Pasquale SantoiemmaGiacoia Inviato 14 Aprile 2021 Inviato 14 Aprile 2021 Dormivo. Per la tacita notte scendeano sogni luminosi su li stanchi occhi miei; e mia madre vegliava – trepidante come un dì, ne la dolce puerizia, allor che i miei riposi scorrean sereni sovra il sen di lei – . D'un subito, nel sonno, mi percosse uno strano rumore di fondo al corridore; poi tre colpi vibrati e violenti tra mormorii confusi ancor gli occhi avea chiusi sentii picchiare a l'uscio lenti, lenti. Di sbalzo mi destai, e vidi, presso a me, la madre mia – «Ecco la polizia, Pietro» mi disse – pallida, atterrita. Io, mesto, mi levai, e già mi stava a lato un ispettore, che mostrommi il mandato, e, munito di ciarpa tricolore, mi dichiarò in arresto. Mia madre in pianti amari si struggea; cupi, muti, impassibili, come spettri d'un incubo funesto, sei poliziotti il letto abbandonato aveano circondato. Come un leone il mio babbo fremea, presso la porta, senza una parola. Passando – io l'abbracciai; poi la mamma baciai, (essa, da l'uscio, mi stendea le braccia.) Tra le guardie – levando alto la faccia la mia casa lasciai. Sotto il cielo piovoso si allungava Livorno addormentata, e il gran viale de le tamerici fuggìa per la tenèbra sconsolata. Da le quete pendici di Montenero, il venticel notturno si slanciava nel mare grigio, brullo, infinito, e taciturno come un lago morto. Lunge, su li orizzonti, la Meloria parea, nel gran silenzio, meditare, cupa e feroce ne le sue memorie. I navigli del porto ne la calma sinistra e sepolcrale figgean l'occhio sanguigno e pauroso. In alto – fiero e vigile – ravvolto di mistero e di caligine, il capo radioso – torreggiando – s'ergea del gran fanale. Muti c'incamminammo, e, su da la finestra, la madre mia – piangendo – mi chiamava. Io volsi altrove il viso; con cinico sorriso un pingue poliziotto mi guardava. Procedevamo, muti, lungo le vie deserte e silenziose. Di tratto in tratto qualche mattiniero e raro viandante, qualche cane errante passavano, gettando sospettose occhiate sopra questo gruppo triste e severo. Poi, con atti di tèma e di paura, rasentando le mura, scivolavan nel buio. Sotto una pioggerella fitta, assidua – come spinti dal soffio sciroccale – giungemmo a la Questura. Era – sembra – importante la cattura, giacché... ne rimpinzarono un verbale; e, a mezzo del telefono il questore chiamarono. Poi, per viuzze strette e solitarie mi trassero a le carceri. L'antico chiostro freddo, muto, plumbeo, ricetto di rimorsi e di sventura, aspettante, sorgea ne l'aria scura. Entrammo. E l'uscio si richiuse, lugubre come la pietra d'una sepoltura. --------Pietro Gori L'arresto (Livorno, dal carcere dei Domenicani 13 Maggio 1890).
andpi65 Inviato 14 Aprile 2021 Inviato 14 Aprile 2021 Non conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci. E se siamo fedeli al nostro compito arriva al cielo la nostra statura. L’eroismo che allora recitiamo sarebbe quotidiano, se noi stessi non c’incurvassimo di cubiti per la paura di essere dei re. E.D.
armando Inviato 25 Aprile 2021 Inviato 25 Aprile 2021 C’è un confine nell’intesa umana C’è un confine nell’intesa umana e non lo varca ardore nè passione, se pure nel silenzio si fondano le labbra, e il cuore si franga d’amore. Neppure l’amicizia può varcarlo né anni d’alta, fiammeggiante gioia, quando l’anima è libera ed aliena dal lento consumarsi del piacere. Chi vuole raggiungerlo è folle. Se lo tocca, è preda del rimpianto... Ora sai perchè non senti il mio cuore battere sotto la tua mano. Anna Achmàtova
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