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Il Nobel per la Pace 2025 a Maria Corina Machado


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Inviato

Eppure Trump pensava proprio di meritarlo quel premio, mannaggia, specialmente dopo che ci ha obbligato a spendere un botto per il riarmo, non è giusto, la Meloni deve organizzare una manifestazione pro Trump. 

Inviato
36 minuti fa, appecundria ha scritto:

magnate dell’acciaio di lontane origini sefardite, di posizioni rigidamente sioniste.

Dicono che sono perseguitati da duemila anni e che hanno avuto il genocidio eppure spuntano come i venditori di ombrelli a Roma appena fanno due gocce.

  • Confused 1
Inviato
21 ore fa, Enrico VIII ha scritto:

CarloCa tu hai capito bene chi è la Machado?

Una ricca signora ebrea sionista tutto il resto è conseguenza.

Inviato

@appecundria @CarloCa Ovviamente io non conosco di persona questa signora ma le info diffuse anche all'estero non sono così negative come le dipingete voi. Tutt'altro! Cercherò di saperne di più.Voi dove vi siete abbeverati per arrivare alle vostre conclusioni? Per favore mi postate qualche link? Grazie. (Inoltre la rabbia di Trump mi sembra genuina... 😊).

Inviato
47 minuti fa, mom ha scritto:

dove vi siete abbeverati per arrivare alle vostre conclusioni? Per favore mi postate qualche link?

MT sono mie personali competenze, conoscenze e riflessioni. Uso i link per i fatti di cronaca, se possibile cronaca vera.

Peraltro credo di non aver scoperto chissà cosa: chi è Maduro lo sappiamo, come sappiamo le contestazioni che riceve, cosa sta facendo in questo preciso momento Trump contro il Venezuela lo sappiamo, chi è Mari Cor lo sappiamo, gli interessi Usa sul petrolio li sappiamo.

Però occhio che non ho mica detto che è una delinquente, ci mancherebbe altro. Sì, ha qualche problema col concetto di democrazia, ma è una figura piuttosto frequente di politico sudamericano, un po' borderline per noi comodi divanisti europei (troppi ne abbiamo visti agitare seghe elettriche) ma perfetta nel suo habitat naturale. Insomma, non è Matteotti, nessuno le ha mai torto un capello e comunque sono affari dei venezuelani. 

L'unica cosa che non sappiamo è cosa c'entra la pace con lei. Forse perché non ha dato seguito al golpe dei militari che ha minacciato. 

  • Melius 2
Inviato

@appecundria Grazie per la risposta.  Vedrò di informarmi e capire di più.  Certo, come dici bene, bisogna calarsi nel contesto particolare sudamericano fatto di luci e di ombre. 😊

 

 

Inviato
Adesso, mom ha scritto:

calarsi nel contesto

Certo, se uno pensa in termini europei, i sudamericani sembrano tutti una massa di pazzoidi ma bravi a giocare al pallone. 😀

  • Haha 1
Inviato

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Ecco, mancava solo il sigillo della Von der Leyen a questo ‘Nobel per la Pace’.
Non che servisse per capire quanto sia diventato strumentale e orientato, ma almeno ora non ci sono più dubbi.

 

Questo premio non onora solo il tuo coraggio e la tua convinzione.

Ma ogni voce che rifiuta di essere messa a tacere. In Venezuela e in tutto il mondo.

Invia un messaggio potente.

Lo spirito di libertà non può essere imprigionato.

La sete di democrazia prevale sempre.

Cara María, la lotta continua."

 

Inviato
1 ora fa, claravox ha scritto:

voce che rifiuta di essere messa a tacere

In verità non è mai stata detenuta e, in quanto a voce, parla continuamente.  Diciamo che è stata trattata peggio Greta a Gaza.

Inviato

https://scenarieconomici.it/venezuela-lincredibile-offerta-di-maduro-agli-usa-per-evitare-la-guerra-ma-la-neovincitrice-del-nobel-machado-promette-ancora-di-piu/#goog_rewarded

Venezuela: L’incredibile offerta di Maduro agli USA per evitare la guerra. Ma la neovincitrice del Nobel, Machado, promette ancora di più

[…]
 

L’offerta che Washington ha rifiutato

Nel disperato tentativo di porre fine allo scontro, il governo Maduro avrebbe offerto agli Stati Uniti concessioni che avrebbero smantellato l’intera architettura di nazionalismo delle risorse, pilastro del movimento chavista. In pratica, un’abiura totale in cambio della sopravvivenza politica. L’offerta, secondo le fonti, includeva:

Una partecipazione dominante per le aziende USA in tutti i progetti petroliferi e minerari (oro compreso) del Venezuela, sia presenti che futuri.

Contratti preferenziali garantiti alle imprese americane in tutti i settori strategici.

L’inversione dei flussi di esportazione del petrolio, dirottando le forniture destinate alla Cina verso gli Stati Uniti.

Un drastico taglio dei contratti energetici e minerari in essere con aziende cinesi, russe e iraniane.

In sostanza, Maduro offriva a Washington le chiavi economiche del Venezuela, trasformando il paese in un protettorato energetico americano e tagliando i ponti con i principali rivali geopolitici degli USA. Un’offerta che qualunque amministrazione, sulla carta, considererebbe irrinunciabile. Eppure, Trump ha rispedito l’offerta al mittente.

 


La controproposta del Nobel per la Pace


Perché rifiutare un accordo così vantaggioso? La risposta ha un nome e un volto: María Corina Machado, leader dell’opposizione e, guarda caso, freschissima vincitrice del Premio Nobel per la Pace, assegnatole venerdì dal comitato di Oslo per aver “tenuto accesa la fiamma della democrazia”.

A quanto pare, la linea dura del Segretario di Stato Marco Rubio ha prevalso, e l’amministrazione americana è molto più allettata dalla proposta economica avanzata proprio dalla Machado. La sua tesi è semplice ma efficace: Maduro, anche se volesse, non potrebbe garantire la stabilità necessaria per gli investimenti. Un accordo con lui sarebbe precario, basato sul terrore e non sullo stato di diritto.


La squadra della Machado, invece, promette un piatto molto più ricco:

Un’apertura totale all’economia internazionale basata su democrazia e certezza del diritto.

Un potenziale economico per le aziende americane stimato in $1.700 miliardi nei prossimi 15 anni.

Come ha dichiarato al Times Sary Levy, consigliera economica della Machado, “Quello che Maduro offre agli investitori non è stabilità, è controllo, un controllo mantenuto attraverso il terrore”. Secondo Levy, l’amministrazione Trump ha dimostrato di non voler cadere nella trappola di “soluzioni facili”.

Resta la curiosa coincidenza di un Premio Nobel per la Pace assegnato proprio alla figura su cui gli Stati Uniti sembrano puntare per un cambio di regime, in un contesto di massima tensione militare. Un premio che, secondo il comitato norvegese, celebra la pace, ma che nei fatti potrebbe spianare la strada a un’operazione che di pacifico rischia di avere ben poco. Tempi interessanti, non c’è che dire.

[…]
 

Che ruolo gioca il Premio Nobel per la Pace assegnato a María Corina Machado in questo scenario?

Il tempismo dell’assegnazione è politicamente molto significativo. Il Premio Nobel conferisce a María Corina Machado un’enorme legittimità internazionale e la consacra come l’unica alternativa credibile a Maduro agli occhi del mondo. Questo riconoscimento indebolisce la posizione di Maduro, rendendo più difficile per lui dipingere l’opposizione come un semplice gruppo di “golpisti” manovrati dagli USA. Di fatto, il Nobel agisce come un potente strumento di soft power, preparando il terreno diplomatico e mediatico per un eventuale cambio di regime, presentandolo non come un’ingerenza, ma come il sostegno a una campionessa della democrazia.

 

 

 

 

  • Thanks 1
Inviato

Se qualcuno avesse qualche dubbio sulle reali motivazioni del dispiegamento della 

flotta americana davanti alle coste del Venezuela, il bombardamento ciclico di barche che gli USA asseriscono essere di trafficanti, riporto un articolo di Pino Arlacchi: 

 

Il narco-Venezuela: la grande bufala

di Pino Arlacchi

L’ennesimo tentativo Usa di ingerire in un Paese che - lo dice l’Onu - ha estirpato la coca, la marijuana ecc. e i cartelli che ne gestiscono il traffico. Geopolitica del petrolio travestita da lotta alla droga

 

Durante il mio mandato alla guida dell’Unoc, l’agenzia antidroga e anticrimine dell’Onu, sono stato di casa in Colombia, Bolivia, Perù e Brasile ma non sono mai stato in Venezuela. Semplicemente, non ce n’era bisogno.

 

La collaborazione del governo venezuelano nella lotta al narcotraffico era tra le migliori dell’America latina. Il paese era pieno di problemi, ma era del tutto estraneo al circuito della produzione, del traffico e perfino del consumo di droghe pesanti. Dati di fatto assodati che oggi, nella delirante narrativa trumpiana del “Venezuela narco-Stato”, sostanziano una calunnia geopoliticamente motivata. Le analisi che emergono dal Rapporto mondiale sulle droghe 2025 dell’organismo che ho avuto l’onore di dirigere, raccontano una storia opposta a quella spacciata dall’amministrazione Trump, che smonta la montatura costruita attorno al Cartel de los soles venezuelano, una supermafia madurista tanto leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce d’intervento militare contro un paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta.

 

Il rapporto Onu 2025, appena pubblicato, è di una chiarezza cristallina, che dovrebbe imbarazzare chi ha costruito la demonizzazione del Venezuela. Il documento menziona appena il Venezuela, affermando che una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il paese nel suo cammino verso Usa ed Europa. Il Venezuela, secondo l’Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di foglia di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali. Il documento non fa altro che confermare i 30 rapporti annuali precedenti, che non parlano del narcotraffico venezuelano perché questo non esiste. Solo il 5% della droga colombiana transita attraverso il Venezuela. Ben 2.370 tonnellate – dieci volte di più – vengono prodotte o commerciate dalla Colombia stessa, e 1.400 tonnellate passano dal Guatemala. Sì, avete letto bene: il Guatemala è un corridoio di droga sette volte più importante di quello che dovrebbe essere il temibile “narco-Stato” bolivariano. Ma nessuno ne parla perché il Guatemala è a secco dell’unica droga non naturale che interessa Trump: il petrolio. Il paese ne produce lo 0,01% del totale globale.

 

Il Cartel de los soles è una creatura dell’immaginario trumpiano. Si potrebbe tradurre in italiano come “Il cartello delle sòle”. Esso sarebbe guidato dal presidente del Venezuela, ma non viene citato né nel rapporto del principale organismo mondiale antidroga né nei documenti di alcuna agenzia anticrimine europea o di altra parte del pianeta. Solo la Dea americana gli dedica un riferimento fondato su prove segrete, che potete stare certi non lo sarebbero se avessero un minimo di consistenza e fossero corroborate da altre fonti. Come può un’organizzazione criminale così potente da meritare una taglia di 50 milioni di dollari, essere completamente ignorata da chiunque si occupi di antidroga al di fuori degli Usa?

 

In altre parole, quello che viene venduto come un super-cartello alla Netflix è in realtà un miscuglio di piccole reti locali e di qualche episodio di corruzione. Il tipo di criminalità spicciola che si trova in qualsiasi paese del mondo, inclusi gli Usa, dove – per inciso – muoiono ogni anno quasi 100 mila persone per overdose da oppiacei che nulla hanno a che fare col Venezuela, e molto con Big Pharma americana.

 

L’Ue non ha speciali interessi petroliferi in Venezuela, ma ha un interesse concreto nel combattere il narcotraffico che affligge le sue città. L’Unione ha pubblicato il suo Rapporto europeo sulle droghe 2025.

 

 

Il documento, basato su dati reali e non su wishful thinking geopolitici, non cita neppure una volta il Venezuela come corridoio del traffico internazionale di droga, e ignora del tutto “Il cartello delle sòle”. Sta qui la differenza tra un’analisi onesta e una falsa narrativa. L’Europa ha bisogno di dati affidabili per proteggere i suoi cittadini dalla droga, quindi produce studi accurati. Gli Usa hanno bisogno di giustificazioni per il loro bullismo petrolifero, quindi producono propaganda mascherata da intelligence.

 

Secondo il rapporto europeo, la cocaina è la seconda droga più usata nei 27 paesi Ue, ma le sue fonti principali sono chiaramente identificate: Colombia per la produzione, America centrale per lo smistamento, e varie rotte attraverso l’Africa occidentale per la distribuzione finale. In questo scenario, Venezuela e Cuba non ci sono.

 

Mentre Washington agita lo spauracchio venezuelano, i veri hub del narcotraffico prosperano quasi indisturbati. L’Ecuador, per esempio, con il 57% dei container di banane che partono da Guayaquil e arrivano ad Anversa carichi di cocaina. Le autorità europee hanno sequestrato 13 tonnellate di cocaina in una singola nave spagnola, proveniente proprio dai porti ecuadoriani controllati dalle aziende Noboa Trading e Banana Bonita, appartenenti alla famiglia del presidente ecuadoriano, Daniel Noboa.

 

Uno studio dell’Unione europea documenta come le mafie colombiane, messicane e albanesi operano tutte alla grande in Ecuador. Il tasso di omicidi del paese è schizzato da 7,8 per 100.000 abitanti nel 2020 a 45,7 nel 2023. Ma dell’Ecuador si parla poco o nulla. Forse perché l’Ecuador produce solo lo 0,5% del petrolio mondiale, e perché il suo governo non ha la cattiva abitudine di sfidare lo strapotere Usa nel continente?

 

Una delle lezioni più importanti che ho imparato durante i miei anni all’Onu è che la geografia non mente. Le rotte della droga seguono logiche precise: vicinanza ai centri di produzione, facilità di trasporto, corruzione delle autorità locali, presenza di reti criminali consolidate. Il Venezuela non soddisfa quasi nessuno di questi criteri. La Colombia produce oltre il 70% della cocaina mondiale. Perù e Bolivia coprono la maggior parte del restante 30%. Le rotte logiche per raggiungere i mercati americani ed europei passano attraverso il Pacifico verso l’Asia, attraverso i Caraibi orientali verso l’Europa, e via terra attraverso l’America centrale e il Messico verso gli Stati Uniti. Il Venezuela, affacciato sull’Atlantico meridionale, è geograficamente svantaggiato per tutte e tre le rotte principali. La logistica criminale rende il Venezuela un attore marginale del grande teatro del narcotraffico internazionale.

 

La geografia non mente, ma la politica può sconfiggerla. Cuba rappresenta ancora oggi il gold standard della cooperazione antidroga nei Caraibi. Isola poco distante dalle coste della Florida, base teoricamente perfetta per avvelenare gli Stati Uniti, ma che è totalmente estranea ai flussi del narcotraffico.

 

Ho riscontrato più volte l’ammirazione degli agenti Dea e Fbi verso le rigorose politiche antidroga dei comunisti cubani. Il Venezuela chavista ha costantemente seguito il modello cubano di ostilità alla droga inaugurato da Fidel Castro in persona. Cooperazione internazionale, controllo del territorio, repressione delle attività criminali. Né in Venezuela né a Cuba sono mai esistiti larghi pezzi di territorio coltivati a coca e controllati dalla grande criminalità.

 

Ma il Venezuela viene sistematicamente insolentito contro ogni principio di verità. La spiegazione l’ha fornita l’ex direttore dell’Fbi, James Comey, nel suo libro di memorie post-dimissioni, nel quale ha parlato delle vere motivazioni delle politiche americane verso il Venezuela: Trump gli aveva detto che quello di Maduro era “un governo seduto su una montagna di petrolio che noi dobbiamo comprare”. Non si tratta di droga, criminalità, sicurezza nazionale. Si tratta di petrolio che sarebbe meglio non pagare.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/08/30/il-narco-venezuelala-grande-bufala/8109279/

 

 

 

Inviato

insomma ancora la solita minestra

c'era mi pare il re di giordania che con i casini che ci sono li aveva detto, meno male che di materie

prime abbiamo poco o quasi niente.


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