LUIGI64 Inviato 16 Aprile Autore Inviato 16 Aprile Il vicolo cieco della paura non è prodotto dal condizionamento, ma dal quadro che mi sono fatto di me stesso, basato sul condizionamento. Fortunatamente questa rappresentazione, essendo visibile nei miei pensieri e riflessa nelle tensioni del corpo, può diventare il mio maestro se faccio esperienza di me stesso nel momento presente. Non mi occorre una conoscenza intellettuale dei condizionamenti subiti, anche se può essere utile. Ciò che devo conoscere è il modello di pensiero che insisto a nutrire in questo preciso momento, oggi, e quali tensioni presenta oggi, in questo preciso momento, il mio corpo. Notando, in zazen, i pensieri e sperimentando le tensioni fisiche, illumino la paura. Così facendo, la mia errata identificazione con un sé limitato (la rappresentazione) svanisce a poco a poco. Divento sempre più capace di essere ciò che sono davvero: un non-sé, una risposta aperta e spaziosa alla vita. Vedendo la costruzione illusoria del vicolo cieco della paura, il mio vero sé, tanto a lungo disertato e dimenticato, può riprendere le sue funzioni. ...Prima di tutto, la pratica non mira a produrre un cambiamento psicologico: se pratichiamo con intelligenza, il cambiamento psicologico interverrà da sé. Non metto in discussione che si produca, anzi è meraviglioso; ma intendo mettere in chiaro che la trasformazione psicologica non è lo scopo della pratica. La pratica non consiste in una comprensione intellettuale delle leggi fisiche, come la natura e il funzionamento dell’universo. Comprensioni di questo tipo potranno nascere in una pratica seria, ma non ne rappresentano lo scopo. La pratica non è diretta a ottenere stati di beatitudine. Non va in cerca di visioni o di luci bianche (o rosa, o azzurre). Sono fenomeni possibili, e sedendo a lungo si produrranno, ma non rappresentano lo scopo della pratica. La pratica non mira ad acquisire o coltivare speciali poteri. ...Sedere è essenzialmente uno spazio semplificato. La vita quotidiana è un incessante muoversi: cose da fare, gente con cui parlare, situazioni che si succedono. In mezzo a tutto ciò, è molto difficile percepire ciò che siamo. Semplificando la situazione, rimuovendo i disturbi esterni e sottraendoci al telefono che squilla, al televisore acceso, agli amici che vengono a trovarci e al cane che bisogna portare fuori, abbiamo la possibilità, che è il fatto di maggior pregio, di stare con noi stessi. La meditazione non riguarda uno stato particolare, riguarda il meditante. Non è rivolta a fare, finire o aggiustare qualcosa: è rivolta a noi stessi. Senza semplificare la situazione, abbiamo scarse possibilità di gettare una buona occhiata su noi stessi. Tendiamo a guardare ciò che non siamo, sempre qualcos’altro. Se qualcosa non va, a cosa rivolgiamo l’attenzione? Alla cosa che non va, agli altri: e lì individuiamo i colpevoli. Non guardiamo noi, guardiamo fuori. Dicendo che la meditazione è rivolta al meditante, non invito a qualche forma di autoanalisi. Non è questo Preferiamo pensare. Vogliamo ritornare alle nostre amate preoccupazioni, vogliamo capire la vita. Così, prima ancora di accorgercene, abbiamo dimenticato del tutto il momento presente e siamo trasvolati a un pensiero qualunque: il ragazzo, la ragazza, i figli, il capo, la paura di moda… Siamo partiti! Non c’è niente di male nelle fantasticherie, salvo il fatto che, perdendoci dentro, abbiamo perso qualcos’altro. Quando ci perdiamo nei pensieri e nelle fantasie, abbiamo perso la realtà. La vita ci è sfuggita. Questo è il modo di agire degli esseri umani. Non solo ogni tanto, ma in continuazione. Perché agiamo così? Conosciamo benissimo la risposta: perché stiamo cercando di proteggerci. Cerchiamo di sfuggire alla difficoltà del momento, o almeno di comprenderla. Non c’è nulla di sbagliato nei nostri pensieri egocentrici salvo che, identificandoci con essi, la nostra visione della realtà è bloccata... Tratto dal testo di cui sopra
LUIGI64 Inviato 16 Aprile Autore Inviato 16 Aprile Domanda posta a Gemini: Perchè, generalmente, c'è poco interesse nei confronti di argomenti come la mistica, trascendenza e religione? Il disinteresse verso la mistica, la trascendenza e la religione è un fenomeno complesso, influenzato da diversi fattori: Secolarizzazione: Le società moderne, specialmente in Occidente, hanno sperimentato un declino dell'influenza religiosa nella vita pubblica e privata. La scienza e la ragione hanno assunto un ruolo predominante nella comprensione del mondo, riducendo lo spazio per le spiegazioni spirituali. Materialismo e consumismo: La cultura contemporanea spesso valorizza il successo materiale, il consumo e il piacere sensoriale. Questa enfasi può distogliere l'attenzione dalle questioni spirituali e dalla ricerca di un significato più profondo. Individualismo: L'individualismo promuove l'autonomia e l'indipendenza, portando alcune persone a rifiutare le strutture religiose tradizionali e le credenze condivise. Scetticismo e razionalismo: I progressi della scienza e del pensiero razionale hanno alimentato lo scetticismo nei confronti delle credenze religiose e mistiche. Molti preferiscono basare le proprie convinzioni su prove empiriche e logica. Complessità e ambiguità: La mistica e la trascendenza spesso coinvolgono concetti astratti e difficili da definire. La religione, con le sue diverse interpretazioni e dottrine, può sembrare complessa e confusa. Esperienze personali limitate: Le esperienze mistiche e trascendenti sono spesso di natura personale e soggettiva. In un mondo frenetico e distratto, può essere difficile trovare il tempo e lo spazio per coltivare tali esperienze. Diversità religiosa: La crescente diversità religiosa può generare confusione e incertezza. Alcuni possono sentirsi sopraffatti dalla varietà di credenze e pratiche, scegliendo di allontanarsi dalla religione. Nonostante queste tendenze, l'interesse per la spiritualità e la trascendenza persiste. Molte persone cercano un significato più profondo attraverso varie pratiche spirituali, filosofia e ricerca interiore.
LUIGI64 Inviato 17 Aprile Autore Inviato 17 Aprile L’uomo è, fin dalle sue origini, religioso. Su una tale conclusione convergono autori diversi per disciplina e orientamento culturale. Julien Ries (1981, 2014), eminente studioso di antropologia del sacro, ha mostrato che la formazione dell’idea del divino ha dato un contributo determinante al processo di ominizzazione: sono state proprio le elaborazioni religiose a permettere ai primi uomini di proiettarsi al di là della loro condizione materiale verso orizzonti di significato più ampi su cui la vita sociale ha poi potuto svilupparsi. Da un’angolatura disciplinare completamente diversa, C.G. Jung, uno dei padri nobili della psicanalisi, ha sostenuto che l’esperienza religiosa non attiene semplicemente al campo della credenza, ma esprime un tratto psicologico costitutivo dell’umano che è tale in quanto ha natura simbolica: “L’esperienza prova che le religioni non sorgono quali frutti di una elucubrazione cosciente, ma provengono dalla vita naturale dell’anima inconscia che in qualche modo esprimono in modo adeguato. Ciò spiega la loro diffusione universale e la loro straordinaria efficacia storica sull’umanità […] i simboli religiosi sono verità naturali psicologiche” (Jung, 2016: 17). ...Secondo Ries, “è proprio riflettendo sulla distanza che separa l’uomo dagli dèi che Platone arriverà a elaborare le idee di trascendenza e virtù” (Ries, 1981: 128). Secondo il filosofo greco, infatti, è il fossato che la separa dalla condizione divina a spingere l’anima oltre se stessa. Come scriverà Goethe: “vivere nel mondo ideale vuol dire considerare l’impossibile come possibile”. Fu per questa via che nelle piccole e accaldate città greche, alcuni secoli prima di Cristo, la capacità di riflessione sulla condizione umana ha cominciato a fiorire fino al punto di arrivare a mettere in discussione la conoscenza sensoriale e percettiva. Il “conosci te stesso” di Socrate è la felicissima espressione che dice del compito impegnativo a cui ciascuno di noi è chiamato per venire a capo della propria condizione. ... E oggi la gloria non appartiene più né alla religione, con la sua promessa di salvezza futura, né alla politica, con la sua promessa di pacificazione del rapporto fra gli uomini. Il loro posto è stato preso dalla tecno-scienza – con la sua capacità di aumentare concretamente le possibilità di vita della specie umana e di ogni uomo in particolare: “Dire che l’Apparato scientifico‐tecnologico subordina a sé tutte le forme di potenza apparse lungo la storia dell’uomo, significa dunque dire che la potenza della scienza ottiene un riconoscimento sociale che non è più ottenuto dalla magia, dalla religione, dalla politica, ecc. Ma anche per la scienza moderna la potenza sul mondo esiste solo se la totalità dei gruppi umani riconosce l’esistenza di tale potenza. La scienza è inseparabile dalla propria ‘gloria’” (Agamben, 2007: 76). Dimostrando pubblicamente la propria potenza, il sistema tecnico si candida così a essere il demiurgo del nostro tempo: la tecno-scienza non si limita più a dominare l’ente, ma arriva a dire in cosa effettivamente tale dominio consista. ...In tale prospettiva, la stessa natura – ivi compreso l’essere umano ridotto a biologia – cambia il suo statuto divenendo mero fondo a disposizione dell’intervento umano che si produce sulla base di quella che Peter Sloterdijk (2013a) chiama “ragione cinica” – definita dalla perfetta coincidenza fra tecnica e realtà, scienza e potenza, ragione e calcolo. Come già aveva proclamato Marinetti annunciando il nuovo tempo che veniva: “si deve credere nella potenza assoluta invincibile della volontà […]. La nostra volontà deve uscire da noi per impossessarsi della materia e modificarla a nostro piacimento. Noi possiamo dare forma a tutto quello che ci circonda e rinnovare senza fine la faccia della terra” (Marinetti, 2003: 163). ... È qui, in questa pretesa del sistema tecnico di poter padroneggiare l’intera realtà che si svela il lato idolatrico, e perciò temibile, del progetto di società tecnica, al di là delle intenzioni dei suoi attori. Una pretesa che sempre più esplicitamente arriva oggi a porre il tema di fondo su cui si regge tutto il discorso: quello della nascita e della morte, cioè i due punti su cui la presa dell’uomo di poter dominare la realtà rimane debole e forse inesistente. Come nel passato per la società religiosa e la società politica, è precisamente attorno a tali questioni che si giocherà il futuro del sistema tecno-scientifico. Mai come in questo momento storico l’homo creator ha sentito così fortemente il fascino di una potenza che sembra potersi dare senza alcun limite. Abbandonato il rapporto con la trascendenza, la volontà di potenza pretende oggi di diventare meta-fisica applicandosi senza mediazioni – se non quella tecnica – al rapporto col mondo, alle relazioni sociali, all’uomo stesso. Tratto da: Mauro Magatti (1960), sociologo ed economista, è professore ordinario di Sociologia presso la Facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dirige il Centro di Ricerca ARC (Centre for the Anthropology of Religion and Cultural Change) ed è editorialista del «Corriere della Sera».
LUIGI64 Inviato 18 Aprile Autore Inviato 18 Aprile Riflessioni molto interessanti sulla resurrezione e la Pasqua Resurrezione La Pasqua è stata un qualcosa che è avvenuto nei discepoli. La resurrezione non descrive un evento inquadrabile nelle categorie di spazio e di tempo. Chi, nel caso della resurrezione, lascia il livello del simbolismo per inoltrarsi nell'aspetto storico, ne fraintende il messaggio. Il messaggio di Pasqua viene testimoniato da coloro che hanno fatto esperienza di Gesù come di qualcuno che vive oltre, che è immortale. La tomba vuota, l'angelo, il viaggio ad Emmaus sono forme espressive di questa esperienza interiore. Il verbo ophthe (manifestare) (1Cor 15,5) suggerisce come Gesù non sia stato semplicemente visto dai discepoli. Egli si manifestò loro, si rivelò loro. Non si è svolto dunque un incontro con un interlocutore in carne ed ossa, anche se i Vangeli lo descrivono in questi termini, con Tommaso che appoggia la mano sul costato di Gesù e Gesù che mangia con loro... Si è trattato piuttosto di un’esperienza interiore. “Allora si aprirono i loro occhi”. Non ci si riferisce dunque ad esperienze magiche, parapsichiche, miracolose, ma ad una certezza interiore. Resurrezione è un'esperienza dei discepoli, esperienza del fatto che questa vita non è tutto, che anche loro, come questo Gesù che è entrato in una nuova esistenza, passeranno ad una vita nuova. La vita non può morire. Proseguirà. Nelle Upanishad sta scritto: “Rinasce sempre e solo il Signore”, cioè nella nuova esistenza non arriva il nostro io superficiale. Nella nuova esistenza questa vita di Dio si rigenera in una nuova forma. Non deve però necessariamente ripresentarsi nella forma che abbiamo adesso. Siamo così egocentrici da ritenere di dover conservare per sempre questo nostro io. Questo io, tuttavia, non costituisce la nostra vera identità. Lo sopravvalutiamo. La nostra identità si trova ad un livello ben più profondo. Non riusciamo a comprendere che è la vita divina stessa, indipendentemente dalla forma nella quale risorgeremo. In effetti non diamo alcuna chance a Dio, alla vita divina. Con il nostro io cerchiamo continuamente di arginarlo e di tenerlo a bada. I racconti dell’apparizione intendono esprimere queste esperienze interiori. Paolo incontra il risorto da persecutore; attraverso quest’esperienza diventa un altro e al tempo stesso il risorto si identifica con l’uomo: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Nella resurrezione di Gesù i discepoli, nell’esperienza, hanno superato il confine tra morte e vita. Siamo chiamati ad esperire questa vita eterna, indipendentemente dalla forma nella quale riemergeremo dopo la morte. Quando l’uomo supera la limitazione della sua coscienza personale, entra in un’area d’esperienza alla quale si sono dati nomi molto diversi. Tutti questi nomi indicano sempre lo stesso, vale a dire che la morte non esiste. Morire è solo la grande trasformazione in un’esistenza nuova. È difficile comprendere perché gli esseri umani vogliano sempre e solo riapparire dopo la morte nella forma che rivestono attualmente. In effetti, però, non conosco nessuno che voglia davvero vivere eternamente nel proprio io. Se oggi si rinvenissero le ossa di Gesù e si potesse dimostrare che egli si è decomposto nella tomba, la mia fede in Gesù Cristo non verrebbe intaccata. L’esperienza della resurrezione non ha niente a che vedere con le ossa di Gesù. È un’esperienza che tutti possono fare: si tratta del fatto che la nostra natura più profonda è divina e che dunque non può morire. Il messaggio è chiaro. La nostra vita non finisce con la morte. Entriamo in una nuova esistenza. E quell’esistenza - è la nostra speranza - sarà un’esperienza di Dio più completa rispetto a quanto ci permetta la nostra esistenza attuale. Ed è proprio questo che stiamo celebrando oggi. Nel mistero eucaristico celebriamo la morte e la resurrezione di Gesù e al tempo stesso la nostra stessa morte e la nostra stessa resurrezione. Stiamo celebrando ciò che siamo nel profondo, che siamo già dei risorti, anche se ancora non ci è manifesto. Tratto da: Willigis Jäger è nato a Hösbach [Germania] nel 1925. Già monaco e sacerdote, nel 1975 è divenuto allievo del maestro zen Yamada Ko-un Roshi in Giappone. Nel 1996 è stato nominato maestro zen. Nel dicembre 2001, la Congregazione per la Dottrina della Fede, presieduta dall'allora cardinale J. Ratzinger, ha vietato al benedettino di svolgere ogni attività pubblica, quale discorsi, corsi o pubblicazioni.
LUIGI64 Inviato 18 Aprile Autore Inviato 18 Aprile La risurrezione non può essere altro che scoprirsi acqua pur essendo una goccia. Al momento attuale, noi siamo gocce; non dico dunque che io sono già brahman. No, io sono una goccia, ma una goccia d’acqua; e quello che importa in me, è l’acqua. Quest’acqua, in quanto goccia, è certamente differente dalla tua, ma non lo è in quanto acqua. Noi non siamo due acque distinte, ma una sola acqua, identica a se stessa, identica all’acqua che, come acqua, è solamente acqua – divina. Una natura divina in persone umane. Ecco il mistero del Cristo – e della Trinità. R. Panikkar
LUIGI64 Inviato 19 Aprile Autore Inviato 19 Aprile Nel buddhismo il progresso interiore è visto come l’approfondimento del sé, da un io molto superficiale e piccolo a uno più grande e profondo, fino a raggiungere l’io ultimo o grande io, dawo, comune a tutti. A volte viene dato un nome a questi strati, come ad esempio in Teresa d’Ávila, che vedeva sette dimore, o stanze o mansioni, nel suo Castello interiore. Ognuna di esse è infatti un livello della vita spirituale e tuttavia sono associate alle nostre strutture interiori. La settima stanza è al centro del cuore, è il luogo in cui dimora Dio, dove questi invita il mistico alle nozze spirituali. Il centro più intimo dell’io è l’unico luogo in cui è possibile incontrare il nostro Dio in totale unione. ...Come esseri umani sappiamo solo ciò che ci raggiunge tramite i sensi. È perciò normale che anche la nostra conoscenza dell’Assoluto avvenga tramite immagini, segni e simboli. Poiché questo Assoluto non può essere visto, udito o toccato in sé possiamo raggiungerlo soltanto attraverso una qualche mediazione, quella per l’appunto di segni o immagini. Per questo segni e immagini svolgono una funzione molto importante nel processo della contemplazione, cosa che balza agli occhi di chiunque rifletta sulla propria esperienza. Tutto ciò che esiste nel creato e ogni creatura in esso è manifestazione e immagine dell’Assoluto. ...Le immagini o forme sono rappresentazioni simboliche dell’ignoto e possono essere di tipo esteriore, come quelle usate nella liturgia. In ogni religione ci imbattiamo in un uso frequente di tale immaginario, soprattutto nel culto. Tuttavia possono aversi anche immagini interiori e nel taoismo il loro impiego è molto diffuso. Si pensi a Teresa d’Ávila, che vi ricorre quando immagina Dio seduto al centro della propria anima. ...Gli psicologi le hanno definite archetipi e Carl Gustav Jung, a seguito di studi molto approfonditi, ha sostenuto che essi non sono il prodotto del pensiero ma la normale fioritura della nostra natura umana. Così parla il celebre psicanalista discutendo degli archetipi: Commetterebbe un deplorevole errore chi volesse vedere nelle mie osservazioni una specie di dimostrazione dell’esistenza di Dio. Esse dimostrano soltanto l’esistenza di un’immagine arcaica della divinità e questo è tutto quello che, a parer mio, possiamo dire di Dio dal punto di vista psicologico. Ma poiché si tratta di un archetipo di grande importanza e di forte influenza, il suo apparire relativamente frequente sembra essere un fatto degno di nota per ogni theologia naturalis. Poiché l’esperienza di questo archetipo ha il carattere della numinosità, lo ha anzi sovente in misura rilevante, possiamo considerarlo all’altezza di una vera esperienza religiosa. (C.G. Jung, Psicologia e religione) L’esperienza del numinosum (numinosità) è fondamentalmente quella del divino, dove quest’ultimo è compreso come un potere tremendo al di là della nostra comprensione. Questo dato psicologico è stato interpretato fin dall’antichità pensando che l’uomo fosse fatto a immagine di Dio. L’immagine divina si trova in ciascuno di noi come uno specchio: se lo specchio è chiaro essa è chiaramente discernibile, ma se non lo è anche l’immagine è offuscata. Tutte le religioni riconoscono questo fatto, sebbene lo esprimano in modi differenti. La nozione di specchio e di immagine è familiare a san Paolo, il quale scrive ai cristiani di Corinto: “Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto”. (1Cor 13,12) La conoscenza di Dio di cui disponiamo in questa vita non può essere a faccia a faccia, ma passa attraverso quelle cose che chiamiamo specchi, immagini, simboli, definizioni, allegorie, miti, e via dicendo. ...Quello che la psicologia ci insegna in questo modo corrisponde all’esperienza spirituale dei mistici di ogni religione. Gli archetipi e le dinamiche sono i medesimi. La differenziazione inizia con le “forme” e diventa via via più marcata a livello di rappresentazione. Ciò a cui dobbiamo prestare attenzione è il fatto che ci muoviamo da rappresentazioni ben definite a immagini e forme che lentamente perdono il loro contenuto intelligibile e ci portano ad affrontare il dinamismo interiore degli archetipi in se stessi. A quel punto raggiungiamo il puro vuoto e la pura vacuità al livello stesso degli archetipi, che sono potenti “virtualità” pur all’apparenza prive di qualsiasi contenuto. Tratto dall'ottimo testo già citato: Il Tao della mistica di Yves Raguin
LUIGI64 Inviato 20 Aprile Autore Inviato 20 Aprile Vorrei fosse ben chiaro che quando uso l’espressione “religione” io non intendo una professione di fede. In realtà ogni confessione ha la sua origine da una parte nell’esperienza del numinoso e dall’altra nella pistis, nella fiducia, nella lealtà, nella fede in una determinata esperienza che ha azione numinosa e nel cambiamento di coscienza che ne deriva. La conversione di Paolo ne è un esempio lampante. Si potrebbe dunque dire che “religione” è l’espressione che definisce l’atteggiamento proprio di una coscienza la quale, attraverso l’esperienza del numinoso, ha subìto un cambiamento. Le varie confessioni sono queste primitive esperienze religiose codificate e trasformate in dogmi. I contenuti dell’esperienza sono divenuti sacri e generalmente fissati in una rigida e spesso molto elaborata struttura ideale. Praticare la primitiva esperienza, e ricrearla, è diventato un rito, un’istituzione immutabile. Ma non è detto che questa trasformazione in rito debba necessariamente significare una pietrificazione senza vita. Al contrario, essa può diventare la forma di esperienza religiosa per secoli e per milioni di uomini senza che sopravvenga alcuna vitale necessità di modificarla. La stessa Chiesa cattolica, benché spesso accusata di particolare rigidezza, ammette che i dogmi abbiano una vita propria e che siano quindi in certo senso suscettibili di modificazione e di sviluppo. Perfino il numero dei dogmi è illimitato, e può crescere nel corso del tempo. Tratto da : Psicologia e religione (C. G. Jung)
LUIGI64 Inviato 21 Aprile Autore Inviato 21 Aprile I prossimi post saranno dedicati a Papa Francesco -- Quella a cui stiamo assistendo è l’ennesima barbarie e noi, purtroppo, abbiamo memoria corta. Sì, perché se avessimo memoria, ricorderemmo che cosa i nostri nonni e i nostri genitori ci hanno raccontato, e avvertiremmo il bisogno di pace così come i nostri polmoni hanno bisogno d’ossigeno. La guerra stravolge tutto, è follia pura, il suo unico obiettivo è la distruzione ed essa si sviluppa e cresce proprio attraverso la distruzione e se avessimo memoria, non spenderemmo decine, centinaia di miliardi per il riarmo, per dotarci di armamenti sempre più sofisticati, per accrescere il mercato e il traffico delle armi che finiscono per uccidere bambini, donne, vecchi: 1981 miliardi di dollari all’anno, secondo i conteggi di un importante centro studi di Stoccolma. Segnando un drammatico +2,6 per cento proprio nel secondo anno di pandemia, quando invece tutti i nostri sforzi si sarebbero dovuti concentrare sulla salute globale e nel salvare vite umane dal virus. Se avessimo memoria, sapremmo che la guerra, prima che arrivi al fronte, va fermata nei cuori. L’odio, prima che sia troppo tardi, va estirpato dai cuori. E per farlo c’è bisogno di dialogo, di negoziato, di ascolto, di capacità e di creatività diplomatica, di politica lungimirante capace di costruire un nuovo sistema di convivenza che non sia più basato sulle armi, sulla potenza delle armi, sulla deterrenza. Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male. Invece dobbiamo ripetere con forza: no, non è ineluttabile! No, la guerra non è ineluttabile! Quando ci lasciamo divorare da questo mostro rappresentato dalla guerra, quando permettiamo a questo mostro di alzare la testa e di guidare le nostre azioni, perdono tutti, distruggiamo le crea-ture di Dio, commettiamo un sacrilegio e prepariamo un futuro di morte per i nostri figli e i nostri nipoti. La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione di potere, la violenza, sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia bellica che dimentica l’incommensurabile dignità della vita umana, di ogni vita umana, e il rispetto e la cura che le dobbiamo. ...E insieme impegnarci a costruire un mondo che sia più pacifico perché più giusto, dove a trionfare sia la pace, non la follia della guerra; la giustizia e non l’ingiustizia della guerra; il perdono reciproco e non l’odio che divide e che ci fa vedere nell’altro, nel diverso da noi, un nemico. Quando cancelliamo il volto dell’altro, allora possiamo far crepitare il rumore delle armi. Quando l’altro, il suo volto come il suo dolore, ce lo teniamo davanti agli occhi, allora non ci è permesso sfregiarne la dignità con la violenza. Nell’enciclica Fratelli tutti ho proposto di usare il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari per costituire un Fondo mondiale destinato a eliminare finalmente la fame e a favorire lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa. Rinnovo questa proposta anche oggi, soprattutto oggi. Perché la guerra va fermata, perché le guerre vanno fermate e si fermeranno soltanto se noi smetteremo di «alimentarle». ...Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi. Vediamo come domina un’indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siamo tutti sulla stessa barca. Questo disinganno, che lascia indietro i grandi valori fraterni, conduce «a una sorta di cinismo. Questa è la tentazione che noi abbiamo davanti, se andiamo per questa strada della disillusione o della delusione. [...] L’isolamento e la chiusura in se stessi o nei propri interessi non sono mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento, ma è la vicinanza, è la cultura dell’incontro. L’isolamento, no; vicinanza, sì. Cultura dello scontro, no; cultura dell’incontro, sì». ...Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come «danni collaterali». Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace. Tratto da:
LUIGI64 Inviato 22 Aprile Autore Inviato 22 Aprile Proteggere ogni vita Dal viaggio apostolico in Giappone (23-26 novembre 2019) Il sogno di un mondo libero da armi nucleari La pace e la stabilità internazionale sono incompatibili con qualsiasi tentativo di costruire sulla paura della reciproca distruzione o su una minaccia di annientamento totale; sono possibili solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana di oggi e di domani. È necessario rompere la dinamica della diffidenza che attualmente prevale e che fa correre il rischio di arrivare allo smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli armamenti. Stiamo assistendo a un’erosione del multilateralismo, ancora più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi; questo approccio sembra piuttosto incoerente nell’attuale contesto segnato dall’interconnessione e costituisce una situazione che richiede urgente attenzione e anche dedizione da parte di tutti i leader. Possano la preghiera, la ricerca instancabile per la promozione di accordi, l’insistenza sul dialogo essere le «armi» in cui riponiamo la nostra fiducia e anche la fonte di ispirazione degli sforzi per costruire un mondo di giustizia e solidarietà che fornisca reali garanzie per la pace. Nella convinzione che un mondo senza armi nucleari è possibile e necessario, chiedo ai leader politici di non dimenticare che queste non ci difendono dalle minacce alla sicurezza nazionale e internazionale del nostro tempo. Occorre considerare l’impatto catastrofico del loro uso dal punto di vista umanitario e ambientale, rinunciando a rafforzare un clima di paura, diffidenza e ostilità, fomentato dalle dottrine nucleari. Vi chiedo di unirci in preghiera ogni giorno per la conversione delle coscienze e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e della fraternità. Una fraternità che sappia riconoscere e garantire le differenze nella ricerca di un destino comune. In questo luogo di memoria, che ci impressiona e non può lasciarci indifferenti, è ancora più significativo confidare in Dio, perché ci insegni a essere strumenti efficaci di pace e a lavorare per non commettere gli stessi errori del passato. Che voi e le vostre famiglie, e l’intera Nazione, possiate sperimentare le benedizioni della prosperità e dell’armonia sociale! Tratto dal testo di cui sopra
LUIGI64 Inviato 22 Aprile Autore Inviato 22 Aprile La religione, per sua natura, dev’essere al servizio della pace e della fratellanza. Il nome di Dio non può essere usato per «giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione». Al contrario Dio, che ha creato gli esseri umani uguali nella dignità e nei diritti, ci chiama a diffondere amore, benevolenza, concordia. Anche in Iraq la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti e, attraverso il dialogo, collaborare in modo costruttivo con le altre religioni, per la causa della pace. L’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti. La loro partecipazione alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità, testimonierà che un sano pluralismo religioso, etnico e culturale può contribuire alla prosperità e all’armonia del Paese. L’amore di Cristo ci chiede di mettere da parte ogni tipo di egocentrismo e di competizione; ci spinge alla comunione universale e ci chiama a formare una comunità di fratelli e sorelle che si accolgono e si prendono cura gli uni degli altri. Penso all’immagine familiare di un tappeto. Le diverse Chiese presenti in Iraq, ognuna con il suo secolare patrimonio storico, liturgico e spirituale, sono come tanti singoli fili colorati che, intrecciati insieme, compongono un unico, bellissimo tappeto, che non solo attesta la nostra fraternità, ma rimanda anche alla sua fonte. Perché Dio stesso è l’artista che ha ideato questo tappeto, che lo tesse con pazienza e lo rammenda con cura, volendoci sempre tra noi ben intrecciati, come suoi figli e figlie. Sia sempre nel nostro cuore l’esortazione di Sant’Ignazio di Antiochia: «Nulla esista tra voi che possa dividervi, [...] ma vi sia un’unica preghiera, un unico spirito, un’unica speranza, nell’amore e e nella gioia». Com’è importante questa testimonianza di unione fraterna in un mondo spesso frammentato e lacerato dalle divisioni! ...A volte possono sorgere incomprensioni e possiamo sperimentare delle tensioni: sono i nodi che ostacolano la tessitura della fraternità. Sono nodi che portiamo dentro di noi; del resto, siamo tutti peccatori. Tuttavia, questi nodi possono essere sciolti dalla Grazia, da un amore più grande; possono essere allentati dal perdono e dal dialogo fraterno, portando pazientemente i pesi gli uni degli altri (cfr. Gal 6,2) e rafforzandosi a vicenda nei momenti di prova e di difficoltà. [...] ...Questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr. Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra. Sempre dal testo più sopra citato
LUIGI64 Inviato 23 Aprile Autore Inviato 23 Aprile Il modo migliore per dominare e avanzare senza limiti è seminare la mancanza di speranza e suscitare la sfiducia costante, benché mascherata con la difesa di alcuni valori. Oggi in molti Paesi si utilizza il meccanismo politico di esasperare, esacerbare e polarizzare. Con varie modalità si nega ad altri il diritto di esistere e di pensare, e a tale scopo si ricorre alla strategia di ridicolizzarli, di insinuare sospetti su di loro, di accerchiarli. Non si accoglie la loro parte di verità, i loro valori, e in questo modo la società si impoverisce e si riduce alla prepotenza del più forte. La politica così non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell’altro la risorsa più efficace. In questo gioco meschino delle squalificazioni, il dibattito viene manipolato per mantenerlo allo stato di controversia e contrapposizione. In questo scontro di interessi che ci pone tutti contro tutti, dove vincere viene ad essere sinonimo di distruggere, com’è possibile alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada? Un progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità oggi suona come un delirio. Aumentano le distanze tra noi, e il cammino duro e lento verso un mondo unito e più giusto subisce un nuovo e drastico arretramento. Paradossalmente, ci sono paure ancestrali che non sono state superate dal progresso tecnologico; anzi, hanno saputo nascondersi e potenziarsi dietro nuove tecnologie. Anche oggi, dietro le mura dell’antica città c’è l’abisso, il territorio dell’ignoto, il deserto. Ciò che proviene di là non è affidabile, perché non è conosciuto, non è familiare, non appartiene al villaggio. È il territorio di ciò che è “barbaro”, da cui bisogna difendersi ad ogni costo. Di conseguenza si creano nuove barriere di autodifesa, così che non esiste più il mondo ed esiste unicamente il “mio” mondo, fino al punto che molti non vengono più considerati esseri umani con una dignità inalienabile e diventano semplicemente “quelli”. Riappare «la tentazione di fare una cultura dei muri, di alzare i muri, muri nel cuore, muri nella terra per impedire questo incontro con altre culture, con altra gente. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità» La tecnologia fa progressi continui, ma «come sarebbe bello se alla crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche corrispondesse anche una sempre maggiore equità e inclusione sociale! Come sarebbe bello se, mentre scopriamo nuovi pianeti lontani, riscoprissimo i bisogni del fratello e della sorella che mi orbitano attorno!». Il mondo avanzava implacabilmente verso un’economia che, utilizzando i progressi tecnologici, cercava di ridurre i “costi umani”, e qualcuno pretendeva di farci credere che bastava la libertà di mercato perché tutto si potesse considerare sicuro. Ma il colpo duro e inaspettato di questa pandemia fuori controllo ha obbligato per forza a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni. Oggi possiamo riconoscere che «ci siamo nutriti con sogni di splendore e grandezza e abbiamo finito per mangiare distrazione, chiusura e solitudine; ci siamo ingozzati di connessioni e abbiamo perso il gusto della fraternità. Abbiamo cercato il risultato rapido e sicuro e ci troviamo oppressi dall’impazienza e dall’ansia. Prigionieri della virtualità, abbiamo perso il gusto e il sapore della realtà». Tratto da:
LUIGI64 Inviato 24 Aprile Autore Inviato 24 Aprile Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto. Inoltre, non si dovrebbe ingenuamente ignorare che «l’ossessione per uno stile di vita consumistico, soprattutto quando solo pochi possono sostenerlo, potrà provocare soltanto violenza e distruzione reciproca».Il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia. ...Tanto da alcuni regimi politici populisti quanto da posizioni economiche liberali, si sostiene che occorre evitare ad ogni costo l’arrivo di persone migranti. Al tempo stesso si argomenta che conviene limitare l’aiuto ai Paesi poveri, così che tocchino il fondo e decidano di adottare misure di austerità. Non ci si rende conto che, dietro queste affermazioni astratte difficili da sostenere, ci sono tante vite lacerate. Molti fuggono dalla guerra, da persecuzioni, da catastrofi naturali. Altri, con pieno diritto, sono «alla ricerca di opportunità per sé e per la propria famiglia. Sognano un futuro migliore e desiderano creare le condizioni perché si realizzi». ... D’altra parte, i movimenti digitali di odio e distruzione non costituiscono – come qualcuno vorrebbe far credere – un’ottima forma di mutuo aiuto, bensì mere associazioni contro un nemico. Piuttosto, «i media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta, ostacolando lo sviluppo di relazioni interpersonali autentiche». C’è bisogno di gesti fisici, di espressioni del volto, di silenzi, di linguaggio corporeo, e persino di profumo, tremito delle mani, rossore, sudore, perché tutto ciò parla e fa parte della comunicazione umana. I rapporti digitali, che dispensano dalla fatica di coltivare un’amicizia, una reciprocità stabile e anche un consenso che matura con il tempo, hanno un’apparenza di socievolezza. Non costruiscono veramente un “noi”, ma solitamente dissimulano e amplificano lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità. ...Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio». ...Occorre riconoscere che i fanatismi che inducono a distruggere gli altri hanno per protagonisti anche persone religiose, non esclusi i cristiani, che «possono partecipare a reti di violenza verbale mediante internet e i diversi ambiti o spazi di interscambio digitale. Persino nei media cattolici si possono eccedere i limiti, si tollerano la diffamazione e la calunnia, e sembrano esclusi ogni etica e ogni rispetto per il buon nome altrui» ...Venendo meno il silenzio e l’ascolto, e trasformando tutto in battute e messaggi rapidi e impazienti, si mette in pericolo la struttura basilare di una saggia comunicazione umana. Si crea un nuovo stile di vita in cui si costruisce ciò che si vuole avere davanti, escludendo tutto quello che non si può controllare o conoscere superficialmente e istantaneamente. Tale dinamica, per sua logica intrinseca, impedisce la riflessione serena che potrebbe condurci a una saggezza comune. ...Il cumulo opprimente di informazioni che ci inonda non equivale a maggior saggezza. La saggezza non si fabbrica con impazienti ricerche in internet, e non è una sommatoria di informazioni la cui veracità non è assicurata. In questo modo non si matura nell’incontro con la verità. Le conversazioni alla fine ruotano intorno agli ultimi dati, sono meramente orizzontali e cumulative. Non si presta invece un’attenzione prolungata e penetrante al cuore della vita, non si riconosce ciò che è essenziale per dare un senso all’esistenza Così, la libertà diventa un’illusione che ci viene venduta e che si confonde con la libertà di navigare davanti a uno schermo. Il problema è che una via di fraternità, locale e universale, la possono percorrere soltanto spiriti liberi e disposti a incontri reali. Tratto dal testo sopra citato
LUIGI64 Inviato 25 Aprile Autore Inviato 25 Aprile L’individualismo non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità. Neppure può preservarci da tanti mali che diventano sempre più globali. Ma l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere. Inganna. Ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune. ... La persona umana, coi suoi diritti inalienabili, è naturalmente aperta ai legami. Nella sua stessa radice abita la chiamata a trascendere sé stessa nell’incontro con gli altri. Per questo «occorre prestare attenzione per non cadere in alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali – sono tentato di dire individualistici –, che cela una concezione di persona umana staccata da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una “monade” (monás), sempre più insensibile […]. Se il diritto di ciascuno non è armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze» ...«abbiamo bisogno di comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto di tutti. È necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone, le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui». ...«il rapporto tra Occidente e Oriente è un’indiscutibile reciproca necessità, che non può essere sostituita e nemmeno trascurata, affinché entrambi possano arricchirsi a vicenda della civiltà dell’altro, attraverso lo scambio e il dialogo delle culture. L’Occidente potrebbe trovare nella civiltà dell’Oriente rimedi per alcune sue malattie spirituali e religiose causate dal dominio del materialismo. E l’Oriente potrebbe trovare nella civiltà dell’Occidente tanti elementi che possono aiutarlo a salvarsi dalla debolezza, dalla divisione, dal conflitto e dal declino scientifico, tecnico e culturale. ...Dio, invece, dà gratis, fino al punto che aiuta persino quelli che non sono fedeli, e «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Per questo Gesù raccomanda: «Mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto» (Mt 6,34). Abbiamo ricevuto la vita gratis, non abbiamo pagato per essa. Dunque tutti possiamo dare senza aspettare qualcosa, fare il bene senza pretendere altrettanto dalla persona che aiutiamo. È quello che Gesù diceva ai suoi discepoli: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). ...Il disprezzo per i deboli può nascondersi in forme populistiche, che li usano demagogicamente per i loro fini, o in forme liberali al servizio degli interessi economici dei potenti. In entrambi i casi si riscontra la difficoltà a pensare un mondo aperto dove ci sia posto per tutti, che comprenda in sé i più deboli e rispetti le diverse culture. ...Ci sono leader popolari capaci di interpretare il sentire di un popolo, la sua dinamica culturale e le grandi tendenze di una società. Il servizio che prestano, aggregando e guidando, può essere la base per un progetto duraturo di trasformazione e di crescita, che implica anche la capacità di cedere il posto ad altri nella ricerca del bene comune. Ma esso degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere. Altre volte mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione. Ciò si aggrava quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità. ...Tutto ciò potrebbe avere ben poca consistenza, se perdiamo la capacità di riconoscere il bisogno di un cambiamento nei cuori umani, nelle abitudini e negli stili di vita. È quello che succede quando la propaganda politica, i media e i costruttori di opinione pubblica insistono nel fomentare una cultura individualistica e ingenua davanti agli interessi economici senza regole e all’organizzazione delle società al servizio di quelli che hanno già troppo potere. Perciò, la mia critica al paradigma tecnocratico non significa che solo cercando di controllare i suoi eccessi potremo stare sicuri, perché il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le utilizzano. La questione è la fragilità umana, la tendenza umana costante all’egoismo, che fa parte di ciò che la tradizione cristiana chiama “concupiscenza”: l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini. Questa concupiscenza non è un difetto della nostra epoca. Esiste da che l’uomo è uomo e semplicemente si trasforma, acquisisce diverse modalità nel corso dei secoli, utilizzando gli strumenti che il momento storico mette a sua disposizione. Però è possibile dominarla con l’aiuto di Dio. Estratto sempre dal testo di cui sopra
LUIGI64 Inviato 25 Aprile Autore Inviato 25 Aprile L’impegno educativo, lo sviluppo di abitudini solidali, la capacità di pensare la vita umana più integralmente, la profondità spirituale sono realtà necessarie per dare qualità ai rapporti umani, in modo tale che sia la società stessa a reagire di fronte alle proprie ingiustizie, alle aberrazioni, agli abusi dei poteri economici, tecnologici, politici e mediatici. Ci sono visioni liberali che ignorano questo fattore della fragilità umana e immaginano un mondo che risponde a un determinato ordine capace di per sé stesso di assicurare il futuro e la soluzione di tutti i problemi. ...Mi permetto di ribadire che «la politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia» ...Al contrario, «abbiamo bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi». ...Mentre vediamo che ogni genere di intolleranza fondamentalista danneggia le relazioni tra persone, gruppi e popoli, impegniamoci a vivere e insegnare il valore del rispetto, l’amore capace di accogliere ogni differenza, la priorità della dignità di ogni essere umano rispetto a qualunque sua idea, sentimento, prassi e persino ai suoi peccati. Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché risuonino le diverse voci. È vero che le differenze generano conflitti, ma l’uniformità genera asfissia e fa sì che ci fagocitiamo culturalmente. Non rassegniamoci a vivere chiusi in un frammento di realtà. ...Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili. Potrà crescere la nostra comprensione del loro significato e della loro importanza – e in questo senso il consenso è una realtà dinamica – ma in sé stessi sono apprezzati come stabili per il loro significato intrinseco. ...San Paolo menzionava un frutto dello Spirito Santo con la parola greca chrestotes (Gal 5,22), che esprime uno stato d’animo non aspro, rude, duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri affinché la loro esistenza sia più sopportabile, soprattutto quando portano il peso dei loro problemi, delle urgenze e delle angosce. È un modo di trattare gli altri che si manifesta in diverse forme: come gentilezza nel tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. Comprende il «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano», invece di «parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» ...Le diverse religioni, a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura chiamata ad essere figlio o figlia di Dio, offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia nella società. Il dialogo tra persone di religioni differenti non si fa solamente per diplomazia, cortesia o tolleranza. Come hanno insegnato i Vescovi dell’India, «l’obiettivo del dialogo è stabilire amicizia, pace, armonia e condividere valori ed esperienze morali e spirituali in uno spirito di verità e amore». ...Cercare Dio con cuore sincero, purché non lo offuschiamo con i nostri interessi ideologici o strumentali, ci aiuta a riconoscerci compagni di strada, veramente fratelli. Crediamo che «quando, in nome di un’ideologia, si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce sé stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati. Voi sapete bene a quali brutalità può condurre la privazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa, e come da tale ferita si generi una umanità radicalmente impoverita, perché priva di speranza e di riferimenti ideali». Va riconosciuto come «tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti». Non è accettabile che nel dibattito pubblico abbiano voce soltanto i potenti e gli scienziati. Dev’esserci uno spazio per la riflessione che procede da uno sfondo religioso che raccoglie secoli di esperienza e di sapienza. «I testi religiosi classici possono offrire un significato destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante», ma di fatto «vengono disprezzati per la ristrettezza di visione dei razionalismi» ...Le convinzioni religiose riguardo al senso sacro della vita umana ci permettono di «riconoscere i valori fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme delle diverse voci di formare un nobile e armonico canto, piuttosto che urla fanatiche di odio». ...In quell’incontro fraterno, che ricordo con gioia, con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, «dichiariamo – fermamente – che le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue. Queste sciagure sono rutto della deviazione dagli insegnamenti religiosi, dell’uso politico delle religioni e anche delle interpretazioni di gruppi di uomini di religione che hanno abusato – in alcune fasi della storia – dell’influenza del sentimento religioso sui cuori degli uomini […]. Infatti Dio, l’Onnipotente, non ha bisogno di essere difeso da nessuno e non vuole che il suo nome venga usato per terrorizzare la gente» PREGHIERA AL CREATORE Signore e Padre dell’umanità, che hai creato tutti gli esseri umani con la stessa dignità, infondi nei nostri cuori uno spirito fraterno. Ispiraci il sogno di un nuovo incontro, di dialogo, di giustizia e di pace. Stimolaci a creare società più sane e un mondo più degno, senza fame, senza povertà, senza violenza, senza guerre. Il nostro cuore si apra a tutti i popoli e le nazioni della terra, per riconoscere il bene e la bellezza che hai seminato in ciascuno di essi, per stringere legami di unità, di progetti comuni, di speranze condivise. Amen. Estratto sempre dal testo più volte citato
LUIGI64 Inviato 27 Aprile Autore Inviato 27 Aprile Gesù ci ha consegnato una luce che brilla nelle tenebre: difendila, proteggila . Quell’unico lume è la ricchezza più grande affidata alla tua vita. Non arrenderti alla notte. Ricorda che il primo nemico da sottomettere non è fuori ma dentro di te. Pertanto, non concedere spazio ai pensieri amari, oscuri. Questo mondo è il primo miracolo che Dio ha fatto, e ha messo nelle nostre mani la grazia di nuovi prodigi. Fede e speranza procedono insieme. Coltiva ideali . Vivi per qualcosa che supera l’uomo. E se un giorno questi ideali ti dovessero chiedere un conto salato da pagare, non smettere mai di portarli nel tuo cuore. La fedeltà ottiene tutto. Non pensare mai che la lotta che conduci quaggiù sia inutile . Alla fine dell’esistenza non ci aspetta il naufragio: in noi palpita un seme di assoluto. Dio non delude. Se ha posto una speranza nei nostri cuori, non la vuole stroncare con continue frustrazioni. Tutto nasce per fiorire in un’eterna primavera. Anche noi. Dio ci ha fatti per fiorire. Ricordo la poesia del grande poeta greco Nikos Kazantzakis intitolata Il mandorlo : «La quercia chiese al mandorlo: / Parlami di Dio. / E il mandorlo fiorì». Ovunque tu sia, costruisci! Se sei caduto, alzati! Non restare mai a terra, alzati, lasciati aiutare per tornare in piedi. Se sei seduto, mettiti in cammino! Se la noia ti paralizza, scacciala con le opere di bene! Se ti senti vuoto o demoralizzato, chiedi che lo Spirito Santo possa nuovamente riempire il tuo nulla. Opera la pace in mezzo agli uomini . E non ascoltare la voce di chi sparge odio e divisioni. Non ascoltare queste voci. Gli esseri umani, per quanto siano diversi gli uni dagli altri, sono stati creati per vivere insieme. Nei contrasti, pazienta: un giorno scoprirai che ognuno è depositario di un frammento di verità. Abbi sempre il coraggio della verità . Però ricordati: non sei superiore a nessuno. Ricordati di questo: non sei superiore a nessuno. Se tu fossi rimasto anche l’ultimo a credere nella verità, non rifuggire per questo dalla compagnia degli uomini. Anche se tu vivessi nel silenzio di un eremo, porta nel cuore le sofferenze di ogni creatura. Sei cristiano, e nella preghiera tutto riconsegni a Dio Se sbagli, rialzati. Nulla è più umano che commettere errori. Ma quegli stessi errori non devono diventare per te una prigione. Non rimanere ingabbiato nei tuoi sbagli. Il Figlio di Dio è venuto non per i sani, ma per i malati: quindi è venuto anche per te. E se sbaglierai ancora in futuro, non temere, rialzati! Sai perché? Perché Dio è tuo amico. Se ti colpisce l’amarezza, credi fermamente in tutte le persone che ancora operano per il bene . Nella loro umiltà c’è il seme di un mondo nuovo. Frequenta le persone che hanno custodito il cuore come quello di un bambino. Impara dalla meraviglia, coltiva lo stupore. Quando un giovane mi dice: «Che brutti tempi, questi, Padre, non si può fare niente!», io lo manderei dallo psichiatra! Perché è incomprensibile! Non si capisce un giovane, un ragazzo, una ragazza, che non vogliano fare qualcosa di grande, scommettere su ideali grandi, grandi per il futuro. Poi faranno quello che possono, ma la scommessa dev’essere di fare cose grandi e belle. Voi siete artigiani del futuro. Perché? Perché dentro di voi avete tre voglie. Primo: la voglia di bellezza. Quando fate musica, fate teatro o pittura – cose che hanno a che fare con la bellezza – voi state cercando qualcosa che a voi piace: la bellezza. Voi siete cercatori di bellezza. Secondo: la voglia di bontà. Voi siete profeti di bontà. A voi piace la bontà, piace essere buoni. E questa bontà è contagiosa, aiuta tutti gli altri. E anche – terzo –, voi avete sete di verità, cercate la verità. «Ma, Padre, io ho la verità!» Sbagli, perché la verità non si possiede, non la portiamo dentro di noi. La verità, che è Dio, si incontra. Ma per incontrarla, bisogna cercarla. Queste tre voglie che voi avete nel cuore, dovete portarle avanti, al futuro, dovete creare il futuro con la bellezza, con la bontà e con la verità. Questa è la sfida, la vostra sfida. Ma se voi siete pigri, se siete tristi – che cosa brutta, un giovane triste – se voi siete tristi… quella bellezza non sarà bellezza, quella bontà non sarà bontà e quella verità sarà qualcos’altro… Pensate bene a questo: scommettete su un grande ideale, l’ideale di fare un mondo di bontà, bellezza e verità. Tratto da:
LUIGI64 Inviato 28 Aprile Autore Inviato 28 Aprile Dio ci sorprende. Lasciamoci sorprendere da Dio! E non adottiamo la “psicologia da computer” che ci fa credere di sapere tutto. Com’è questa cosa? Un attimo e il computer ti dà tutte le risposte, nessuna sorpresa. ...Lasciati sorprendere dall’amore di Dio! Non avere paura delle sorprese, che ci scuotono, ci mettono in crisi, ma ci mettono anche in cammino. Il vero amore ti spinge a spendere la vita anche a costo di rimanere a mani vuote. ...Se Gesù è venuto a cercare i peccatori più che i giusti, a curare i malati prima ancora che i sani (cfr Mt 9,12-13), anche l’azione di noi, suoi discepoli, dev’essere rivolta non a sopprimere i malvagi, ma a salvarli. È lì, la pazienza. ...Oggi con tanti media siamo superinformati: questo è un male? No. Questo è bene e aiuta, però corriamo il pericolo di vivere accumulando semplicemente informazioni. Abbiamo tante informazioni, ma forse non sappiamo cosa farcene. Rischiamo di diventare “giovani-museo”, che hanno tutto ma non sanno come usare quel che hanno. Non abbiamo bisogno di giovani-museo, ma di giovani sapienti! Potreste chiedermi: «Padre, come si arriva a essere sapienti?» E questa è un’altra sfida, la sfida dell’amore. Qual è la materia più importante che bisogna imparare all’università? Qual è la più importante da imparare nella vita? Imparare ad amare! Questa è la sfida che la vita pone a voi oggi. Imparare ad amare! Non solo accumulare informazioni senza sapere che cosa farsene. Ma attraverso l’amore far sì che queste informazioni siano feconde. Per questo scopo il Vangelo ci propone un cammino sereno, tranquillo...La tua informazione scende al cuore, lo commuove e lo realizza. E questo armoniosamente. ...tante nostre università ci insegnano idee, concetti… Siamo eredi del liberalismo, dell’illuminismo… Ma abbiamo perso l’armonia dei tre linguaggi. Il linguaggio della testa: pensare; il linguaggio del cuore: sentire; il linguaggio delle mani: fare. Per realizzare questa armonia occorre che ognuno pensi quello che sente e fa; senta quello che pensa e fa; faccia quello che sente e pensa. Questa è l’armonia della saggezza. Non intendo parlare in senso negativo della disarmonia delle specializzazioni. Ci vogliono gli specialisti, ci vogliono. A patto che siano radicati nella saggezza umana. Gli specialisti, sradicati da questa saggezza, sono dei robot. ...La spiritualità cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. È un ritorno alla semplicità che ci permette di fermarci a gustare le piccole cose, di ringraziare delle possibilità che offre la vita senza attaccarci a ciò che abbiamo né rattristarci per ciò che non possediamo. Questo richiede di evitare la dinamica del dominio e della mera accumulazione di piaceri. ...Bastano soltanto cinque minuti, prima di andare a letto per imparare a essere più “sovrano” di me stesso, il giorno dopo. Chiediamoci: Cosa è successo oggi? Cosa è successo nella mia anima? Facciamo questo piccolo esame di coscienza ogni giorno, per convertirci al Signore. Concludiamo ripromettendoci che: «Domani cercherò di fare in modo che questo non accada più». Accadrà ancora, forse un po’ meno, ma sarai riuscito a governare tu e non a essere governato dalle tue passioni, dalle tante cose che ci succedono, perché nessuno di noi è sicuro di come finirà la propria vita e quando finirà. Bastano soli cinque minuti alla fine della giornata. Il primo criterio è amare con le opere, non con le parole. Le parole le porta via il vento: oggi ci sono, domani non ci sono più. Il secondo criterio di concretezza è: nell’amore è più importante dare che ricevere. La persona che ama dà, dà cose, dà vita, dà se stesso a Dio e agli altri. Invece la persona che non ama e che è egoista cerca sempre di ricevere. Cerca sempre di avere cose, avere vantaggi. ...Ci sono i cristiani di apparenza soltanto: persone che si truccano da cristiani e nel momento della prova hanno soltanto il trucco. E noi sappiamo cosa succede a una donna truccata quando va per la strada e viene la pioggia e non ha l’ombrello: tutto viene giù, le apparenze finiscono per terra. ...Per questo mi fa male vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso. Perché è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi. Le radici non sono àncore che ci legano ad altre epoche e ci impediscono di incarnarci nel mondo attuale per far nascere qualcosa di nuovo. Sono, al contrario, un punto di appoggio che ci consente di crescere e di rispondere alle nuove sfide. «Ma, padre, dove posso trovare le radici?» Nella vostra cultura troverete tante radici! Nel dialogo con gli altri… Ma soprattutto – e questo voglio sottolinearlo – nel dialogo con i vecchi. Parlate con i vecchi, ascoltateli. «Padre, loro dicono sempre le stesse cose!» Ascoltateli ugualmente. Litigate con loro, perché se tu litighi con i vecchi, loro parleranno più profondamente e ti sveleranno cose. Loro devono darti le radici, radici che poi – nelle tue mani – produrranno speranza che fiorirà nel futuro. In modi diversi, ma con radici. Senza radici, tutto è perduto: non si può creare speranza senza radici. Un poeta diceva: «Quello che l’albero ha di fiorito, viene da quello che ha di sotterrato», dalle radici. Cercate le radici. Tratto dal testo di cui sopra
Jack Inviato 28 Aprile Inviato 28 Aprile @LUIGI64 le prime due pagg le han comprese tutti le successive quattro solo tu e Dio le ultime 4 solo Dio 😂😂 (è un complimento, ovviamente… grande) 2
LUIGI64 Inviato 29 Aprile Autore Inviato 29 Aprile Mi ha fatto piacere il feedback, dopo tanto tempo di assordante silenzio... ☺️ La cosa curiosa è che nessuno interviene sulla good religion, ma ci sono dei veri esperti quando si tratta di narrare le malefatte, reali o presunte, delle religioni e affini Continuerò ancora un po' con i testi scritti da Papa Francesco, poi ritornerò a citazioni estratte da libri già a me noti, o da testi che leggerò insieme a voi 😊
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