mozarteum Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 Eppure la stampa la gruber giannini e la solita processione dei progressisti presenzialisti sta tirando fuori sta tiritera del patriarcato. vecchi arnesi lessicali e ideologici con cui si pretende di decifrare fatti nuovi 1
Questo è un messaggio popolare. pino Inviato 22 Novembre 2023 Questo è un messaggio popolare. Inviato 22 Novembre 2023 Nella coppia van chiariti i ruoli,i compiti,le responsabilità,pacatamente,senza prevaricazioni,o peggio ricatti psicologici,e mai e poi mai l'utilizzo della violenza. In particolare se vi sono uno o più figli. Riscontro in molte coppie di conoscenti di varia età una gran confusione,molta leggerezza,disassunzione di responsabilità,totale assenza di lungimiranza,tendenza a vivere alla giornata,in alcuni casi uno o entrambi lascian la famiglia e se ne van per conto loro magari a formarne un'altra,e dei figli chissenefrega si arrangieranno. Per quanto riguarda Turetta lo considero uno squilibrato,uno psicolabile,poteva ammazzare chiunque,anche fare una strage,semplicemente appiccando un incendio. A me quel che da fastidio sono i tam tam dei TG e gli speciali radio e tv. Dovrebbero riservare la notizia principale all 'inizio,per qualche minuto,poi passare ad altro notizie di carattere politico ed economico Italiane ed Estere. Invece appena finisce un servizio di una decina di minuti,ne inizia un'altro sullo stesso tema,per una settimana,poi si passa ad altro e poi si dimentica il tutto,sino al prossimo femminicidio. Nel frattempo non esistono più guerre,nel resto del mondo non succede nulla. Un tam tam monotematico,che lascia il tempo che trova. E non penso purtroppo che a livello legislativo si possa fare qualcosa per arginare il problema. Forse si dovrebbero prendere seriamente le denunce inoltrate,ed attuare dei provvedimenti,facile a parole,meno nei fatti. 3
audio2 Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 14 minuti fa, dago ha scritto: quindi quindi niente. in cima ai femminicidi in europa c'è mi pare la lettonia con la lituania seconda e li forse c'entra l' alcool o chi lo sa.
Velvet Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 6 minuti fa, mozarteum ha scritto: Eppure la stampa la gruber giannini e la solita processione dei progressisti presenzialisti sta tirando fuori sta tiritera del patriarcato. vecchi arnesi lessicali e ideologici con cui si pretende di decifrare fatti nuovi I fatti non mi sembrano nuovi. Comunque piuttosto che Gruber e Giannini che c'hanno anta anni per gamba a me impressiona sentire certe definizioni fuori dal tempo, slogan a pappagallo e analisi un tanto al chilo in bocca a ragazzine di vent'anni. Mi sembrano più vecchie delle loro nonne, che le battaglie femministe quelle toste le hanno fatte davvero.
Velvet Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 13 minuti fa, mozarteum ha scritto: Eppure la stampa la gruber giannini e la solita processione dei progressisti presenzialisti sta tirando fuori sta tiritera del patriarcato. vecchi arnesi lessicali e ideologici con cui si pretende di decifrare fatti nuovi I fatti e i problemi non mi sembrano nuovi. Comunque piuttosto che Gruber e Giannini che c'hanno anta anni per gamba a me impressiona sentire certe definizioni fuori dal tempo, slogan a pappagallo e analisi un tanto al chilo in bocca a ragazzine di vent'anni. Mi sembrano più vecchie delle loro nonne, che le battaglie femministe quelle toste le hanno fatte davvero. 1
dago Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 2 minuti fa, Velvet ha scritto: analisi un tanto al chilo in bocca a ragazzine di vent'anni. mi sa che abbiamo in mente la stessa ragazzina.
Velvet Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 11 minuti fa, pino ha scritto: Un tam tam monotematico,che lascia il tempo che trova. Non lascia il tempo che trova. Contribuisce anch'esso (assieme a tanti altri problemi reali e annosi ma amplificati alla bisogna a seconda del fatto di cronaca) ad ingenerare paura. Con la paura cresce l'ansia sociale, il panico. L'ansia sociale si controlla e si veicola offrendo soluzioni facili a problemi complessi. Ricetta vecchia fa buon brodo. 1
Velvet Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 2 minuti fa, dago ha scritto: mi sa che abbiamo in mente la stessa ragazzina. Non saprei, io oggi ho ascoltato per bene un discorso in merito di Big Mama, una trapper ventenne italiana. Più che big mama me pareva mì nonna.
LUIGI64 Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 I disagi psichici sono sempre più diffusi La dipendenza morbosa affettiva e il vuoto esistenziale, fanno il resto 1
mozarteum Inviato 22 Novembre 2023 Inviato 22 Novembre 2023 Ruoli e responsabilita’ devono possibilmente sposarsi con l’indole di ciascuno. Io dentro casa non so fare niente ma mia mogiie non mi fa mai sentire in colpa (ovviamente se vuole puo’ avere tutti gli aiuti domestici che le occorrono). Ma francamente ho studiato e fatto una professione onorevole per far bisoboccia e non caricare la lavatrice nel tempo libero
andpi65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 5 ore fa, pino ha scritto: E non penso purtroppo che a livello legislativo si possa fare qualcosa per arginare il problema. Son mica sicuro Pino, sinceramente. Un "codice rosso" non è sempre semplice da decifrare. E tutte le parole che ho sentito in sti giorni mi san molto di fuffa al lato pratico. Comunque il problema non lo azzeri, in ogni caso.
andpi65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 6 ore fa, pino ha scritto: E non penso purtroppo che a livello legislativo si possa fare qualcosa per arginare il problema. Son mica sicuro Pino, sinceramente. Un "codice rosso" non è sempre semplice da decifrare in assenza di denuncie, che non sempre ci sono, e comunque anche nel caso ti muovi sulla base delle normative in essere. Molte delle parole che ho sentito e letto in sti giorni mi san molto di fuffa al lato pratico. Il problema, purtroppo , non lo azzeri, in ogni caso.
maurodg65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 8 ore fa, daniele_g ha scritto: vero, però centinaia di casi / anno sono tanti Sono un centinaio di casi all’anno, che è certamente grave e che bisogna cercare idealmente di azzerare e non sono centinaia, nonostante il numero sono una frazione dei fatti analoghi che accadono nei paesi del nord Europa che da decenni sono portati ad esempio per l’emancipazione femminile, l’inclusione e la parità di genere.
maurodg65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 8 ore fa, Velvet ha scritto: Oggi la società è composta da individui più o meno sparsi, coppie di fatto o sposate con o senza figli dove entrambi gli adulti lavorano e sono indipendenti, insomma una società decisamente polverizzata. A me pare un falso bersaglio. Il problema è che per te il bersaglio è falso perché analizzi il problema per cercare una soluzione, ma il bersaglio è reale per chi lo strumentalizza per raggiungere un obiettivo diverso, tutto sommando sfruttando una tragedia che, numeri alla mano, è di dimensioni decisamente ridotte rispetto ad altre realtà sociali di paesi diversi dal nostro e culturalmente lontani da noi e, sulla carta, con una maggiore emancipazione femminile e maggiore parità di genere, in sostanza ci stanno dicendo che dovremmo andare come organizzazione sociale nella direzione di paesi che questo problema lo hanno e pure aumentato all’ennesima potenza, il senso trovalo tu.
maurodg65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 https://alleyoop.ilsole24ore.com/2022/03/25/paradosso-paesi-nordici/ Il paradosso dei Paesi nordici, primi per parità ma indietro sulla violenza di genere Manifestazione contro la violenza sulle donne. Montevideo, Uruguay, 2022 (AP/M. Campodonico) Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia sono ai primi posti nel Global Gender Gap Report 2021, l’indice del World Economic Forum che valuta la parità di genere basandosi su partecipazione economica, istruzione, salute, politica. Anche per il Gender equality index dell’Eige – Istituto europeo per l’uguaglianza di genere – Svezia, Danimarca e Finlandia (la Norvegia non fa parte dell’Unione Europea) sono tra i Paesi più virtuosi. L’Islanda nel 1980 è stato il primo paese al mondo ad avere una donna come presidente della Repubblica liberamente eletta, Vigdis Finnbogadóttir. Ma nonostante siano un modello per parità di genere, diritti civili, welfare, partecipazione delle donne alla vita politica e sociale, questi paesi mostrano tassi di violenza domestica elevati, con stereotipi e pregiudizi ben radicati in tutti i contesti. Si tratta del cosiddetto “paradosso nordico”. “I paesi del Nord, considerati al primo posto per uguaglianza di genere, hanno livelli di stupro e violenza contro le donne spaventosi. Le sopravvissute alla violenza sessuale vengono tradite dai sistemi giudiziari”, spiega Tina Marinari, responsabile campagne Amnesty International Italia. Secondo un rapporto di Amnesty International del 2018 su Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, le donne e le ragazze che hanno subito violenza vengono infatti spesso abbandonate dal sistema di giustizia. In Norvegia solo una donna su dieci denuncia lo stupro subìto e la maggior parte delle segnalazioni (dal 75% all’80%) non portano alla condanna. In Danimarca nel 2017 sono stati segnalati 890 stupri, ma uno studio dell’Università della Danimarca meridionale ha stimato in 24mila il numero effettivo di stupri. In Finlandia, la stima è di 50mila casi di violenza sessuale, ma nel 2017 ci sono state 209 condanne per stupro. L’Islanda è stata invece denunciata davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo: il caso è partito dalla storia di una donna che ha segnalato le violenze del suo ex compagno alle forze dell’ordine, portando come prove foto dei lividi, testimonianze, referti medici, ecc. La polizia ha scelto però di non procedere, lasciando che il caso cadesse in prescrizione. “Con la nostra ricerca sul campo, intervistando le vittime (45 donne) e coinvolgendo le associazioni, abbiamo scoperto che le sopravvissute allo stupro si trovano a dover combattere stereotipi e falsi miti dentro e fuori le aule giudiziarie”, racconta Tina Marinari, citando alcuni esempi. “A una donna vittima di violenza sessuale hanno chiesto cosa avesse fatto di sbagliato per incitare quella violenza, le hanno chiesto se aveva bevuto, se aveva reagito per evitare lo stupro. In un altro caso un procuratore generale si è chiesto come è possibile rovinare la vita di uno studente, imputato per violenza sessuale, per una sciocchezza compiuta una sera perché ubriaco. Un’altra sopravvissuta ha raccontato di aver parlato della violenza con la madre, ricevendo come risposta: eppure ti ho educato bene”. “Se abbiamo in casa, nei tribunali, nelle caserme questi stereotipi vuole dire che le istituzioni non hanno fatto il loro lavoro, visto che tutti questi paesi hanno sottoscritto la Convenzione di Istanbul, secondo la quale i professionisti alle prese con la violenza di genere devono essere formati”, sottolinea la responsabile di Amnesty Italia. Come mai esiste questo divario tra avanguardia nella parità di genere e arretratezza nel contrasto alla violenza? “Il punto di partenza è l’inadeguatezza delle leggi– precisa Marinari – Svezia e Danimarca hanno modificato la legge sullo stupro nel 2018 e 2020, ma quando abbiamo iniziato a realizzare la ricerca tutti e quattro i paesi avevano leggi basate sull’uso della forza e della ricerca, senza riferimenti al consenso. Svezia e Danimarca hanno introdotto il concetto del consenso nella legislazione sulla violenza sessuale, ma è inevitabile che se per anni si è vissuto con l’idea che è stupro solo nel caso in cui una donna urla, reagisce, piange, sradicare quel tipo di cultura è difficile. Inoltre in tutti e quattro i paesi abbiamo registrato ritardi enormi nell’avviare le indagini e una certa resistenza da parte del corpo di polizia. Tante sopravvissute hanno denunciato la scarsa professionalità delle indagini, viziate da pregiudizi. In Danimarca, ad esempio, le vittime possono essere difese gratuitamente e rendere la testimonianza attraverso video o da remoto per non incontrare l’autore della violenza. Tutti questi diritti garantiti sulla carta non sempre vengono garantiti effettivamente”. “Altro elemento critico – continua la coordinatrice delle campagne Amnesty Italia – è la lunghezza dei processi. Per una vittima di abusi passare 2 o 4 anni prima di arrivare alla condanna definitiva vuol rivivere ogni volta la violenza”. Questi Paesi dunque, “virtuosi su parità, lavoro e partecipazione politica, nella sfera privata e sessuale sono all’età della pietra. Ciò significa che non è stato fatto un lavoro di formazione sulla sfera sessuale e personale”, conclude Marinari, precisando che “in realtà, in tema di contrasto alla violenza di genere, non esiste un modello virtuoso da prendere in considerazione”. Dopo la ricerca del 2018, Amnesty ha portato avanti un’indagine in Italia, evidenziando le stesse problematiche presenti nei paesi nordici: un forte pregiudizio nelle aule dei tribunali e un ritardo nei processi, fattori che inducono indure le donne a non denunciare. “Ancora oggi nel dibattito non riusciamo a introdurre il concetto del consenso: il sesso senza consenso è stupro, lo dice l’articolo 36 della Convenzione di Istanbul”, spiega Tina Marinari. Anche in Italia non c’è il riferimento al consenso, l’articolo 609 del codice penale fa riferimento a una definizione di stupro basata esclusivamente sull’uso della violenza, della forza, della minaccia di uso della forza o della coercizione (“Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni”). Amnesty ha lanciato la campagna #iolochiedo per chiedere la modifica della legge. Oggi su 31 firmatari della Convenzione di Istanbul sono solo 13 i Paesi che applicano la regola del consenso nei casi di stupro: Slovenia, Belgio, Croazia, Cipro Danimarca, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda Lussemburgo, Malta, Regno Unito (ha firmato ma non ratificato la Convenzione), Svezia. La Spagna aveva annunciato la modifica della legge, ma ancora non è stata realizzata.
maurodg65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 https://www.ilpost.it/2018/04/15/paradosso-nordico-donne-genere/?amp=1 Il “paradosso nordico” Perché i paesi che rispettano di più l’uguaglianza di genere sono gli stessi in cui ci sono più violenze contro le donne? Non è solo una questione di libertà di denunciare: è sbagliata la premessa di Giulia Siviero Un padre spinge un passeggino, Stoccolma, marzo 2014 (Melanie Stetson Freeman/The Christian Science Monitor) Secondo i maggiori studi, i paesi che più al mondo rispettano l’uguaglianza di genere sono tutti nel nord Europa: Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia (ma anche Danimarca). Questi paesi, però, sono anche quelli in cui si registra il maggior numero di violenze domestiche contro le donne. Questa contraddizione viene chiamata “paradosso nordico” e si basa su una premessa che viene data per scontata: e cioè che la disuguaglianza di genere sia una delle cause più importanti della violenza contro le donne. È un’opinione supportata dalle organizzazioni che soprattutto a livello istituzionale si occupano di violenza domestica, dalla letteratura internazionale e anche dal senso comune: ed è per questo che le iniziative per prevenire la violenza contro le donne si basano spesso sull’idea che per essere efficaci devono affrontare la disuguaglianza di potere nelle relazioni di genere. Del paradosso nordico, come spiegano sulla Harvard Political Review, si sono recentemente occupati Enrique Gracia, professore di psicologia sociale all’Università di Valencia, e Juan Merlo, docente di epidemiologia sociale all’Università di Lund, in uno studio pubblicato nel novembre del 2017 sulla rivista Social Science & Medicine. I due professori affermano innanzitutto che – nonostante questo paradosso sia uno dei problemi più sorprendenti all’interno del loro campo di studio – è un tema che viene considerato molto poco: non è oggetto di ricerca quanto invece dovrebbe e rimane, di fatto ancora oggi, senza una spiegazione. Il loro articolo suggerisce anche come una migliore comprensione di questo paradosso possa essere fondamentale per capire, prevenire e fermare la violenza contro le donne. Qualche dato Ogni anno dal 2006 il World Economic Forum (WEF) pubblica una ricerca che quantifica le disparità di genere in vari paesi del mondo: il Global Gender Gap Report. Il rapporto permette di fare una comparazione tra paesi e individuare i miglioramenti e i peggioramenti nelle disparità di genere in base a quattro criteri: economia (si considerano salari, partecipazione e leadership), salute (aspettative di vita e rapporto tra sessi alla nascita), istruzione (accesso all’istruzione elementare e superiore) e politica (rappresentanza). Va subito precisato che il rapporto non misura la qualità della vita in generale delle donne o il loro livello di libertà – non tiene conto, per esempio, di questioni come il diritto all’aborto o il livello della violenza di genere – ma misura semplicemente il divario quantitativo tra uomini e donne in quattro settori della società. L’ultimo rapporto presenta Islanda, Norvegia e Finlandia ai primi tre posti, la Svezia al quinto, la Danimarca al quattordicesimo (l’Italia è all’ottantaduesimo). Nello studio pubblicato su Social Science & Medicine da Gracia e Merlo risulta però che nei paesi nordici il 30 per cento delle donne, in media, ha subito violenza domestica: il 32 per cento in Danimarca, il 30 per cento in Finlandia, il 28 per cento in Svezia, il 26,8 per cento in Norvegia e il 22 per cento in Islanda (Norvegia e Islanda non sono membri dell’UE ). Il tasso medio dei paesi dell’Unione Europea è del 22 per cento. I dati dei paesi nordici sono alti anche se si parla di violenza in generale contro le donne e non solo la violenza domestica. Portogallo, Italia e Grecia, che sono molto indietro rispetto ai paesi nordici per quanto riguarda l’uguaglianza di genere, hanno tassi molto più bassi di violenza domestica contro le donne. «Siamo un po’ stupiti dalla scoperta di questo tipo di dati», ha detto Enrique Gracia: «Perché le donne dovrebbero essere maggiormente vittime di violenza nei paesi che si sforzano così tanto per diminuire l’oppressione?». Oltre i dati Nonostante la percezione diffusa intorno alla qualità della vita nelle nazioni nordiche, e della qualità della vita anche delle donne, nei paesi scandinavi è radicata una cultura ancora profondamente maschilista (che impedisce per esempio alle donne di essere presenti in alcuni settori del lavoro tradizionalmente considerati adatti a un ruolo maschile). La cosiddetta “cultura dello stupro” – una società cioè in cui l’aggressività sessuale maschile è incoraggiata e la violenza contro le donne, anche con il silenzio, è supportata, normalizzata o banalizzata dai media e dalla cultura popolare – è insomma diffusa anche nei paesi del nord Europa. E la storia legislativa dello stupro coniugale ne è un esempio: lo stupro e gli abusi all’interno di una relazione intima sono spesso considerati, secondo un radicato stereotipoche si ritrova anche nelle aule dei tribunali, come una violenza di seconda categoria che si confonde con i doveri coniugali di una donna. La Svezia è stata uno dei primi paesi a criminalizzare lo stupro coniugale negli anni Sessanta, ma la Finlandia lo ha fatto solo nel 1994. La persistenza di atteggiamenti sessisti risulta poi chiara dalla risposta alle leggi sulla parità di genere: il professor Lucas Gottzen, un ricercatore dell’Università di Linköping, Svezia, ha spiegato alla Harvard Political Review che la maggior parte degli uomini, in Svezia, non ha usufruito del congedo parentale quando le leggi sul congedo parentale sono state approvate, negli anni Settanta: «Ho intervistato alcuni di questi uomini che furono i primi a prendere il congedo parentale negli anni Settanta. Erano guardati dall’alto in basso. Erano visti non come uomini veri». Fino agli anni Novanta, gli uomini svedesi non hanno insomma sfruttato come avrebbero potuto il congedo parentale. Kevat Nousiainen, professore di diritto comparato e teoria giuridica all’Università di Turku in Finlandia, ha spiegato a sua volta che il caso della Svezia non è un’eccezione e che è molto diffuso un atteggiamento di insofferenza o negazione del fatto che le donne siano discriminate: anzi molte persone affermano che «in realtà sono gli uomini ad avere dei problemi». Ipotesi La scoperta del paradosso nordico non è una novità e nel corso degli anni sono state fatte diverse ipotesi per tentare di spiegarlo. Per esempio si è pensato che possa avere a che fare con l’abuso di alcol, il cui consumo è più elevato nel nord Europa che nel sud (ma questo, secondo alcune e alcuni, legherebbe in modo assolutamente riduttivo la violenza contro le donne all’ubriachezza). Altri sostengono invece una tesi completamente diversa: i numeri delle segnalazioni, e dunque i dati, sarebbero più alti semplicemente perché le donne scandinave si sentono più libere e sicure di parlare e denunciare le aggressioni che subiscono, proprio perché vivono in una società più aperta ed equa; altrove le aggressioni sarebbero di più ma non sarebbero denunciate. Il professor Lucas Gottzen ha spiegato: «Il motivo per cui noi in Svezia abbiamo un elevato tasso di violenza domestica è perché c’è un’alta consapevolezza». I dati non rifletterebbero dunque una prevalenza realmente più elevata di violenza domestica, ma livelli più elevati di consapevolezza e sensibilizzazione rispetto a quella di paesi meno egualitari. Altri esperti, tra cui Gracia, non sono molto d’accordo. Gracia, si dice sulla Harvard Political Review, ha fatto notare che gli alti tassi di violenza domestica raccontata dalle donne intervistate nei paesi nordici sono accompagnati da dati che non mostrano altrettanto alti livelli di denunce vere e proprie alle autorità. Nell’esaminare i dati sui vari tipi di violenza contro le donne diversi dalla violenza domestica, risulta poi che i paesi nordici abbiano tassi più alti anche rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale: il problema, insomma, sarebbe reale e sarebbero fuorvianti le altre statistiche sull’uguaglianza di genere. Maura Misiti, demografa presso il CNR e coordinatrice di numerosi progetti europei e nazionali ed esperta in studi connessi all’approccio di genere, ha spiegato al Post che effettivamente nell’interpretazione dei dati potrebbe intervenire un altro stereotipo: che la cultura machista sia prevalente nei paesi del sud Europa e che invece dei paesi del nord si abbia una percezione sempre molto positiva, da molti punti vista, compreso questo. Il fatto che la cultura machista agisca e si manifesti in modo molto evidente in certe società non esclude il fatto che sia radicata, magari in modo meno evidente, anche in altre, come spesso hanno rilevato i movimenti femministi anche del nord Europa. Gracia e Merlo hanno dunque avanzato un’altra ipotesi interessante: i paesi nordici potrebbero soffrire del contraccolpo al fatto che i concetti tradizionali di virilità e mascolinità siano stati messi alla prova in modo significativo. La violenza sarebbe dunque “vendicativa”: il risultato di una reazione alla libertà delle donne, che diventa più dirompente proprio in quelle società che hanno spinto con più insistenza per una maggiore libertà delle donne e che hanno “minacciato” i ruoli tradizionali, l’identità e il potere degli uomini. Per Misiti, l’ipotesi è significativa: «In sostanza, si ipotizza che sia sbagliata la premessa e cioè che quel tipo di conquiste di parità sul lavoro, in famiglia o nella politica non siano direttamente correlate a una minore violenza. Non è detto cioè che siano automaticamente portatrici di stili di vita e di relazioni differenti». Misiti ci spiega che circola anche un’altra ipotesi interpretativa del cosiddetto paradosso nordico: «La libertà delle donne potrebbe essere legata a una maggiore esposizione al rischio: in un paese dove l’emancipazione è superiore e dove le donne sono più presenti nei luoghi di lavoro, le donne sono più esposte al rischio di subire violenza, non solo domestica in questo caso. Si tratterebbe nuovamente di un backlash effect: di un contraccolpo». Il femminismo ha già risposto Nella maggior parte dei paesi del nord Europa, le leggi sull’uguaglianza di genere sono state approvate solo negli ultimi decenni e le trasformazioni culturali non sono andate di pari passo. L’uguaglianza di genere è stata insomma in qualche modo imposta dall’alto, attraverso una serie di cambiamenti legislativi che non sono stati seguiti da un identico e reale cambiamento culturale. Conseguenza: l’emancipazione e i cambiamenti culturali conquistati e vissuti quotidianamente dalle donne non stati “digeriti” da parte degli uomini. Le spiegazioni che hanno a che fare con il contraccolpo si inseriscono nella teoria e nella pratica di molti femminismi che sostengono da sempre, prima che i dati confermassero il paradosso stesso, che i cambiamenti legislativi non si accompagnino automaticamente a un cambiamento culturale reale. Sono i femminismi che potremmo definire “non istituzionali”. I femminismi sono molti, infatti, ma per semplificare è possibile stabilire la divisione che si è creata dopo gli anni Sessanta e Settanta tra “femminismo della parità” (o “femminismo di Stato”) e “femminismo autonomo” (o “femminismo della differenza”). La divisione si formò quando le istituzioni pubbliche interpretarono – e continuano a interpretare – il movimento delle donne nel senso di una richiesta femminile di maggiore parità: nacque così il “femminismo di stato” che deriva a sua volta dalla prima ondata del movimento delle donne, quello dell’emancipazionismo suffragista dell’Ottocento, e che è diventato oggi il neo-femminismo sostenuto dai media mainstream. Luisa Muraro, una delle principali teoriche del femminismo radicale italiano, spiega che il “femminismo di Stato” «considera discriminatorio ogni segno di differenza sessuale e mette al centro della sua azione la parità della donna con l’uomo e la spartizione del potere tra donne e uomini. (…) La politica dei diritti presuppone sempre un potere che può farli valere, e che può decidere, a un dato momento, che non valgono più». Il “femminismo di Stato”, «preme per la spartizione del potere politico attraverso il meccanismo delle pari opportunità e delle quote rosa» che spesso però si traducono nella formula “donne, purché piacciano agli uomini” cioè nel cosiddetto pinkwashing, una passata di rosa per fare sembrare formalmente corretto qualcosa che resta invece profondamente grigio. La parità funziona allora come un principio omologante e nasconde in realtà la cancellazione della soggettività femminile e dei suoi diritti: l’esempio più evidente è nella frase “tutti gli uomini sono uguali per natura” o nell’espressione “suffragio universale” applicata da giuristi e filosofi per lungo tempo a tutti-gli-uomini con esclusione delle donne. Il femminismo autonomo, in continuità con quello degli inizi, mette invece al centro della discussione non il concetto di parità ma quello di differenza: non negando la parità dei diritti, sostiene che solo l’affermarsi positivo della differenza femminile sia la premessa per una migliore garanzia dell’uguaglianza e per restituire protagonismo alle persone, tutte. Sempre Muraro: «Il femminismo radicale vuole dare un senso libero alla differenza sessuale e vede nell’affermazione concreta della differenza femminile (pensiamo ai dati sulla maggiore scolarizzazione delle ragazze, alla presenza femminile di qualità nel mondo del lavoro e dell’associazionismo) una premessa per restituire protagonismo a donne e uomini». L’obiettivo non è dunque una semplice misura quantitativa fine a se stessa, ma «un cambio di civiltà a partire dai contesti in cui si vive quotidianamente». Quando l’uguaglianza di genere è intesa in questo modo, il paradosso nordico trova un senso. In questo contesto, più ampio e differente, gli interventi sulla violenza contro le donne vanno ben al di là della normalizzazione della parità nella vita pubblica: hanno a che fare con le condizioni dell’indipendenza delle donne, con i loro desideri, con la sfida agli stereotipi e ai ruoli di genere, con il rafforzamento delle relazioni rispettose, con l’educazione, soprattutto. Con il fatto di cominciare a nominare la questione maschile, più che la questione femminile. Gracia e Merlo, nella loro pubblicazione, spiegano che se i paesi, anche quelli nordici, vogliono veramente raggiungere l’uguaglianza di genere, devono guardare oltre i numeri e la formalità, all’interno della loro cultura. Dovrebbero dunque affrontare, come spiegano i femminismi radicali, non solo le “discriminazioni di genere visibili” che attraverso le leggi intervengono spesso sulle condizioni formali di una certa categoria di donne (bianche e della classe media), ma la disuguaglianza culturale e strutturale basata sul genere che si vive quotidianamente e che ha a che fare con molte altre questioni che si intersecano con il genere: classe, etnia, disabilità, orientamento sessuale e così via. Le informazioni raccolte esplorando il paradosso nordico possono insomma smontare premesse fallimentari e vecchie aspettative per crearne di nuove, di più realistiche e soprattutto di più efficaci.
maurodg65 Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 https://x.com/esercitocrucian/status/1727434603638784077?s=46&t=phklmWQpccGx7cWNtwpYmA Un audio della vittima, Giulia Cecchin, nel tweet qui sopra nel quale ella parla del rapporto con quello che sarà il suo carnefice, ditemi se quel audio oltre allo screenshot del giornale qui sopra in cui si legge che Filippo dormiva con un orsacchiotto, possono evidenziare un problema di machismo o insegnamenti malsani legati alla famiglia patriarcale oppure non evidenzino un problema di segno completamente opposto, legato al disagio di un ragazzo con molti problemi di insicurezza che non è in grado di affrontare.
loureediano Inviato 23 Novembre 2023 Inviato 23 Novembre 2023 Io ho una teoria fuori dal coro. La colpa è delle donne. Non tutte sia chiaro! Ma certe donne sembrano più cagne che esseri umani. Prendono le botte e restano a leccare il culus al carnefice. Io alle donne della mia famiglia ho sempre detto che anche il solo gesto o la minaccia di mettere le mani addosso non deve essere preso come segnale negativo ma deve essere preso come segnale che quell'uomo va immediatamente lasciato. Purtroppo ci sono donne che finiscono in pronto soccorso e dicono di essere cadute o...... Io di queste donne ho umana pietà ma se le ammazzano do una grossa responsabilità pure a loro.
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