi d essere cistretti a lasciare i campi e di andare a morire agli ordini i generali incompeneti (ma sceltiin base al grado di nobiltà) contro le mitragliatrici di hindenbyrgh. e infatti trotzki negoziò subito (contro il parere dei moderati) una pace con gli imperi cntrali, pace non ceeto favorevole ai russi ma che faceva comodo anche ai tedeschi che potevano rinforzare il fronte occidentale. i cosiddetti moderati non capirono cosa stava succedendo in russia e cosa voleva il popolo, avrebbero contnuato una guerra inutile e fallimentare

Inviato

@gug74

È già una sintesi, dubito fortemente che chi frequenta questo forum alle superiori abbia letto e studiato qualche riga in più sullo stalinismo.

Infine, i regimi non si valutano sul consenso, Hitler e Stalin godevano di un ampio consenso.

Inviato
20 minuti fa, gug74 ha scritto:

Vediamo se ChatGPT riesce a riassumere.

Ho seguito un corso di lettura veloce, sono riuscito a leggere Guerra e Pace in un giorno. Parlava della Russia. (E. Allen)

extermination
Inviato

In tema di diritti e di libertà, non ci son più i fessi di una volta.

Inviato
47 minuti fa, gug74 ha scritto:

Vediamo se ChatGPT riesce a riassumere.

Ho provato, ha risposto: maurodg, ti ho beccato!

bungalow bill
Inviato

Durante la rivoluzione sparirono alcune uova di Fabergé chissa che fine avranno fatto .

Inviato
2 minuti fa, bungalow bill ha scritto:

Durante la rivoluzione sparirono alcune uova di Fabergé chissa che fine avranno fatto .

@Aklasostiene a casa tua 

Inviato
1 minuto fa, bungalow bill ha scritto:

Durante la rivoluzione sparirono alcune uova di Fabergé chissa che fine avranno fatto .

Non farmelo dire..lo sai benissimo che fine hanno fatto:classic_tongue:

..

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Gaetanoalberto
Inviato

Letture interessanti che speriamo vengano (ri)fatte dai nostri forumer.  Non so quanto OT, ma mi torna in mente il dubbio se sia oggi possibile ed esistente, riviste le caratteristiche storiche, il cosiddetto rossobrunismo che tanto mi preoccupa.

bungalow bill
Inviato

Rosse o altri colori , sono sempre dittature .

Inviato
17 minuti fa, bungalow bill ha scritto:

sono sempre dittature

Esatto, sempre e comunque da condannare! Male assoluto? Sì? No? Macchissene delle definizioni: hanno fatto, fanno e (purtroppo) faranno schifo 

Inviato

Non sono dittature, sono peggio. Ho postato una sintesi sul cosa sia il totalitarismo per sottolineare la differenza con le dittature.

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BEST-GROOVE
Inviato

Maronna che pippone!!!martello2.gif.f4552140d1736c1a4f725050729d8fe9.gif

 

Eppoi per quale motivo tutto il titolo è in maiuscolo?

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