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Good religion trascendenza/mistica


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Con la modernità prima e la postmodernità dopo l’ateo è passato progressivamente dal banco dell’imputato su cui l’aveva posto il Medioevo, incolpandolo di essere un insipiente o un folle, al banco dell’accusa dal quale si scaglia soprattutto contro i credenti e i rappresentanti istituzionali delle diverse religioni, a iniziare da quella cristiana. La traduzione di questo ateismo militante in campo politico-sociale si è concretizzata in un primo momento con alcune terribili vicende della Rivoluzione francese, dove il deismo di facciata si confondeva facilmente con l’intolleranza antireligiosa e antiteista, a tal punto che il romanziere Honoré de Balzac (1799-1850) giunse a scrivere che «il deista è un ateo col beneficio d’inventario»96. La sua seconda fase è stata invece quella dell’avvento al potere del comunismo in Russia, nei paesi dell’Est Europa, a Cuba, in Cina, nella Corea del Nord e nel Sud-est asiatico; Paesi quest’ultimi dove si è assistito o alla proclamazione ufficiale dell’ateismo di Stato oppure alla creazione di un sistema di ateismo governativo basato sulla persecuzione strisciante e l’emarginazione dei credenti. In ultima istanza, queste esperienze storiche dimostrano che l’ateo non soltanto ritiene di poter fare a meno di Dio, ma spesso reputa anche di diventare migliore e più libero se gli riesce di eliminarne la credenza dalla mente dei suoi simili e dalla società umana.

...Molti psicologi e molti neurobiologi condividono la convinzione secondo cui gli esseri umani sono predisposti per natura a essere religiosi. Per sostenerlo si fondano sulla tesi evoluzionistica che identifica nella religione una risposta alla pressione selettiva dell’ambiente esterno; risposta che servirebbe appunto a contrastare gli effetti psicologici negativi dei rischi della competizione per la vita nei singoli individui umani e quindi a fare della religiosità una sorta di antidoto all’ansia quotidiana. E del resto, l’appartenenza religiosa e la credenza in entità sovrannaturali svolgerebbe pure una funzione sociale adattativa rendendo gli individui più rispettosi delle regole morali di una comunità e più predisposti alla cooperazione coi propri simili; comportamenti da cui discenderebbe una maggiore coesione collettiva e quindi una forza strutturale maggiore della compagine sociale. Detto altrimenti, dal punto di vista della selezione naturale gli esseri umani religiosi hanno un chiaro vantaggio competitivo rispetto ai non credenti, in quanto nella lotta per la sopravvivenza la fede religiosa infonde loro energia psicologica, propensione alla solidarietà di gruppo e fiducia nei propri mezzi. Stando inoltre ad alcuni studi recenti, i credenti godrebbero individualmente di un benessere psico-fisico maggiore, di una salute migliore e quindi di una vita più lunga rispetto ai non credenti.1

Tratto sempre dal testo di cui sopra

 

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Altre interessanti riflessioni e citazioni del libro di cui sopra:

Per altro l’idea che l’ateismo sotto il profilo psicologico sia una forma di fede è condivisa anche dal sacerdote cattolico Antoine Vergote (1921-2013), già titolare della cattedra di psicologia della religione all’Università di Lovanio, il quale ha dedicato particolare attenzione al fenomeno della diffusione della non credenza. Egli ritiene che «di fatto, se l’affermazione di Dio è una certezza di fede, la sua negazione è essa pure un giudizio dell’ordine della fede»; infatti «la negazione di Dio è inevitabilmente partecipe della complessità dell’affermazione di Dio».25 Non è del resto casuale se la psicologia della religione si occupa congiuntamente del credente quanto del non credente, dal momento che «non si può comprendere psicologicamente la credenza senza l’incredulità, né quest’ultima senza la prima»26. I due atteggiamenti o le due scelte di credere e di non credere sono in qualche modo collegati psicologicamente tra loro, perché «il confine tra teismo e ateismo è mobile»27. Ma la contiguità tra l’essere ateo e l’essere credente è fortissima anche dal punto di vista esistenziale, per cui da un ateismo integrale può nascere una fede pura e da un teismo irragionevole possono scaturire azioni contrarie a Dio.

Riflessioni sull’ateismo lucide e ricolme di saggezza si trovano pure in un altro grande filosofo cattolico francese che non ha mai perso occasione per confrontarsi con credenti e non credenti: Jean Guitton (1901-1999). Pur avendo in un primo tempo considerato l’ateismo «macchinoso e raro, un fenomeno recente, una bizzarria sostenuta da pochi e da poco tempo nel solo ambiente di certa intellighenzia occidentale»28

...«Per il non credente – confessa Guitton – io rappresento uno strano fenomeno, che costituisce un’ulteriore conferma dell’infermità dell’intelletto umano e della sua tendenza all’alienazione, nei due sensi di questa parola, quello psichiatrico e quello marxista, per altro abbastanza simili. […] Il credente agli occhi del non credente è un po’ pazzo»

Secondo Guitton gli atei pensano si debba credere solo in ciò che si tocca e si vede coi sensi o ci viene comunicato dalle scienze naturali. In questa direzione si può affermare che «l’ateismo semplifica e rende vivi. E per coloro che si accontentano di vivere, l’ateismo è una soluzione facile», ma non basta a rendere tranquilli gli atei della validità razionale della propria scelta. Se infatti «gli atei fossero sicuri di avere ragione, non sarebbero aggressivi […]: c’è in loro la paura che l’ateismo sia falso».

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Oggi in apertura un'intervista registrata da Benedetta Caldarulo con Maciej Bielawski sul suo libro "Panikkar e la sua biblioteca", volume in cui dà voce alla biblioteca stessa del grande filosofo. A seguire Felice Cimatti dialoga con Vito Mancuso sul suo ultimo libro, "Gesù e Cristo", che raccoglie le ricerche e le riflessioni di una vita intorno alla persona di Gesù e al mito di Cristo

https://www.raiplaysound.it/audio/2025/12/Uomini-e-Profeti-del-13122025-5ba5c768-352e-4e96-8cdf-a55ad48e8fac.html

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Addentrandoci nelle intricate vie dell’ateismo teoretico, nel sostenere l’impossibilità dell’esistenza di Dio incontreremo da parte degli atei un impegno e una passione paragonabili a quelle di molti credenti in difesa della loro fede. Sicuramente alcuni atei teorici sono stati uomini di grande ingegno che dopo aver ragionato intorno a interrogativi metafisici ed esistenziali, dopo aver mentalmente indagato la nozione di Dio, non hanno conseguito una risposta positiva e l’hanno pertanto respinta come falsa o infondata. Il loro motto potrebbe essere questo: Quaesivi et non inveni: deus non est! (Ho cercato e non ho trovato: Dio non esiste!)

...Dell’ateismo metodologico ha trattato Cornelio Fabro, acuto indagatore dell’ateismo contemporaneo. Nel già menzionato saggio intitolato Introduzione all’ateismo moderno effettua infatti un’analisi penetrante delle diverse modalità di essere atei nella società contemporanea e perviene all’individuazione di quattro categorie di ateismo:
– fenomenologico;
– psicologico;
– pedagogico o didattico;
– metodologico.

Per le prime tre tipologie indicate da Fabro ricordiamo in breve che nell’ateismo fenomenologico la coscienza del 

singolo individuo nel suo primo manifestarsi «si presenta vuota di ogni contenuto» e tende quindi ad autofondarsi senza ricorrere alla nozione di Dio. Nell’ateismo psicologico Dio viene invece accantonato, perché nella sua incommensurabilità esorbita qualsiasi nostra possibilità di intuizione mentale; mentre con l’ateismo pedagogico o didattico viene escluso che «l’esperienza, la conoscenza e il sentimento dell’uomo» possano incontrare direttamente Dio, bensì soltanto entità finite, mondane, che sono pure il solo contesto della vita immediata.

È appunto alla quarta tipologia dell’ateismo metodologico, inteso come esclusione dell’ipotesi di Dio nella spiegazione del mondo, che Fabro dedica maggiore attenzione perché esercita una forte influenza sul sapere scientifico che domina la modernità. Con questa forma di ateismo un metodo valido soltanto nell’ambito delle scienze naturali e in generale dello studio degli oggetti empirici viene illegittimamente trasformato in un’affermazione di portata ontologica ed esistenziale, quindi tanto extra-metodologica quanto extra-scientifica. Occorre invece distinguere le competenze e i metodi della scienza dai problemi ontologici e di senso; questi ultimi se non investono il metodo scientifico, interessano tuttavia l’individuo umano in quanto perennemente coinvolto in un search for meaning, in una ricerca e bisogno di significato per la propria esistenza. «Se la scienza come tale – osserva correttamente Cornelio Fabro – non trova Dio nell’oggetto proprio della sua indagine, ciò non esclude […] che lo scienziato stesso come uomo si ponga il problema di 

Dio, ossia il problema del senso e fondamento ultimo delle leggi e dei fenomeni naturali»86.

Anche Étienne Gilson contesta qualsiasi valore a quello che chiama «ateismo scientifico» e che in effetti corrisponde per lui all’ateismo metodologico, perché lo reputa un atteggiamento personale di alcuni soggetti che ritengono importanti soltanto le questioni che possono essere trattate con metodo scientifico, mentre respingono come insensate o mitologiche tutte le credenze di tipo teologico e religioso. In realtà secondo Gilson «gli spiriti religiosi sono abituati a pensare che le rivoluzioni scientifiche non riguardano in nulla la verità religiosa» e quindi che i risultati della scienza non compromettono e non confutano in alcun modo la fede religiosa o la credenza in Dio:

Che il mondo della creazione sia quello di Tolomeo, di Galileo, di Cartesio, di Newton, di Darwin, di Einstein, in attesa di divenire quello di qualche altro, la coscienza religiosa non ha da preoccuparsene. Fatto esperto di tante crisi, il credente anche non molto istruito si è abituato all’idea che l’universo che Dio ha creato è quello della scienza, almeno nella misura in cui quest’ultimo è anche l’universo reale

Tratto sempre da testo di Roberto Giovanni Timossi

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Ancora dal testo più volte citato:

Le svariate interpretazioni dell’ateismo in precedenza esaminate hanno messo in luce come l’individuo umano possa diventare ateo a causa di esperienze personali o di concezioni del mondo che lo portano a rifiutare Dio per indifferenza verso un senso trascendente della propria esistenza, per una esigenza di libertà assoluta, per tracotanza o sovrastima della propria condizione, per lo scandalo della sofferenza innocente in natura, per la presenza dell’ingiustizia e del male morale. Sotto il profilo strettamente teoretico, nelle diverse connotazioni dell’ateismo ricorrono essenzialmente tre critiche contro l’esistenza di Dio: l’indimostrabilità, l’impossibilità, e l’inopportunità.

Nel primo caso si pone una questione gnoseologica: la presenza di Dio non può essere conseguita per via dimostrativa e, a differenza degli agnostici, si ritiene di 

possedere sufficienti elementi oggettivi in grado di spiegare in altro modo l’esistenza del mondo. Nella seconda critica si fa ricorso ad argomentazioni logiche: il concetto di Dio è in sé contraddittorio (come nel caso del paradosso dell’onnipotenza)99 o in contraddizione con alcuni dati di fatto quali quello dell’inconciliabilità dell’onniscienza con la libertà umana e della bontà assoluta con la sofferenza degli innocenti. La terza critica infine è di tipo etico-antropologico: la realtà di Dio è inopportuna perché contrasta nell’aspetto pratico con la possibilità dell’uomo di essere libero (se esistesse un Essere onnipotente e onnisciente, gli uomini sarebbero suoi burattini) e con la presenza del male nel mondo.

Preso atto di queste tre argomentazioni critiche, per classificare i differenti ateismi occorre tuttavia assumere un criterio più ampio, che tenga conto dei fondamenti razionali da cui esplicitamente procedono le tesi principali di chi nega consapevolmente l’esistenza di Dio. Essi sono per noi i seguenti:
– la specificità della natura umana;
– il contesto politico-sociale;
– la scienza e la cultura moderna;
– il problema del male e dell’iniquità.

...Dall’800 in poi, ma soprattutto a partire dalla seconda metà del ’900 è inoltre progressivamente cresciuto fino a diventare predominante il numero delle persone che fondano il proprio ateismo sui risultati della scienza moderna, sul fatto cioè che le conoscenze scientifiche renderebbero superflua l’ipotesi Dio per spiegare la realtà del mondo e smentirebbero inoltre palesemente i contenuti delle singole credenze religiose, in particolar modo quelle sull’esistenza dell’anima o dello spirito, sulla presenza di una vita oltre la morte, sulla creazione divina dell’universo e della specie umana, sui miracoli e sul soprannaturale. In tal senso, può essere considerata atea buona parte della cultura oggi dominante in quanto tendenzialmente mondana, naturalistica e influenzata dallo strapotere della tecnologia.

Riassumendo, oggi si può essere atei in nome della libertà e della dignità dell’uomo, della giustizia politica e della conoscenza scientifica. In tutte queste metamorfosi dell’ateo è trasversalmente presente un altro argomento su cui si fonda il rifiuto di un ente divino positivo o buono: la presenza del male, dell’ingiustizia, della sofferenza umana innocente e per taluni della stessa crudeltà presente nell’ordine naturale.

Con queste premesse è possibile individuare almeno quattro tipologie prevalenti di ateismo teoretico:
– antropologico,
– socio-politico,
– scientista o scientifico,
– antiteodicetico.

L’ateismo antropologico si basa sulla peculiare struttura della natura umana e dell’esistenza degli individui della nostra specie, interpretandola come contraria o incompatibile con la presenza della nozione stessa di Dio della cultura occidentale. Nei suoi sviluppi più estremi, non ci si limita a negare teoreticamente l’esistenza di Dio, ma ci si contrapporrà radicalmente all’idea stessa del divino. In questa categoria va pertanto incluso anche il cosiddetto «ateismo nichilistico».

L’ateismo socio-politico vede in Dio e nella religione dei prodotti della società e soprattutto del potere politico, degli strumenti concettuali e culturali atti a opprimere e sfruttare il popolo rispetto ai quali, se si vuole conservare la propria libertà e dignità, non si può non esprimere un drastico rifiuto. Forme tipiche di questo modo di negare Dio sono le ideologie ottocentesche e novecentesche dell’anarchismo e del marxismo nelle sue diverse espressioni (leninismo, stalinismo, maoismo ecc.), per altro anticipate da alcuni pensatori illuministi e pre-illuministi.

L’ateismo scientista o scientifico si basa sui risultati conseguiti dalla scienza e sul valore pressoché esclusivo del metodo scientifico quale forma di conoscenza o di dimostrazione della verità. Le conoscenze e le metodologie scientifiche moderne sono così assunte come i postulati in grado di rendere non soltanto superflua, ma anche falsa l’ipotesi Dio. L’ateismo scientifico di cui parliamo non va confuso con quello propagandato nei regimi comunisti del passato, in particolare dell’ex Unione Sovietica nella quale si erano addirittura istituite delle cattedre universitarie per insegnarlo: quest’ultimo risultava infatti fondato più sul materialismo dialettico marxista-leninista che sul ricorso alle moderne conoscenze scientifiche. Nell’ateismo scientista faremo rientrare anche il cosiddetto «ateismo semantico», professato da chi ritiene qualsiasi discorso su Dio o sul soprannaturale del tutto privo di significato; e ciò a partire da concetti teologico-filosofici quali «essere necessario», «causa prima incausata», «motore immobile», «anima», «spirito» e via dicendo.

L’ateismo antiteodicetico, infine, è quello riconducibile alla presenza del male nel mondo e in particolare del dolore innocente e dell’iniquità, che renderebbero assurda la stessa idea di un Dio buono. Il termine «teodicea» deriva dal greco ϑεóς e δίκη (giustizia o giustificazione o difesa), quindi può venire inteso come «giustizia (o difesa) di Dio», ed è stato per la prima volta utilizzato dal filosofo tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz per intitolare una sua famosa opera teologico-filosofica: Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la ibertà dell’uomo e l’origine del male (1710). Dopo Leibniz il vocabolo «teodicea» ha finito per diventare sinonimo di teologia naturale ed è ancora oggi usato con tale significato da alcuni studiosi per indicare l’indagine razionale su Dio, che ovviamente include anche il problema del male. Stando agli atei dell’antiteodicea, per un qualsiasi essere divino concepito come giusto e addirittura come quintessenza del bene non vale nessuna giustificazione al cospetto del male, non è possibile trovare nessun argomento ragionevole a sua difesa o a sua discolpa, se non la sua non esistenza.

...Inoltre, da qualunque parte ci si volti e da qualsiasi ottica si affronti il problema, emergerà sempre che l’ateismo teoretico si caratterizza principalmente per essere una filosofia dell’immanenza, un tipo di umanesimo volto a emancipare l’essere umano dall’idea stessa della trascendenza o dell’Assoluto, un’antropologia che vuole fondarsi senza Dio e che fa della scienza uno dei pilastri dell’autonomia del sapere dalla metafisica e dalla religione

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@LUIGI64 Tratto da una bellissima canzone di Francesco Guccini " Cirano "....

Venite gente vuota, facciamola finita
Voi preti che vendete a tutti un'altra vita
Se c'è, come voi dite, un Dio nell'infinito
Guardatevi nel cuore, l'avete già tradito
E voi materialisti, col vostro chiodo fisso
Che Dio è morto e l'uomo è solo in questo abisso
Le verità cercate per terra, da maiali

Tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali .........

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Ancora:

Non può allora mancare in Nietzsche una ferma presa di distanza da ciò che ha reso maggiormente possibile in Occidente il distacco dalla vita terrena nella prospettiva di un’esistenza ultraterrena: la religione cristiana e la sua nozione del divino. «Il concetto cristiano di Dio […] – afferma il filosofo tedesco – è uno dei più corrotti concetti di Dio che siano mai stati raggiunti sulla Terra […]. Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione».78 Questo rifiuto di ogni trascendenza, questa ferma opposizione contro la metafisica classica dell’Occidente che ha negato il significato reale della vita contenuto nel senso del tragico della civiltà greca presocratica, questa critica ferocemente anticristiana sono inspiegabili con il semplice ricorso al tradizionale ateismo, ma richiedono l’introduzione della più radicale categoria del «nichilismo». Come del resto ricorda lo stesso filosofo tedesco, l’ateismo per lui «non è un risultato e tantomeno un avvenimento», infatti «come tale non lo riconosco; io lo intendo per istinto. Dio è una risposta  grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori».79 Egli perciò vuole andare oltre l’ateismo riflettendo sulle conseguenze nichilistiche che da esso discendono, sui risvolti filosofico-esistenziali e pratici dell’oggettiva e scontata «morte di Dio».

Che cosa si debba intendere col termine «nichilismo» ce lo spiega lo stesso Nietzsche nei frammenti di un’opera a cui stava lavorando allorché fu colto dalla pazzia e che posteriormente furono pubblicati, a cura dell’amico Peter Gast (1854-1918) e della sorella del filosofo Elisabeth Förster-Nietzsche (1846-1935), col titolo La volontà di potenza: «Il nichilismo come conseguenza dell’interpretazione del valore sin qui accordato all’esistenza. Che cosa significa nichilismo? Significa che i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al: perché?». Il nichilista, dunque, è colui che rispetto al senso della realtà, in particolare della vita umana, non ha risposte, non vede valori, è insomma sprofondato nel «nulla» (dal latino nihil): «Il nichilismo come condizione psicologica dovrà subentrare in primo luogo se avremo cercato un “senso” in tutto ciò che avviene, senso che non vi si trova: così che il cercatore finisce per perdersi d’animo».

Anche le cause all’origine del trionfo del nichilismo sono per Nietzsche abbastanza chiare; esse vanno ricercate nella filosofia razionalistica e nella decadente etica cristiana che, in quanto false, hanno finito appunto per annichilire il mondo reale, quello testimoniato dall’atteggiamento dionisiaco e dal verbo nietzschiano: Il nichilismo è davanti alla porta: donde ci viene questo che è il più inquietante fra tutti gli ospiti? […] In un’interpretazione perfettamente determinata [del mondo], in quella cristiano-morale, sta il nichilismo. […] «Tutto è privo di senso»: tratto buddhistico, l’aspirazione al nulla. […] La fede nelle categorie della ragione è la causa del nichilismo, noi abbiamo commisurato il valore del mondo a categorie che si riferiscono a un mondo fittizio

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Preciso che il Buddhismo non si può definire come nichilista

 

 

 

 

 

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Dallo stesso testo, sempre sul pensiero di Nietzsche  :

Di fronte alla morte di Dio e all’esclusione dell’idea cristiana del divino segue ora l’introduzione di un altro noto e spesso frainteso tema nietzschiano: quello del «superuomo» o, se si preferisce, dell’«oltreuomo»89. Il superuomo è colui che «va oltre» l’umanità precedente alla venuta di Zarathustra-Nietzsche, colui che risulta dotato di spirito libero e attaccamento alla vita e alla terra, che non ha bisogno di alcun Dio perché egli stesso, nell’eterno ritorno dell’uguale, ha preso il posto degli dei: «Zarathustra parlò così alla folla: Io vi insegno il superuomo [Übermensch]. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. […] Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!».90 L’uomo superiore è colui che ha preso atto della morte di Dio e di conseguenza non riconosce più l’uguaglianza davanti a un ente trascendente come imponeva la morale cristiana; non ci sono perciò più vincoli al pieno realizzarsi dell’oltreuomo: «Uomini superiori, questo Dio era il vostro più grave pericolo. Da quando giace nella tomba, voi siete veramente risorti. Solo ora verrà il grande meriggio, solo ora l’uomo superiore diverrà: padrone!».9

Benché il modo di essere ateo di Nietzsche sia molto originale, non sfugge tuttavia al processo tipico dell’ateismo antropologico che punta a sostituire Dio o il trascendente con l’uomo, sia pure in questo caso nella forma dell’Oltreuomo. Come abbiamo accennato in precedenza, il carattere postulatorio dell’ateismo nietzschiano era già evidente per Max Scheler, che lo individuava soprattutto in questa argomentazione: «Se vi fossero degli dei, come potrei sopportare di non essere dio! Dunque, non vi sono dei», dove è implicita la seconda premessa «Non potrei sopportare di non essere dio».92

Il ragionamento di Nietzsche, sebbene presentato in modo formalmente non inappuntabile, serve benissimo a dimostrare come il filosofo tedesco postuli la non esistenza di una o più divinità per esaltare al massimo grado l’essere umano, che secondo lui non dovrebbe mai accettare di risultare inferiore a nessun altro ente, Dio incluso. Sono per altro tantissime le lapidarie affermazioni messe in bocca a Zarathustra nelle quali l’uomo si sostituisce al divino, come questa: «Basta con un dio così! Meglio nessun dio […]. Meglio essere noi stessi dio!». E non a caso, la figura del vecchio ultimo papa con cui sta interloquendo Zarathustra così risponde: «Che sento mai! […] O Zarathustra, sei più devoto di quanto tu non creda con questa tua miscredenza! Un qualche dio dentro di te ti convertì all’ateismo»93. È quindi del tutto comprensibile che ci sia chi tra gli studiosi del pensiero nietzschiano abbia colto come «non solo Nietzsche parli del sacro, del divino, ma che addirittura il suo stesso filosofare può essere considerato come sacrale». In altre parole, alla base del suo modo di essere anti-metafisico si coglie una «nuova metafisica che può definirsi come metafisica tragica».94

Il tentativo di Friedrich Nietzsche, in ultima analisi, è rivolto a unificare la volontà umana con la dimensione necessaria del cosmo e per giungere a tanto deve eliminare l’ostacolo più grande che si frappone alla realizzazione del suo progetto, ossia all’avvento del superuomo. Questo ostacolo è il Dio trascendente e solo allorché il volere e l’essere saranno unificati nel superuomo, sarà eliminata l’idea stessa della trascendenza. Ma è facile qui osservare che questo superuomo od oltreuomo nella realtà non esiste e non potrà mai esistere, mentre esistono gli individui umani reali, ben diversi dagli «uomini superiori» di Zarathustra. La filosofia nietzschiana e il suo umanesimo ateo riescono perciò soltanto nell’impresa nichilistica di dissolvere l’essere umano senza sostituirlo con alcunché, condannando così l’umanità a una nullificante assenza di valori e di senso: «Non c’è più uomo, perché non c’è più nulla che trascenda l’uomo»9

...Foucault segue qui l’impostazione di base della sua indagine filosofica e si pone pertanto dal punto di vista del linguaggio inteso come sistema culturale. Lo scandaglio archeologico del sapere lo conduce a concludere che un crollo delle disposizioni fondamentali della struttura della conoscenza (episteme) segnerebbe concretamente la fine dell’essere umano a noi noto; fine per altro già implicita nella filosofia nietzschiana: «L’uomo sarebbe cancellato, come sull’orlo del mare un volto di sabbia»135.

Traendo le somme, l’esaltazione dell’essere umano da una parte e il nichilismo dall’altra sono i due elementi ricorrenti da cui prendono avvio le conclusioni negative su Dio dell’ateismo antropologico. L’enfasi antropocentrica secondo la quale l’«uomo è tutto» tende così a debordare in una sorta di assolutizzazione dell’umanità e della sua storia, che diventa a tutti gli effetti un surrogato del divino o del trascendente. In breve: «La religione del Dio che si è fatto uomo si scontra con la religione dell’uomo che si è fatto Dio»136. Per contro, l’accentuazione sul versante nichilistico della condizione tragica della vita umana conduce a una visione radicalmente pessimistica, all’interno della quale ogni individuo risulta abbandonato a se stesso nell’eterno fluire delle cose e ha come unico e inesorabile destino quello di scomparire nel nulla.

 

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