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Good religion trascendenza/mistica


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Inviato

La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di
possedere l'intera verità.

(Rumi)

Inviato

La verità era uno specchio che cadendo dal cielo si ruppe. Ciascuno ne
prese un pezzo e vedendo riflessa in esso la propria immagine, credette di
possedere l'intera verità.

(Rumi)

...

 

Inviato

Ci siamo arricchiti in sapere, ma non in saggezza.

C.G. Jung

Inviato

 

La psicologia, al suo sorgere, si è sviluppata in accordo con il modello scientifico e, quindi, si è indirizzata allo studio della dimensione umana secondo canoni oggettivisti e razionalisti che hanno colto solo l’aspetto più materiale della psiche. Nella prima psicologia di stampo psicoanalitico, la natura dello psichismo delineata nel suo aspetto istintuale, e l‘“io” visto come un sottoprodotto degli istinti e non ha altra autonomia che quella di arbitrare le transazioni tra pulsione sessuale e mondo sociale.

Per quanto, come dice Bettelheim, la chiave di lettura dell’opera di Freud sia stata riduttiva della sua umanistica visione dell’uomo ed abbia misconosciuto un più profondo senso dell’anima delineato dal padre della psicoanalisi, la descrizione che Freud dà della natura umana non sembra accennare a potenzialità creative o spirituali della psiche e, quando tali elementi sono presenti, vengono considerati un sottoprodotto degli istinti o un’espressione patologica.

Il comportamentismo non si è dissociato dal modello biologico della psiche, cogliendo solo le risposte condizionate dagli stimoli ambientali e giudicando l’uomo non molto oltre un animale pensante. La psicologia umanistica ha ampliato il modello di un uomo predeterminato dagli istinti, volgendosi allo studio delle funzioni dell‘“io” e riconoscendo a quest’ultimo un’autonomia rispetto all’inconscio, quindi rispetto all’istintualità

L’accento posto dai pionieri del movimento umanistico (Maslow, May, Walsh, Assagioli, ecc.) sulle potenzialità della psiche 

determina l’allargamento della ricerca della psicopatologia alle qualità dell’uomo sano ed in particolare a quelle della persona di geniale talento. Con la psicologia umanistica la visione dell’uomo si amplia nel senso che si riconosce all‘“io” la possibilità di autodeterminarsi e di autotrascendersi attraverso l’uso della volontà, e la psicoterapia diventa strumento di crescita oltre che di cura.

Il quarto momento della psicologia, dopo la psicoanalisi, il comportamentismo e la psicologia umanistica, rappresentato dalla psicologia transpersonale. Sorta negli Stati Uniti d’America dalle fila pi evolute della psicologia umanistica, vanta tra i suoi pionieri l’italiano Roberto Assagioli e si erge sui pilastri delle teorie di Jung e di Maslow. La psicologia transpersonale si indirizza allo studio di ci che oltre la personalità definita quale complesso corporeo ed emotivo-mentale, e ricerca la dimensione “alta” dell’uomo, relativa alla creatività superiore, alla spiritualità ed alla conoscenza intuitiva. “Transpersonale” significa ci che oltre la “persona” quale maschera intessuta di credi definiti nello spaziotempo, ovvero quale “io” particolare con un nome ed una forma: tale dimensione riguarda potenzialità contenute nel livello inconscio superiore definito da Assagioli “supercosciente”, ed evidenziato in personalitàdotate di particolare talento ed in stati di coscienza superiori che Maslow ha definito “esperienze di vetta”

Tratto da:

 

 

 

 

 

 

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Inviato

Ciò che la mente inventa, la mente distrugge. Ma il reale non è inventato e non può essere distrutto 

(Sri Nisargadatta Maharaj)

Inviato

Qual è la coscienza? Non è forse la sensazione di essere presenti, di essere vivi? E questo senso di presenza cosciente non ha nulla a che fare con la presenza di un individuo in particolare: è il senso della presenza consapevole in quanto tale

...

Quando vedo che non sono nulla, questa è saggezza. Quando vedo che io sono tutto, questo è amore. E tra le due cose, la mia vita scorre

...

Un uomo dovrebbe essere in rivolta permanente contro se stesso perché l'ego si contrae e si distorce come uno specchio concavo. È il peggiore dei tiranni, perché ti domina totalmente.

(Nisargadatta Maharaj)

Inviato

 La religione ha anche svolto la funzione di solito, in una minoranza molto, molto piccola di garantire una trasformazione radicale e liberatoria. Tale funzione della religione non fortifica il sé individuale, ma lo scuote dalle fondamenta. Non la consolazione, ma la distruzione; non il consolidamento, ma il vuoto; non il compiacimento, ma l'esplosione; non il conforto, ma la rivoluzione. In breve, non un sostegno tradizionale alla coscienza, ma una trasmutazione e una trasformazione radicali nel più profondo della consapevolezza stessa.
Esistono molti modi per definire queste due importanti funzioni della religione. La prima funzione cioè creare significato per il sé è una forma di movimento orizzontale; la seconda funzione quella della trascendenza del sé è una forma di movimento verticale (più elevata o profonda, a seconda della tua metafora). La prima l'ho definita 'traslazione', la seconda trasformazione'.
Con la traslazione, al sé viene semplicemente offerto un nuovo modo di pensare o percepire la realtà. Al sé si dà un nuovo credo: forse olistico invece che atomistico, relazionale invece che analitico, esaltando magari il perdono anziché il biasimo. A quel punto, il sé impara a traslare il suo mondo e il suo essere nei termini di questo nuovo credo, linguaggio o paradigma; e tale nuova e affascinante traslazione riesce, almeno temporaneamente, ad alleviare o diminuire il terrore innato nel cuore del sé individuale.
Ma con la trasformazione, questo stesso procedimento di traslazione viene sfidato, osservato, eroso alle fondamenta e infine smantellato. Con la tipica traslazione si offre al sé (o al soggetto) un nuovo modo di concepire il mondo (o gli oggetti); ma con la trasformazione radicale il sé viene indagato, analizzato, afferrato per la gola e letteralmente strangolato fino alla morte.
Per finire, mettiamola così: con la traslazione orizzontale che è di gran lunga la funzione della religione più diffusa, prevalente e condivisa il sé diventa, almeno temporaneamente, felice nella sua avidità, contento nella sua schiavitù e soddisfatto di fronte a quel terrore che è, in realtà, la sua condizione intima. Con la traslazione, il sé entra come un sonnambulo nel mondo, inciampa miope e intontito nell'incubo del samsara, si aggira nel pianeta con l'aiuto della morfina. Ma questa, in realtà, è la condizione comune dell'umanità religiosa, la stessa che i seguaci della spiritualità trasformativa o radicale sono arrivati a sfidare e, infine, distruggere.
Infatti, la trasformazione autentica non riguarda il credere, ma la morte di colui che crede; non è questione di traslare il mondo, ma di trasformarlo; si tratta di trovare non il sollievo, ma l'infinito dall'altro lato della morte. Il sé non viene appagato, ma ucciso.
Ebbene, anche se sto chiaramente prendendo le parti della trasformazione a scapito della traslazione, la realtà è che entrambe, da un punto di vista generale, sono incredibilmente importanti ed essenziali.

(Ken Wilber)

Inviato

 

Prendi il modo d’intendere dell’Oriente e la conoscenza dell’Occidente, poi mettiti a cercare.

il punto di partenza della ricerca è la conoscenza di noi stessi o “Lo studio di noi stessi”, “il ricordarsi di noi stessi”.

Diventare consapevoli di noi stessi, anche solo per pochi momenti, è la tecnica che può aiutarci ad uscire dallo stato di alienazione in cui ci troviamo abitualmente.

L’uomo può nascere, ma per nascere deve prima morire, e per morire deve prima svegliarsi.

Lo sviluppo dell’uomo avviene secondo due linee: sapere ed essere. Perché l’evoluzione si compia correttamente, le due linee devono procedere insieme, parallelamente l’una all’altra, sostenendosi a vicenda.

G. I. Gurdjieff 

 

Inviato

La risposta alla crisi della fede (e della Chiesa) è per il neoeletto da cercare nel misticismo spirituale più che in un “superficiale cristianesimo culturale”

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Celibato facoltativo, misticismo e diaconesse. Chi è il nuovo arcivescovo di Vienna | Il Foglio https://share.google/hWQGbMO520WKHiJBb

Inviato

La polarizzazione è problematica soprattutto quando ci porta a disumanizzare le persone, quando ci fa dimenticare che chi giudichiamo, critichiamo e contestiamo in realtà è un essere umano come noi. Questa disumanizzazione si può manifestare in modo esplicito, come nell’apartheid, nello schiavismo, nella brutalità della polizia, nel genocidio. Ma nella mente di tutti, a qualche livello, esiste questo genere di pregiudizio. Se siamo sinceri con noi stessi, vedremo che abbiamo l’abitudine di disumanizzare gli altri per tanti motivi. Per esempio, se hanno opinioni politiche che consideriamo miopi o arretrate, potremmo avere qualche difficoltà a considerarli pienamente umani. Se non credono nel cambiamento climatico o nell’evoluzione, potremmo inconsciamente squalificarli dall’essere membri pienamente sviluppati della specie umana. Potremmo condannare le persone per il loro comportamento o criticarle perché fumano, bevono o indossano quelli che ci sembrano vestiti di cattivo gusto. Anche minime differenze nelle nostre abitudini e preferenze possono portarci a sentirci fondamentalmente separati dagli altri.

...Avere compassione non significa che non possiamo prendere una posizione. È importante dire la nostra quando siamo stati feriti, quando vediamo maltrattare altri e quando osserviamo o sperimentiamo un abuso di potere. È altrettanto importante ascoltare a fondo e senza giudicare le persone che parlano delle loro esperienze e della loro sofferenza. Quello che è stato disfunzionale deve essere affrontato apertamente.

Viviamo in un periodo in cui i vecchi sistemi e le vecchie idee sono messi in discussione e crollano, e questa è una meravigliosa occasione perché emerga qualcosa di nuovo. Non ho idea di come si presenterà e nessun preconcetto sulla piega che dovrebbero prendere gli eventi, ma ho la netta sensazione che l’epoca in cui viviamo sia un terreno fertile per addestrarci a essere aperti di mente e di cuore. Se possiamo imparare a sostenere questo crollo generale senza polarizzare e senza diventare integralisti, allora qualsiasi cosa facciamo oggi avrà un effetto positivo domani.

Ma ogni volta che ci sorprendiamo a polarizzare pensieri, parole e azioni, e ogni volta che facciamo qualcosa per accorciare la distanza stiamo iniettando un briciolo di bodhicitta (compassione per tutti gli esseri) nei nostri schemi abituali. Stiamo approfondendo la nostra comprensione di come siamo interconnessi con gli altri. Stiamo rendendo possibile la guarigione, invece di ostacolarla. E a causa di questa interconnessione, quando cambiamo i nostri schemi, contribuiamo a cambiare quelli della nostra cultura in generale.

Tratto da:  Accogliere l'inaccettabie (Pema Chodron)

Inviato

Qualsiasi approssimazione al buddismo che non arrivi a toccare queste fibre della compassione universale, di rinunciare, come diranno i bodhisattva, alla mia salvezza personale in favore di tutti gli esseri viventi che ancora forse hanno bisogno del mio aiuto, non ha capito niente di quel che voglia dire il buddismo. Un grande arhant (e qui stiamo dentro l'ironia delle due grandi tradizioni buddiste), avendo compiuto la propria vita terrena sale al nirvâna, al cielo meritato, e il suo grande desiderio è di vedere il maestro e di sapere dove il maestro vive. E sale per tutti i cieli del nîrvâna, e si potrebbero descrivere le apsara , le ninfe e le cose preziose che trova, fino ad arrivare al settimo cielo. Qui le porte sono aperte e grida e cerca, perché vuole vedere Gôtama, il Buddha. Non lo trova e grida, ed esce un'apsara, esce una ninfa, una fanciulla che lo guarda tutta stupita. Egli le dice: Cerco Sakyâmuni, l'Adhibuddha. Essa gli risponde: «Ma tu non sai quel che cerchi, il Sakyâmuni, il vero, il Buddha non è mai venuto qui, è sempre rimasto tra gli uomini e ci rimarrà finché l'ultimo essere senziente non sia arrivato al nirvâna».

Il posto del Buddha è tra coloro che soffrono, tra gli uomini. La grande compassione che fa sì che si possa essere un bodhisattva, fa che si rinunci alla propria salvezza per collaborare col resto degli esseri viventi alla liberazione dell'universo. Il voto del bodhisattva che fa il monaco della tradizione mahayâna, dopo cinque anni di preparazione come minimo, è la rinuncia a qualsiasi beneficio e merito personale, di non farci caso e di non capitalizzarlo, finché l'ultimo essere vivente non arrivi alla propria pienezza. E quando si vuol costruire tutto un sistema filosofico quel che si vuole è sbancare tutta la forza della logica per dimostrare, logicamente, che qualsiasi costruzione intellettuale, distrugge se stessa quando si vuol formulare. Questo è lo spirito del buddismo.

R. Panikkar

Inviato

...La filosofia di Zhuangzi non è facile da incasellare perché è sfuggente. È una specie di naturalismo che insiste sul relativismo dei giudizi e con una forte connotazione scettica talvolta radicale («Una volta, Zhuangzi sognò di essere una farfalla, che svolazzava felice e non sapeva nulla di Zhuangzi. Al risveglio, si chiese se era Zhuangzi e aveva sognato di essere una farfalla, oppure se era una farfalla che stava sognando di essere Zhuangzi»). La forza del testo è nella capacità di mettere in dubbio ciò che appare ovvio, ribaltare punti di vista e aprire prospettive. Nei secoli successivi, quando il buddhismo arrivò in Cina e poi in Giappone, l’influenza di Zhuangzi è stata considerevole sulla nascita delle versioni del buddhismo chan cinese e zen giapponese. Ma lo Zhuangzi è comunque sempre rimasto un testo amato dall’intero mondo intellettuale cinese.

La teoria che descrive questi fenomeni, la meccanica quantistica, lo fa facendo riferimento esplicito a come questi appaiono a un osservatore. La teoria sembra parlare della conoscenza che un osservatore può avere di questi fatti, invece che dei fatti in sé. Il padre spirituale della teoria, il danese Niels Bohr, ha formulato la questione così: «La fisica non riguarda il mondo, riguarda ciò che possiamo dire sul mondo». Non so se Bohr conoscesse Zhuangzi ma sono certo che se lo avesse conosciuto lo avrebbe adorato. Lo stesso spirito sornione pervade il vecchio filosofo cinese e il grande fisico del Novecento («La caratteristica di una profonda verità — ha scritto Bohr — è il fatto che la sua negazione è pure una profonda verità»). C’è implicita in Zhuangzi una risposta cruciale all’apparentemente sconsolata osservazione di Bohr che la fisica non riguarda il mondo, riguarda ciò che possiamo dire sul mondo. La risposta è nella domanda: «Dove sta la differenza?». Ciò che possiamo dire del mondo non è forse null’altro che uno degli aspetti del mondo stesso? Se sostituiamo i pesci con un atomo quantistico e Zhuangzi con l’osservatore di cui parla la teoria quantistica, il gustoso dialogo dell’antico libro va al cuore della questione quantistica: l’osservatore stesso è un sistema osservato, rispetto a un altro sistema. Come tale, non è sostanzialmente diverso dai sistemi che osserva.
In una piccola gemma di libro pubblicato nel 1923 e intitolato Ich und Du («Io e Tu»), il filosofo ebreo austriaco Martin Buber osserva che ci sono due attitudini con cui ci possiamo mettere in relazione al mondo. Una è quella che Buber chiama «Io» verso un «Esso», dove «Esso» è qualunque oggetto, idea o persona di cui possiamo parlare. La seconda attitudine è quella che chiama «Io» verso «Tu», caratterizzata dall’enfasi sulla relazione stessa, e soprattutto dal riconoscimento della eguale e complementare natura dei due termini. Gli interessi e il linguaggio di Buber sono teologici, etici e politici. Ma il cuore dell’idea mi sembra essenziale per una filosofia della scienza pienamente naturalista: il soggetto della conoscenza non è altro dal mondo, è parte del mondo. Studiamo il mondo dall’interno del mondo, consapevoli di esserne parte. Il mondo per noi è quindi incontro, relazione. Delle cose della natura siamo fratelli, non giudici. La conoscenza non vive disincarnata fuori dal mondo: è una delle configurazioni del mondo stesso.

C. Rovelli

https://francosenia.blogspot.com/2021/11/pesci-farfalle.html

 

Inviato
Il 20/09/2025 at 19:53, LUIGI64 ha scritto:

Per semplificare le cose, potrei dire che, sebbene nel corso della mia ricerca e dei miei viaggi abbia avuto il privilegio di avvicinare molti esseri straordinari – tibetani, sufi, guru indù e maestri Zen, molti dei quali lasciarono una traccia profonda nel mio cuore – per me Anandamayi Ma fu, e rimane, la personificazione della trascendenza, la prova vivente dell’esistenza di una realtà trascendentale.

AnandamayMa e' stata piu' di una santa, in India viene celebrata come la personificazione della Madre Divina.

Quando il grande Maestro Yogananda la incontro' nel 1935 lei si espresse cosi':

"Padre, c’è poco da dire. La mia coscienza non s’è mai associata a questo corpo transitorio. Prima di venire su questa terra... ‘ero la stessa’. Da bambina ‘ero la stessa’. Divenni donna, ma ‘ero la stessa’. Quando la famiglia predispose di far sposare questo corpo, ‘ero la stessa’. Ed ora di fronte a voi, Padre, ‘io sono la stessa’; e per sempre in futuro, nonostante la danza della creazione cambi intorno a me nello spazio dell’eternità, ‘io sarò la stessa’”.

Cercare di capire lo stato spirituale di AnandamyMa e' alquanto problematico, poiche' qui siamo di fronte a una presenza che ha trasceso completamente qualsiasi ragionamento logico.

Eppure, giovanissima fu data in sposa, secondo le convenzioni indiane, in un matrimonio concordato.

Non si oppose, ma servi' il marito in obbedienza, Quando quest'ultimo si avvicino' al lei per un rapporto fisico, ricevette una scossa eletrrica, tanto per fargli capire chi aveva di fronte.

Il matrimonio non fu' mai consumato, e il marito divenne il suo primo discepolo.

Fin da giovane ebbe estasi, ando' in samadhi con una facilita' incredibile, diguno' per 4/5 mesi con piccoli chicchi di riso al giorno, nien'altro. Il piu' delle volte mangiava perche' era in presenza di altre persone, e non per una effettiva necessita' corporea. Il suo cibo era altro.

Quando comincio' a viaggiare in tutta l'India per portare le sue benedizioni e impartire il suo sadhana spirituale, avvennero guarigioni, ma forse meglio dire miracoli, per usare il nostro linguaggio.

Lascio' il corpo nel 1982 e ad oggi vi sono una ventina di ashram in India dedicati a lei.

Ho avuto la fortuna di meditare  nel 2007 nel  suo Ashram a Varanasi la citta''piu sacra dell 'India.

Se questa donna non fosse vissuta nel secolo scorso, nessuno ci crederebbe, o forse si parlerebbe di pura fantasia o mitologia. E questo ci fa' capire che i grandi Maestri che ci seguono al di la' del velo....ogni tanto si calano qui da noi, per indirizzarci e guidarci nella retta via.

AnandamayMa era uno di questi.

 

 

 

 

  • Melius 1
Inviato

@densenpf grazie per la citazione

😊

Effettivamente, sembrerebbe un personaggio piuttosto straordinario

Inviato

Thích Nhất Hạnh, il celebre monaco buddhista vietnamita, ci offre una via per comprendere la realtà e non esserne vittime. Ci insegna a guardare il «vuoto oscuro» non come mancanza, ma come spazio di connessione e libertà. Sono usciti recentemente due suoi testi dedicati a questo tema: Il cuore dell’insegnamento del Buddha e Il nocciolo della vacuità: comprendere la filosofia di Nāgārjuna (Ubilibri, 2025).

Altri autori hanno affrontato il vuoto da prospettive differenti — non come esperienza interiore, ma come realtà fisica e creativa da cui tutto sorge. 

...Thích Nhất Hạnh ci ricorda che soffriamo perché ci identifichiamo con pensieri, desideri, ruoli e ricordi, dimenticando che tutto è in movimento: è questo il flusso naturale della vita. Spesso ci diciamo: «Non dovrebbe essere così», «Voglio che le cose restino come mi fanno stare bene». Ma — insegna il maestro — tutto è in relazione e ogni cosa è frutto del cambiamento.

Con il suo linguaggio poetico, Thích Nhất Hạnh ci invita a vedere che il fiore non esiste in modo indipendente, ma è pieno di sole, di pioggia, di terra e di tempo: «Se sei un poeta, vedrai chiaramente che questa carta è fatta di nuvola». E ancora: «Nulla esiste da solo, ogni cosa è in ogni altra».

... Questa consapevolezza ci aiuta a vedere la realtà in modo meno illusorio, a sciogliere le barriere tra “io” e “altro”. Ne nasce la pace, e si manifesta una compassione spontanea: riconosci che l’altro è parte di te, e non puoi più ferirlo. È l’antidoto più profondo al narcisismo dilagante.

Il vuoto, allora, non ci conduce alla depressione ma ci apre alla libertà interiore. Attaccarci al nostro modo di vedere e sentire diventa invece una prigione: ci sprofonda nell’angoscia. Quando il senso di separazione si rilassa, la sofferenza non trova più radice. Non perché la vita diventi perfetta, ma perché non c’è più un centro rigido che la giudica o la teme.

«Noi pensiamo di essere un sé solido, come un blocco di ghiaccio. Ma in realtà siamo un flusso di energia, in continuo scambio con l’aria, l’acqua, il cibo, le emozioni, gli altri esseri. Quando realizziamo questo, l’io si scioglie e resta solo la danza della vita».

Così Thích Nhất Hạnh spiega il significato della vacuità (śūnyatā), cioè del vuoto: «La vacuità non significa che le cose non esistono. Significa che non possono esistere da sole, in modo indipendente. Un fiore è fatto solo di elementi non-fiore: nuvola, sole, terra, tempo, spazio, coscienza. Se togli la nuvola, il fiore non può esistere. Vedere la vacuità del fiore è vederne la meravigliosa interdipendenza con tutto l’universo».

Anche la morte, allora, smette di impaurirci: «Una nuvola non può morire. Può solo trasformarsi». «Quando comprendiamo la vacuità, vediamo che non c’è nascita e non c’è morte, non c’è essere e non c’è non-essere. Tutto è in continua trasformazione, in inter-esistenza».

https://www.rsi.ch/cultura/filosofia-e-religione/Il-vuoto-non-è-vuoto-come-riscoprire-la-vita-oltre-la-depressione--3218973.html

Inviato

Dottor Sans Segarra, che cosa è accaduto ai pazienti clinicamente morti che sono stati poi rianimati e che lei ha studiato in questi anni?
«Nei casi di pre-morte vissuti da pazienti clinicamente morti, la coscienza neuronale non funziona, eppure ve n'è un'altra che persiste e ha una continuità al di fuori del cervello. Alcuni pazienti hanno raccontato quello che stava succedendo dall’altra parte del mondo nel momento in cui erano clinicamente morti. Persone negli Stati Uniti ci hanno rivelato ciò che stava accadendo in Australia, dimostrando un trasferimento delle informazioni indipendente dallo spazio e dal tempo. Questa sopracoscienza che persiste dopo la morte è la nostra realtà esistenziale (la chiesa cattolica la chiama “spirito”), è quella che ci definisce, che ci rende unici ed esclusivi».

Ma che differenza c’è esattamente tra questa sopracoscienza e la coscienza individuale?
«La coscienza individuale è la nostra capacità di conoscere, di interpretare la nostra esistenza. Ci consente in ogni istante di sapere chi siamo, dove siamo, che cosa stiamo facendo, in che ambiente ci stiamo muovendo. Questa attività è il frutto dei 100 miliardi di neuroni che ci sono nel nostro cervello. Prova di ciò è il fatto che se si inibisce l'attività dei neuroni, questa coscienza “locale” scompare. Durante il sonno, per esempio, non sappiamo chi siamo, non riflettiamo, non siamo consapevoli di quello che stiamo facendo perché i nostri neuroni sono inibiti, affinché possano rigenerarsi dopo le azioni della giornata. Questa è la coscienza locale o neuronale e in una persona normale e in salute può essere dimostrata attraverso i cinque tipi di onde cerebrali rilevati dall’elettroencefalogramma.
Ma, al di là di questa coscienza locale, le esperienze di pre-morte dimostrano che ci sono pazienti con elettroencefalogramma piatto i quali hanno comunque una serie di attività animiche perfettamente logiche e ben strutturate e che - una volta rianimati - sono in grado di spiegarci tutta una serie di fatti oggettivi cui hanno assistito e che sono davvero avvenuti»

....

medico e scienziato spagnolo Manuel Sans Segarra, 82 anni, ex primario di Chirurgia Digestiva dell'ospedale universitario di Bellvitge e professore associato di Chirurgia Generale e Digestiva all'Università di Barcellona. Da più di 20 anni - cioè da quando è stato testimone di un caso di pre-morte vissuto da un suo paziente in Pronto Soccorso - Sans Segarra esplora scientificamente le Near-death Experience (NDE)

https://www.vanityfair.it/article/scienziato-manuel-sans-segarra-casi-premorte-aldila-la-vita-oltre-la-vita-prove-scientifiche-esistenza-sopracoscienza


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