LUIGI64 Inviato 29 Giugno Autore Inviato 29 Giugno Svegliarsi dal sogno Che vediamo il mondo da una prospettiva limitata è certo. Che questa prospettiva sia frutto dell’immaginazione illusoria mentale e di un’interpretazione preconfezionata di ciò che chiamiamo realtà, pure. Certo è anche che a partire da questa immaginazione nascono il senso di giusto e sbagliato, giudizi e pregiudizi, comportamenti e attaccamenti. Che l’educazione e la società cerchino di imporre questa visione come l’unica giusta, possibile e vera alle generazioni successive è anch’esso assodato. Che non abbiamo piena consapevolezza dell’impatto e della portata di questo dogma basato su prospettive illusorie sulla vita delle persone e degli altri esseri, è certo. Ma è anche certo che possiamo svegliarci dall’illusione. Questa è la via dei Patra. Liberarsi dall’illusione di Maya è una possibilità reale. Volersi svegliare dal sogno è una libera scelta. Fa parte delle possibilità date a ognuno di noi. Coglierla è un atto di libertà eroico. C’è un racconto sulla vita del Buddha che ho sempre amato. Siddharta rimase sette anni in ascesi nella foresta a meditare. Contemplando la verità sulla sofferenza, le sue cause, l’origine e l’estinzione, e prendendo coscienza della natura della mente e del sentiero che porta alla liberazione, si risvegliò. Fu solo allora che abbandonò la foresta per camminare nel mondo. Un uomo lo incontrò e, vedendolo così luminoso e raggiante, gli chiese: «Sei un Dio?» «No» rispose il Buddha. «Allora sei un angelo?» «No» rispose ancora «Dimmi dunque se sei un demone.» Il Buddha negò anche questa volta. «Dunque sei un uomo come tutti?» chiese il viandante. «No» disse ancora. «Ma allora chi sei?» domandò infine l’uomo. «Io sono sveglio» rispose in verità il Buddha.2 Essere sveglio. Sentire che “essere svegli” è la propria identità; che il proprio nome è un aggettivo, una qualità determinante e sostanziale del proprio esistere. Senza patria, senza nome. Sveglio dall’illusione, oltre ogni necessità di identificazione che la mente suggerisce. Il Buddha non si propone come divinità in cui credere e da seguire, ma come uomo risvegliato. È la testimonianza di un percorso possibile, di una fioritura che può realmente accadere in ognuno di noi. Svegliarsi dal sogno della mente è possibile ed è più reale di qualsiasi illusione. Nelle foto e sui social, oggi sono molto diffusi i filtri per ringiovanire o abbellire la propria immagine. Correggere i difetti del vero è una possibilità illusoria. La maschera copre la non accettazione, l’incapacità di amare se stessi e la vita così come sono. Preferiamo un racconto edulcorato. Cosa accadrebbe se togliessimo per sempre tutti i filtri? Se potessimo osservare la realtà senza più il filtro della mente? Non c’è un momento preciso in cui è meglio che questo risveglio accada. L’importante è che accada. Permettetemi di condividere con voi questa possibilità. È possibile uscire da questa illusoria follia solo attraverso un altro tipo di follia. Forse la più grande. Che però, a differenza delle infinite follie note, ha un elemento distintivo determinante: la consapevolezza. Da giovane, per ragioni che solo molto più tardi compresi, iniziai a percepire sporadicamente che tutto ciò che mi circondava non era davvero lì. Non so se vi è mai accaduta una cosa simile. Lasciate che mi spieghi meglio. La sensazione era che la realtà che avevo vissuto, toccato, gustato, respirato e visto, e anche le cose che avevo desiderato e gli obiettivi che avevo perseguito non fossero un “fatto” reale, ma un’immagine nella mia mente. Lo so, potrebbe sembrare un’affermazione azzardata, ma vi prego di ascoltare senza pregiudizi questa piccola testimonianza. Attraverso quelle finestre che di tanto in tanto si aprivano in me, diventavo consapevole che tutto ciò che vedevo, e che per anni avevo chiamato realtà, corrispondeva solo a uno stato della mente. Uno stato peraltro molto più simile al sogno che alla veglia. In quei momenti cadeva la percezione di densità, fissità e coerenza del mondo che osservavo. Sebbene potessi continuare a camminare e a sperimentare quel mondo, la sua irrealtà effimera era sempre più evidente. Potei osservare con chiarezza come gli esseri umani creano, attraverso un particolare stato della mente, dei mondi immaginativi, che vivono come reali. La caratteristica comune a tutti questi stati mentali immaginativi è che vengono considerati realtà indiscutibili da chi li crea: veri e propri dogmi. La mente che li fabbrica non li mette mai in discussione per una semplice ragione: crede di esserne il prodotto e non l’origine. Quando quelle finestre di consapevolezza si aprono in me, in quei momenti di lucidità, diventa chiaro come l’essere umano si perde nei mondi mentali che crea, dimenticando completamente che non vive dentro quei mondi immaginati, ma, al contrario, che questi mondi esistono solo dentro di lui, nella sua mente. Tratto da: Daniel Lumera, biologo naturalista, è docente e riferimento internazionale nelle scienze del benessere e nella meditazione.
LUIGI64 Inviato 1 Luglio Autore Inviato 1 Luglio Il filosofo tedesco Schopenhauer ha detto delle Upanishad: «Ogni singola riga mostra il suo significato in modo stabile e definito, nonché armonioso. Da ogni frase sorgono pensieri profondi, originali e sublimi e tutta l'opera è pervasa da uno spirito sommo, santo e pieno di fervore ... Nel mondo intero non c'è materia di studio, oltre quella delle Upanishad, che sia altrettanto originale, benefica e che elevi tanto lo spirito. Le Upanishad sono state la consolazione della mia vita e saranno la consolazione della mia morte».
LUIGI64 Inviato 2 Luglio Autore Inviato 2 Luglio Dalai Lama: una successione che scotta - RSI https://share.google/B8A3Hx090jlN5JQl0
LUIGI64 Inviato 5 Luglio Autore Inviato 5 Luglio Mistica e libertà In tutte le grandi religioni del mondo vi sono correnti mistiche, fondate sulla ricerca personale e sul contatto diretto col divino. Le correnti mistiche possono apparire anarchiche e in contrasto con le istituzioni delle Chiese, e se è vero che queste ultime hanno compiuto forme di repressione verso i movimenti estremistici o verso singoli esponenti che esprimevano una teologia ‘eretica’, è vero anche che tutte le Chiese hanno in seguito eletto i mistici come i massimi esempi della propria fede. Come scrive Giordano Berti nel Dizionario dei Mistici : Ogni religione è in grado di offrire diverse strade mistiche, che possono assumere toni estremi, persino aberranti, ma che corrispondono evidentemente a una necessità interiore (si pensi solo alle penitenze cui si sottopongono certi monaci medievali, alle torture sciamaniche, ai prolungati digiuni degli asceti induisti e jainisti). Dunque, la mistica può essere al tempo stesso un punto di contatto oppure un fattore di netto distacco fra le diverse religioni proprio perché è relativa a differenti bisogni spirituali, in parte innati e in parte indotti dalle culture e dalle tradizioni locali. 21 Tutte le grandi religioni hanno avuto tra di esse chi voleva avventurarsi oltre, non voleva restare ingabbiato, e queste tendenze sono vive anche al giorno d’oggi. Pensate all’espressione usata nel 1968 da Karl Rahner (*in effetti la citazione è stata rubata a R. Panikkar*) quando affermò che: «il cristiano del futuro o sarà mistico o non sarà neppure cristiano». 22 Ai misteri non si viene iniziati per svelarli, ma per viverli, in un santo desiderio in cui si continua infinitamente a desiderare che siano svelati. Scrive Marco Vannini sull’Osservatore Romano : È vero che nella storia misticismo e ragione sono stati spesso sentiti nemici da parte di una religione intesa come complesso di dottrine, sintesi a difesa di modi di vita e di pensiero, ed è pure vero che, reciprocamente, altrettanto spesso mistici e filosofi hanno combattuto le religioni, proprio in quanto meri sistemi dogmatici, ideologici, spesso strutturati in forme di potere. Questo niente toglie, comunque, al fatto che, nella loro più profonda essenza, mistica e filosofia siano indispensabili alla religione, come pure che – ancora una volta reciprocamente – sia loro indispensabile la religione, non in quanto complesso di dottrine, ma in quanto fede: l’attività di negazione, di distacco, di cui mistica e filosofia constano, non può infatti sussistere senza quella fede che, rivolta all’Assoluto, incessantemente toglie via il relativo. Contro ogni banale intellettualismo, vecchio e nuovo, le Upanishad perciò ammoniscono: «Solamente quando si ha fede si pensa. Chi non ha fede non pensa. Pensa soltanto colui che ha fede». 23 Il pantheon: tutto è pieno di Dio Nella mentalità comune si tende a definire il sacro in contrapposizione al profano, ma in realtà l’antropologia e la storia delle religioni ci narrano di una dialettica tra i due che tende piuttosto a espandere il sacro riducendo le aree profane fino ad abolirle. Nelle esperienze spirituali più elevate si giunge a identificare il sacro con l’intero Universo. Il Cosmo tutto intero, nella sua unità e integrità, manifesta il divino. Un bel testo tantrico esclama così: «L’Universo intero, da Brahmà sino al filo d’erba, è le forme di Lui». 24 Questo Lui, indescrivibile e innominabile, è ovunque: nell’uomo, nelle Scritture, ma anche nel firmamento, nell’acqua, nell’aria, in un fiore che sboccia. Anche il cristianesimo conosce bene questa dimensione. Se gli archeologi avessero conosciuto questa sapienza non si sarebbero stupiti dell’assenza di un tempio nella sviluppatissima civiltà di Moenjo-Daro, del III millennio a.C. nella Valle dell’Indo. Avrebbero immediatamente capito che per un sapiente spirituale dei tempi arcaici il Divino è ovunque, ma soprattutto dentro di noi, perché il tempio è prima di tutto un luogo interiore. Tratto da:
LUIGI64 Inviato 7 Luglio Autore Inviato 7 Luglio Il Dalai Lama festeggia 90 anni: "Non ho sprecato la mia vita" https://www.ansa.it/sito/videogallery/mondo/2025/07/06/il-dalai-lama-festeggia-90-anni-non-ho-sprecato-la-mia-vita_8100c94e-fe04-485b-9b88-958a0db13321.html
LUIGI64 Inviato 10 Luglio Autore Inviato 10 Luglio Se riflettete sulla morte e sull’impermanenza, comincerete a rendere significative le vostre vite. Potreste pensare che dal momento che prima o poi dovrete morire, non c’è alcun senso a cercare di pensare alla morte adesso, poiché ciò non farà che deprimervi e preoccuparvi. Ma la consapevolezza della morte e dell’impermanenza può avere grandi benefici. Se le nostre menti sono dominate dall’idea che non saremo oggetti alla morte, allora non saremo mai seri nella nostra pratica e non avanzeremo mai lungo il sentiero spirituale. La convinzione che voi non morirete è il maggiore inciampo al progresso spirituale: non vi ricorderete del Dharma, non seguirete il Dharma anche se ve ne ricorderete e non seguirete il Dharma in modo puro anche se magari lo seguirete fino a un certo punto. Se non contemplate la morte, non prenderete mai sul serio la vostra pratica. Vinti dalla pigrizia, mancherà impegno e slancio nella vostra pratica, sarete tormentati dalla stanchezza. Avrete grande attaccamento alla fama, alla ricchezza materiale e alla prosperità. Quando ci importa molto di questa vita, tendiamo a operare per quelli a cui vogliamo bene – i nostri parenti, amici – e ci sforziamo di renderli felici. Poi quando altri tentano di far loro danno, immediatamente definiamo questi altri nostri nemici. In tal modo, illusioni quali il desiderio e l’odio si accrescono come d’estate un fiume in piena. Tali illusioni automaticamente ci inducono a indulgere a ogni sorta di azioni negative, le cui conseguenze implicheranno la rinascita nel futuro in forme d’esistenza inferiore. ...È detto che se non abbiamo la giusta consapevolezza della morte, moriremo in preda a paura e rimpianto. Sentimenti che possono mandarci nei regni inferiori. Molte persone evitano di parlare della morte. Evitano di pensare al peggio, così che quando il peggio accade, sono colte di sorpresa e del tutto impreparate. La pratica buddhista ci consiglia di non ignorare le sventure ma di riconoscerle e di affrontarle, preparandoci a esse sin dall’inizio, così che quando realmente faremo esperienza della sofferenza essa non sarà del tutto intollerabile. Limitarsi a evitare un problema non aiuta a risolverlo, ma anzi lo rende peggiore. ...Il karma è creato da un agente, una persona, un essere vivente. Gli esseri viventi non sono nient’altro che il sé, attribuito tramite la continuità della coscienza. La natura della coscienza è luminosità e chiarità. Essa è un’agente del sapere, il quale è preceduto da un primitivo momento di coscienza, che ne è la causa. Se arriviamo a capire che la continuità della coscienza non può esaurirsi nello spazio di una sola vita, ci accorgeremo che la possibilità della vita dopo la morte ha una base logica. Se non siamo convinti della continuità della coscienza, sappiamo almeno che non esistono prove sperimentali che possano confutare la teoria della vita dopo la morte. Non possiamo provarla, ma neanche possiamo confutarla. Ci sono molti casi di persone che ricordano vividamente le proprie vite passate. Non è un fenomeno limitato ai buddhisti. Ci sono persone che hanno tali ricordi ma i cui genitori non credono alla vita dopo la morte o alle vite passate. Io conosco tre casi di bambini che sono stati capaci di ricordare vividamente le loro vite passate. In un caso, il ricordo della vita passata era così vivido che anche se in precedenza i genitori non credevano alla vita dopo la morte, grazie alla chiarezza dei ricordi della loro bambina, ora ne sono convinti. La bambina non solo ricordava chiaramente di essere vissuta in un vicino villaggio che riconosceva, ma era capace di identificare i suoi genitori precedenti, che non aveva avuto nessun’altra occasione di conoscere. Se non c’è vita dopo la morte, non c’è vita passata, e dovremmo trovare un’altra spiegazione per questi ricordi. Ci sono molti casi di genitori che hanno due figli, cresciuti allo stesso modo, nella stessa società, nello stesso ambiente culturale, eppure uno ha più successo dell’altro. Comprendiamo allora che tali differenze sono conseguenza di differenze nelle nostre azioni karmiche passate. Tratto da:
LUIGI64 Inviato 11 Luglio Autore Inviato 11 Luglio La morte non è nient’altro che la separazione della coscienza dal corpo fisico. Se non si accetta questo fenomeno chiamato coscienza, credo che sia anche molto difficile spiegare esattamente che cosa sia la vita. Quando la coscienza è connessa al corpo e il loro rapporto continua, noi chiamiamo ciò vita, e quando la coscienza termina il proprio rapporto con un particolare corpo, chiamiamo ciò morte. Sebbene i nostri corpi siano un aggregato di componenti chimici e fisici, una forma di agente sottile di pura luminosità costituisce la vita degli esseri viventi. Poiché esso non è fisico, non possiamo misurarlo, ma ciò non significa che non esista. Abbiamo dedicato così gran tempo, energia e ricerca all’esplorazione del mondo esterno, ma ora se cambiamo il tipo di approccio e dirigiamo tutte queste indagini, ricerche ed energie verso l’interno e cominciamo ad analizzare, io credo davvero che avremo la capacità di comprendere la natura della coscienza – questa chiarità, questa luminosità – dentro di noi. Secondo la spiegazione buddhista, si dice che la coscienza è non ostacolante e non fisica, ed è dalle azioni di tale coscienza che tutte le emozioni, le illusioni e gli errori umani hanno origine. Tuttavia, è anche grazie alla natura inerente di tale coscienza che si possono eliminare tutti questi errori e illusioni e produrre pace e felicità durevoli. Poiché la coscienza è la base dell’esistenza e dell’illuminazione, ci sono numerosi scritti sull’argomento. Sappiamo dalla nostra stessa esperienza che la coscienza o mente è soggetta a cambiamento, e ciò implica che essa è dipendente da cause e condizioni che la cambiano, la trasformano e l’influenzano: le condizioni e le circostanze delle nostre vite. La coscienza, per potersi produrre, deve avere una causa sostanziale simile alla natura della coscienza stessa. Senza un momento antecedente di coscienza non ci può essere alcuna coscienza. Dovremmo quindi essere in grado di tracciare a ritroso nel tempo la sequenza causale dei momenti di coscienza. Le scritture buddhiste parlano di centinaia di miliardi di sistemi di mondi, numeri infiniti di sistemi di mondi, e della coscienza che esiste per tutto il tempo interminato. Io credo che esistano altri mondi. Anche la moderna cosmologia dice che ci sono molti tipi diversi di sistemi di mondi. Anche se la vita non è stata osservata su altri pianeti, sarebbe illogico concludere che la vita è possibile soltanto su questo pianeta, che dipende da questo sistema solare, e non su altri tipi di pianeti. Le scritture buddhiste menzionano la presenza di vita in altri sistemi di mondi oltre che in differenti tipi di sistemi solari e in un numero infinito di universi. Tratto dal testo di cui sopra
LUIGI64 Inviato 13 Luglio Autore Inviato 13 Luglio Ora, se si chiede agli scienziati come ha avuto origine l’universo, essi hanno molte risposte diverse da dare. Ma se si chiede loro perché l’evoluzione ha avuto luogo, allora non hanno alcuna risposta. In genere non la spiegano come creazione di Dio poiché sono osservatori oggettivi che tendono a credere soltanto all’universo materiale. Alcuni dicono che è accaduta per caso. Questa posizione è in sé illogica, poiché se c’è qualcosa che esiste per caso, tanto vale dire che le cose non hanno alcuna causa. Ma vediamo dalla vita quotidiana che ogni cosa ha una causa: le nuvole causano la pioggia, il vento sparge attorno i semi e ne nascono nuove piante. Niente esiste senza ragione. Se l’evoluzione ha una causa, allora ci sono due spiegazioni possibili. Potete accettare che l’universo sia stato creato da Dio, nel qual caso si pongono molte contraddizioni, come per esempio la necessità che la sofferenza e il male siano stati anch’essi creati da Dio. L’altra opzione è invece spiegare che ci sono numeri infiniti di esseri senzienti i cui potenziali karmici hanno creato collettivamento questo universo come proprio ambiente. L’universo che abitiamo è creato dai nostri propri desideri e azioni. Ecco perché siamo qui. E questo, almeno, è logico. Al momento della morte, siamo sparsi attorno dalla forza delle nostre azioni karmiche. Il risultato delle azioni karmiche negative è la rinascita in regni inferiori. Per scoraggiare noi stessi dalle azioni negative, dovremmo cercare di immaginare se saremmo capaci di sopportare le sofferenze dei regni inferiori. Avendo visto che la felicità è una conseguenza delle azioni positive, proveremo grande piacere ad accumulare virtù. Paragonando la vostra propria esperienza a quella degli altri, sarete capaci di sviluppare una forte compassione, poiché capirete che le loro sofferenze non sono diverse dalle vostre e che anche loro desiderano ottenere la liberazione. È importante meditare sulla sofferenza dei regni animali e infernali. Se non facciamo progressi spirituali, è là che le nostre azioni negative ci condurranno. E se sentiamo che non saremmo capaci di sopportare la sofferenza del caldo bruciante o del freddo o della sete inestinguibile o della fame, allora la nostra motivazione alla pratica aumenterà incommensurabilmente. Al presente, questa esistenza umana ci offre l’opportunità e le condizioni per salvare noi stessi. Tratto sempre dal testo di cui sopra
LUIGI64 Inviato 14 Luglio Autore Inviato 14 Luglio Tratto da: Fermati e respira: Gli otto passi della meditazione (D. Lumera)
LUIGI64 Inviato 15 Luglio Autore Inviato 15 Luglio Ottime riflessioni sulla violenza di D. Lumera --- L’origine della violenza Tutto è vita. L’origine della violenza va ricercata nell’assenza di consapevolezza sulla natura essenziale della vita e nell’idea di essere separati dalle cose e dagli altri. Un profondo sentimento di unità può essere risvegliato e sperimentato rimuovendo l’illusione che esista una realtà separata, quando invece tutto è intimamente interdipendente. Essere non violenti oggi è un atto di coraggio sovversivo, una vera rivoluzione. È andare controcorrente, uscire dalla ruota del criceto. Ma è davvero possibile? È realistico poter arrivare a un punto in cui non si infligga volontariamente alcuna sofferenza e ingiuria a nessuna creatura vivente, attraverso parole, pensieri o azioni? Ahimsa rappresenta il grado più elevato di inoffensività, quel livello che si trova nei santi e nei saggi di ogni tradizione («Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi», Matteo 10, 16). Anche solo prendere in considerazione questa possibilità e lavorare dentro se stessi per arrivare a sperimentare l’unità della vita, costituisce un percorso evolutivo di elevazione del proprio essere. Più che preoccuparci di non nuocere, come già condiviso, bisognerebbe dunque focalizzarsi sull’esperienza meditativa, in cui si realizza l’unità fondamentale della vita, in cui tutto appare come una cosa sola. Il resto è sia conseguenza naturale di questa presa di coscienza sia frutto di un costante lavoro di attenzione e presenza. La prima vera forma di violenza È quella verso se stessi ed è rappresentata dalla disconnessione dai nostri ritmi naturali, dal proposito della nostra vita, dalla possibilità di condividere e far fruttificare i nostri talenti. Ci violentiamo quando utilizziamo le nostre risorse vitali per omologarci a modelli di felicità e successo che non ci appartengono, ma rispondono solo ed esclusivamente ad aspettative altrui o ai bisogni del mercato. Modelli di felicità e successo, peraltro, che per essere realizzati danneggiano anche le vite altrui, la natura e il pianeta intero. La più grande sfida dei nostri tempi è quella di essere eretici. Tratto dal testo sopra citato
LUIGI64 Inviato 16 Luglio Autore Inviato 16 Luglio Quando disponevo di più tempo libero, prima che iniziasse l’intensa stagione invernale, fatta di incontri, viaggi e attività, adoravo passare il mese di settembre in uno stato di completo isolamento davanti al mare. La mia ritualità era estremamente semplice: silenzio, assenza di tecnologia, cibo naturale intervallato da digiuni intermittenti, intensa pratica meditativa, attività fisica, spesso a contatto con l’acqua del mare, letture ispirative di poesie o testi sacri. Nessun uso di sapone, profumi, detergenti e deodoranti. Solo odori e sapori naturali. Ogni volta che poi «tornavo nel mondo» era tutto più intenso, vivo. Avevo una chiarezza estremamente lucida. Il mare lo portavo con me, nella pelle, nella mente, nel cuore e nell’anima. Ma la cosa più sorprendente era sempre l’impatto con i profumi sintetici. Di solito accadeva al primo viaggio, in aeroporto, quando mi ritrovavo a contatto con molta gente. Le scie dei profumi sintetici mi risultavano nauseabonde e ripugnanti. I miei sensi si ribellavano. Poi, piano piano, tornavo ad abituarmi, quasi senza rendermene conto, fino a trovarli di nuovo gradevoli e addirittura piacevoli. Capii allora che ci piace ciò che non ci piace. Arriviamo in pratica a farcelo piacere, a confondere la natura con l’illusione. Stesso discorso vale per il cibo. Il nostro palato è ormai alterato dal consumo di alimenti pieni di additivi artificiali, studiati appositamente per creare dipendenza. I cibi spazzatura ultraprocessati vengono percepiti come piacevoli, seppur ricchi di zuccheri, conservanti e sostanze cancerogene. I processi di purificazione, che passano attraverso l’alimentazione, il respiro e la meditazione, ci permettono invece di riconoscere e apprezzare i sapori naturali. Così come ci aiutano a mettere in atto una profonda pulizia a tutti i livelli, consentendoci di tornare in contatto con gli aspetti più puri e naturali del nostro essere. Un esempio lampante è il digiuno. Personalmente, all’inizio del mio percorso ho intrapreso la pratica del digiuno per ragioni spirituali. Solo in seguito, grazie all’amicizia col dottor Franco Berrino e all’approfondimento delle scienze dell’alimentazione, ho scoperto la sua utilità anche in termini di salute. Esistono dunque due approcci al digiuno: salutare e spirituale. Entrambi portano grandi benefici, sia al nostro stato generale di salute sia nella pratica meditativa Tratto sempre dal testo sopra citato
LUIGI64 Inviato 17 Luglio Autore Inviato 17 Luglio Altro bel paragrafo di D. Lumera: Studiare se stessi è la ricerca continua di ciò che è vero in noi, istante dopo istante; non ciò che è vero per noi, ma la verità essenziale che costituisce la propria natura e unicità. Occorre entrare in uno spazio di vacuità puro, imparare a non sapere, eliminare ogni giudizio, schema, preconcetto, aspetto della personalità, per lasciar emergere ciò che siamo veramente. Questo può generare disorientamento in chi è abituato a definirsi e identificarsi tramite sovrastrutture esterne. Corrisponde a un salto nel vuoto senza paracadute perché non siamo stati educati a rivolgere lo sguardo internamente. Solo di recente è stata avvertita l’esigenza di introdurre l’educazione alle emozioni nelle scuole, un primo timido tentativo di inversione della tendenza dominante, ovvero quella di insegnare il saper fare trascurando completamente il saper essere. Un’antica leggenda indiana narra di un tempo in cui tutti gli uomini erano dei, ma abusavano talmente tanto della loro divinità che Brahma, divinità superiore, decise di togliere loro la potenza divina e nasconderla dove non l’avrebbero mai trovata. Quando gli dei minori furono chiamati a consiglio per valutare dove nasconderla, dissero: «Seppelliremo la divinità dell’uomo in fondo alla terra». Ma Brahma disse: «No, questo non basta, perché l’uomo scaverà e la troverà». Allora gli dei proposero: «Bene, affonderemo la sua divinità nell’oceano più profondo». Ma Brahma gli rispose ancora: «No, perché prima o poi l’uomo esplorerà le profondità dell’oceano e un giorno la troverà e la riporterà in superficie». Allora gli dei minori conclusero: «Non sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia nessun posto sulla terra o nel mare dove l’uomo non potrebbe eventualmente raggiungerla». Allora Brahma disse: «Ecco cosa faremo con la divinità dell’uomo: la nasconderemo profondamente dentro lui stesso, perché non penserà mai di cercarla proprio lì». Da allora, l’uomo è andato su e giù per la terra esplorando, arrampicandosi, tuffandosi e scavando, cercando qualcosa che da sempre è dentro di lui. È difficile rivolgere lo sguardo internamente senza il sostegno della pratica meditativa. Risulta complesso divenire consapevoli di ciò che si sente, degli impulsi che ci abitano, percepire il corpo mentre camminiamo, osservare le dinamiche reattive e compulsive senza esserne il prodotto, riconoscere i desideri che non ci appartengono. Così come sentire le necessità che ci corrispondono davvero. Viviamo in un contesto estremamente disgregante, che ci spinge in continuazione verso l’esterno, distraendoci con suoni, colori, desideri, obiettivi e modelli che nulla hanno a che fare con la nostra reale natura. Siamo spinti a uniformarci per vivere una vita che non ci appartiene.
LUIGI64 Inviato 18 Luglio Autore Inviato 18 Luglio Mi sono sempre chiesto, il motivo che spinge alcuni soggetti che difendono giustamente la democrazia con unghie e con i denti, ma parimenti risultano fortemente intolleranti nei confronti della dimensione trascendente/spirituale e delle religioni tutte ..... Giro la domanda a Chatgpt, che risponde in questo modo: 1. Malinteso sulla laicità In molte società democratiche, la laicità dello Stato (cioè la neutralità rispetto alle religioni) viene confusa con un atteggiamento antireligioso. La laicità non è negazione della spiritualità, ma garanzia della libertà di credo per tutti. Tuttavia, in pratica, alcuni pensano che la sfera pubblica debba essere "ripulita" da ogni riferimento al sacro — e questo porta a una nuova forma di censura. --- 🔹 2. Dominio della mentalità scientista e materialista Il paradigma dominante in molte democrazie occidentali è quello scientifico-razionalista, che tende a considerare reale solo ciò che è quantificabile, ripetibile, oggettivo. La trascendenza, il mistero, l’esperienza spirituale non rientrano in questi parametri, quindi vengono svalutati o visti come “residui del passato”. Chi parla di anima, Dio, karma, reincarnazione, viene a volte ridicolizzato o visto come “poco serio”. --- 🔹 3. Paura dell’integralismo religioso Alcuni hanno timore che aprire troppo alla religione (specialmente in contesti pubblici o politici) possa sfociare in fondamentalismo. Per proteggersi da questo, si crea una sorta di reazione eccessiva, in cui anche il credente equilibrato viene messo a tacere o delegittimato. --- 🔹 4. Ideologia della tolleranza selettiva La democrazia dovrebbe difendere la pluralità, ma oggi a volte si pratica una tolleranza “a senso unico”: Sei tollerato se la pensi come il gruppo dominante. Se invece hai convinzioni profonde spirituali o religiose, vieni accusato di dogmatismo. Paradossalmente, chi predica apertura mentale spesso diventa intollerante verso la fede, cioè verso ciò che non si può razionalizzare. --- 🔹 5. La spiritualità è una minaccia per il controllo? Un’altra ipotesi (meno detta, ma non irragionevole) è che la vera spiritualità libera — quella che spinge a cercare la verità dentro di sé — renda le persone meno manipolabili, meno consumiste, meno omologate. In tal senso, chi controlla i media, la politica o il mercato ha tutto l’interesse a marginalizzare la trascendenza. --- ✅ In sintesi: Chi sbandiera la democrazia ma diventa intollerante verso la spiritualità: spesso non ha capito cosa sia la vera libertà,è prigioniero di un pensiero unico tecnocratico o spaventato dal diverso, oppure sta cercando di mantenere un certo potere culturale.
luimas Inviato 22 Luglio Inviato 22 Luglio Posto anche questa , magari qualche domanda qualcuno se la farà ...
LUIGI64 Inviato 22 Luglio Autore Inviato 22 Luglio A proposito di luce Cerchiamo di fare luce su questo interessante termine Luce e Tenebre Non c’è bisogno di essere uno strutturalista come Lévi-Strauss per rendersi conto che l’umanità ha sempre percepito e strutturato il mondo (cosmo, società, sistemi di valori) in opposizioni dualistiche, cioè «binarie»: maschio-femmina, destra-sinistra, cielo-terra, giorno-notte, sacro-profano, esogamia-endogamia, ecc. Talvolta queste opposizioni si sono sviluppate in dualismi simbolici di tipo metafisico ed etico (spirito-materia, anima-corpo, puro-impuro). Una delle opposizioni più «invadenti», cioè universali, importanti e onnipresenti nell’esperienza umana è l’opposizione tra luce e tenebre. Come molte altre opposizioni, quella di luce e tenebre è sperimentata in una alternanza ritmica. Molto spesso queste opposizioni vengono correlate in una serie di equazioni simboliche (luce = giorno = calore = spirito = bene = divino = maschio, in opposizione a tenebre = notte = freddo = materia = male = demoniaco = femmina, ecc.); per questo motivo il dualismo luce-tenebre può riferirsi simbolicamente a tante altre realtà. to be continued... Tratto da:
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