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Una società di adolescenti


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@extermination quando si affronta un argomento sarebbe il caso di affrontarlo in maniera completa, non per confermare proprie tesi

Almeno credo

Comunque statisticamente il narcisismo è più un fenomeno maschile 

Borderline femminile 

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59 minuti fa, extermination ha scritto:

tempo perso? 

Esatto

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@extermination(Se hai la pazienza necessaria per leggerlo)

 

In “Introduzione al narcisismo” (1914), Freud elabora delle tesi di carattere generale sulla psiche partendo dal comportamento perverso del narcisismo. Anche in questo caso, il patologico diviene la lente d’ingrandimento con cui interpretare il “normale”.

Vi sono difatti dei casi (rari) in cui l’Io sceglie quale oggetto d’amore se stesso, patologia definita “narcisismo”.  Freud sostiene, sulla scorta del suo lavoro analitico, che il narcisismo riveste tuttavia uno specifico ruolo nel normale decorso dello sviluppo sessuale degli uomini. Egli porta a sostegno della sua tesi le osservazioni su due tratti fondamentali della “dementia praecox” e della schizofrenia: il delirio di grandezza e il distacco dell’interesse da persone e cose del mondo. Tali caratteri pongono difatti il quesito su quale sia il destino della libido sottratta agli oggetti. Il delirio di grandezza mostra la via per rispondere al quesito; la libido sottratta al mondo esterno è confluita sull’Io, provocando un comportamento totalmente narcisistico. 

Nel passaggio successivo Freud sostiene che il comportamento narcisistico non deve essere considerato una nuova creazione della psiche, bensì il ritorno ad un assetto della vita psichica preesistente. A sostegno della tesi che il narcisismo è un assetto originario della psiche, egli richiama l’attenzione sulla vita psichica dei bambini e dei popoli primitivi, che mostrano manifestazioni estremamente simili al delirio di grandezza, quali la sopravvalutazione del potere dei propri desideri, la persuasione della “onnipotenza dei pensieri”, la fede nella virtù magica delle parole propria della magia.

Sulla base di queste constatazioni, egli formula l’ipotesi che vi sia un investimento libidico originario che scaturisce dall’Io; di questo una parte cade successivamente sugli oggetti e la restante continua a permanere nell’Io. Si delinea così una contrapposizione fra la libido dell’Io e libido oggettuale, per cui l’impiego di una impoverisce necessariamente l’altra. La contrapposizione è ben visibile nel punto più elevato dell’innamoramento, quando il soggetto è disponibile a rinunciare a se stesso per l’oggetto amato, ovvero, all’opposto, nella percezione di una prossima fine del mondo dei paranoici. Inoltre, le pulsioni all’inizio dell’esistenza coesistono e la loro distinzione è percepibile solo quando avviene il primo investimento d’oggetto. La distinzione corrisponde a quella operata comunemente fra fame ed amore.

Un’ulteriore prova della distinzione e della contrapposizione fra libido dell’Io e libido oggettuale è ricavata dal ben noto egoismo dell’individuo malato. E’ noto ed ovvio che costui ritragga ogni interesse dal mondo, in altre parole smette di amare fino a quando dura la sua sofferenza.

Il comportamento del malato ha molte similitudini con il ritiro narcisistico del soggetto che si appresta a dormire; anch’egli ritrae ogni investimento libidico, ogni interesse dal mondo esterno.

L’ipocondria è un’altra enigmatica manifestazione simile alla malattia ed al sonno; l’ipocondriaco ritira l’interesse e soprattutto la libido dal mondo concentrandoli inconsciamente su di un organo. Egli sostiene a questo punto di soffrire di dolorose sensazioni sull’organo interessato, senza che tuttavia siano accertabili alterazioni organiche. L’ipotesi di Freud è che si sia in presenza di un eccesso d’investimento della libido su un organo, che diviene così “erogeno”, con la conseguente alterazione dell’equilibrio per il sommarsi di libido oggettuale e investimento libidico dell’Io. L’eccesso di libido crea una tensione particolarmente elevata che è percepita come spiacevole.

Il problema che si pone a questo punto è perché la psiche va oltre il narcisismo, investendo la sua libido sugli oggetti. Freud ritiene che l’accumularsi di libido narcisistica non possa essere sopportato oltre una certa misura dalla psiche senza che quest’ultima poi si ammali. Questa è anche la ragione per cui si supera il narcisismo originario e si inizia ad amare, nonché la ragione per cui se, a causa di una grave frustrazione, si diventa incapaci di amare, ci si ammala.

In sintesi, nella “dementia praecox” e nella schizofrenia la libido divenuta libera a causa della frustrazione e quindi non più legata ad oggetti, si ritira nell’Io; la manifestazione più evidente di questa “introversione” della libido è il delirio di grandezza.

Un terzo esempio per comprendere il narcisismo è l’osservazione della vita amorosa degli uomini. Il bambino all’inizio della sua esistenza trae i primi soddisfacimenti sessuali dalle funzioni vitali al servizio dell’autoconservazione. Pertanto le prime pulsioni sessuali all’origine soddisfano le pulsioni dell’Io relative all’autoconservazione e solo in un secondo momento si rendono indipendenti; ma anche in questo secondo momento le pulsioni scelgono quelle persone che nutrono, curano, proteggono il bambino, operazione definita da Freud scelta oggettuale “per appoggio”. Vi sono tuttavia dei casi, rivelati dalla ricerca analitica, dove lo sviluppo della libido ha subito dei disturbi a seguito dei quali l’individuo ha scelto quale oggetto d’amore se stesso. Freud sostiene quindi che vi siano due possibilità originarie di scelta dell’oggetto sessuale, se stesso e la madre (o chi per lei). Ne consegue che il narcisismo originario è presente in tutti gli uomini e in certe condizioni il narcisismo può divenire la scelta oggettuale dominante.

Sull’ipotesi Freud svolge poi una digressione relativamente alla scelta oggettuale degli uomini e delle donne. Egli sostiene che la scelta oggettuale, corrispondente adulta alla scelta “per appoggio”, sia una caratteristica maschile. La presenza della componente narcisistica è tuttavia anche in questo caso rilevabile dalla sopravvalutazione sessuale dell’amata, proiezione dell’originario narcisismo infantile sull’oggetto. La sopravvalutazione sessuale è un carattere peculiare dell’innamoramento, in cui si verifica un impoverimento della libido dell’Io trasferita sull’oggetto d’amore.

Nelle donne si riscontra un diverso sviluppo della scelta oggettuale. Con la maturazione sessuale vi è spesso un incremento dell’originario narcisismo, soprattutto quando maturando acquistano bellezza. Queste donne amano se stesse in proporzione a quanto sono amate dagli uomini; esse più che amare vogliono essere amate. Esse, inoltre, esercitano sugli uomini un grande fascino non solo in virtù della loro bellezza (generalmente sono le più belle), ma soprattutto perché il loro narcisismo esercita una grande attrazione nei confronti di coloro che hanno rinunciato da tempo al proprio. Freud ritiene che una parte dell’attrattiva dei bambini è generata dal loro narcisismo, dalla loro autosufficienza ed inaccessibilità, al pari del fascino dei gatti e dei grandi animali da preda. E’ una sorta di invidia per una condizione di beatitudine psichica al quale si è rinunciato da tempo. Di converso, l’insoddisfazione dell’uomo innamorato, i suoi dubbi sull’amore della donna narcisistica, sono causati dall’incompatibilità fra i due tipi di scelta oggettuale. Freud aggiunge poi che moltissime donne amano secondo la scelta oggettuale. Inoltre molte altre pervengono alla scelta oggettuale con la maternità. Per altre ancora il tratto mascolino della loro sessualità, presente in loro dall’epoca della fanciullezza, le ha condotte ad una scelta oggettuale.

Riassumendo le vie che portano alla scelta dell’oggetto d’amore, l’individuo può amare secondo il tipo narcisistico: a) se stesso, b) ciò che egli era; c) ciò che vorrebbe essere; d) la persona che fu una parte di sé. Può amare secondo il tipo della scelta oggettuale per appoggio: 1) la madre; 2) l’uomo protettivo; 3) le persone che fanno le veci di 1 e 2.

L’esistenza di un narcisismo primario è anche desumibile osservando direttamente alcuni comportamenti che i genitori assumono nei confronti dei loro figli, atteggiamenti nei quali rivive il narcisismo cui essi hanno da tempo rinunciato. Ad esempio, la sopravvalutazione dell’oggetto amato, segno del narcisismo, è uno degli elementi che (purtroppo) caratterizza questa relazione emotiva. Vi è una tendenza quasi incontenibile ad attribuire al proprio bambino il possesso di ogni sorta di perfezioni, di cui all’esterno non è visibile alcun indizio. Inoltre, si dimentica e si copre ogni sua manchevolezza (ma non quelle degli altri bambini!). Vi è altresì la tendenza a cercare di sospendere a favore del proprio bambino tutte le dolorose acquisizioni della civiltà, per il cui rispetto i genitori hanno dovuto rinunciare al proprio narcisismo, nonché a rivendicare per il bambino i privilegi cui essi hanno da tempo desistito. Si percepisce nei genitori il desiderio che il bambino debba avere una sorte migliore della loro, egli non deve essere costretto a subire le necessità da cui l’esistenza è dominata, come i genitori dovrebbero ben sapere. Ma la malattia, la morte, la rinuncia al piacere, le restrizioni imposte alla volontà individuale, le leggi della natura, le leggi della società, sembra che non debbano avere valore nei confronti del proprio bambino, egli deve essere il centro del creato. Il bambino deve infine appagare i sogni ed i desideri irrealizzati dei genitori: il maschietto deve diventare un grand’uomo o un eroe in luogo del padre, mentre la bambina deve andare in sposa ad un principe per la madre. In sintesi, l’amore dei genitori per il bambino, in diversi aspetti, altro non è che il narcisismo dei genitori tornato nuovamente in vita e tramutato in amore oggettuale.

Nell’osservazione dell’individuo normale si osserva che la megalomania infantile e gli altri aspetti da cui si desume il narcisismo originario sono spenti. Si pone il quesito su che fine abbia fatto la libido dell’Io. Freud ritiene che questa non si è trasformata interamente in investimenti oggettuali, ma che una parte cospicua di essa sia andata incontro ad un processo di rimozione poiché in conflitto con gli imperativi della civiltà e dell’etica. Ovviamente degli imperativi etici e morali non si possiede una rappresentazione pienamente cosciente, intellettuale, anzi tutt’altro. Nonostante ciò, il soggetto si sottomette ugualmente ad essi. Vi sono individui che elaborano consapevolmente delle impressioni, degli impulsi e dei desideri proibiti dalla moralità, ma altri li soffocano e respingono prima ancora che pervengano alla coscienza. Freud afferma che nel secondo caso nella psiche dell’individuo si è costituito un ideale dell’Io che valuta l’operato del proprio Io attuale, mentre nel primo caso questo ideale non si è completamente formato. La formazione dell’ideale dell’Io (poi chiamato da Freud Super-Io) è la condizione affinché avvenga la rimozione. Freud, inoltre, sostiene che l’amore di sé di cui l’Io reale ha goduto nell’infanzia confluisce ora sull’ideale dell’Io. Ciò che l’individuo proietta dinanzi a sé quale proprio ideale diviene il sostituto del narcisismo originario, ossia di quel periodo dell’infanzia in cui egli era il proprio ideale per se stesso.

La formazione di un ideale dell’Io ed il processo psichico della sublimazione, richiamata dall’idealizzazione, devono essere tuttavia distinti. Nella sublimazione la libido oggettuale è indirizzata verso una meta diversa e lontana dal soddisfacimento sessuale. L’idealizzazione ha sì a che fare con l’oggetto, ma nel senso che questo, senza mutare la sua natura, è amplificato ed elevato; un esempio tipico di idealizzazione è la sopravvalutazione dell’oggetto amato da parte dell’innamorato. Non necessariamente, quindi, chi ha rinunciato al proprio narcisismo per un elevato ideale dell’Io è automaticamente in grado di sublimare le sue pulsioni sessuali. E’ pur vero che l’ideale dell’Io esige la sublimazione, ma non è in grado di imporla. Inoltre, mentre la formazione dell’ideale dell’Io favorisce al massimo la rimozione, la sublimazione consente invece alle esigenze dell’Io di essere soddisfatte senza incorrere nella rimozione.

Freud a questo punto ipotizza la possibilità che vi sia un’istanza psichica che vigila costantemente sull’Io comparando il suo operato all’ideale dell’Io. Nello stesso tempo l’agire seguendo le direttive dell’ideale dell’Io ripristina indirettamente l’autosoddisfazione proprio del narcisismo infantile, tanto spesso mortificato. L’esistenza di una simile istanza è testimoniata da ciò che comunemente si chiama “coscienza morale”; ad essa è riconducibile il “delirio di essere osservati” proprio dei paranoici. Vi è, difatti, in ciascuno di noi una forza che osserva, scopre e critica costantemente tutte le nostre azioni ed intenzioni. Nel delirio di osservazione l’istanza autosservatrice regredisce e svela in tal modo la sua origine: essa si è costituita inizialmente per l’influsso delle critiche dei genitori, cui si sono associati gli educatori, i maestri (ossia le persone in cui ci si è identificati) e poi l’indefinita schiera delle persone dell’ambiente sociale (il prossimo, il gruppo dei pari, l’opinione pubblica).

Freud ritiene che consistenti importi di libido (omosessuale) sono stati utilizzati per costituire un ideale narcisistico dell’Io e che nel preservarlo trova soddisfacimento. Nei paranoici la genesi dell’ideale dell’Io si mostra chiaramente esemplificato, ad iniziare dall’introiezione dei genitori per giungere alla moltitudine imprecisata dei soggetti in cui si è identificato. Infine, il “censore del sogno”, che costringe alla deformazione dei pensieri onirici, è identificabile con l’ideale dell’Io.

Le tesi su narcisismo consentono di trarre delle ipotesi sulle differenze relative al sentimento di sé nelle persone normali e nei nevrotici. La distinzione fra libido dell’Io e libido sessuale dà la possibilità di riconoscere come il sentimento di sé dipende strettamente dalla libido narcisistica. Paragonando la dementia praecox e la schizofrenia con le nevrosi di traslazione, si constata che nelle prime il sentimento di sé è grandemente esaltato mentre nelle seconde è assai avvilito. Lo stesso avviene nella vita amorosa: il non essere amati sminuisce il sentimento di sé mentre l’essere amati lo innalza. Inoltre l’essere amati è la meta ed il soddisfacimento della scelta oggettuale orientata narcisisticamente. Si può facilmente osservare come l’investimento libidico sugli oggetti sminuisce il sentimento di sé: il dipendere dall’oggetto amato avvilisce questo sentimento. L’esperienza mostra come l’innamorato sia umile, egli ha perduto una parte del proprio narcisismo e può riacquistare il sentimento di sé se è amato a sua volta.

L’inidoneità ad amare a causa di disturbi psichici o limiti fisici sicuramente mortifica il sentimento di sé. A ciò va anche ricondotto, ma in piccola parte, il senso d’inferiorità dichiarata dai nevrotici. Ad esso si aggiunge, in quantità assai maggiore, l’impoverimento subito dall’Io per via degli eccessivi investimenti libidici effettuati. La mortificazione del sentimento di sé è il danno subito dall’Io a causa di tendenze sessuali non più controllate. L’inferiorità dichiarata dai nevrotici va ricondotta a ciò; un’inferiorità organica è un pretesto. Difatti, afferma Freud, le brutture e le infermità degli strati più bassi della società non coincidono con la frequenza delle malattie nevrotiche in quegli ambienti. Inoltre, le isteriche sono in maggioranza rappresentanti attraenti del loro sesso e sono più desiderate della media delle donne.

In sintesi, la relazione fra il sentimento di sé e l’erotismo è definibile in rapporto a come l’investimento oggettuale è in sintonia con l’Io ovvero ha subito una rimozione. Nel primo caso è simile ad ogni altra attività svolta dall’Io, per cui l’amare deprime il sentimento di sé mentre l’essere amati lo eleva. Invece, se l’investimento libidico subisce una rimozione, si avverte uno svuotamento dell’Io; il soddisfacimento amoroso è impossibile al pari dell’essere corrisposto dall’oggetto amato. L’Io può ritrovare il sentimento di sé solo se ritira la libido dall’oggetto. Un amore felice, corrisposto, consente il ritorno all’Io della libido oggettuale, il suo tramutarsi in narcisismo, il ritorno all’indistinguibilità fra libido oggettuale e libido dell’Io.

Freud elabora una serie di considerazioni tratte dalle tesi sopra esposte.

La prima è che lo sviluppo dell’Io parte dal prendere le distanze dal narcisismo originario, fatto che tuttavia provoca un intenso sforzo per recuperarlo. Ciò avviene spostando la libido sull’ideale dell’Io (imposto tuttavia dall’esterno); il soddisfacimento della libido narcisistica si ottiene conseguendo gli imperativi imposti dall’ideale. Nel contempo l’Io ha effettuato degli investimenti oggettuali e nel far ciò si è impoverito, immiserimento che si aggiunge a quello a vantaggio dell’ideale dell’Io. Può in parte recuperare quanto investito se ottiene soddisfacimento dagli oggetti amati e se consegue quanto richiesto dall’ideale dell’Io.

Il sentimento di sé rinviene pertanto da quanto sopravvive del narcisismo infantile, dal conseguimento dell’ideale e dal soddisfacimento della libido oggettuale. L’ideale dell’Io ha tuttavia imposto delle condizioni al soddisfacimento libidico, poiché alcune forme di soddisfacimento sono divenute inammissibili, a partire dal fare del proprio corpo l’oggetto del desiderio.

Nell’innamoramento la libido dell’Io si versa sull’oggetto, che diviene ideale sessuale. Ciò consente anche una particolare relazione con l’ideale dell’Io: qualora vi siano ostacoli al soddisfacimento narcisistico, l’ideale sessuale può divenire un appagamento sostitutivo. In questo caso verrà amato l’oggetto che possiede (o si ritiene che possieda) le virtù che mancano all’Io per soddisfare il proprio ideale. La scelta di un ideale sessuale di tipo narcisistico avviene regolarmente nei nevrotici. Costoro, a causa degli eccessivi investimenti libidici, sono divenuti incapaci di conseguire quanto richiesto dal loro ideale e cercano quindi nella scelta di un ideale sessuale di tipo narcisistico la via che consenta loro di riportarli al narcisismo.

L’ideale dell’Io permette anche di comprendere alcuni aspetti della psicologia delle masse. Esso possiede difatti anche un aspetto sociale che accomuna un gruppo sociale o una nazione. Esso vincola non solo la libido narcisistica degli individui, ma anche una quota considerevole della loro libido omosessuale. Però l’insoddisfazione derivante dal mancato conseguimento dell’ideale dell’Io libera la libido omosessuale, trasformandola in angoscia sociale. Originariamente il senso di colpa rinveniva dalla paura delle punizioni dei genitori, ossia dal timore della perdita del loro amore. Successivamente ai genitori si è sostituita la schiera indefinita dei propri simili e del proprio ambiente sociale. Questo rende comprensibile la ragione per cui la paranoia è originata spesso da un’offesa subita dall’Io, o meglio, da una frustrazione nel soddisfare le richieste dell’ideale dell’Io.

 

 

Inviato

@simpson

 

TikTok e la grande trappola (per adolescenti) dello scrolling infinito: cosa è andato storto?

di Riccardo Luna

 

I più giovani, per motivi legati allo sviluppo del cervello, sono incapaci di smettere di guardare video in modo compulsivo. Così è partita la corsa agli algoritmi per il controllo della loro attenzione, con conseguenze sulla loro salute mentale e memoria. I vertici delle piattaforme digitali come TikTok, Meta, Google per YouTube e Snapchat lo sapevano, ma in nome del fatturato non si sono fermati

 

Per renderci psicologicamente dipendenti e tenerci ingaggiati all'algoritmo di raccomandazione dei contenuti di TikTok occorrono 260 video di appena 8 secondi, che equivalgono a 35 minuti. Come può un adolescente, che riceve in media 240 notifiche al giorno, resistere a questa «arma di distrazione di massa»? Perché le piattaforme digitali continuano a lanciare soluzioni palliative che non possono cambiare le cose? Cos'è andato storto?

Ecco la settima puntata di una serie che proverà a rispondere a questa domanda. Trovate qui la prima, qui la seconda, qui la terza, qui la quarta , qui la quinta e qui la sesta . La prossima, l'ultima puntata, uscirà martedì 29 aprile.

All’alba degli anni Venti la tempesta populista che aveva scosso il mondo sembrava passata. L’offensiva respinta. Il 20 gennaio 2021 alla Casa Bianca era tornato Joe Biden, un esperto servitore dello Stato che rispetto al suo predecessore del partito democratico, Barack Obama, del quale era stato vice presidente, nutriva una profonda diffidenza per la Silicon Valley: in campagna elettorale aveva detto più volte che, senza un vero contrasto alla disinformazione, i social network erano solo «uno strumento che corrode la democrazia» promettendo di porre un argine al potere delle aziende tecnologiche. Ce l’aveva soprattutto con Facebook. Il suo rivale, Donald Trump, era stato sconfitto nelle urne e, in seguito ad un assalto di un manipolo di sostenitori al Campidoglio, fomentati dal leader che parlava di «voto rubato» senza alcuna prova, era stato espulso da Facebook e Twitter, ovvero da quei social network nei quali si era dimostrato un autentico mattatore: l’algoritmo dell’engagement, infatti, che è notoriamente incurante della verità dei fatti, sembrava fatto apposta per il suo stile comunicativo tonitruante e minaccioso. Per quattro anni dalla Casa Bianca Trump aveva macinato follower e imposto trending topic come nessun altro prima; per questo quel doppio cartellino rosso digitale, oltre che un oltraggio, sembrava la sua fine politica.

Per i social network invece sembrava l’inizio di una nuova stagione, quella della maturità e della responsabilità. Dopo l’ondata di fake news degli anni precedenti, con l’emergenza Covid la politica aveva iniziato a pretendere un maggiore controllo dei contenuti, soprattutto si esigeva un argine alla fake news; nell’Unione Europea la Commissione stava per avviare il lungo procedimento legislativo che avrebbe portato all’approvazione di due leggi fondamentali che hanno reso le piattaforme digitali responsabili di quello che accade online. Anche per scongiurare un esito di questo tipo, Mark Zuckerberg si era lasciato convincere a nominare una speciale commissione di saggi che aveva il compito di dirimere tutti i casi più spigolosi sui contenuti postati dagli utenti su Facebook e Instagram. Non era così facile come appariva. Le immagini delle violenze sui civili in Sudan andavano rimosse o no? E quelle di un ospedale bombardato a Gaza? E il video di una ragazza col seno nudo per promuovere una campagna contro il cancro alla mammella? (tutti e tre i post erano stati rimossi automaticamente dall’algoritmo di Meta e riammessi successivamente). Era una strana situazione: da un lato, con i suoi algoritmi, Zuckerberg diffondeva contenuti complottisti e antiscientifici per aumentare engagement e fatturato; mentre dall’altro, con la Oversight Commission, ne moderava alcuni. Era chiaro che sarebbe finita male.

Intanto gli studenti di tutto il mondo erano alle prese con la DAD , la didattica a distanza imposta dalla vita al tempo della pandemia. Gli allarmi degli anni precedenti sulla necessità di ridurre lo screen time degli adolescenti erano andati in frantumi con il primo lockdown. Eravamo tutti rassegnati al fatto che non c’erano più limiti ormai al tempo che si poteva trascorrere davanti ad uno schermo: che altro si poteva fare chiusi in casa? Ovunque era stata improvvisata una strana forma di istruzione impartita tramite internet da insegnanti evidentemente impreparati al ruolo e costretti a fare lezione dal tinello o dalla cucina a classi fatte di tanti schermi spenti e quindi mentre gli studenti probabilmente facevano tutt’altro. Per la scuola quella breve stagione - che però ci è apparsa lunghissima - era stata una caporetto. Non solo era stata la prova del ritardo di cultura digitale dei docenti ma anche della complessiva inadeguatezza dell'istituzione tutta a capire cosa stava succedendo davvero: gli studenti erano improvvisamente cambiati.

Sembravano avere un altro modo di apprendere, di informarsi, di esprimersi. E avevano perso completamente interesse per lo studio. Per confortarci ci dicemmo: è colpa della DAD; ma non era vero, qualcosa di più profondo era successo. Non c’era stata solo una trasformazione, come ce ne sono sempre state; ma piuttosto una trasfigurazione. Per gli insegnanti (e per i genitori) gli adolescenti erano diventati irriconoscibili. E i ragazzi agli adulti ripetevano tutti più o meno lo stesso concetto: «Voi non ci capite, non ci potete capire». Era come se improvvisamente qualcuno avesse costruito un muro più alto del solito fra le generazioni. I social network in questo stavano giocando un ruolo fondamentale.

La grande sfida per il controllo della rete e del ricchissimo mercato pubblicitario digitale di Europa e Stati Uniti (500 miliardi di dollari, a spanne: un quarto del prodotto interno lordo di un Paese grande come l’Italia), si giocava tutta su di loro: sui più giovani. «Più gli utenti sono giovani e migliori sono le nostre performance», aveva spiegato nel 2019 un dirigente di Tik Tok in uno dei documenti interni dell’azienda emersi solo alla fine del 2024 in seguito alle numerose cause intentate negli Stati Uniti ai social network («As expected, across most engagement metrics, the younger the user, the better the performance»). La «performance» a cui si riferiva il dirigente della società cinese consiste nel tempo trascorso online, guardando un video dopo l’altro, senza stancarsi mai (si chiama  scrolling infinito, un concetto inventato da uno sviluppatore americano nel 2006 per impaginare un sito web, ma diventato lo standard dei social quindici anni più tardi). «I giovani non sono capaci di smettere», scriveva negli stessi giorni al suo team un altro dirigente di Tik Tok alludendo a quel filone della neuroscienza per il quale il cervello degli adolescenti, e soprattutto dei preadolescenti, per ragioni legate allo sviluppo, sarebbe più facilmente manipolabile di quello degli adulti («Minors do not have executive function to control their screen time, while young adults do»). Per questo, cito ancora un dirigente di Tik Tok, nel mondo dei social media era partita «una corsa agli armamenti per il controllo dell'attenzione» dei giovani. Gli armamenti erano gli algoritmi e quello di Tik Tok era sicuramente il più efficace.

Insomma, gli amministratori delegati delle piattaforme digitali lo sapevano bene quello che stavano facendo. Stavano attirando ragazzi e ragazzini online affinché ci stessero più tempo possibile incuranti delle conseguenze. E lo stavano facendo piuttosto bene. Nel 2021 negli Stati Uniti (in Europa in dati sono molto simili) il 95 per cento degli adolescenti, praticamente tutti, era sui social media; ma ci stava anche la metà dei tween, i ragazzini fra 10 e 12 anni, nonostante il divieto per i minori di 13 anni (aggirabile con un clic rispondendo «sì» alla domanda: «Hai più di 13 anni?»); e ci stava persino un terzo dei bambini fra 7 e 9 anni. Questo dato va sottolineato: almeno un terzo dei bambini da 7 anni in su ha un account social, attivato probabilmente, ma non necessariamente, con il consenso dei genitori e mentendo sull’età al momento dell’iscrizione. Sono bambini, entrati in un posto da grandi, senza protezioni.

L’utilizzo dei social senza limiti di età è ovviamente noto a quei genitori che hanno dato ai figli troppo presto uno smartphone in mano pensando di tenerli occupati mentre loro sono al lavoro e di farli crescere al passo con i tempi («mio figlio è un campione con l’iPhone, è più bravo di me!»); ed è noto anche alle aziende tecnologiche i cui algoritmi sono in grado di dedurre con notevole precisione la vera età di ciascun utente. Ma c’è una differenza importante fra queste due consapevolezze: Meta, Tik Tok ma anche Google per YouTube e Snapchat (poco diffuso in Europa ma forte negli Stati Uniti), sapevano anche quello che stava accadendo alla salute mentale dei loro giovani utenti. Lo sapevano e non si sono fermati. Nessuno di loro si è fermato per non perdere fatturato.

Questa, insomma, non è la storia di un errore di valutazione, è la storia di un inganno. Gli uffici di pubbliche relazioni di Meta, Tik Tok e degli altri ci dicevano: sta andando tutto benissimo, noi ci teniamo un sacco alla salute dei ragazzi; e vogliamo fare un patto con i genitori, lo volete fare un patto con noi? Vi aiutiamo. Ma era solo un modo per guadagnare tempo. E soldi. Questa è la storia di una infinita serie di omissioni e di storielle rassicuranti raccontate soltanto nel nome del profitto; e va spiegata bene.

Nel caso di Tik Tok la verità l’abbiamo scoperta da poco, nell’ottobre 2024, e l’abbiamo scoperta per caso. I procuratori generali di due stati americani, il Kentucky e il Nebraska, avevano presentato una citazione per danni contro i social raccogliendo moltissimi documenti interni alle piattaforme che erano poi stati depositati sbianchettando i passaggi fondamentali in attesa della conclusione del giudizio e di un possibile accordo risarcitorio (qualcosa tipo: se paghi i danni non li pubblichiamo e ti salviamo la reputazione). Ma il cronista di una radio locale aveva scoperto che copiando e incollando il testo, ben trenta pagine del documento originale tornavano leggibili nella loro interezza.

Quelle pagine costituiscono uno spaccato di quello che stava accadendo online all’inizio degli anni Venti visto dalla plancia di comando della app più scaricata del mondo. Tik Tok ovviamente.

Intanto un dato. A Pechino hanno calcolato quanto tempo impiega l’algoritmo di raccomandazione dei contenuti a sapere esattamente cosa farci vedere per tenerci ingaggiati e renderci psicologicamente dipendenti dalla piattaforma: 260 video che, considerando la durata di appena 8 secondi di molti video, equivalgono a circa 35 minuti. Dopo, siamo spacciati. Fermiamoci un attimo su quel numero: 8 secondi. Per molti psicologi è diventato la misura della nostra capacità di attenzione: ogni 8 secondi passiamo ad altro, sentiamo un irresistibile impulso a cambiare argomento, un altro video per favore. Se avete figli adolescenti, avete notato la fatica che fanno non dico a leggere un libro ma anche a guardare un film? Il cinema è diventato troppo lento per loro. Figuratevi una lezione frontale a scuola.

In un altro documento, che cita una ricerca interna, si dice che «l’uso compulsivo di Tik Tok, è correlato con una serie di problemi mentali quali la perdita delle competenze analitiche, della formazione della memoria, del pensiero contestuale, della profondità della conversazione, dell’empatia e un aumento dell’ansia». Non lo dicono gli avversari dei social, non lo dicono dei boomer nostalgici del tempo che fu, non lo dicono degli insegnanti frustrati dalla disattenzione che regna sovrana in classe: lo dicono i ricercatori di Tik Tok ai loro capi. Dicono anche che l’uso eccessivo della piattaforma interferisce con alcune «funzioni essenziali della persona tipo dormire, gestire gli impegni scolastici o di lavoro, connettersi con i propri affetti».

Eccolo, il terremoto. Era inevitabile che l'epicentro delle scosse fosse la scuola. È stato calcolato che in media un adolescente riceve circa 240 notifiche al giorno. Come potevano resistere gli studenti a questa «arma di distrazione di massa»? Del resto in quel periodo Tik Tok mandava notifiche anche durante l'orario scolastico o nel pieno della notte incurante dell’età degli utenti: e infatti il 20 per cento degli adolescenti risultava attivo fra mezzanotte e le cinque del mattino. Funziona così: tu metti a dormire i tuoi figli tranquillo, «buonanotte tesoro, a domani», e loro riaccendono il telefonino nel buio delle loro camerette e al mattino sono dei cadaveri. Come mai? Quando qualcuno ha sollevato il problema l’ufficio pubbliche relazioni di Tik Tok ci ha rassicurato che era tutto sotto controllo e che però avrebbero iniziato a mandare avvisi ai più giovani per dire che «è ora di andare a dormire» postando, solo per gli adolescenti, dei video con musica rilassante. Come vendere cheeseburger e patatine fritte con l’avviso «attenti al colesterolo».

In realtà c’erano, e ci sono ancora strumenti per limitare l’uso dell’app da parte dei giovanissimi: da un certo momento in poi ai genitori è stato permesso di stabilire un limite di utilizzo quotidiano per i figli fra quaranta minuti e due ore. Venne anche lanciata una campagna per promuovere i «break videos», video che ricordavano all’utente di fare un break ogni tanto, di interrompere lo scrolling infinito e fare altro; ma un test interno dimostrò che la riduzione del tempo online dopo questa iniziativa in media era stata di appena un minuto e mezzo. Nei documenti pubblicati dalla radio americana c’è il commento di un project manager su questa situazione: «Il nostro obiettivo in fondo non è davvero ridurre il tempo trascorso online». E allora perché continuare a lanciare palliativi spacciandoli per strumenti che davvero potevano cambiare le cose? Risposta: «Questi strumenti non hanno alcuna utilità pratica ma ci servono per avere qualcosa da dire (“talking points”) quando ci chiamano i politici». Fuffa. Ma molto ben raccontata.

 

  • Melius 1
Inviato

Potrei portare altri contributi

Come una sintesi sul narcisismo del libro postato, il quale risulta piuttosto esaustivo, oltre alle teorie base di Freud

Il narcisismo secondo A. Lowen e secondo un approccio ampliato (transpersonale)

Però, siamo fuori tema e penso non interessi a nessuno 

Anche se il fenomeno è interessante, non tanto come denuncia, o giudizio nel confronti di alcunché, ma semplicemente come atto di auto consapevolezza 

Come detto, il conosci te stesso è un assunto sempre valido, per non dire cardine

Insistere sulle manchevolezze altrui (anche se fossero reali), spesso nasconde un bisogno di prevalere e di superiorità 

È sempre auspicabile prima esaminare bene se stessi e le proprie istanze interiori

Per letture e approfondimenti ho per lo più, questo tipo di approccio

 

Inviato
4 ore fa, Savgal ha scritto:

Se hai la pazienza necessaria per leggerlo)

Letto con piacere. Ca va sans dire - non metto in discussione intuizioni e teorie di Freud che, in ogni caso, andrebbero riviste alla luce delle attuali conoscenze neuro scientifiche. Ad ogni modo, pienamente consapevole di ripetermi, sarebbe interessante poter disporre di “numeri” per quantificare il fenomeno ( libido narcisistica diretta verso il proprio io - se stessi) in una ipotetica scala che va dal normale al patologico raggruppati per cluster anche se nel corso della vita lo “stato” del singolo individuo può variare un numero di volte non determinabile

Inviato

@extermination

Dovrei fare una ricerca se vi sono saggi sull'argomento. In questi giorni ho cominciato a leggere il libro che ho citato di Lasch L'approccio mi pare più culturale che psicologico.

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Inviato
29 minuti fa, Savgal ha scritto:

L'approccio mi pare più culturale che psicologico.

Ca va sans dire - determinati contesti sociali e culturali possono portare ( o meglio portano) ad una diminuzione dell'empatia, della solidarietà, ad un aumento dell’ individualismo ad una enfatizzandone del successo e della competizione- solo per dirne un paio.

  • Melius 1
Inviato

Circa la diffusione del narcisismo:

 

Conclusione: Impatto vs. Diffusione

In sintesi:

· Il Narcisismo Patologico (NPD) è un disturbo raro (<1%).
· I tratti narcisistici sono invece molto comuni, specialmente in contesti ipercompetitivi e sui social media.
· L'impatto sociale del fenomeno (nelle relazioni, sul lavoro) è di gran lunga superiore alla percentuale di diagnosi cliniche. Questo perché anche tratti sub-clinici possono creare dinamiche relazionali molto disfunzionali e dolorose per chi le subisce.

Quindi, mentre poche persone hanno un NPD conclamato, un numero molto maggiore di persone ne subisce gli effetti nella vita quotidiana, rendendo il fenomeno percepito come molto più diffuso delle sue cifre cliniche

Deepseek 

 

Inviato

Dissolto il senso di appartenenza ad una comunità e dei vincoli posti dalla religione, rifiutato l'ordine delle relazioni umane della società stabilito dalla tradizione e sanzionato ed espresso dalle convenzioni e dalle proibizioni sociali, rifiutato ogni altro modello di ordinamento sociale in nome dell'autonomia illimitata dei propri desideri individuali, la conseguenza è una società composta di individualisti egocentrici estremi. 

Non sarà il narcisismo patologico, ma gli si avvicina molto

Inviato
9 ore fa, LUIGI64 ha scritto:

il conosci te stesso è un assunto sempre valido, per non dire cardine

IMHO è la base di tutto, più che altro "essere in pace con te stesso"; solo da qui può venire una buona vita.

Accettando i propri limiti scompare qualsiasi frustrazione e scontento.

E questo è il traguardo, è impegnativo e ci vuole tempo.

 

 

 

  • Melius 1
Inviato

La solitudine non è né una condanna né una malattia.

Deve essere condita con sano ozio e tanto amor proprio.

La vita sociale deve essere giusto il necessario, meglio se frivola.

L'amor proprio deve proteggerci dalle masse petulanti che ci circondano.

Letture non troppo impegnative e tanta sana musica aumentano a dismisura il piacere della solitudine.

Naturalmente frequentando solo questo social

extermination
Inviato

@loureediano vale a dire pensare “quasi solo” a te stesso, ai tuoi bisogni, al tuo benessere interiore ed esteriore disinteressandoti “quasi completamente” agli altri. @LUIGI64 qual’è il tuo punto di vista su questo tipo di atteggiamento? ovviamente ogni riferimento a @loureediano sarà puramente casuale.

Gaetanoalberto
Inviato

Aprirei un thread su: "narcisismo e partecipazione"

Inviato

@extermination parla di amor proprio...un concetto non ben definito 

Non vorrei che si cada in un isolazionismo eccessivo, per evitare di confrontarsi con gli altri, visti come minacciosi, o invadenti

extermination
Inviato

 

Come dicevo in altro 3d ( ma quà ci azzecca di più) Si osservi quanto può cambiare la personalità del Signor Rossi nella vita professionale rispetto a quella che il Sig. Rossi manifesta nella vita sociale ( più adolescenziale!?- giusto per riprendere il titolo)

Pur essendo pienamente consapevole della diversità delle due “comunità” ( intendendo l’azienda una comunità) e dei diversi aspetti e meccanismi che le regolano, credo varrebbe la pena di un approfondimento. Ma a breve inizia anche per me la giornata lavorativa…

 

briandinazareth
Inviato
3 ore fa, loureediano ha scritto:

La solitudine non è né una condanna né una malattia.

 

beh, in realtà ha molte cose in comune con la malattia, o meglio, è prodromo alla malattia, all'invecchiamento precoce e alla morte :classic_biggrin:

collegandomi al discorso sulla longevità, la solitudine è forse il fattore più importante nel rischio di morte prematura.

ma capisco benissimo quello che dici e io, nonostante sia molto sociale, ho necessità fisica di spazi di solitudine abbastanza frequenti.

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