wow Inviato 13 Agosto 2021 Inviato 13 Agosto 2021 l verdetto del Fmi: "Più crescita nei Paesi dove la legge c’è" L’inclusione facilitata da una legislazione sulla cittadinanza "è motore di sviluppo" di Eugenio Occorsio (La Repubblica) «I Paesi dove vige un regime di ius soli tendono a essere più sviluppati di quelli che hanno altre regole». «L’inclusione facilitata da opportune leggi di cittadinanza è un motore di crescita economica e un fattore per spiegare perché alcuni Paesi sono più ricchi di altri». Raramente il Fondo Monetario Nazionale ha preso una posizione così decisa. Ma stavolta non ha dubbi: in un ponderoso documento fitto di tabelle e grafici intitolato "Does an inclusive citizenship law promote economic development?", spiega e argomenta scientificamente perché sia molto meglio per un Paese, specialmente se è esposto a un largo flusso di immigrazione, avere un regime di ius soli. Che viene equiparato – è la novità – senza più nessun dubbio a un fattore di sviluppo e crescita. Oltre che – anche questo è ben argomentato nello studio del Fmi – uno strumento di convivenza civile e di riconoscimento di diritti: «Distinguendo in modo netto i cittadini di un Paese da tutti gli altri, la legge crea degli ‘in’ e degli ‘out’ con forti tensioni sociali. Viceversa – continua il rapporto dell’Fmi – le norme dovrebbero facilitare l’integrazione predisponendo un semplice e trasparente percorso per la cittadinanza che crei un terreno di uguali opportunità per i nuovi arrivati». Il rapporto (reperibile sul sito www.imf.org) non fa sconti: «Se la legge esclude certi cittadini può in casi estremi portare a seri conflitti e danneggiare lo sviluppo economico. Norme inclusive sono un prezioso strumento di crescita, con profonde conseguenze per il mercato del lavoro, i programmi di welfare e le istituzioni stesse». Lo ius sanguinis, all’opposto «è più etnocentrico e per definizione meno inclusivo », laddove l’intera letteratura economica dimostra i problemi che derivano dalla marginalizzazione di interi gruppi di popolazione rispetto al ‘mainstream’ della società in cui vivono per la mancanza di nazionalità. A maggiore inclusione corrispondono «meno diseguaglianze di reddito, più parità di genere, miglior velocità di adattamento, in una parola più crescita». La differenza nella performance economica «trova una vivida illustrazione », per usare le parole del report, nei grafici che lo illustrano. I dati non sono recentissimi, ma esemplificativi. Fra il 1970 e il 2014 (lo studio è del 2019) i redditi pro capite dei Paesi con lo ius soli sono stati dell’80% più alti degli altri. Dove è riuscita un’opera meritoria: legare ogni singolo allo Stato attribuendogli un’identità precisa e legale, da affiancare naturalmente alla loro identità etnica basata sui legami con la terra d’origine. Nulla ostacola, aggiunge il Fmi, che si possa ampliare la fattispecie della doppia nazionalità, creata dalla Gran Bretagna nel 1949 e oggi diffusa soprattutto negli Stati Uniti. Oppure creare regimi misti come ha fatto la Germania dopo l’arrivo di milioni di turchi. Ma è materia da maneggiare con estrema cura: secondo il rapporto, ad esempio, è stato decisivo per il ritardo dello sviluppo dell’Africa subsahariana il fatto che usciti dal colonialismo i nuovi governi abbiano imposto una scelta di nazionalità. Il risultato è che gli antichi «coloni» bianchi, che magari individualmente avevano stabilito un ragionevole rapporto di collaborazione con la terra in cui vivevano, sono stati costretti ad andar via portando con sé competenze e capacità.
wow Inviato 13 Agosto 2021 Autore Inviato 13 Agosto 2021 Ius soli e integrazione di Renzo Guolo La discussione sullo Ius soli si incaglia sul nodo del consenso. Larga parte della società italiana è, quantomeno, scettica verso l’inclusione dei molti residenti di prima o seconda generazione. Per motivi ideologici e identitari, per timore della concorrenza nelle risorse scarse del welfare, per paura di un futuro "tribalizzato" in una società frantumata in nicchie etniche e religiose, o condizionato dal proliferare di sacche sociali e territoriali sempre più degradate. Paure che vanno politicamente affrontate, non rimosse con sufficienza o opportunisticamente usate per lasciare tutto come sta. Perché la politica di cittadinanza fondata, come in tutti i grandi Paesi occidentali, sullo Ius soli non trovi troppe resistenze, e diventi così politicamente costosa per i partiti, è necessario non solo tutelare i diritti di chi si ritrova ingiustamente nelle condizioni di figli di un dio minore, ma anche disegnare una cornice nella quale quel provvedimento "parli" alla nazione indicando un orizzonte. Insomma, il dibattito italiano sullo Ius soli è avvilente non solo per i vetusti veti ideologici e identitari della destra xenofoba, ma perché inesorabilmente monco. Come sempre domina la logica dei due tempi: prima lo Ius soli, poi... che cosa? Eppure, questo è il punto decisivo. La sacrosanta battaglia sullo Ius soli dovrebbe essere un tassello nella più vasta riflessione sull’integrazione culturale, che in Italia latita. Perché politicamente e culturalmente scomoda. Allargandosi al tema, sin troppo vituperato, del modello d’integrazione. Ne esistono molti, con pregi e difetti, in varie versioni, come insegnano altri Paesi europei che hanno sperimentato l’assimilazionismo o il multiculturalismo. In Italia, per attenuare le fratture politiche e superare le obiezioni di quanti, anche tra gli esperti, ne temevano le rigidità, si è preferito agire per stratificazione normativa. Immettendo ciclicamente nell’ordinamento nuove norme di legge, spesso cadute sotto i colpi di maglio dell’alternanza, che mancavano di un requisito fondamentale: indicare la direzione di marcia. Una direzione comprensibile a tutti, soprattutto a quanti dovevano, con il loro consenso, dare il via libera a quella difficile costruzione sociale. Si sono così verificate situazioni di fatto politicamente indicibili. Quando ha vinto la destra, si è imposto un assimilazionismo senza assimilazione, dominato da un muscolare quanto retorico richiamo al rispetto delle leggi esistenti — ciò che dovrebbe essere un prerequisito — senza che fosse messo sul tavolo il vero oggetto dello scambio politico legato al modello assimilazionista: la rinuncia ai particolarismi culturali nella sfera pubblica in cambio della cittadinanza, rimasta un voluto miraggio in uno schema law and order teso non solo a blindare i confini del riconoscimento ma a non darne alcuno. Quando ha vinto la sinistra, si è realizzato un prudente allargamento dei diritti fatto di microprovvedimenti, finalizzato a non irritare un elettorato sobillato da attivi imprenditori politici della xenofobia. Silenzio, invece, sul futuro; quasi a dire: ci penseranno i meccanismi sociali a produrre integrazione. Una sorta di ordoliberismo sociale che si limita a registrare quanto avviene nelle pieghe della vita quotidiana. Questa colpevole reticenza, frutto non solo della paura ma anche di un pigro conformismo intellettuale, ha fatto sì che la sinistra sia stata percepita come incapace di rassicurare, paralizzandone la capacità d’iniziativa. Ora la transizione demografica, il mercato del lavoro, la dignità umana delle persone, rendono ineludibile la questione. Ma perché la discussione decolli occorre guardare non solo al tema della cittadinanza ma anche al futuro di un’Italia non più omogenea culturalmente. Quello che spaventa parte della società italiana è il dopo, l’inconoscibile. Ed è su questo punto che vanno fornite rassicurazioni, oltre che la dimostrazione di saper governare un mutamento tanto ineluttabile quanto non semplice. È così che si misura la capacità di guida di una classe dirigente. 1
wow Inviato 9 Settembre 2021 Autore Inviato 9 Settembre 2021 leh Opryshko ha seguito tutto il percorso di studi nel nostro Paese "Vivo in Italia da vent’anni ma sarò costretto a sposarmi per avere la cittadinanza" di Maria Novella De Luca (Repubblica) . «Alla fine vedrai che dovrò sposarmi per avere la cittadinanza. Con la mia ragazza, italiana, a volte ci scherziamo su, certo sarebbe una beffa per uno come me che si batte per i diritti, ma dopo anni di promesse vane è lecito essere scettici. Però questo è il mio paese, sono arrivato a sei anni, qui ho studiato, possibile che l’Italia mi consideri ancora straniero?». Oleh Opryshko ha 27 anni, è nato a Sambir, in Ucraina, vive a Latina, parla quattro lingue oltre ad un italiano perfetto. Quasi laureato in Scienze Politiche, attivista di Amnesty International e dell’associazione #Italianisenzacittadinanza, è tornato da pochi giorni da Ventotene, dove ha partecipato al seminario dell’Istituto Altiero Spinelli sul futuro dell’Europa. «Anche se non ho ancora la cittadinanza italiana, anzi ho un passaporto extracomunitario, credo fortemente nell’Europa». Già. Oleh però, è prigioniero, invece, di uno dei tanti nonsense della attuale legge sulla cittadinanza. Troppo povero per ottenerla, ma con il divieto, in quanto non italiano, di fare lavori qualificati con i quali potrebbe guadagnare il giusto per richiederla. Oleh, cosa vuol dire che lei è troppo povero per diventare cittadino italiano? «Quando sei maggiorenne, non nato ma cresciuto in Italia, per richiedere la cittadinanza devi dimostrare di avere un certo Isee. Superiore agli ottomila euro per quattro anni consecutivi. Studio e lavoro, ho fatto il cameriere, l’operaio, il fattorino, part time per riuscire a finire l’università. E per questo l’Isee non l’ho mai raggiunto». Eppure lei parla quattro lingue, è diplomato. «Vero, ma in quanto extracomunitario non posso accedere ai concorsi pubblici, entrare nelle forze armate, sono escluso da moltissime selezioni. Capite la trappola? Senza la cittadinanza quell’Isee è quasi impossibile». Ricorda il suo arrivo da bambino ? «Avevo sei anni, mia madre già lavorava come badante. Per lei è stata durissima. Ho fatto tutte le scuole qui, mi sono integrato facilmente, ho imparato subito la lingua. E poi sono bianco, questo mi ha protetto dal razzismo che ha colpito invece molti miei coetanei stranieri e con la pelle nera. Ma in Italia non esiste lo Ius Culturae, quindi non è mi è stato riconosciuto alcun diritto». Se fosse passata la riforma dello Ius Soli nel 2016, oggi sarebbe italiano. «Quello è stato grande dolore, una vergogna. Il testo già approvato alla Camera prevedeva, per la prima volta, il riconoscimento del percorso scolastico per richiedere la cittadinanza. Calendarizzarono il testo, in extremis, alla fine dell’anno e alla fine della legislatura, Calderoli chiese la verifica del numero legale, ma gran parte dei senatori erano già partiti per le vacanze. Anche del Pd e dei Cinquestelle». Una vera débacle della politica. E della sinistra. «Guardavo la diretta del Senato e piangevo». Lei ha continuato a fare politica. « Quello fu un brutto schiaffo, per me però l’impegno è fondamentale. Poi sono arrivati i decreti sicurezza di Salvini a farci sentire ancora più indesiderati» Letta aveva annunciato che lo "Ius soli" sarebbe stata una priorità. «Sono convinto che il Pd ci creda. La legge però è sepolta alla Camera». Com’è stata la sua adolescenza in Italia? «Gli amici, la scuola, il calcetto. Il Milan e la Dinamo Kyiv. La musica dei Linkin Park. Tra gli scrittori Jack London ma anche Taras Schevchenko. La mia passione è la geopolitica. Tra poco mi laureo, però se volessi partecipare a una selezione per il ministero degli Esteri ad esempio, il mio sogno, non potrei». E negli anni della scuola? «Al liceo non sono potuto andare in Inghilterra con i compagni. Ci voleva un visto. Sapevo che per me tutto sarebbe stato più difficile. Una tecnica per farti sentire straniero. L’Italia però mi ha dato anche un padre, il marito di mia madre, per me una figura importantissima, purtroppo scomparso nel 2014». Resterà in Italia Oleh? Lo Ius Soli non è all’orizzonte. «Io mi sento europeo, nel senso di Altiero Spinelli. Prima però vorrei che la mia patria di oggi, l’Italia, mi desse ciò che mi spetta, la cittadinanza».
ilbetti Inviato 9 Settembre 2021 Inviato 9 Settembre 2021 Semplicemente civiltà. Chi ha fatto un percorso di studi italiano è italiano. Chi afferma il contrario non ha contatti con queste realtà. Ho una persona a me molto vicina che è in questo "limbo giuridico".... é una brillantissima studentessa universitaria, arrivata qui in Italia come "clandestina" ( aveva 6anni...) scappando da una guerra con sua madre....( che ha lavorato come un mulo con una dignità, un orgoglio, ed una dedizione a dir poco ammirevole...) Questa ragazza, ora ha 21 anni è "extracomunitaria" nonostante sia una "marchigiano-romagnola" nella cultura, nei modi, e lei stessa si definisce di qui....ha fatto domanda di cittadinanza insieme a sua madre e stà attendendo i "tempi bibilici" della nostra buorocrazia.....intanto ha vinto una borsa di studio a Bruxelles ...... 2
Jack Inviato 9 Settembre 2021 Inviato 9 Settembre 2021 @wow te l'ho detto che serve un "istituto" intermedio tra straniero residente e cittadino pieno. Quello che in Svizzera si chiama "Domiciliato" e che ha tutti i diritti del cittadini pieno. Anche lì il periodo di studio non conta, servono anni di lavoro. Nessuno vuol rischiare di lasciar arrivare persone che si vanno ad aggiungere al lungo elenco di mantenuti che già ci sono. Questa cosa la sx non la vuol capire e non riesce ad ottenere nulla anche per quelli che sono buoni cittadini potenziali. --- Su una cosa sono d'accordo con lo stato attuale: il limite di reddito. Questo pare un bravo guaglione ma sai quanti ce ne sono che vivono ai margini della società e appena cittadini passerebbero dalla "precarietà privata" a quella "pubblica" tipo RdC? La legge non puo' fare, tecnicamente, distinzioni soggettive tra medesime situazioni d'immigrazioni. Per cui tocca dimostrare di potersi mantenere da soli... 8'000€ di isee non saprei dire che reddito annuo sono ma dalla cifra non mi pare che siano un importo da nababbi. Finirà di studiare, si troverà un degno lavoro ed avrà anche il reddito per essere cittadino. Secondo me
wow Inviato 9 Settembre 2021 Autore Inviato 9 Settembre 2021 @Jack il rdc innanzi tutto occorre riformarlo, nel senso che occorre diventi un trattamento provvisorio in attesa di una occupazione: a un tot di offerte di lavoro che rifiuti (che rispettino naturalmente determinati parametri, naturalmente non puoi pensare di mandare un ragazzo da Trapani ad Aosta a 800 euro al mese) lo perdi. Ciò presuppone una riforma del centri di collocamento e far lavorare i navigator. Nel merito, il rdc il bravo guaglione lo potrebbe richiedere indipendentemente dalla cittadinanza. La cittadinanza servirebbe a lui, come spiegava l'articolo, per poter lavorare e a noi per non perdere l'ennesimo laureato.
wow Inviato 9 Settembre 2021 Autore Inviato 9 Settembre 2021 31 minuti fa, Jack ha scritto: lì il periodo di studio non conta, servono anni di lavoro. ho postato l'articolo proprio per far capire che molto spesso, senza cittadinanza, non puoi accedere a certe opportunità di lavoro.
piergiorgio Inviato 9 Settembre 2021 Inviato 9 Settembre 2021 7 minuti fa, wow ha scritto: molto spesso, senza cittadinanza, non puoi accedere a certe opportunità di lavoro. in regola
audio2 Inviato 9 Settembre 2021 Inviato 9 Settembre 2021 10 minuti fa, wow ha scritto: naturalmente non puoi pensare di mandare un ragazzo da Trapani ad Aosta a 800 euro al mese perchè no ? 10 minuti fa, wow ha scritto: molto spesso, senza cittadinanza, non puoi accedere a certe opportunità di lavoro e mi pare pure giusto.
wow Inviato 9 Settembre 2021 Autore Inviato 9 Settembre 2021 15 minuti fa, audio2 ha scritto: perchè no ? tu, non più ragazzino che vuole fare l'esperienza all'estero, ti trasferiresti lontano da casa a 800 euro al mese? Una volta che paghi l'affitto, luce, acqua cosa ti resta? 15 minuti fa, audio2 ha scritto: e mi pare pure giusto. quindi a te quello che accade al ragazzo dell'articolo (che forse non hai letto) ti sembra giusto? 1
extermination Inviato 9 Settembre 2021 Inviato 9 Settembre 2021 1 ora fa, wow ha scritto: rdc innanzi tutto occorre riformarlo Con la speranza che abbiano capito che correlare fortemente politiche sociali e politiche del lavoro..non funziona!
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