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appecundria

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Inviato

Il laissez faire da parte della polizia dice più di tante articolesse di casa Agnelli. 

 

Muddy the Waters
Inviato

Finché ci sarà certa gente in parlamento questi fatti non potranno che aumentare. 

Saldiamo i tombini e affoghiamoli dentro.

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Inviato
2 ore fa, arcdb ha scritto:

Hazet 36...

Ti stai riferendo ad un periodo storico vergognoso...

Inviato
2 ore fa, appecundria ha scritto:

Il laissez faire da parte della polizia dice più di tante articolesse di casa Agnelli. 

E i picchiatori erano pure loro in "divisa" per ragioni di sicurezza... vuoi mai che la pula debba intervenire e finisca una manganellata su qualche cranio sbagliato....

Inviato

Mi chiedo con quale faccia* la questura abbia potuto diffondere la notizia di "poco più di uno scazzo" tra dipendenti che volevano uscire a fine turno e presidianti all'esterno quando i primi s'era persino messi in divisa.

* qui sto facendo lo gnorri imbecillotto, in realtà immagino benissimo con quale faccia abbiano potuto farlo... diciamo che hanno riproposto un grande classico.

Inviato
8 ore fa, Martin ha scritto:

Il rapporto tra "cattivi" e guardie era di 1 a 1000...

E che vuol dire? Per fomentare disordini e fare della guerriglia urbana non serve certo una superiorità numerica sul campo, infatti i risultati si sono visti.

7 ore fa, wow ha scritto:

Per carità, non riapriamo questo vergognoso vaso di Pandora. 

Dillo chi ha evocato il G8...

Inviato
6 ore fa, appecundria ha scritto:

Il laissez faire da parte della polizia dice più di tante articolesse di casa Agnelli. 

Spiegami perché pochi poliziotti in inferiorità numerica dovrebbero intervenire, rischiando in prima persona, per poi sentirsi accusare se nell’intervenire qualcuno finisse per risultare ferito?

Poi vorrei capire se questo è un atteggiamento civile e responsabile da parte di rappresentati sindacali e se i toni non siano sopra le righe, inoltre si può realmente pensare, nel 2021, che per far riassumere dei lavoratori licenziati si debbano mettere in scena manifestazioni e picchetti dinanzi alla sede dell’azienda...mah.

 

 

 

“Il sindacato Si Cobas nazionale ha pubblicato sui suoi canali la foto di uomo riverso a terra, con il sangue che gli esce dal naso, riverso sull'asfalto: «Il presidio dei lavoratori Fedex di Piacenza - scrive l'organizzazione sindacale - è stato aggredito a colpi di bastoni, frammenti di bancali, sassi e bottiglie da una cinquantina di bodyguard assoldati da qualcuno». E' la ricostruzione dei sindacati, il presidio dei circa 40 lavoratori di Si Cobas sarebbe stato attaccato da una "squadraccia" «mimetizzatasi tra i lavoratori e col sostegno di qualche crumiro». «Il risultato - denunciano - è un lavoratore di Piacenza con la testa fracassata, e attualmente ricoverato in fin di vita. Lo abbiamo promesso tre mesi fa e stiamo mantenendo l'impegno: Fedex e Zampieri - continua il post su Facebook - non avranno tregua finché non sarà restituito il posto di lavoro ai facchini di Piacenza. Per questo il 18 giugno invitiamo tutti i lavoratori ad aderire allo sciopero nazionale del Trasporto merci e Logistica, e invitiamo tutti i proletari, i solidali e i movimenti che intendono opporsi alla brutalità di padroni e mazzieri a manifestare sabato 19 giugno a Roma. Il SI Cobas - conclude la nota - si stringe al fianco del lavoratore colpito, augurandosi che tutto vada per il meglio, e chiama tutti i propri aderenti alla mobilitazione per far si che questa infame aggressione non resti impunita».”

 

 

Inviato
9 ore fa, arcdb ha scritto:

Tra un po' comincierà a scapparci il morto come negli anni 70

 

Evochi questo? 

 

https://www.scomunicando.it/notizie/13-marzo-1975-qhazet-36-fascista-dove-seiq/

 

13 marzo 1975 - "Hazet 36. Fascista dove sei?" - Scomunicando

«Quella mattina del 13 marzo 1975 ho già dovuto ricordarla tante volte… anche davanti al giudice». «Ero uscita di casa poco dopo mezzogiorno per andare a prendere la bambina a scuola, in viale Romagna. Quando sono tornata, verso l’una e un quarto, la prima cosa che ho visto era il Ciao di Sergio a terra… Un capannello di gente… Una gran confusione… Una vicina di casa mi ha strappato dalle mani la bambina gridando “Simona resta con me!”».

È bella Milano in Primavera.

A marzo, per esempio, quando il grigio dell’inverno lascia lo spazio ad un pallido sole che scalda la città. 

È bella Milano.

Anche in quel marzo della metà degli anni ’70.

Perché nonostante scontri, cariche, manifestazioni, cortei, omicidi, c’è ancora un briciolo di normalità.

Almeno questo deve pensare Sergio Ramelli, vent’anni ancora da compiere, che in quell’ultima stagione della sua vita, ha una voglia matta di dare libero sfogo a tutte le sue passioni. 

Adora Adriano Celentano.

Le sue canzoni, a detta di sua mamma Anita, le canta a squarciagola per tutta casa.

Ma non basta.

Gli piace anche il calcio, tifa l’Inter, proprio come Celentano.

Quei colori nerazzurri lo hanno conquistato fin da quando è piccolo.

Ma non è un fanatico.

È andato allo stadio solo qualche volta.

La sua fede se la porta dentro.

Come molte altre cose.

È riservato Sergio. Riservatissimo.

Non dice mai una parola di troppo. Gli piace cavarsela da solo, senza dover dare preoccupazioni ai suoi genitori. Che, infatti, non ne hanno. Sì perché i Ramelli hanno cresciuto un figlio come ce ne sono pochi. È diligente, studioso, mette passione in tutto ciò che fa. Frequenta l’istituto tecnico Molinari.

A Milano.

La sua classe è la V J. “Aveva scelto quella scuola perché amava la matematica e la chimica.

Era bravo a scuola e qualche volta a casa avevamo anche parlato del suo futuro: avrebbe voluto iscriversi proprio alla facoltà di Chimica.

Aveva sempre avuto dei bei voti, anzi, a dire il vero, qualche volta gli avevano anche annullato dei compiti di matematica perché li aveva passati ai compagni.

Anche questo nessuno lo ha mai detto. Sergio era generoso, allegro, aveva degli ottimi rapporti con i compagni di classe…” Lo ricorda così suo figlio, Anita Ramelli, nell’unica intervista rilasciata in anni e anni. Quella da cui Guido Giraudo, insieme ad AndreaArbizzoni, Giovanni Butti, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, ha preso ispirazione per il suo Sergio Ramelli: una storia che fa ancora paura.

Ha una ragazza, Sergio.

Si chiama Flavia.

Si vogliono bene. Si amano, come ci si ama a vent’anni, completamente.

Non vanno a scuola insieme. Flavia, figlia di un preside, ha dovuto cambiare istituto perché ha avuto non pochi problemi con i ragazzi di sinistra. Ma questo, per Sergio e Flavia, non è un problema.

Porta i capelli lunghi Sergio. Non solo perché in quegli anni va di moda così. A lui quella chioma scura, che gli arriva praticamente alle spalle, piace proprio.

Cosa importa se ogni tanto lo scambiano per uno di sinistra?

I suoi amici, quelli che lo conoscono veramente, sanno benissimo lui come la pensa.

È iscritto al Fronte della Gioventù (l’organizzazione giovanile del MSI).

È di destra Sergio Ramelli.

Un ragazzo di destra che ama il calcio, la musica, lo studio. 

Ma quando un gruppo di esponenti di Avanguardia Operaia lo massacra a colpi di chiave inglese, “regalandogli” un’agonia di 47 giorni, prima di vederlo morire in un letto d’ospedale, Sergio non è nient’altro che un “fascista” da eliminare.

Anche se non si sa in che modo, a nemmeno vent’anni, si possa rappresentare un nemico che va annientato.

Senza pietà.

Ma ciò che porterà alla morte di Sergio Ramelli è un lungo periodo di persecuzione, minacce, soprusi.

E tutto per un tema. Sì, si può dire che quel ragazzo studioso, con la passione per Celentano e per la matematica, sia stato ucciso per le frasi scritte in un compito in classe.

Comincia tutto all’inizio del 1975. È gennaio. Il professore di lettere della V J, Giorgio Melitton, è un simpatizzante della sinistra extraparlamentare. Nulla di sorprendente. Anzi, si potrebbe dire che in quegli anni (e non solo), essere docente e “compagno”, è la regola. 

Melitton, però, non è un esaltato come molti dei suoi colleghi e, probabilmente, quando assegna quel tema in cui chiede ai suoi alunni di parlare di attualità, non vuole fomentare l’odio fra i ragazzi.

Forse, ha solo la curiosità di sapere come la pensano.

Non può immaginare che, in pratica, sta firmando la condanna a morte di un ragazzino di 19 anni. Sergio, ovviamente, sceglie quella traccia.

Vuole parlare delle Brigate Rosse. Racconta di come il duplice omicidio di un anno prima deimissini di Padova, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, sia stato l’inizio della spirale di odio e terrore in cui i terroristi di sinistra stanno trascinando l’Italia. 

È la prima volta in cui le BR uccidono. E uccidono due militanti di destra. È la logica del sangue e della destabilizzazione che porterà, nell’apice della follia, all’uccisione di Aldo Moro. Ma questo Sergio non lo può sapere. Però ha compreso perfettamente la pericolosità di quell’organizzazione, armata e violenta, che con i suoi omicidi riscuote così tanto successo, perfino fra i suoi compagni di scuola.Non se lo può immaginare, Sergio, che quelle frasi saranno la sua condanna.

Sì, perché quel tema, il professor Melitton, non lo correggerà mai. Al termine del compito, infatti, uno dei compagni di classe di Ramelli viene incaricato di raccogliere tutti gli elaborati della V J. Quando è nel corridoio, però, un gruppetto di rappresentanti di Avanguardia Operaia, il collettivo più “forte” del Molinari, strappa di mano al ragazzo tutti i temi. I “compagni”, i “rossi”, dentro l’Istituto si possono permettere di fare tutto quello che vogliono. Si mettono a leggere e controllare tutti i compiti.

Spulciano ogni frase.

Un paio di ore più tardi, i due fogli protocollo scritti da Sergio Ramelli vengono esposti nella bacheca all’entrata della scuola. Tutte le frasi, o quasi, sono sottolineate. E, sopra, una scritta rossa impressa a caratteri di fuoco: “ecco il tema di un fascista”.

Da questo momento in poi Sergio diventa un bersaglio con il quale giocare al tiro a segno. E, grazie ad un gruppo di docenti disinteressati e omertosi, la persecuzione non è poi così difficile. Gli insegnati assistono passivamente ad una serie di episodi raccapriccianti.

Durante una lezione, per esempio, Sergio Ramelli viene prelevato di forza dal suo banco, portato nel corridoio. Sputi, insulti. Gli urlano in faccia “sei un fascista! Vergognati!”.

Nessuno interviene. Nessuno interrompe.

“Ramelli, con te abbiamo appena iniziato”. È un avvertimento. E, infatti, a quell’episodio ne seguono molti altri. Una mattina di gennaio, lo aspettano sotto casa. Il gruppo è composto da ragazzi che sono tutti più grandi di lui. Sergio, molti di loro neppure li conosce. Non vanno al Molinari, ma lo obbligano comunque a riverniciare i muri dell’Istituto. Lo “sbiancamento”, lo chiamano. In realtà è solo l’ennesima umiliazione. Ottanta “compagni” (questo racconteranno alcuni testimoni ai magistrati durante le indagini per la morte di Ramelli), contro un ragazzino di neppure vent’anni. Ancora una volta, tutti vedono, nessuno interviene.

Per non far preoccupare sua madre, Sergio non le racconta nulla. Tiene i genitori all’oscuro delle vessazioni continue cui lo sottopongono i membri del collettivo a scuola. Eppure, le minacce cominciano a non limitarsi solamente alle ore in cui Sergio sta a lezione. Poco prima dell’aggressione, cominciano le telefonate anonime a casa. Dall’altra parte della cornetta nessuno parla, si sente soltanto l’inequivocabile motivetto di Bandiera Rossa. Poi compaiono le scritte sotto casa: “Ramelli, fascista, sei il primo della lista”.

Tutti leggono. Ma nessuno pensa di dover proteggere quel ragazzo letteralmente perseguitato dagli autonomi che dettano legge nella sua scuola. Ma, d’altra parte, Milano è sempre la stessa città che ha assistito inerme alla morte annunciata di Luigi Calabresi. Condannato, senza appello, da Lotta Continua, perché ritenuto responsabile della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli.

Il 13 marzo del 1975 cade di giovedì.

Quella mattina Sergio va a scuola come tutti i giorni.

Segue le lezioni. Aspetta come al solito il suono della campanella. È l’ora di pranzo quando riprende il suo vecchio motorino (usato), quello che gli hanno regalato mamma e papà, per dimostrargli che si fidano di lui, perché sanno che è un ragazzo responsabile e diligente. 

Questo non basterà a salvargli la vita. Sì, perché qualche giorno prima, Roberto Grassi, uno dei capibastone di Avanguardia Operaia ha deciso che Ramelli deve essere l’obiettivo della loro prima aggressione. E dietro l’agguato, c’è un disegno ben preciso, un’idea molto chiara. Nonché la consapevolezza di una probabile impunità.

C’è uno slogan della sinistra extraparlamentare di quegli anni che, a rileggerlo oggi, fa venire i brividi: “Hazet 36. Fascista dove sei?” La Hazet 36 è una chiave inglese. È lunga quarantacinque centimetri. Pesa quasi tre chili e mezzo. Un colpo inferto con quella è letale come il proiettile sparato da una pistola. Ma laHazet è molto più facile da trovare. Basta andare in un ferramenta.Avanguardia Operaia usa le chiavi inglesi come strumento per il servizio d’ordine durante le manifestazioni. Ma vanno benissimo anche per frantumare il cranio ad un ragazzino di 19 anni che torna da scuola.

Quando Sergio parcheggia il suo “Ciao” sotto casa, lo aggrediscono in quattro. Uno resta a fare il palo. Lo colpiscono a ripetizione. Con una violenza inaudita. Senza pietà, come belve feroci e assetate di vendetta. È il loro battesimo del sangue.

L’azione dura pochi minuti. Sergio rimane a terra, in un lago di sangue. È ancora vivo. Per altri quarantasette giorni combatterà con la morte, in un letto dell’ospedale Maggiore di Milano. Poi, dopo un’agonia senza paragoni, anche il suo cuore si arrende.

I responsabili della sua morte sono stati individuati. Il processo farsa che è seguito alla barbara aggressione contro Ramelli, merita di essere raccontata a parte e “il Giornale d’Italia” lo farà, in occasione dell’anniversario della morte di Sergio, il 29 aprile.

“La morte di un tempo aveva la falce, la morte di oggi ha pure il martello, lasciò la sua firma su quel muro di calce, proprio di fronte al tuo cancello.”

In realtà, per Sergio Ramelli, la morte ha nelle mani una chiave inglese e il volto di un drappello ragazzi, poco grandi di lui. Che lo massacrano senza pietà.

Vigliacchi fino alla fine. 

Forti del fatto che spaccare la testa a un “fascista”, non è un reato.

Nemmeno se è un ragazzo di 19 anni.

 

 

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Inviato

La sinistra “pacifista” degli anni ‘70:

 

https://it.m.wikipedia.org/wiki/Avanguardia_operaia

 

 

 

Il servizio d'ordine e le violenze a Milano

 

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Manifestazione di Avanguardia operaia a Milano nel 1971

Avanguardia operaia, nel corso dell'autunno del 1974, si dotò di un proprio servizio d'ordine ben strutturato. Il servizio d'ordine, diviso in zone territoriali, ma coordinate a livello cittadino, aveva il proprio centro organizzativo in zona Città Studi. A sua volta, l'area di Città Studi disponeva di una squadra ad Agraria molto attiva, una a Fisica, una a Medicina ed una più modesta ad Ingegneri[3].

Il servizio d'ordine di Avanguardia operaia iniziò rapidamente a svolgere attività legate all'"antifascismo militante", compiendo aggressioni nei confronti di coloro che erano reputati essere nemici e assalti contro i ritrovi avversari. Il gruppo faceva di frequente uso di chiavi fisse di marca "Hazet" da 36 mm[4] per colpire gli avversari politici, tanto che, come altri gruppi dell'antifascismo militante, furono chiamati Gli idraulici[5]. Solitamente le aggressioni erano precedute da minacce nei confronti dell'interessato[6]. In seguito, la vittima designata, quando era trovata da sola, veniva circondata e colpita sul capo con le chiavi fino a farla cadere a terra priva di conoscenza[7].

Il 13 marzo 1975, a Milano, gli studenti di medicina del servizio d'ordine di Avanguardia operaia aggredirono lo studente di destra Sergio Ramelli, che, per i colpi di chiave inglese ricevuti, morì dopo 48 giorni. L'anno seguente (31 marzo 1976) si rese responsabile di un "assalto" al bar Porto di Classe frequentato abitualmente da militanti di destra[8], dove una persona rimase invalida a vita per le ferite riportate durante gli scontri. Per questi crimini alcuni militanti della organizzazione furono condannati circa dieci anni dopo.

Nel 1985, durante le indagini dei giudici istruttori Maurizio Grigo e Guido Salvinisorte dalle confessioni di tre pentiti legati alla colonna bergamasca di Prima Linea, gli inquirenti rinvennero in un appartamento di viale Bligny uno schedario contenenti dati di oltre 10 000 persone considerate militanti neofascisti, di organizzazioni rivali o comunque in qualche modo potenziali obiettivi di attentati. In particolare, si ritrovano molte fotografie delle persone presenti al funerale di Sergio Ramelli corredate da schede personali sugli amici dello stesso e indicazioni circa il bar Porto di Classe[9]. Lo schedario, nato nei primi anni settanta ad opera di Avanguardia operaia e poi passato ad altre organizzazioni (tra cui Democrazia Proletaria), era in possesso di Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo (cui era intestato l'appartamento), due militanti della sinistra extraparlamentare, entrambi implicati nell'omicidio di Sergio Ramelli e nell'assalto al bar Porto di Classe[10].

 

 

Inviato
5 ore fa, Martin ha scritto:

Mi chiedo con quale faccia* la questura

Io invece mi chiedo con quale faccia si possa sostenere chi si schiera di fronte alla sede di un’azienda nel 2021 con il “fare” minaccioso che si può leggere nelle dichiarazioni del sindacalista, soprattutto quando si pretende che i picchetti servano ad obbligare l’azienda a riassumere degli operai licenziati.

 Direi che oggi gli strumenti legali da usare per far reintegrare degli operai ingiustamente licenziati ci sono e dovrebbero essere altri, sempre che il licenziamento sia illegittimo, perché in caso contrario non comprendo neppure la necessità di presidiare l’uscita dell’azienda, come non comprendo perché definire “crumiri” quegli operai si recano regolarmente sul posto di lavoro.

Inviato

Qualcosa che spiegherebbe meglio le dinamiche ed il perché degli scontri, oltre che determinare le responsabilità:

 

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/21_giugno_11/tavazzano-licenziati-fedex-tnt-assaltano-ditta-logistica-rissa-dipendenti-9-feriti-dbfb0c8c-ca96-11eb-8ed4-12d8a45dc37a.shtml

 

“Il presidio, indetto da alcuni lavoratori della sede di Piacenza chiusa e trasferita nel Lodigiano (oltre che a Peschiera e San Giuliano Milanese) circa un mese fa, fino ad ora era sempre stato contenuto. Al centro della protesta le rivendicazioni sulla questione Fedex-Tnt. Le cose però sono precipitate nella notte fra mercoledì e giovedì quando al picchetto dei lavoratori si sono aggiunti almeno altri cinquanta manifestanti da Piacenza, tutti dipendenti ex Fedex. Obiettivo, non fare lavorare (e nemmeno uscire dall’azienda) i «colleghi» lodigiani, oltre che impedire sia l’accesso che l’uscita dei camion sul piazzale. 

La protesta è iniziata nella tarda serata di giovedì con il consueto presidio e la tensione è esplosa intorno alle 2 tra i circa 40 lavoratori Zampieri bloccati all’interno e i manifestanti ai cancelli (una cinquantina all’arrivo delle forze dell’ordine, ma probabilmente di più al momento degli scontri) che cercavano di impedirne l’uscita. I sequestrati, per sfondare la «resistenza» dei rivali si sono armati di bastoni e pezzi di pallet (tra i Cobas hanno anche denunciato l’uso di taser, circostanza che però alle forze dell’ordine non risulta) e una volta aperti i cancelli i due gruppi sono venuti a contatto. Una situazione incandescente, al punto di rendere necessario l’arrivo in forze di pattuglie dei carabinieri e della polizia.”

 

Inviato

Su SI Cobas ci sarebbe molto da discutere, forse voi non siete al corrente di quanto accaduto nel comparto di lavorazione carni in provincia di Modena un paio di anni fa...

Inviato
4 ore fa, maurodg65 ha scritto:

Spiegami perché pochi poliziotti in inferiorità numerica dovrebbero intervenire, rischiando in prima

Forse perché li paghiamo? Non so, la butto lì.

4 ore fa, maurodg65 ha scritto:

che per far riassumere dei lavoratori licenziati si debbano mettere in scena manifestazioni

Questo è un altro ragionamento. Non è che se io faccio una cosa che non ti garba tu mi apri il cranio.

Inviato
3 ore fa, maurodg65 ha scritto:

Sergio Ramelli,

Non riesco a capire il nesso col topic. 

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Inviato

Il mondo della logistica è uno dei peggiori per quanto relativo alle condizioni di lavoro e annessi

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