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Good religion trascendenza/mistica


Messaggi raccomandati

Inviato

@densenpf interessanti risposte fornite da AnandamayMa inerenti allo Yoga

Domanda: Quali sono i benefici che si possono trarre dall’hatha yoga, quali gli svantaggi?

Mataji: Che significa ‘hatha’? Fare qualcosa con forza. ‘Essere’ è una cosa e ‘fare’ è un’altra cosa. Quando c’è ‘essere’, c’è la manifestazione del prana in un determinato centro del corpo. D’altra parte, se si pratica l’hatha yoga come un semplice esercizio fisico, la mente non sarà minimamente trasformata. Con l’esercizio fisico si sviluppa la buona salute del corpo. Si sente spesso parlare di casi in cui l’abbandono della pratica delle posizioni yoga e simili causa disordini fisici. Il corpo s’indebolisce per mancanza del giusto nutrimento, così anche la mente ha bisogno del cibo adatto. Quando la mente riceve il giusto sostentamento, l’uomo avanza verso Dio; ma curando solo il nutrimento del corpo si accresce l’attaccamento al mondo. La mera ginnastica è nutrimento per il corpo.

Ora, riguardo al ‘fare’, lo sforzo che si sostiene conduce all’essere senza sforzo; in altre parole, viene finalmente trasceso ciò che si è ottenuto con la pratica costante; alla fine tutto viene spontaneo. Fino a quando non accade questo, non è possibile comprendere l’utilità dell’hatha yoga. Quando l’abilità fisica che deriva dall’hatha yoga è usata per coadiuvare lo sforzo spirituale, non è sprecata; altrimenti non è yoga, ma bhoga (godimen­to). Il sentiero per l’Infinito sta nell’essere senza sforzo. Fino a quando l’hatha yoga non mira all’Eterno, non è altro che ginnastica. Se nel corso normale della pratica non s’avverte il Suo contatto, lo yoga è stato infruttuoso.

Di solito fate i vostri riti quotidiani nella maniera abituale. Se sentite il desiderio di praticare del japa o della meditazione in più, vuol dire che avete avuto un barlume, per quanto fievole, e che quindi c’è speranza che l’essenza della vostra vera natura possa gradualmente emergere. In questo stato c’è ancora il senso dell’io (aham), ma è rivolto all’Eterno, è intento ad unirsi a Lui; mentre le azioni fatte per avere fama o per distinguersi appartengono all’ego (ahamkara) e sono dunque ostacoli, impedimenti.

Che pratichiate l’hatha yoga o il raja yoga o qualsiasi altro yoga, può essere dannoso solo se manca la pura aspirazione spirituale. Quando fate asana e cose simili, se avete trovato accesso al ritmo della natura vedrete che ogni cosa procederà in maniera dolce e spontanea. Da quali segni potrete percepirlo? C’è una sensazione di gioco, una gioia profonda, e il ricordo costante dell’Uno. Sentirete che non è il prodotto della pratica delle cose del mondo. Quanto è stato detto è quello che può rivelarsi solo spontaneamente, da se stesso. Ecco perché c’è il ricordo costante dell’Uno: la vera natura dell’uomo scorre unicamente verso Dio

...Lasciar dimorare la mente sugli oggetti dei sensi accresce ulteriormente l’attaccamento ad essi. Quando si desta l’intenso interesse per la ricerca suprema si dedica sempre più tempo e attenzione al pensiero religioso, alla filosofia religiosa, al ricordo di Dio immanente in tutta la creazione, fino a quando non si scioglie ogni singolo nodo. Si è presi allora da un solo desiderio: “Come posso trovarLo?”. Come risultato, il ritmo del corpo e della mente diventerà armonioso, calmo e sereno.

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Ancora una sua citazione, pensando a coloro che ingenuamente asseriscono che il percorso spirituale sia soltanto un gioco narcisistico dell'ego

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Il lavoro fatto senza ego è pieno di bellezza, poiché non è motivato dal desiderio di gratificazione personale. Finché non saranno sciolti i nodi che costituiscono l’ego, vi sentirete feriti anche quando vorrete agire in maniera impersonale, e questo produrrà un mutamento nell’espressione dei vostri occhi e del vostro viso, e sarà palese in tutto il vostro comportamento. L’ardente preghiera: “Fa’ che il mio cuore sia libero dalla brama dei risultati”, è ancora desiderio di un risultato; tuttavia, continuando ad aspirare all’azione disinteressata c’è sempre speranza che vi si pervenga.

Nodo significa resistenza. Fino a quando c’è l’ego, ci saranno degli scontri, anche quando si cerca di fare un lavoro impersonale, poiché si è legati e dunque spinti in una certa direzione.

  • Melius 1
Inviato

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Il Nirvana, oltre la mente e l'ego...

Tratto da: Il silenzio del Buddha (R. Panikkar)

Inviato

La morte di Dio e le sapienze orientali (un estratto, con riflessioni di estremo interesse)
Intervista a Giangiorgio Pasqualotto (ha insegnato ‘Estetica’ e ‘Storia della filosofia buddhista’ all’Università di Padova.Per dieci anni ha insegnato ‘Filosofia delle culture’ presso il Master di Studi Interculturali della medesima Università.E’ stato per vari anni direttore scientifico della Scuola Superiore di filosofia orientale e comparativa di Rimini. Ha collaborato alla fondazione dell’Associazione ‘Maitreya’ di Venezia per lo studio della cultura buddhista, ed alla realizzazione di “Simplègadi. Rivista di filosofia interculturale”)

...A questo punto le chiederei: in che modo le vie esperienziali orientali possono contribuire ad affrontare la crisi dei valori e quindi la morte di Dio oggi per noi? E più precisamente, in che modo un contronto con il Buddhismo o con le tradizioni indiane e cinesi può aiutarci a vivere e affrontare la crisi delle meta-narrazioni?
P: Io penso che questo sia possibile, anzi forse questa è l’unica cosa possibile ma non nei termini in cui eravamo abituati. Cioè non è più possibile ripristinare forme di antiche certezze. Per esempio, il Buddhismo ha delle possibilità di risposte enormi, ma sicuramente non sono di ordine metafisico. Sono di ordine pratico, esperienziale, basate soprattutto sull’esperienza della meditazione; oppure, detta in maniera ancor più semplicistica, ha enormi possibilità di analisi e di terapia psicologica. Il Dalai Lama diceva, ancora nel 1974, che il Buddhismo in occidente avrà un ruolo rivoluzionario perché può donare enormi tesori in termini di psicologia, di analisi psicologica, di analisi dei comportamenti e soprattutto di analisi e terapia delle emozioni, cosa di cui noi ci siamo occupati ben poco o che abbiamo interpretato in maniera meccanicistica, facendo gli esperimenti in modo comportamentistico, meccanicistico.
Tra le tante cose che il Buddhismo può darci un posto di rilievo è occupato certamente da una considerazione del problema etico che porta ad un’etica radicalmente diversa da quella occidentale. Inoltre può aiutarci ad affrontare il problema ecologico, nel senso indicato dalla massima “proteggendo me stesso proteggo gli altri, e proteggendo gli altri proteggo me stesso". Ciò significa una cosa molto semplice (da formulare): l’uomo, se vuole sopravvivere e vivere meglio, deve far sopravvivere e vivere meglio gli altri esseri e l'ambiente che lo ospita, e, viceversa per far sopravvivere e vivere meglio gli altri e il proprio ambiente, è necessario che egli stia bene con se stesso. C’e’ quindi una simbiosi reciproca tra il singolo individuo, gli altri individui, e l’ambiente. Ecco, queste sono le tre cose fondamentali su cui il Buddhismo può dirci oggi qualcosa dotato di senso, qualcosa di ‘sensato’: l’etica, la psicologia e l’ecologia. Sicuramente, però, non sono risposte in termini metafisici.

D: Quindi secondo lei la differenza in questo caso la fa l’esperienza?
P:

D: Non è più metafisica, né più solo pura teoresi.
P: Sì, al centro viene posta l’esperienza analitica, introspettiva, che tradizionalmente tutte le scuole buddhiste, dal Buddha in poi, hanno sostenuto essere praticabile attraverso la meditazione. La pratica della meditazione diventa centrale, perché è attraverso la meditazione che si fa esperienza della struttura e delle qualità essenziale della realtà tutta, sia interna che esterna. ‘Meditazione’ non in senso occidentale, come speculazione-su, riflessione-su qualcosa, ma come attenzione a qualsiasi fenomeno, da quello più vicino a ciascuno (la respirazione) fino a quelli più astratti come i concetti di senza-spazio e di senza-tempo, passando per l’attenzione alle emozioni, agli stati interiori e alle azioni. E’ quindi meditazione anche su cose banali, e tuttavia, attraverso questo esercizio all’attenzione, si può raggiungere una chiarezza tale che ci permette di risolvere molti dei problemi posti dalla nostra vita quotidiana...

Inviato

Sempre dalla stessa intervista:

D: E’ possibile rintracciare nell’arte contemporanea, la testimonianza del disagio, della crisi che è nata dalla morte di Dio?

P: Sì, in tutta l’arte contemporanea. Dalla nascita delle cosiddette avanguardie, da Duchamp in poi. Ma in pittura si potrebbe partire dall’impressionismo, dallo sconvolgimento della prospettiva e della rappresentazione realistica. Direi che tutta l’arte contemporanea è una testimonianza di una perdita del centro, o, come diceva Sedlmayr, di una perdita della luce, di un polo focale. Detto questo, il ventaglio delle avanguardie è enorme. Nel senso che, se voi prendete i tentativi di Malevic, di Kandinskij e di Klee, trovate che sono tre tentativi di dare risposte a questa assenza. Per certi aspetti, per esempio in Kandinskij quando parla dello spirituale nell’arte, sembra che voglia ritornare ad una prospettiva metafisica. Credo che qui ci possa essere una vicinanza tra alcune grandi esperienze dell’arte contemporanea con il discorso che facevamo anche oggi del senza forma [N.d.r. Pasqualotto qui si riferisce alla conferenza tenuta nello stesso giorno su “Arte e ascesi in oriente”]. Cioè: attraverso le forme e i colori riuscire ad indicare qual è la fonte, il fondamento di tutte le forme e di tutti i colori. Mi riferisco soprattutto al Malevic del suo quadrato “Quadrato bianco”, oppure allo spirituale nell’arte di cui parla Kandinskij: l’arte potrebbe indicare ciò da cui provengono le sue rappresentazioni. Questo sarebbe un modo (assai vicino alla mistica) di indicare il non rappresentabile, nella consapevolezza che ad esso si può soltanto alludere, non lo si può descrivere compiutamente. Quindi ci potrebbe essere uno spirituale nell’arte dopo la morte di Dio, da riscoprire in modi assai diversi da quelli tradizionali, teologici o metafisici.

D: La globalizzazione da alcuni viene anche definita europeizzazione o americanizzazione, volendo con questo esprimere la fortissima influenza che il nostro modello di vita sta esercitando in India, in Cina, in Sud America, in Giappone. E’ possibile che anche il resto del mondo stia per vivere il confronto con il nulla e la crisi conseguente in cui noi già ci troviamo da tempo? E, l’arte orientale, visto che gli artisti sono comunque un po’ i profeti della società, esprime già questo disagio?

P: Devo rispondere purtroppo di sì. Ovviamente è un sì condizionato, nel senso che tutto è sempre possibile. Però a me sembra di capire, da vari indizi, che l’occidentalizzazione (sia essa europea o americana) sta divorando rapidamente pezzi di intere civiltà, soprattutto in Asia e Africa. A mio avviso l’Oriente nel giro di cinquant’anni non esisterà più, almeno quell’Oriente tradizionale che abbiamo studiato e fin troppo amato. Ovvero rimarrà nei musei, in alcune riserve come quelle degli indiani d’America. Uno dei segnali più recenti e drammatici è stato dato dal suicidio rituale di Mishima che si uccide perché capisce che un intero mondo non è più comprensibile e vivibile all’interno di una prospettiva dettata dall’americanismo. Questo avveniva quarant’anni fa . In questi quarant’anni abbiamo avuto un’accelerazione spaventosa di tali processi di occidentalizzazione guidata dall’american way of life. Tuttavia, siccome le cose sono sempre più complesse di come noi ce le rappresentiamo, può anche essere che queste nuove forme di globalizzazione innestino anche riflessi condizionati contrari. Per esempio: Il Giappone negli ultimi vent’anni ha riscoperto in maniera massiccia e ha riorganizzato molti settori delle sue arti tradizionali come quella della cerimonia del tè e quella del bonsai: queste arti sono state spesso trivializzate, ma nello stesso tempo, sono state diffuse in maniera massiccia, per cui le giovani generazioni di giapponesi hanno potuto recuperare – e certe volte conoscere per la prima volta – importanti tradizioni del loro paese. E questo magari ascoltando amici americani o europei che ne parlavano entusiasti.

...

D: Il dialogo con la tradizione orientale potrebbe contribuire a questo tipo di mancanza della filosofia occidentale?

P: Sì. Credo che il lavoro che Francois Jullien sta conducendo a Parigi sia fondamentale, anche se molti sinologi, da una parte, e storici della filosofia, dall’altra, esprimono non poche riserve. Il suo ragionamento in base al quale dobbiamo conoscere la Cina proprio perché essa costituisce il nostro ‘altro’ più altro, più lontano, più diverso, è fondamentale perché ci dice che la nostra identità può costruirsi solo in maniera critica, ossia esponendosi a modi di pensiero il confronto con i quali ci costringe a rivedere i nostri, come a proposito dell’esempio già fatto circa la diversità dei concetti di ‘processo’ e di ‘creazione’. Lo stesso vale per il concetto di ‘efficacia’: noi lo intendiamo in una prospettiva lineare che parte da un punto (l’intenzione) e arriva ad un altro (il risultato); loro affrontano il problema in termini completamente diversi considerando l’efficacia come il modo migliore per trovare nella realtà la via che conduce a buon esito un’impresa. Non si tratta di un’imposizione nostra sulla realtà, ma si tratta di diventare capaci di ‘leggere’ nella realtà quegli indizi che ci possano condurre alla soluzione migliore così come si apprende dall”I Ching’, e come viene ben illustrato in un testo, tradotto di recente, di Jullien (“Trattato dell’efficacia” Einaudi, 2004) 

D: Non è in modo tecnico dunque che si intende l’efficacia.

P: Sì, quella occidentale si fonda su una fede quasi cieca nella tecnica, anche quando tratta di politica o di strategie militari. Questo esporsi al diverso, di cui parla Jullien, comporta la necessità di ripensare alla valenza, al valore e al significato delle nostre stesse categorie. E quindi in questo senso il dialogo tra oriente e occidente diventa fondamentale, direi quasi necessario.

D: Concludiamo con un’ultima domanda che forse ha un po’ meno pretese. Le trasformazioni sociali ed economiche degli ultimi sessant’anni, in buona parte determinate dal progresso tecnologico, hanno accentuato l’assenza di riferimento condiviso- è il discorso che abbiamo fatto fino ad ora- quindi l’assenza di una certezza sulla quale fondare una morale, un progetto di vita comune, a livello microsociale e macrosociale. Lei pensa che i giovani cerchino una risposta a queste domande, o comunque alla complessità del mondo, quando pensano di studiare filosofia? E l’università è in grado di dare queste risposte?

P: Non posso essere nella mente di tutti gli studenti, ma che in gran parte pensino di venire a fare filosofia per dare risposte alla loro vita è sicuramente vero: è sempre stato così e sarà sempre così. Che l’università sia in grado di fornire queste risposte, credo proprio di no. Però devo anche dire che nessun altro è in grado di dare risposte, anche se pretende di darle. Diciamo che nella migliore delle ipotesi l’università può dare molti strumenti perché poi gli studenti possano trovare da soli delle risposte. Se l’Università volesse fare di più vorrebbe dire che tenderebbe pericolosamente a diventare Chiesa. E di Chiese ce ne sono già troppe.

Link dell'intervista integralehttps://www.asia.it/articoli/pasqualotto-morte-dio-oriente/

Inviato

...L'esclusività di ogni singola religione è il simbolo della sua origine divina, del fatto che proviene dall'Assoluto, del fatto che rappresenta di per sé un modo compiuto di vita

...La molteplicità delle religioni è il risultato diretto dell'infinita ricchezza dell'Essere divino

...Finora la scienza moderna ha avuto esiti positivi proprio per il fatto che ha trascurato di considerare l'interrelazione tra le varie componenti della natura e ne ha isolato ogni segmento, in modo da poterlo analizzare separatamente... Fino ad oggi la perdita di questo aspetto dell'interrelazione tra le cose veniva considerata di poco conto, se paragonata al vantaggio di poter giungere a una precisione matematica. Ma oggi che l'applicazione di questa scienza parziale della natura ha distrutto tanta parte della natura stessa e ci minaccia con calamità ben peggiori di quelle avvenute sinora - tanto più da quando gli ecologi hanno scoperto che tutto l'ambiente naturale è un insieme integrato, straordinariamente complesso ma armonioso, sicché nulla in esso funziona se non è strettamente connesso con le altre parti -, è divenuto evidente come sia catastrofica l'omissione nella quale siamo incorsi

...L'uomo moderno ha perduto il senso della meraviglia, a causa della perdita del senso del sacro

...Attraverso lo storicismo, utopia secolare, e l'idea di progresso ed evoluzione, il tempo, per l'uomo moderno, ha tentato in un certo senso di divorare l'eternità e di usurparne il posto, sostituendo l'eterno ora, in cui perennità e divenire si incontrano, con il momento presente, l'attimo fuggente dei piaceri e delle sensazioni effimere... La deificazione del processo storico è divenuta una forza così potente e pressante che ha soppiantato la religione nell'anima di molti uomini

Seyyed Hossein Nasr (filosofo di orientamento “tradizionale” e docente universitario iraniano, ha promosso per decenni gli studi islamici all’interno di svariate Università occidentali, sia negli USA che in Europa. Ha studiato prima in Iran, poi negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Nel 1964-1965 è stato il primo titolare della cattedra Aga Khan” per gli studi islamici all’Università di Beirut. E’ stato professore ordinario di storia della scienza e della filosofia, poi decano della facoltà di arti e lettere all’Università di Teheran. Ha retto Y Università di Tecnologia Aryamehr di Teheran. Ha pubblicato vari saggi sulla religione e sulla cultura islamiche)

 

Inviato

tre messaggeri

La felicità visibile in questa vita: Insegnamenti dal Canone Pali. Con Neva Papachristou

Uomini e Profeti | E1 | I tre messaggeri | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound https://share.google/JyP5xsNeljb5uthWv

Inviato

Ascoltando Neva Papachristou, come non ricordare suo marito ed eccellente insegnante di meditazione buddhista come Corrado Pensa ( è stato socio fondatore e, insieme a Neva Papachristou, insegnante guida dell’A.Me.Co. Insegnante senior di Dharma presso l’Insight Meditation Society di Barre -USA-, per vari anni è stato docente di Religioni e Filosofie dell’India all’Università “La Sapienza” di Roma e psicoterapeuta junghiano. Ha scritto regolarmente per SATI, la rivista dell’A.Me.Co. Ha pubblicato numerosi testi sul Buddhismo e sulla pratica della meditazione di consapevolezza -Vipassanā-)

....

DOMANDA:

Aiutami a capire le differenze tra accettazione e passività. E per favore qualche sassolino che indichi la via per imparare a perdonarsi.

RISPOSTA (C. Pensa)

Questo tema è talmente centrale nel cammino spirituale che rispondere a questa domanda è come illustrare la pratica dall'inizio alla fine. Tante volte in questi giorni si è parlato del giudicarsi, del dubbio su se stessi, cioè del contrario di perdonarsi, di come sia frequente questo atteggiamento di svalutazione di sé, di sfiducia in se stessi. È un tema cruciale.

Da un lato lo è sempre stato, ma forse oggi c'è qualche cosa in più. Sono finite o stanno finendo le società tradizionali, nelle quali c'è una gran quantità di supporti per ogni individuo, dai ruoli ai riti, eccetera. Oggi l'individuo è più libero di scegliersi la propria vita, ma è molto più privo di supporti, di punti di riferimento e questo aumenta l'ansia, la sfiducia, la facilità a sentire di non valere, con tutto il disorientamento che questo comportaTutto il cammino della pratica, poiché ci porta gradualmente a cogliere qualche cosa di grande valore che è dentro di noi, e che, al tempo stesso, non è personale, va nella direzione di ingenerare fiducia, sia nel senso di fiducia in se stessi, sia in un senso più grande, di fiducia incondizionata, radicale. E questo senso di fiducia si manifesterà anche come capacità di perdonarci, e dunque di essere meno giudicanti, innanzitutto verso di noi e di conseguenza, organicamente, verso gli altri.

Poi naturalmente, oltre a coltivare la nostra pratica abituale, possiamo prendere iniziative specifiche: rivolgere la metta (benevolenza) verso noi stessi e rivolgere parole di perdono esplicite verso noi stessi. Anche questa è una vera e propria pratica: rivolgere parole di perdono verso noi stessi. È un aiuto. Però senza il fondamento di una pratica che va avanti un mese dopo l'altro, un anno dopo l'altro, è difficile che queste cose possano andare in profondità; infatti il condizionamento della nostra mente è molto forte e di esso fa parte, non di rado, la facilità ad autodisprezzarci: non è una tendenza di cui ci liberiamo tanto facilmenteOccorre dunque da un lato il lavoro lungo e paziente della pratica nel suo complesso, dall'altro occorre una pratica specifica: la metta verso di sé, il perdono verso di sé. C'è bisogno di tutto questo per aiutarci a sviluppare una comprensione sempre più profonda di quanto inutilmente doloroso sia il nutrire l'avversione per noi e per altri. Tale comprensione ci porta in primo luogo a riconoscere l'odio per se stessi. Poi a comprendere quale carico di dolore ciò porti con sé e poi - per usare la terminologia del buddhismo classico - a concepire un sereno disincanto nei confronti di questa tendenza negativa che ci abita. Allora questa tendenza si comincia a indebolire, mentre i nostri intenti positivi guadagnano spazio, perché c'è stata questa comprensione e questo primo naturale moto di non attaccamento nei confronti di quello che ci fa male, proprio perché l'abbiamo verificato attraverso l'esperienza.

Accettazione è un nome che la spiritualità contemporanea, non soltanto buddhista, usa per indicare dimensioni che, nel linguaggio spirituale classico, sono indicate con equanimità e pazienza, in campo buddhista, e con abbandono, umiltà e pazienza, in campo cristiano. Oggi si usa molto la parola accettazione, che da un lato ha il pregio di essere una parola meno logora, dall'altro ha il difetto di potersi confondere con quello che non ha niente a che fare con l'accettazione, ossia la passività. Ma quale virtù particolare potrebbe esserci nella passività? La passività fa capo alla paura, la quale è un 'oggetto' da investigare seriamente con la pratica della consapevolezza. L'accettazione è un atto di coraggio, la passività è un atto di paura. L'accettazione non significa né subire a tutti i costi, né inghiottire, ma, davanti a una ingiustizia, significa la consapevolezza del turbine interno che questa ci suscita e quindi la capacità di rispondere a essa, non da una dimensione di reattività (che crea solo un'altra ingiustizia), ma di equanimità e di accettazione. Ora, avere come punto di partenza l'accettazione invece della reattività rende molto più alte le probabilità di rispondere con un'azione giusta, non violenta e giusta. Da tutto ciò si può comprendere come l'accettazione sia esattamente il contrario della passività. L'accettazione, il calore, la tenerezza, sono parti integranti della consapevolezza che si sviluppa. Tanto che noi possiamo definire la consapevolezza come una dimensione discernente e accettante, che ha insieme luce e calore, soprattutto quando si sviluppa e matura.

 

 

zigirmato
Inviato

Non solo per il nostro amore , a volte è meglio mentire  lasciando correre la ragione, dimentichiamo per un attimo l'orgoglio il giusto  , il giusto  non esiste è  solo un inganno  . A volte è meglio dimenticare di essere nel giusto e a volte  è meglio scusarsi  pur di non mollare tutto perché convinti di stare nel giusto, cioè di aver ragione.

La ragione è il giusto sono come  un miraggio , svaniscono presto.

 

 

 

 

 

Inviato
16 minuti fa, zigirmato ha scritto:

meglio scusarsi  pur di non mollare tutto perché convinti di stare nel giusto, cioè di aver ragione.

Dipende anche dalle situazioni

Se ci si riferisce a relazioni tossiche, meglio cambiare aria

Se trattasi di punti di vista diversi dai nostri, è sufficiente non identificarsi completamente con le nostre posizioni

Non difenderle, come se fosse una questione di vita o di morte, esprimerle e lasciare andare 

☺️

zigirmato
Inviato
6 ore fa, LUIGI64 ha scritto:

Dipende anche dalle situazioni

A volte è meglio prendersi il torto pur essendo convinti di aver ragione , e chiedere scusa  , ovviamente  dipende dalle circostanze e dalle situazioni .

È un atto di  fede anche questo. Imho

 

 

 

Inviato
15 minuti fa, zigirmato ha scritto:

ovviamente  dipende dalle circostanze

Eh sì...

Sembra un porgere l'altra guancia

Ma sappiamo che ciò, non è sempre possibile

  • Melius 1
Inviato

 

Ogni tanto posto qualcosa che ritengo interessante ,  forza che c'è speranza ...

  • Thanks 1
Inviato

Presentata a Roma la nuova Charta Œcumenica, firmata da Cec e Ccee. Frutto di un ampio processo di revisione, il documento rinnova l’impegno delle Chiese europee per l’unità, la pace, la giustizia, il dialogo interreligioso e la cura del creato. Al centro, la testimonianza cristiana condivisa e l’ascolto delle nuove generazioni

Firmata a Roma la nuova Charta Œcumenica: “Un passo storico verso l’unità dei cristiani in Europa” - AgenSIR https://share.google/E71AYDsQGziyKFaLW

Inviato

E cioè il fatto che sempre più giovani, non solo nel “vecchio” Occidente, dimostrano di voler uscire dagli schemi religiosi tradizionali, orientandosi verso una spiritualità più interiore, personale e svincolata dalle appartenenze istituzionali. Si tratta di una ricerca di senso che privilegia l’esperienza diretta, l’autenticità e il percorso individuale rispetto ai dogmi e alle strutture del passato. Certo, per alcuni questa nuova via appare come un rischio, persino una minaccia, perché scardina schemi consolidati e mette in discussione certezze antiche. Per altri, tuttavia, rappresenta una svolta profonda, e cioè un’occasione per crescere, per aprirsi a un orizzonte diverso e più autentico. E questo orizzonte, per molti, ha un nome che risuona con forza: silenzio.

Il silenzio come risposta

È nel silenzio che oggi tanti trovano una risposta alla sete di senso che li abita. Un silenzio inteso come spazio di ascolto interiore, come via per incontrare sé stessi prima ancora che Dio. O forse, per cercare un Dio che, nel rivelarsi, riveli anche l’uomo a sé stesso, donandogli significato, direzione, compimento. Il tutto, naturalmente, senza la necessità di mediatori esterni.

E del resto, paradossalmente, è proprio il silenzio a non essere estraneo alle religioni. Non esiste tradizione spirituale che non lo contempli, come pratica, come via, come spazio sacro. Che lo si chiami meditazione, contemplazione o preghiera silenziosa, il silenzio è da sempre una delle forme più profonde e universali di incontro con il divino.

https://www.rsi.ch/cultura/filosofia-e-religione/Il-silenzio-nuova-frontiera-delle-fedi--3188799.html

Inviato

Kadowaki affronta poi un mutuo pregiudizio fra buddhisti zen e cristiani. “Certi cristiani, sentendo che lo Zen ignora la coscienza del peccato, lo considerano un insegnamento del demonio. Certi seguaci dello Zen pensano invece che i cristiani siano tormentati dal senso del peccato e che il cristianesimo sia una via del male.” (p. 39). L’autore affronta un nodo fondamentale in entrambe le tradizioni spirituali: la fonte del male, ovvero “la passione illusoria (sanscrito, kleśa), cioè quelle funzioni mentali che disturbano mente e cuore, come la cupidigia, l’ira, l’ignoranza, l’arroganza, il dubbio e le false opinioni. Nella terminologia cristiana, vengono chiamati i sette peccati capitali…” (p. 41). Ciò che, nel cristianesimo, è “ribellione a Dio”, nello Zen è “perdita del proprio Volto Originario”, o “natura illuminata”. L’uomo, insomma, perderebbe il contatto con la propria essenza, per l’interferenza di quelle funzioni mentali che dicevamo.

...In ambedue le religioni, “la conseguenza della caduta consiste in una opposizione tra l’individuo e gli altri, tra l’individuo e l’universo” (p. 42). Per emanciparsi dalle passioni illusorie, al cristiano si richiede la metanoia (p. 43): tradotta come “pentimento” o “conversione”, è più propriamente un cambio radicale di percezione del mondo e di sé. È lo sforzo di tendersi verso la “natura originaria” dell’uomo, che è lo stesso sforzo del praticante zen.

...Arrivare alla propria natura originaria significa arrivare alla natura originaria di ogni cosa. In questo senso, Kadowaki legge anche la concezione cristiana dell’universalità della salvezza. Dato che la “salvezza” coincide col completo abbandono degli attaccamenti egoistici e del nozionismo, si può comprendere anche l’invito di Cristo ad “accogliere il regno di Dio come un bambino” (Mc 10, 13-16). Il bambino è colui che vive con tutto se stesso, che comprende con le viscere, senza sofisticazioni o pregiudizi. Sarebbe capace di comprendere anche che Buddha “è un bastone di sterco secco” (p. 134): perché anche le cose più “basse” e “sporche” vivono di quella vita che l’illuminato sa vedere.

Attraverso la pratica dello Zen, Kadowaki ha trovato un modo per vivere la vita di Cristo, senza contraddizioni tra il “dire” e il “fare”. “Come un koan Zen, le parole di Gesù ci spingono a una conversione, perché moriamo alla nostra mentalità e vita attuale, per vivere realmente in una condizione di beata povertà. […] Se ascoltassimo le parole di Cristo con l’hara (= viscere), invece che con la testa, e ci lasciassimo investire dalla loro forza intrinseca, ne sarebbe trasformata tutta la nostra mentalità e la nostra vita.” (p. 141).

https://erica-gazzoldi.blogspot.com/2017/04/lo-zen-e-la-bibbia.html?m=1

Articolo molto bello

Convergenze tra Zen e Cristianesimo 

Inviato

Cristo e Buddha sono grandi amici dell’uomo, prescindendo da ogni appartenenza religiosa. Il Cristo ti redime all’amore umile e forte, nel perdono. Il Buddha t’introduce nel silenzio dell’armonia cosmica. “La stella del mattino” è un cammino religioso di ascolto del Vangelo nel silenzio del Buddha.

Il Cristo è il Vangelo del perdono e dell’amore. L’esistenza umana, sotto il velo umile delle contraddizioni, è vocazione ad essere amati e ad amare, nella via forte e soave del perdono reciproco! Gesù è incarnazione del Cristo. Nell’Eucaristia è pane che nutre e vino che purifica e rallegra ogni commensale dell’esistenza. Sulla croce muore gridando il perdono universale. Morendo, è risurrezione a vita nuova per gli uomini e le cose. Seguire il Cristo è gettare tutto, il bene e il male, nell’economia dell’amore, nel perdono. Non è sopprimere il male, ma battezzarlo nell’amore. All’amore si accede chinando il capo, e non sbandierando la propria virtù. Il perdono più difficile è verso se stessi: accogliersi cordialmente con i propri valori e limiti e, così, essere amati ed amare - nel perdono…

Il Buddha siede silenzioso, consapevole che tutto è vuoto e impermanente. Non brama nulla, non recrimina nulla. Siede silenzioso e composto, affidandosi alla natura autentica che dimora intima dentro di sé e le cose. Allora, il proprio sé e le cose, in coro, cantano la verità e la bellezza di essere così, senza alcuna aggiunta. La via del Buddha è presenza, rispetto, armonia, consapevolezza. Siddharta Shakyamuni è il sommo testimone del Buddha. Il Buddhismo è la via religiosa ad essere così presente al proprio presente, finché questo spreme il suo senso eterno, nella pace interiore…

(Padre Luciano Mazzocchi)

Inviato

Finalmente!

.....

Convegno sulla mistica, le pratiche cristiane in dialogo con le altre religioni

Convegno sulla mistica, le pratiche cristiane in dialogo con le altre religioni - Vatican News https://share.google/bjPwpiC0OyRBZ4DfI


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