max Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 1 ora fa, aldofranci ha scritto: Oh mamma arrivano come mitragliate e sono terrificanti. si ma sempre per il poco rispetto che mostrano alla propria intelligenza
31canzoni Inviato 12 Ottobre 2024 Autore Inviato 12 Ottobre 2024 I suoi secondi lancino la spugna per pietà. 1
dariob Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 @appecundria Ciao Bruno, pensavo peggio. Ma incasso questa parata di insulti contrito, dietro la lavagna seduto sui ceci e pentito veramente. - Credo che ogni tentativo di osservare (almeno sbirciare) le cose dall'ottica opposta non vada assolutamente fatto! Equivale, sembra, a giustificare i massacri di civili. - Pertanto è vero: ci sono i buoni...e i cattivi. E basta! 1
Savgal Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 ISRAELE E LA QUESTIONE PALESTINESE Fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il 1903 si registrò in Palestina un notevole afflusso di ebrei provenienti dall’impero russo sia per effetto dei frequenti pogrom in quell’area sia per la radicalizzazione e la diffusione del sionismo ispirato al pensiero di Theodor Herzl, convinto assertore della necessità di costituire uno stato ebraico nella regione palestinese. Già dalla fine degli anni Ottanta si verificarono i primi scontri fra i nuovi arrivati e le popolazioni arabe stanziate da secoli nei territori dell’antico stato di Israele. Il congresso di Basilea del 1897 sancì (e i successivi congressi sionisti confermarono) la volontà degli ebrei di costituire un proprio stato, e individuò i principali strumenti per realizzare tale obiettivo nell’incremento dell’immigrazione in Palestina, nell’educazione nazionale e nelle trattative che l’Agenzia ebraica avrebbe dovuto condurre con il governo ottomano per permettere agli ebrei facilitazioni nell’acquisto di terre. Vi fu un rapido incremento della popolazione ebraica in Palestina (che nel 1914 raggiunse le 85.000 unità), con l’acquisto da parte dei nuovi arrivati delle terre più fertili. La prima guerra mondiale, il crollo dell’impero ottomano e l’ambigua politica adottata dall’Inghilterra in Palestina durante e dopo il conflitto scatenarono infine lo scontro fra gli opposti nazionalismi ebraico e arabo. Dopo essersi impegnata a riconoscere l’indipendenza degli arabi palestinesi in cambio di un loro attivo coinvolgimento nella guerra, il 2 novembre 1917 l’Inghilterra dichiarò di condividere il progetto sionista di istituire un “focolare nazionale ebraico” in Palestina. Da questa data si intensificò ulteriormente il movimento migratorio di ebrei verso la Palestina, che continuò durante tutto il primo dopoguerra, aumentando ulteriormente negli anni delle persecuzioni razziali naziste. Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale la Gran Bretagna aveva frattanto ottenuto la possibilità di esercitare la propria influenza sulla zona siriaco-palestinese, e nel 1920 la Società delle Nazioni le affidò il mandato sulla Palestina. L’intensa opera di colonizzazione ebraica, favorita anche dal governo inglese, provocò scontri fra i coloni e la popolazione araba, che iniziò a organizzarsi politicamente dal 1936, quando si ebbe una grande sollevazione araba in opposizione all’immigrazione ebraica e all’ambigua politica inglese. Tra il 1936 e il 1939 scoppiarono acuti conflitti, anche armati, tra arabi ed ebrei. Una proposta britannica nel 1937 di procedere alla spartizione della Palestina venne respinta dagli arabi; sicché gli inglesi nel 1939 avanzarono la proposta, che venne rifiutata dalle due parti, di costituire entro dieci anni uno stato palestinese binazionale. La reciproca collaborazione fra i paesi arabi venne sancita dalla conferenza di Alessandria del 1944, che portò alla formazione della Lega araba (1945), subito divenuta il punto di riferimento per tutti coloro che rifiutavano la costituzione di uno stato ebraico in Palestina. Dopo la seconda guerra mondiale, il genocidio compiuto dai nazisti nei confronti degli ebrei diede grande forza al progetto sionista di costituzione di uno stato ebraico indipendente, trovando un appoggio determinante negli Stati Uniti. La Gran Bretagna, cui restava affidata l’amministrazione della Palestina, si trovò a dover fronteggiare contemporaneamente l’afflusso di immigrati clandestini ebrei e il crescere della conflittualità tra ebrei e arabi. Alla fine del conflitto – quando ormai si contavano oltre mezzo milione di ebrei e più di un milione di arabi – si consolidò ulteriormente la volontà ebraica di indipendenza. La Gran Bretagna optò per una linea di progressivo disimpegno dalla questione ebraico- palestinese, rimettendo alle Nazioni Unite il compito di dirimere il problema. Il governo di Londra annunciò il ritiro dalla regione entro il 15 maggio 1948. La risoluzione adottata dall’ONU il 29 novembre 1947, forte del voto statunitense, sovietico e francese e dell’astensione inglese, pur con l’opposizione dei paesi della Lega araba, dell’India, della Grecia e del Pakistan, fu quella di giungere a una divisione della Palestina fra le due popolazioni, attribuendo agli ebrei la Galilea orientale, la fascia costiera da Haifa ad Ashdod e la regione del Neghev (per Gerusalemme era prevista la creazione di una zona internazionale). Ultimata la partenza delle truppe britanniche, il 14 maggio 1948 un governo provvisorio ebraico guidato da Ben Gurion proclamò la creazione dello stato d’Israele. L’atto fu contestato come unilaterale dagli stati arabi, che vedevano in esso una forma intollerabile di sopraffazione da parte della minoranza ebraica appoggiata dai paesi occidentali nei confronti della maggioranza della popolazione araba residente in Palestina, già all’epoca economicamente subordinata. Il nuovo stato d’Israele fu subito riconosciuto da USA e URSS. La scelta di cercare una soluzione armata al problema palestinese si rivelò disastrosa per la Lega araba e per gli arabi di Palestina. Dopo aver dichiarato guerra allo stato ebraico all’indomani della sua proclamazione, il 15 maggio 1948, gli eserciti egiziano, transgiordano, siriano, libanese e iracheno vennero duramente sconfitti. La prima guerra arabo-israeliana, conclusasi con gli armistizi separati del 1949, permise il rafforzamento territoriale di Israele rispetto al precedente piano di spartizione previsto dall’ONU per la Palestina e, sul piano internazionale, portò al riconoscimento del paese da parte di molti altri stati e al suo ingresso nelle Nazioni Unite (marzo 1949). La proclamazione dello stato di Israele nel 1948, la guerra arabo-israeliana del 1948-49 e le guerre successive determinarono un esodo massiccio di popolazione araba dalla Palestina controllata dagli ebrei. E’ la nascita della “questione palestinese”. La negazione intransigente del diritto all’esistenza di Israele da parte della Lega araba, naturale punto di riferimento degli arabi di Palestina, determinò negli anni successivi l’accentuazione delle basi etnico- religiose dello stato ebraico, vanificando per molto tempo ogni progetto di soluzione della questione palestinese. I palestinesi della diaspora, che non riconoscevano la legittimità del nuovo stato, cercarono appoggio presso gli stati arabi, entrati a loro volta in conflitto endemico con Israele. Parola d’ordine generale degli arabi, che svilupparono atteggiamenti di ostilità non solo verso lo stato ebraico ma anche forme di antisemitismo virulento, divenne la distruzione del nuovo stato. Per parte sua lo stato di Israele, dentro il quale era rimasta una piccola minoranza di arabi, soggetto a una condizione di permanente militarizzazione, vide svilupparsi al proprio interno atteggiamenti violentemente ostili a tutto ciò che era arabo e musulmano. A partire dal 1948 il flusso migratorio di ebrei nello stato d’Israele crebbe incessantemente, anche grazie a due leggi varate dalla knesset nel 1950 e nel 1952 (le cosiddette leggi del ritorno) volte, rispettivamente, a concedere la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei immigrati e limitarne fortemente la concessione ai non ebrei. Alla crescita della popolazione ebraica fece riscontro il forzato abbandono del territorio israeliano da parte di oltre 500.000 arabi espulsi alla fine del primo conflitto arabo-israeliano e rifugiatisi prevalentemente nel Libano meridionale e in Giordania. Nel corso dei primi anni Cinquanta Israele si schierò nettamente con i paesi occidentali, parallelamente all’avvicinamento dei paesi arabi, e in particolare dell’Egitto di Nasser, all’URSS. L’avvicinamento alla Francia e all’Inghilterra fu la premessa per il coinvolgimento israeliano in una politica intransigente e militarista verso il mondo arabo, che portò a un nuovo conflitto arabo-israeliano in occasione della crisi di Suez (1956). Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che un intervento militare potesse provocare un ulteriore avvicinamento dei paesi mediorientali all’URSS, fra la Francia, la Gran Bretagna e Israele si venne a saldare un’intesa per procedere all’intervento armato. Fra il 29 ottobre e il 5 novembre 1956 le truppe israeliane guidate da Moshe Dayan riuscirono a sconfiggere le truppe egiziane, occupando la penisola del Sinai e la striscia di Gaza. L’operazione non ebbe però l’esito sperato per la condanna statunitense e soprattutto sovietica: su pressione dell’URSS l’ONU costrinse le truppe israeliane al ritiro, che venne completato nel marzo 1957. Il secondo conflitto arabo-israeliano determinò quindi un temporaneo isolamento internazionale di Israele, e accelerò la costituzione di un movimento per la liberazione della Palestina, che si diede nel 1964 una propria specifica struttura con la nascita dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Lo schieramento palestinese, deciso alla guerriglia e all’esercizio del terrorismo contro gli israeliani, era composto dal gruppo di al-Fatah, il cui capo, Yasir Arafat, diventò nel 1968 presidente dell’OLP, e anche da altri gruppi di orientamento islamico e marxista. I palestinesi si appoggiavano agli stati arabi e all’Unione Sovietica. Nel 1974 le Nazioni Unite riconobbero l’OLP, che costituì un governo in esilio. Il terzo conflitto arabo-israeliano scoppiò nel giugno del 1967. Il mese precedente il presidente egiziano Nasser aveva voluto il ritiro delle forze dell’ONU dalla zona del Canale di Suez e il 22 maggio aveva decretato il blocco del golfo di Aqaba per le navi dirette verso Israele. A queste azioni lo stato ebraico rispose con il bombardamento, il 5 giugno, dei principali aeroporti arabi, mentre l’esercito, guidato da Moshe Dayan, occupava la striscia di Gaza, la Cisgiordania, l’alta Galilea, il Golan e tutta la penisola del Sinai. Nel giro di sei giorni (5-10 giugno) Israele giunse così a una vittoria militare schiacciante, che acuì di riflesso anche le tensioni fra le due superpotenze. Anche la parte orientale di Gerusalemme fu annessa unilateralmente dal governo israeliano e venne proclamata capitale dello stato, nonostante la condanna dell’ONU. Respinta sia da Israele sia dai paesi arabi e dall’OLP la risoluzione dell’ONU che prevedeva la restituzione dei territori occupati in cambio del riconoscimento di Israele, lo stato ebraico non riuscì anche in questo caso ad avviare un autentico processo di pace che gli consentisse di sfruttare completamente la sua vittoria militare. In mancanza di trattati di pace con i paesi arabi (che non poterono essere sottoscritti per il rifiuto di questi ultimi di riconoscere lo stato ebraico), Israele ignorò da parte sua la risoluzione dell’ONU per quanto riguardava la restituzione dei territori occupati, avviando anzi un processo di colonizzazione delle nuove terre. La progressiva creazione di insediamenti ebraici nelle zone occupate (per fronteggiare l’incremento della popolazione ebraica a seguito di nuovi afflussi provenienti dal Corno d’Africa e anche dall’URSS) e l’utilizzazione nello stesso territorio israeliano della popolazione araba delle zone occupate come manodopera non specializzata creò un rapporto di totale subalternità economica dei palestinesi, fomentando ulteriormente il loro spirito di rivalsa contro gli occupanti. Dal 1968 l’OLP radicalizzò la sua posizione e incominciò a minacciare direttamente la sicurezza di Israele. Gli israeliani scelsero di proseguire sulla via della colonizzazione dei territori occupati e dell’intransigenza verso gli arabi, mentre in politica estera si rafforzarono ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti (anche per compensare i sempre più tiepidi rapporti con i paesi europei). La rigida politica israeliana trovò d’altra parte riscontro nei paesi vicini: in Egitto anche il successore di Nasser, Sadat, tentò in un primo tempo la via dello scontro armato con Israele. L’attacco congiunto sferrato dagli eserciti egiziano e siriano nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, il 6 ottobre 1973, venne respinto dalle forze israeliane, che nella loro controffensiva giunsero a minacciare la stessa capitale egiziana. La guerra mise però anche in luce la vulnerabilità di Israele sul piano militare e soprattutto la fragilità economica di un paese privo di materie prime di fronte alle enormi risorse petrolifere di cui disponevano i paesi arabi (che non a caso le usarono come arma di ricatto verso l’Occidente). Con la decisiva mediazione degli Stati Uniti, si giunse ad un’importante apertura nei confronti dell’Egitto sanzionata dalla visita di Sadat a Gerusalemme (1977), dagli accordi di Camp David del 5 settembre 1978 e dal trattato di pace fra Egitto e Israele stipulato a Washington nel marzo 1979. Israele rinunciò allora alla penisola del Sinai in cambio del consolidamento delle frontiere e del suo riconoscimento da parte del più grande paese arabo (che subì per questo l’espulsione dalla Lega araba). A questo successo in politica estera non corrispose però un mutamento di indirizzo nei rapporti con i palestinesi, con i quali anzi si scelse la linea più dura. Nonostante i dissensi interni e le negative reazioni di Egitto e Stati Uniti fu ripresa la politica di colonizzazione in Cisgiordania. L’incursione aerea del giugno 1981 a Tammuz, in Iraq, il rifiuto di diversi piani di pace e soprattutto la decisione di annettere, nel dicembre 1981, le alture del Golan siriane furono le più evidenti manifestazioni di una politica aggressiva che non mancò di ritorcersi contro lo stesso Israele (con l’annullamento da parte degli Stati Uniti degli accordi di cooperazione firmati solo pochi giorni prima). Nel maggio 1982, dopo ripetuti scioperi generali della popolazione palestinese e in un clima di violenza generalizzata, il governo israeliano avviò l’operazione denominata “pace in Galilea”, diretta contro il Libano meridionale. L’intento era di stroncare la minaccia del terrorismo palestinese, che trovava terreno fertile nei campi profughi, e soprattutto di schiacciare definitivamente l’OLP, che aveva in Beirut il suo quartier generale. Alle incursioni aeree contro le basi palestinesi del Libano meridionale seguì quindi, nel giugno 1982, l’invasione del paese vicino, che portò l’esercito israeliano allo scontro con l’aviazione siriana nella valle della Bekaa e all’occupazione di Tiro e Sidone. Il quartier generale dell’OLP dovette allora abbandonare Beirut per trasferirsi a Tunisi. Particolarmente gravi furono, nel settembre, i massacri avvenuti nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila operati dalle milizie cristiane libanesi con la sostanziale complicità dell’esercito israeliano. Solo negli ultimi mesi del 1983 il crescente dissenso interno, la dura condanna della comunità internazionale, i gravi costi economici e umani dell’operazione costrinsero Israele a risolversi a sgomberare il Libano meridionale (progetto attuato però solo fra il gennaio e il giugno del 1985). Sotto la guida di Peres ogni tentativo di prendere contatti con i paesi arabi moderati per avviare a soluzione l’irrisolta questione palestinese fu ostacolato dalle forze governative di centrodestra. Con il governo Shamir (1986) si intensificò l’opera di colonizzazione e di repressione nei territori della Cisgiordania e di Gaza. Proprio in queste aree la costante conflittualità venne esacerbata dallo scoppio, nel 1987, della rivolta della popolazione araba, l’Intifada (“guerra delle pietre”). Dopo anni di scontro frontale, l’OLP, prendendo atto della impossibilità di distruggere lo stato di Israele, nel 1988-89 cambiò la propria strategia politica, affermando di riconoscere l’esistenza dello stato a patto che Israele riconoscesse a sua volta il diritto per i palestinesi di costituire uno stato indipendente, la cui esistenza venne proclamata nel 1988 dall’OLP, comprendente la Cisgiordania e Gaza. La nuova politica di Arafat andò incontro al totale rifiuto delle organizzazioni palestinesi estremistiche, in particolare del gruppo islamico di Hamas. Nel maggio 1989 il nuovo governo israeliano guidato da Shamir, pur senza abbandonare la politica della repressione nei confronti della rivolta palestinese, accettò di organizzare elezioni nei territori occupati, riconoscendo così la legittimità di una rappresentanza araba in campo amministrativo (nella speranza di soddisfare la componente palestinese moderata). Rimase invece irrisolta la questione del ritiro israeliano da quelle aree, sia per la difficoltà di smantellare le colonie ebraiche sorte al loro interno sia perché quelle zone erano comunque diventate (pur nella loro subalternità) parte integrante del sistema economico israeliano. Nel 1991, sempre grazie alla mediazione statunitense, diede inizio alle trattative di pace con i paesi arabi, pur permanendo il problema del mancato riconoscimento dell’OLP come legittima controparte dei negoziati. Nel 1993 il nuovo governo riconobbe l’OLP e siglò a Washington, con la mediazione statunitense, uno storico accordo di pace con il quale fu concessa ai palestinesi l’autonomia a Gerico e nella striscia di Gaza. Nell’ottobre del 1994 fu siglato un trattato di pace con la Giordania. Nel 1995 l’autonomia fu estesa alla Cisgiordania. Il processo di pace fu altresì lento e difficoltoso per l’opposizione della destra israeliana e dei fondamentalisti islamici. Il capo del governo, Rabin, cadde vittima di un attentato terroristico nel novembre del 1995 e gli subentrò al governo S. Peres. Alle elezioni del 1996, che furono precedute da gravissimi attentati terroristici messi a segno dal gruppo di Hamas, i laburisti furono sconfitti dalle destre, che frapposero nuovi ostacoli al processo di pace, favorendo l’insediamento di nuovi coloni nei territori occupati. Un nuovo accordo siglato nel 1998 tra Israele e l’OLP rimase di fatto senza seguito. . Nel 1999 i colloqui di pace ripresero il loro corso, pur tra molteplici difficoltà, sempre con la mediazione USA. Nel maggio del 2000 gli israeliani completarono il ritiro dalla fascia di sicurezza nel Libano meridionale. 1
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 1 ora fa, Max440 ha scritto: communiity non è composta solo da coloro che la pensano come te: esiste il contradditorio. Cosa c'entra il contraddittorio? Senza menare il can per l'aia: non devi offendere l'interlocutore, imho, come fai ad ogni post. Poi, senza offendere, pensala come vuoi, qual è il problema? Anzi, a chi interessa un mortorio con tutti che la pensano allo stesso modo? Se poi ti senti in diritto di offendere e disprezzare fai pure, tanto il mondo continuerà a girare.
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 Siamo ancora a sospettare il dispettuccio perché si vede diversamente un problema? All'età nostra??? Ma roba da matti...
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 2 ore fa, Max440 ha scritto: direi un 30/70, che è già un successone su una piattaforma notoriamente "pendente" da un lato Roba da adolescenti, abbi pazienza ma non ho l'età per questi giochetti, sarei patetico. Lasciamo perdere. Parla come sei, e scusa se ti ho detto la mia.
Savgal Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 @appecundria Sopra ho postato una sintesi sulla storia di Israele fino all'anno 2000 tratta da una enciclopedia storica, considerando che l'esperto di storia contemporanea che interviene a raffica ti ha "invitato" a studiare. Ritengo tuttavia che dovresti chiedergli a quali autori e testi faccia riferimento. 2
albrt Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 29 minuti fa, Savgal ha scritto: quali autori e testi faccia riferimento. Ad occhio e croce si tratta del vecchio testamento. Alberto 1
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 1 ora fa, dariob ha scritto: Ma incasso questa parata di insulti contrito, Quali insulti? Non ho letto tutto.
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 3 ore fa, Max440 ha scritto: per quale motivo? Ti lascio ancora qualche settimana per studiare meglio "Storia Contemporanea" Per favore non prenderti confidenze. Come devo fartelo capire?
appecundria Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 12 ore fa, dariob ha scritto: evacuare decine di migliaia di civili (anche arabi) dal nord di Israele. Però se facciamo così non ci resta che sperare che palestinesi e libanesi scompaiano rapidamente e senza troppe sofferenze di fronte al loro ineludibile destino. Poi toccherà ai giordani e ai siriani.
Gustavino Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 1 hour ago, Savgal said: ISRAELE E LA QUESTIONE PALESTINESE Fra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il 1903 si registrò in Palestina un notevole afflusso di ebrei provenienti dall’impero russo sia per effetto dei frequenti pogrom in quell’area sia per la radicalizzazione e la diffusione del sionismo ispirato al pensiero di Theodor Herzl, convinto assertore della necessità di costituire uno stato ebraico nella regione palestinese. Già dalla fine degli anni Ottanta si verificarono i primi scontri fra i nuovi arrivati e le popolazioni arabe stanziate da secoli nei territori dell’antico stato di Israele. Il congresso di Basilea del 1897 sancì (e i successivi congressi sionisti confermarono) la volontà degli ebrei di costituire un proprio stato, e individuò i principali strumenti per realizzare tale obiettivo nell’incremento dell’immigrazione in Palestina, nell’educazione nazionale e nelle trattative che l’Agenzia ebraica avrebbe dovuto condurre con il governo ottomano per permettere agli ebrei facilitazioni nell’acquisto di terre. Vi fu un rapido incremento della popolazione ebraica in Palestina (che nel 1914 raggiunse le 85.000 unità), con l’acquisto da parte dei nuovi arrivati delle terre più fertili. La prima guerra mondiale, il crollo dell’impero ottomano e l’ambigua politica adottata dall’Inghilterra in Palestina durante e dopo il conflitto scatenarono infine lo scontro fra gli opposti nazionalismi ebraico e arabo. Dopo essersi impegnata a riconoscere l’indipendenza degli arabi palestinesi in cambio di un loro attivo coinvolgimento nella guerra, il 2 novembre 1917 l’Inghilterra dichiarò di condividere il progetto sionista di istituire un “focolare nazionale ebraico” in Palestina. Da questa data si intensificò ulteriormente il movimento migratorio di ebrei verso la Palestina, che continuò durante tutto il primo dopoguerra, aumentando ulteriormente negli anni delle persecuzioni razziali naziste. Dopo la vittoria nella prima guerra mondiale la Gran Bretagna aveva frattanto ottenuto la possibilità di esercitare la propria influenza sulla zona siriaco-palestinese, e nel 1920 la Società delle Nazioni le affidò il mandato sulla Palestina. L’intensa opera di colonizzazione ebraica, favorita anche dal governo inglese, provocò scontri fra i coloni e la popolazione araba, che iniziò a organizzarsi politicamente dal 1936, quando si ebbe una grande sollevazione araba in opposizione all’immigrazione ebraica e all’ambigua politica inglese. Tra il 1936 e il 1939 scoppiarono acuti conflitti, anche armati, tra arabi ed ebrei. Una proposta britannica nel 1937 di procedere alla spartizione della Palestina venne respinta dagli arabi; sicché gli inglesi nel 1939 avanzarono la proposta, che venne rifiutata dalle due parti, di costituire entro dieci anni uno stato palestinese binazionale. La reciproca collaborazione fra i paesi arabi venne sancita dalla conferenza di Alessandria del 1944, che portò alla formazione della Lega araba (1945), subito divenuta il punto di riferimento per tutti coloro che rifiutavano la costituzione di uno stato ebraico in Palestina. Dopo la seconda guerra mondiale, il genocidio compiuto dai nazisti nei confronti degli ebrei diede grande forza al progetto sionista di costituzione di uno stato ebraico indipendente, trovando un appoggio determinante negli Stati Uniti. La Gran Bretagna, cui restava affidata l’amministrazione della Palestina, si trovò a dover fronteggiare contemporaneamente l’afflusso di immigrati clandestini ebrei e il crescere della conflittualità tra ebrei e arabi. Alla fine del conflitto – quando ormai si contavano oltre mezzo milione di ebrei e più di un milione di arabi – si consolidò ulteriormente la volontà ebraica di indipendenza. La Gran Bretagna optò per una linea di progressivo disimpegno dalla questione ebraico- palestinese, rimettendo alle Nazioni Unite il compito di dirimere il problema. Il governo di Londra annunciò il ritiro dalla regione entro il 15 maggio 1948. La risoluzione adottata dall’ONU il 29 novembre 1947, forte del voto statunitense, sovietico e francese e dell’astensione inglese, pur con l’opposizione dei paesi della Lega araba, dell’India, della Grecia e del Pakistan, fu quella di giungere a una divisione della Palestina fra le due popolazioni, attribuendo agli ebrei la Galilea orientale, la fascia costiera da Haifa ad Ashdod e la regione del Neghev (per Gerusalemme era prevista la creazione di una zona internazionale). Ultimata la partenza delle truppe britanniche, il 14 maggio 1948 un governo provvisorio ebraico guidato da Ben Gurion proclamò la creazione dello stato d’Israele. L’atto fu contestato come unilaterale dagli stati arabi, che vedevano in esso una forma intollerabile di sopraffazione da parte della minoranza ebraica appoggiata dai paesi occidentali nei confronti della maggioranza della popolazione araba residente in Palestina, già all’epoca economicamente subordinata. Il nuovo stato d’Israele fu subito riconosciuto da USA e URSS. La scelta di cercare una soluzione armata al problema palestinese si rivelò disastrosa per la Lega araba e per gli arabi di Palestina. Dopo aver dichiarato guerra allo stato ebraico all’indomani della sua proclamazione, il 15 maggio 1948, gli eserciti egiziano, transgiordano, siriano, libanese e iracheno vennero duramente sconfitti. La prima guerra arabo-israeliana, conclusasi con gli armistizi separati del 1949, permise il rafforzamento territoriale di Israele rispetto al precedente piano di spartizione previsto dall’ONU per la Palestina e, sul piano internazionale, portò al riconoscimento del paese da parte di molti altri stati e al suo ingresso nelle Nazioni Unite (marzo 1949). La proclamazione dello stato di Israele nel 1948, la guerra arabo-israeliana del 1948-49 e le guerre successive determinarono un esodo massiccio di popolazione araba dalla Palestina controllata dagli ebrei. E’ la nascita della “questione palestinese”. La negazione intransigente del diritto all’esistenza di Israele da parte della Lega araba, naturale punto di riferimento degli arabi di Palestina, determinò negli anni successivi l’accentuazione delle basi etnico- religiose dello stato ebraico, vanificando per molto tempo ogni progetto di soluzione della questione palestinese. I palestinesi della diaspora, che non riconoscevano la legittimità del nuovo stato, cercarono appoggio presso gli stati arabi, entrati a loro volta in conflitto endemico con Israele. Parola d’ordine generale degli arabi, che svilupparono atteggiamenti di ostilità non solo verso lo stato ebraico ma anche forme di antisemitismo virulento, divenne la distruzione del nuovo stato. Per parte sua lo stato di Israele, dentro il quale era rimasta una piccola minoranza di arabi, soggetto a una condizione di permanente militarizzazione, vide svilupparsi al proprio interno atteggiamenti violentemente ostili a tutto ciò che era arabo e musulmano. A partire dal 1948 il flusso migratorio di ebrei nello stato d’Israele crebbe incessantemente, anche grazie a due leggi varate dalla knesset nel 1950 e nel 1952 (le cosiddette leggi del ritorno) volte, rispettivamente, a concedere la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei immigrati e limitarne fortemente la concessione ai non ebrei. Alla crescita della popolazione ebraica fece riscontro il forzato abbandono del territorio israeliano da parte di oltre 500.000 arabi espulsi alla fine del primo conflitto arabo-israeliano e rifugiatisi prevalentemente nel Libano meridionale e in Giordania. Nel corso dei primi anni Cinquanta Israele si schierò nettamente con i paesi occidentali, parallelamente all’avvicinamento dei paesi arabi, e in particolare dell’Egitto di Nasser, all’URSS. L’avvicinamento alla Francia e all’Inghilterra fu la premessa per il coinvolgimento israeliano in una politica intransigente e militarista verso il mondo arabo, che portò a un nuovo conflitto arabo-israeliano in occasione della crisi di Suez (1956). Nonostante l’opposizione degli Stati Uniti, preoccupati che un intervento militare potesse provocare un ulteriore avvicinamento dei paesi mediorientali all’URSS, fra la Francia, la Gran Bretagna e Israele si venne a saldare un’intesa per procedere all’intervento armato. Fra il 29 ottobre e il 5 novembre 1956 le truppe israeliane guidate da Moshe Dayan riuscirono a sconfiggere le truppe egiziane, occupando la penisola del Sinai e la striscia di Gaza. L’operazione non ebbe però l’esito sperato per la condanna statunitense e soprattutto sovietica: su pressione dell’URSS l’ONU costrinse le truppe israeliane al ritiro, che venne completato nel marzo 1957. Il secondo conflitto arabo-israeliano determinò quindi un temporaneo isolamento internazionale di Israele, e accelerò la costituzione di un movimento per la liberazione della Palestina, che si diede nel 1964 una propria specifica struttura con la nascita dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Lo schieramento palestinese, deciso alla guerriglia e all’esercizio del terrorismo contro gli israeliani, era composto dal gruppo di al-Fatah, il cui capo, Yasir Arafat, diventò nel 1968 presidente dell’OLP, e anche da altri gruppi di orientamento islamico e marxista. I palestinesi si appoggiavano agli stati arabi e all’Unione Sovietica. Nel 1974 le Nazioni Unite riconobbero l’OLP, che costituì un governo in esilio. Il terzo conflitto arabo-israeliano scoppiò nel giugno del 1967. Il mese precedente il presidente egiziano Nasser aveva voluto il ritiro delle forze dell’ONU dalla zona del Canale di Suez e il 22 maggio aveva decretato il blocco del golfo di Aqaba per le navi dirette verso Israele. A queste azioni lo stato ebraico rispose con il bombardamento, il 5 giugno, dei principali aeroporti arabi, mentre l’esercito, guidato da Moshe Dayan, occupava la striscia di Gaza, la Cisgiordania, l’alta Galilea, il Golan e tutta la penisola del Sinai. Nel giro di sei giorni (5-10 giugno) Israele giunse così a una vittoria militare schiacciante, che acuì di riflesso anche le tensioni fra le due superpotenze. Anche la parte orientale di Gerusalemme fu annessa unilateralmente dal governo israeliano e venne proclamata capitale dello stato, nonostante la condanna dell’ONU. Respinta sia da Israele sia dai paesi arabi e dall’OLP la risoluzione dell’ONU che prevedeva la restituzione dei territori occupati in cambio del riconoscimento di Israele, lo stato ebraico non riuscì anche in questo caso ad avviare un autentico processo di pace che gli consentisse di sfruttare completamente la sua vittoria militare. In mancanza di trattati di pace con i paesi arabi (che non poterono essere sottoscritti per il rifiuto di questi ultimi di riconoscere lo stato ebraico), Israele ignorò da parte sua la risoluzione dell’ONU per quanto riguardava la restituzione dei territori occupati, avviando anzi un processo di colonizzazione delle nuove terre. La progressiva creazione di insediamenti ebraici nelle zone occupate (per fronteggiare l’incremento della popolazione ebraica a seguito di nuovi afflussi provenienti dal Corno d’Africa e anche dall’URSS) e l’utilizzazione nello stesso territorio israeliano della popolazione araba delle zone occupate come manodopera non specializzata creò un rapporto di totale subalternità economica dei palestinesi, fomentando ulteriormente il loro spirito di rivalsa contro gli occupanti. Dal 1968 l’OLP radicalizzò la sua posizione e incominciò a minacciare direttamente la sicurezza di Israele. Gli israeliani scelsero di proseguire sulla via della colonizzazione dei territori occupati e dell’intransigenza verso gli arabi, mentre in politica estera si rafforzarono ulteriormente i rapporti con gli Stati Uniti (anche per compensare i sempre più tiepidi rapporti con i paesi europei). La rigida politica israeliana trovò d’altra parte riscontro nei paesi vicini: in Egitto anche il successore di Nasser, Sadat, tentò in un primo tempo la via dello scontro armato con Israele. L’attacco congiunto sferrato dagli eserciti egiziano e siriano nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, il 6 ottobre 1973, venne respinto dalle forze israeliane, che nella loro controffensiva giunsero a minacciare la stessa capitale egiziana. La guerra mise però anche in luce la vulnerabilità di Israele sul piano militare e soprattutto la fragilità economica di un paese privo di materie prime di fronte alle enormi risorse petrolifere di cui disponevano i paesi arabi (che non a caso le usarono come arma di ricatto verso l’Occidente). Con la decisiva mediazione degli Stati Uniti, si giunse ad un’importante apertura nei confronti dell’Egitto sanzionata dalla visita di Sadat a Gerusalemme (1977), dagli accordi di Camp David del 5 settembre 1978 e dal trattato di pace fra Egitto e Israele stipulato a Washington nel marzo 1979. Israele rinunciò allora alla penisola del Sinai in cambio del consolidamento delle frontiere e del suo riconoscimento da parte del più grande paese arabo (che subì per questo l’espulsione dalla Lega araba). A questo successo in politica estera non corrispose però un mutamento di indirizzo nei rapporti con i palestinesi, con i quali anzi si scelse la linea più dura. Nonostante i dissensi interni e le negative reazioni di Egitto e Stati Uniti fu ripresa la politica di colonizzazione in Cisgiordania. L’incursione aerea del giugno 1981 a Tammuz, in Iraq, il rifiuto di diversi piani di pace e soprattutto la decisione di annettere, nel dicembre 1981, le alture del Golan siriane furono le più evidenti manifestazioni di una politica aggressiva che non mancò di ritorcersi contro lo stesso Israele (con l’annullamento da parte degli Stati Uniti degli accordi di cooperazione firmati solo pochi giorni prima). Nel maggio 1982, dopo ripetuti scioperi generali della popolazione palestinese e in un clima di violenza generalizzata, il governo israeliano avviò l’operazione denominata “pace in Galilea”, diretta contro il Libano meridionale. L’intento era di stroncare la minaccia del terrorismo palestinese, che trovava terreno fertile nei campi profughi, e soprattutto di schiacciare definitivamente l’OLP, che aveva in Beirut il suo quartier generale. Alle incursioni aeree contro le basi palestinesi del Libano meridionale seguì quindi, nel giugno 1982, l’invasione del paese vicino, che portò l’esercito israeliano allo scontro con l’aviazione siriana nella valle della Bekaa e all’occupazione di Tiro e Sidone. Il quartier generale dell’OLP dovette allora abbandonare Beirut per trasferirsi a Tunisi. Particolarmente gravi furono, nel settembre, i massacri avvenuti nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila operati dalle milizie cristiane libanesi con la sostanziale complicità dell’esercito israeliano. Solo negli ultimi mesi del 1983 il crescente dissenso interno, la dura condanna della comunità internazionale, i gravi costi economici e umani dell’operazione costrinsero Israele a risolversi a sgomberare il Libano meridionale (progetto attuato però solo fra il gennaio e il giugno del 1985). Sotto la guida di Peres ogni tentativo di prendere contatti con i paesi arabi moderati per avviare a soluzione l’irrisolta questione palestinese fu ostacolato dalle forze governative di centrodestra. Con il governo Shamir (1986) si intensificò l’opera di colonizzazione e di repressione nei territori della Cisgiordania e di Gaza. Proprio in queste aree la costante conflittualità venne esacerbata dallo scoppio, nel 1987, della rivolta della popolazione araba, l’Intifada (“guerra delle pietre”). Dopo anni di scontro frontale, l’OLP, prendendo atto della impossibilità di distruggere lo stato di Israele, nel 1988-89 cambiò la propria strategia politica, affermando di riconoscere l’esistenza dello stato a patto che Israele riconoscesse a sua volta il diritto per i palestinesi di costituire uno stato indipendente, la cui esistenza venne proclamata nel 1988 dall’OLP, comprendente la Cisgiordania e Gaza. La nuova politica di Arafat andò incontro al totale rifiuto delle organizzazioni palestinesi estremistiche, in particolare del gruppo islamico di Hamas. Nel maggio 1989 il nuovo governo israeliano guidato da Shamir, pur senza abbandonare la politica della repressione nei confronti della rivolta palestinese, accettò di organizzare elezioni nei territori occupati, riconoscendo così la legittimità di una rappresentanza araba in campo amministrativo (nella speranza di soddisfare la componente palestinese moderata). Rimase invece irrisolta la questione del ritiro israeliano da quelle aree, sia per la difficoltà di smantellare le colonie ebraiche sorte al loro interno sia perché quelle zone erano comunque diventate (pur nella loro subalternità) parte integrante del sistema economico israeliano. Nel 1991, sempre grazie alla mediazione statunitense, diede inizio alle trattative di pace con i paesi arabi, pur permanendo il problema del mancato riconoscimento dell’OLP come legittima controparte dei negoziati. Nel 1993 il nuovo governo riconobbe l’OLP e siglò a Washington, con la mediazione statunitense, uno storico accordo di pace con il quale fu concessa ai palestinesi l’autonomia a Gerico e nella striscia di Gaza. Nell’ottobre del 1994 fu siglato un trattato di pace con la Giordania. Nel 1995 l’autonomia fu estesa alla Cisgiordania. Il processo di pace fu altresì lento e difficoltoso per l’opposizione della destra israeliana e dei fondamentalisti islamici. Il capo del governo, Rabin, cadde vittima di un attentato terroristico nel novembre del 1995 e gli subentrò al governo S. Peres. Alle elezioni del 1996, che furono precedute da gravissimi attentati terroristici messi a segno dal gruppo di Hamas, i laburisti furono sconfitti dalle destre, che frapposero nuovi ostacoli al processo di pace, favorendo l’insediamento di nuovi coloni nei territori occupati. Un nuovo accordo siglato nel 1998 tra Israele e l’OLP rimase di fatto senza seguito. . Nel 1999 i colloqui di pace ripresero il loro corso, pur tra molteplici difficoltà, sempre con la mediazione USA. Nel maggio del 2000 gli israeliani completarono il ritiro dalla fascia di sicurezza nel Libano meridionale.
permar Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 @Gustavino ma esiste un'inglese che non ha la rogna?
Questo è un messaggio popolare. senek65 Inviato 12 Ottobre 2024 Questo è un messaggio popolare. Inviato 12 Ottobre 2024 5 ore fa, Max440 ha scritto: Per cui, fino a quando nella community ci saranno persone che la pensano come me, ci resto. Peccato... 4
albrt Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 @permar Scritto così potrebbe sembrare che le tue frequentazioni muliebri in terra d'Albione siano ambientate in postriboli di dubbia fama ed igiene. Alberto
Plot Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 6 ore fa, Max440 ha scritto: Per cui, fino a quando nella community ci saranno persone che la pensano come me, ci resto. okkio che ci sono anche molti naziskin
permar Inviato 12 Ottobre 2024 Inviato 12 Ottobre 2024 @albrt mai stato nella perfida albione me ne guardo bene, questi brexitiani hanno spadroneggiato il mondo e ancora sono convinti di legiferare per gli altri, si stanno cavando la sete col prosciutto😁
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