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Melius Club

Le teorie economiche neo-liberiste


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Inviato

@Gaetanoalberto

Era ciò che intedevo dire, non sarò stato sufficientemente chiaro.

_________________________

Il progetto neoliberista è incentrato su una rappresentazione del mercato che contrappone le imprese, per definizione efficienti e orientate al cliente, e il settore pubblico, implicitamente incompetente.

La contrapposizione dà per scontato che il “settore privato” sia un’area unitaria e omogenea all'insegna dell’efficienza, mentre vi sono una pletora di soggetti, grandi aziende globali molto efficienti, sia piccole e medie imprese vicine ai clienti e alla comunità locale.

Dello settore privato fanno parte anche quegli istituti finanziari che nella crisi degli anni 2008-2009 per poco non hanno non hanno condotto alla replica della crisi del ‘29 e che hanno avuto bisogno dell’intervento statale per salvarsi dalle conseguenze dei propri comportamenti, di cui di razionale vi era ben poco (tornerò sull’argomento perché la crisi del 2008-2009 è una confutazione del modello neoliberista).

Il settore privato comprende anche imprese che si sfruttano i subfornitori e sfruttano il lavoro minorile nel Terzo Mondo, fabbricanti di prodotti scadenti, compagnie minerarie che inquinano l’aria e l’acqua, ecc. Non esiste un'entità sostanziale definibile come “il settore privato” sulla cui qualità, efficienza e attenzione alla clientela è possibile fare affermazioni generali.

A queste osservazioni la risposta dei neoliberisti è stata che i consumatori sono liberi di accettare o rifiutare i beni e i servizi di queste imprese. Ma il criterio cui si attengono non è il “welfare chioce”, ma il "consumer welfare", di cui ho scritto sopra.

Il "consumer welfare" è messo da parte nel momento in cui se un’impresa produce beni di qualità scadente ma continua a prosperare, vuol dire che esistono clienti cui quella qualità va bene. Qualora lo stato dovesse intervenire imponendo standard minimi, allora si torna la welfare chioce”, poiché si riduce la libertà di scelta dei consumatori.

Se le imprese che impiegano lavoro minorile fanno ampi profitti è perché i consumatori preferiscono pagare un prezzo inferiore e se non accettassero l’idea dell’impiego del lavoro minorile, dovrebbero evitare di comprare quei prodotti.

In sintesi, qualsiasi cosa accada sul mercato è posto al di sopra delle critiche.

Nel privato tutto ciò che si vende diviene legittimo per definizione. Ne consegue che è illogico cercare la soluzione dei problemi di qualità dei servizi pubblici nel trasferimento di quei servizi al settore privato, perché non garantisce un alto livello di qualità, né di moralità. I problemi che sorgono nelle società si spostano in un ambito in cui i criteri morali non hanno alcuna rilevanza.

La amoralità del mercato non è sempre necessariamente un problema. Tuttavia, quando i principi di mercato vengono eretti a criterio prioritario per valutare ogni istituzione, come accade nei paesi in cui le idee neoliberiste hanno prevalso, l’amoralità finisce per permeare tutta la vita sociale.

Se per risolvere un problema è sufficiente lasciar fare al mercato, quel problema è sottratto alla sfera etica. Se si guadagna denaro, se aumenta la ricchezza (senza porsi il problema di come sia distribuita), non vi sarebbe nulla da obiettare.

Se le idee neoliberiste sono le sole con cui lo stato e le altre istituzioni prendono decisioni, su questioni che toccano la sfera morale diventerà impossibile fare scelte.

Ma vi sono ambiti di vita rilevanti in cui si devono dare giudizi di principio ed in cui ci si deve rapportare criticamente e selettivamente al mercato e ai principi neoliberisti, invece farne il criterio per la soluzione di tutti i problemi.

 

  • Melius 2
Gaetanoalberto
Inviato

@Jarvis Si, a volte è l'economia a precedere, a volte il diritto, che tuttavia ha in sé alcuni anticorpi.

Correttezza e buona fede ad esempio, oppure diligenza, perizia, prudenza, principi generali dell'ordinamento, guidano le

decisioni dove la legge difetta o manca.

Una società sana non avrebbe bisogno di normare minutamente ogni aspetto della vita comune, né può farlo con l'economia.

Che non significa aprire le porte alla prateria dell'anarchia del profitto ad ogni costo.

Inviato

@Gaetanoalberto

Ritengo molto opinabile l'idea secondo cui gli uomini avrebbero una tendenza naturale a seguire l'interesse naturale in termni aggressivi e calcolatrici. Tuttavia quanto più si corrode il sentimento di appartenenza alla comunità e tanto più si ritiene che il senso dell'esistenza sia nella illimitata libertà individuale, lo "homo homini lupus" di Hobbes da ipotesi euristica rischia di divenire il clima della vita sociale.

Inviato
1 ora fa, Jarvis ha scritto:

se vuoi argomentare ti ascolto. È un problema della teoria economica, non sarei così sbrigativo.

Se avessimo un debito comunitario gestito dalla nostra banca centrale, con il potere di emettere moneta, un pò come negli USA, i margini di manovra sarebbero immensamente superiori. Ovviamente non è che si possa fare come i soldi del monopoli, ma certamente si potrebbero finanziare progetti di sviluppo, dare incentivi, supportare investimenti, attrarre imprese estere...

E farlo con una certa regolarità e organizzazione: non di tanto in tanto e in modo fumoso.

Ma al momento non è possibile perché c'è un 'Europa federale e forse non ci sarà mai 

Gaetanoalberto
Inviato
3 minuti fa, senek65 ha scritto:

debito comunitario gestito dalla nostra banca centrale, con il potere di emettere moneta, un pò come negli USA

Come redigere il manuale Cencelli della distribuzione della spesa? Questo è il dilemma...

Se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d'oltraggiosa sfortuna
o prender armi contro un mare di fetenti...!

Delle unificazioni il Sud sa qualcosa, ma resto favorevole 😆

 

  • Haha 1
Inviato
2 ore fa, Savgal ha scritto:

ma confesso di non averlo letto per intero)

 

extermination
Inviato

Aggiornare la propria comunicazione iniziando con l’uso del termine stakeholder; eccheccavolo!!

extermination
Inviato

 

E magari prendere in considerazione anche il meno noto stakeholder capitalism, che integra la sostenibilità e la responsabilità sociale nel proprio modello di business. 

 

Inviato
2 ore fa, Savgal ha scritto:

Nel privato tutto ciò che si vende diviene legittimo per definizione. Ne consegue che è illogico cercare la soluzione dei problemi di qualità dei servizi pubblici nel trasferimento di quei servizi al settore privato, perc

 

Assolutamente d'accordo sulle riflessioni privato /pubblico.

Il pubblico garantisce spesso standard dignitosi tenendosi lontano da certi abissi del privato ( vedasi scandalo Loro Piana recente).

Nessun economista o persona un pò informata e che sia equilibrata e non deformata da aprioristiche prese di campo politiche non può affermare che il privato sia meglio. Occorre giudicare caso per caso, settore per settore. Tra l'altro non è un caso per cui alcuni settori sono pubblici! Lo spiega eccome la teoria economica: presenza di esternalità, caratteristiche di non rivalità e di non divisibilita' dei beni pubblici.

Si chiamano fallimenti di mercato

 

Inviato

 

Il tema dell’informazione in ambito economico è noto, è molto difficile avere un’informazione perfetta. Ipotizzando una economia competitiva, ma con una circolazione delle informazioni notevolemente limitataa, questa è molto vulnerabile alle crisi. La carenza di informazioni crea condizioni economiche instabili per imprese e consumatori, che in mancanza di efficaci correttivi diverranno molto cauti e ridurranno investimenti e spese per timore di un futuro incerto. Se ciò avviene su vasta scala, può condurre i mercati al collasso, come accade nelle grandi recessioni. Entra in gioco un fattore dato per scontato, implicito, eppure estremamente importante, l’economia capitalistica si fonda sulla fiducia per il futuro, fattore che talvolta è la stessa economia di mercato a mettere in dubbio, come è rischiato che potesse avvenire nel 2008.

Sul piano pratico il requisito che gli attori del mercato siano perfettamente informati è difficile da soddisfare. Le informazioni di solito hanno un prezzo: procurarsele comporta costi di transazione considerevoli, e talvolta costituisce la principale componente di tali costi.

Più complessa è l'economia, si pensi, per esempio, alla sofisticazione tecnica dei prodotti o degli strumenti finanziari, più cresce l’importanza di acquisire informazioni. Per i consumatori decidere se valga o no la pena di pagare per acquisire le informazioni necessarie a compiere scelte pienamente consapevoli non è semplice. L’acquisizione di informazioni non dipende da quanto esse valgano in realtà, bensì dalla possibilità di sostenere quella spesa. La conseguenza è che i ricchi tenderanno a prendere decisioni più efficienti e a diventare ancora più ricchi. Costoro possono farsi assistere da consulenti professionali altamente specializzati e quindi i loro redditi possono crescere molto più rapidamente di quelli dei piccoli investitori.

Al pari le organizzazioni sono avvantaggiati rispetto agli individui per acquisire informazioni. I produttori sono tendenzialmente più informati dei loro clienti (a meno che questi non siano a loro volta imprese), i datori di lavoro più informati dei loro dipendenti, le grandi aziende più informate delle piccole.

Se si ipotizza che gli investitori, prima puntare, e rischiare, le proprie risorse finanziarie su un’azienda abbiano razionalmente cercato tutte le informazioni rilevanti su di essa, si dovrebbe ritenere che la quotazione di un titolo, che riflette le valutazioni degli investitori, ci dica tutto ciò che occorre sapere sulla performance di quella impresa. È in base a questo ragionamento che si fonda l’approccio basato sulla massimizzazione del valore per gli azionisti: agli amministratori delegati si chiede unicamente di concentrarsi sulla massimizzazione del valore di borsa dell’impresa loro affidata.

Questa ipotesi ha condotto allo sviluppo dei derivati e dei mercati secondari, che a partire dagli anni Novanta ha prodotto uno straordinario incremento delle transazioni di borsa e delle quotazioni dei titoli. Il prezzo di compravendita di azioni e obbligazioni è divenuta l’unica guida utile a definire il valore delle attività espresse in quei titoli. La crescita di questi mercati ha ridotto la necessità di procurarsi ulteriori informazioni che non fossero il dato meramente autoreferenziale dei mercati stessi, che ha finito per rappresentare una realtà più importante della stessa economia “reale”. È stato questo processo ad aver innescato il crollo finanziario degli anni 2008-2009. I mercati finanziari, anziché incentivare gli attori ad acquisire le informazioni necessarie, li hanno spinti pericolosamente nella direzione opposta, persuadendoli a fidarsi dei prezzi dei titoli, vale a dire di informazioni estremamente limitate, considerando che fosse tutto ciò che valeva la pena sapere. Ma questi prezzi erano pesantemente condizionati da una sequenza di congetture e azzardi, che, una volta venuti alla luce, li ha fatti crollare come un castello di carte.

 

  • Melius 1
extermination
Inviato

Teoria dell'informazione asimmetrica… a proposito di joseph.. che in altro 3d lo snobbiamo!

Inviato

 

Il modello neoliberista postula una netta separazione tra economia e politica. Tuttavia raramente si riscontra la separazione tra economia e politica postulata dal modello.

Una prima ragione è che è attraverso lo stato che si cerca rimedio ai fallimenti del mercato, come è avvenuto nella crisi del 2008.

Una seconda è che per funzionare il mercato non può fare a meno della legge: ha bisogno di una moneta e di garanzie contro i falsari, di sanzioni contro le violazioni contrattuali e della protezione dei brevetti e della proprietà intellettuale. Ad alcune di queste cose è il mercato stesso a provvedere. Ma il monitoraggio svolto dagli stessi attori funziona solo quando il loro numero è relativamente piccolo e quando essi si conoscono tra loro e in caso di comportamenti scorretti possono passarsi subito la voce. I mercati piccoli e tradizionali soddisfano spesso questi requisiti e non hanno molto da chiedere alla legge; ma le cose non stanno così nel caso di mercati più ampi, e soprattutto di mercati globali.

L’economia di mercato è cosa ben diversa dai mercati piccoli di un tempo, le transazioni avvengono don soggetti spesso totalmente sconosciuti e situate anche a grande distanza da noi. Mercati del genere non possono basarsi su semplici conoscenze interpersonali, ma hanno bisogno di meccanismi che ci consentano di trattare con gente del tutto estranea.  

Ma la legge interviene ancora prima. Non potremmo stipulare contratti e pretenderne l'adempimento se non potessimo rivendicare il diritto legale alla proprietà, poiché i danni derivanti dalla violazione di un contratto vengono valutati alla stregua di danni ai diritti di proprietà, e anche le rimunerazioni ottenute a seguito dell'adempimento di contratti possono essere rivendicate come guadagni solo in quanto assimilabili a titoli di proprietà.  

Ma vi è una terza ragione che sta acquistando sempre maggior peso. È molto difficile evitare che la ricchezza si trasformi in influenza politica. I ricchi possono usare le proprie risorse per finanziare uomini politici e partiti che condividono le loro idee o per far cambiare opinione agli altri. Possono lanciare campagne di opinione pubblica, possedere e controllare giornali e altri mezzi di comunicazione per procurarsi consenso. Nella democrazia di massa sono necessarie risorse enormi per mobilitare le opinioni; le opinioni possono essere quelle dei molti, ma le risorse per mobilitarle appartengono soprattutto ai pochi ricchi. Il sistema del mercato, per quanto possa impegnarsi a mantenere separate economia e politica, difficilmente può impedire che i guadagni provenienti dagli affari siano impiegati politicamente per proteggere i privilegi economici. Il potere politico si converte in ricchezza economica e viceversa. È un'altra modalità che accresce le disparità nelle società di mercato. Le concentrazioni di ricchezza, che non poche volte traggono origine dagli stessi fallimenti del mercato, consentono a un numero ristrettissimo di persone e imprese di comprare una influenza politica, che possono usare per arricchirsi ulteriormente, pro- curarsi ulteriore influenza e così via.

Di tutti i fallimenti del mercato i più preoccupanti sono quelli che favoriscono le grandi concentrazioni di ricchezza, poiché in ultima analisi possono essere usati per indebolire lo stesso mercato e la realtà della democrazia. Le concentrazioni della ricchezza sono agevolate da alcune caratteristiche specifiche dell'economia contemporanea e dalle stesse scelte politiche, che hanno consentito lo sviluppo di imprese giganti con posizione dominante sul mercato.

Il punto è in che modo le politiche pubbliche possono porre rimedio a questi fallimenti del mercato.

 

Inviato

Nelle società vi è una frattura e questa diviene un importante elemento di identificazione politica che divide la stessa società in due. Vi sono coloro che temono più il potere dei singoli e sono propensi, per contenerlo, a che lo stato abbia strumenti per intervenire. Vi sono coloro che invece temono maggiormente il potere dello stato e sono più disposti a tollerare il potere dei singoli.

Io mi colloco nel primo versante.

  • Melius 2
extermination
Inviato

Quanto a me, ora che sono giunto alla fine della mia corsa, […] mi sento pieno di timori e di speranze. Vedo […] grandi mali che si possono evitare e limitare e mi rafforzo sempre più nell’opinione che, per essere oneste e prospere, basta ancora alle nazioni democratiche il volerlo.
[…] Le nazioni del nostro tempo non potrebbero far sì che nel loro seno le condizioni non siano eguali ma dipende da esse che l’eguaglianza le conduca alla servitù o alla libertà, alla civiltà o alla barbarie, alla prosperità o alla miseria.

Inviato

 

 “Le persone dello stesso mestiere raramente si ritrovano, anche solo per divertimento e distrazione, senza che la conversazione finisca in una cospirazione contro il pubblico, o in qualche marchingegno per aumentare i prezzi. È invero impossibile impedire tali riunioni con una legge che potesse essere messa in atto e che fosse rispettosa della libertà e della giustizia. Ma sebbene la legge non possa impedire alle persone dello stesso mestiere di ritrovarsi, essa non dovrebbe far nulla per facilitare tali riunioni, né tanto meno per renderle necessarie.”

A. Smith 

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"La democrazia e l'aristocrazia non sono stati liberi per loro natura. La libertà politica non si trova che nei governi moderati. Tuttavia non sempre è negli stati moderati: vi è soltanto quando non si abusa del potere; ma è un'esperienza eterna che ogni uomo, avendo in mano il potere, sia portato ad abusarne; va avanti fino a quando non trova dei limiti.

Perché non si possa abusare del potere bisogna che, per la disposizione delle cose, il potere arresti il potere. Una costituzione può essere tale che nessuno sia costretto a fare le cose alle quali la legge non lo obbliga, e a non fare quelle che la legge gli permette."

Montesquieu "Lo spirito delle leggi"  

_____

 

Un forte presenza delle imprese nel governo e nella politica rappresenta sempre un problema per una economia liberista, ma lo è soprattutto quando quelle imprese sono dei “giganti”.

Per “giganti” si devono intendere quelle imprese che, in ragione della propria posizione di forza sui mercati, sono in grado di condizionare gli stessi mercati avvalendosi della propria capacità organizzativa per porre in atto strategie di predominio e possono farlo anche nell’ambito di varie giurisdizioni nazionali.

Queste imprese pongono un problema politico. Al fine di rafforzare o controllare completamente il mercato, queste imprese ricorrono ad una strategia politica e le grandi aziende transnazionali sono anche in grado di mettere i governi nazionali in concorrenza tra loro.

La teoria economica e il diritto commerciale anglosassone rappresentano le imprese come se fossero individui, ma le economie capitalistiche realmente esistenti non corrispondono al modello neoclassico puro. L’impresa è un’organizzazione con una propria gerarchia.

In molti mercati esistono barriere d’ingresso che consentono solo a un ristretto numero di grandi aziende di essere presenti sul mercato globale e ancor più nelle singole economie nazionali. In alcuni casi, perché una impresa si affermi, sono necessari ingenti investimenti in ricerca e sviluppo o la creazione di estese reti distributive.

L’organizzazione ha anche lo scopo di bilanciare il rapporto tra le proprie risorse ed il mercato. L’informazione rappresenta un rilevante costo di transazione, uno dei motivi per cui le imprese creano e utilizzano risorse organizzative è per la necessità di acquisire informazioni.

Le grandi imprese hanno una capacità cruciale: devono tener conto del mercato se vogliono acquistare e vendere con successo, ma hanno una certa capacità di agire proattivamente, utilizzando la propria struttura organizzativa per modificare e prevedere le reazioni dei mercati. Invece di rispondere passivamente ai segnali del mercato, cercheranno di creare una domanda attraverso programmi di marketing e campagne pubblicitarie.

È un vantaggio enorme rispetto alle imprese più piccole, che vanno a rimorchio del mercato. Se il venditore è in grado di modellare le preferenze dell’acquirente, la simmetria tra acquirente e venditore, fondamento della teoria economica e del concetto di “sovranità del consumatore” in particolare, diviene asimmetria.

Ne consegue che queste non sono pienamente soggette alla sovranità del consumatore e alle forze di mercato, come sostiene la retorica neoliberista.

Se la insistente richiesta di far entrare “più mercato” nella nostra vita, se ciò significa “più imprese giganti”, è necessario che sia chiaro quali sono le implicazioni politiche ed economiche.

Le virtù del mercato, nella teoria classica, si manifestano al meglio se si salvaguarda la concorrenza. Se si opta per questa scelta, poiché i mercati conducono alla concentrazione, la sopravvivenza di un elevato numero di imprese richiede una legislazione antimonopolistica.

Il problema è fino a che punto è accettabile l’intervento pubblico per preservare la concorrenza. La contrapposizione tra “Stato e mercato” entra in crisi in presenza dell’impresa gigante.

La legislazione antitrust statunitense, nata all’inizio del ventesimo secolo, mirava a frantumare le grandi concentrazioni di potere delle imprese, limitando la possibilità per una impresa o per un gruppo di imprese di assumere un ruolo dominante. Per la democrazia, sia economica che politica, era fondamentale evitare il formarsi di concentrazioni di potere tali da non avere una vera concorrenza: La tesi di fondo è che il consumatore doveva sempre avere la possibilità di scegliere e essere collocato su un piano grosso modo di parità con le imprese o con i politici, per evitare che questi potessero avere il sopravvento. Inoltre, sia sui mercati sia in politica doveva sempre essere garantito uno spazio ai nuovi entranti. E poiché il potere economico poteva trasformarsi in potere politico, le politiche antimonopolistiche agivano a tutela non solo della concorrenza sui mercati, ma anche del pluralismo democratico.

Il volere assicurare basse barriere d’ingresso e piena concorrenza su tutti i mercati si rivelò sempre più difficile, le imprese giganti, nate quasi sempre dalla fusione tra più imprese o dall’acquisto dei potenziali concorrenti da parte delle imprese più grandi, in luogo del successo sul mercato dei prodotti di una impresa, si rafforzavano sempre più. I legislatori antitrust furono costretti a classificare sempre più rigidamente le violazioni alla concorrenza, e il governo si ritrovò a intervenire sempre più minuziosamente nell’attività delle aziende.

Tutto ciò si scontrava con potenti interessi imprenditoriali. In questo frangente c.d. “Scuola di Chicago” elaborò un nuovo corpus di principi economici.

(continua)

 

  • Melius 1
Inviato

@Savgal mi pare di capire che il Daunton ti è piaciuto.

Inviato

@Panurge

Avrei qualche obiezione, ma è un libro da leggere. Il tema dazi lo si vede da una prospettiva del tutto diversa rispetto a quella che leggo sui giornali (per non parlare di quello che si scrive su Melius).

Quanto sopra è per cercare di mettere ordine su due libri che ho terminato d a poco, "Morti per disperazione e il futuro del capitalismo" di Case e Deaton e "Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo" di Colin Crouch.

P.s.: tornando a Daunton, ho tentato di evidenziare che i conflitti sui dazi doganali sono una costante nei rapporti tra stati, come l'autore mostra più volte, e che la finalità prioritaria era di tutelare le imprese del proprio stato o combattere le operazioni di dumping, mentre Trump ha altri obiettivi, ma senza successo.

 


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