extermination Inviato 24 Agosto 2024 Inviato 24 Agosto 2024 https://www.treccani.it/vocabolario/cultura/
Savgal Inviato 24 Agosto 2024 Inviato 24 Agosto 2024 @extermination Nella prima accezione "L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo."
Questo è un messaggio popolare. Savgal Inviato 24 Agosto 2024 Questo è un messaggio popolare. Inviato 24 Agosto 2024 Cultura come formazione. Il suo uso al di fuori dell'ambito semantico originario, quello agricolo, ha inizio con il Rinascimento. Si intende allora per cultura la "scienza della coltivazione dell'anima", secondo l'espressione di Francesco Bacone, ovvero il processo di elevazione insieme morale e conoscitiva attraverso il quale l'uomo può perfezionare le proprie facoltà, un processo che richiede l'accostamento ai grandi testi del passato, la frequentazione di altri uomini dotati di cultura, l'attenzione costante al proprio raffinamento. In quest'accezione, la "cultura" è diretta discendente della paideia greca ed è strettamente legata all'idea di educazione: Kant nella “Critica del giudizio”, la definisce come "La produzione, in un essere ragionevole, della capacità di scegliere i propri fini [...] e quindi di essere libero". Accanto a questo primo significato, connesso alla formazione della persona, se ne fa strada, sempre in età moderna, un altro, la cultura si definisce come l'insieme di conoscenze che è il risultato di quella formazione, come il sapere che l'uomo colto ha a disposizione. Si può ricordare in proposito la sintesi proposta da Antonio Rosmini: "Per cultura intendiamo quel corredo di cognizioni alla mano in diverse materie, che l'uomo si acquista or coll'esercizio delle sue facoltà or colla convivenza co' saggi". Accanto all'idea della cultura come processo di formazione emerge così un'idea di cultura come patrimonio, come insieme strutturato di conoscenze. Si tratta di un patrimonio personale, riservato generalmente agli appartenenti ad un'élite sociale e, appunto, culturale. È tuttavia un patrimonio che deve essere trasmissibile e quindi necessariamente intersoggettivo. 3
appecundria Inviato 24 Agosto 2024 Autore Inviato 24 Agosto 2024 @extermination dal tuo link: l’acquisizione di una sensibilità e coscienza collettiva di fronte a problemi umani e sociali che non possono essere ignorati o trascurati. Si è parlato, e si parla, così, di una c. della vita ma insieme anche di una c. della morte; di una c. del lavoro, e insieme, ma con ottica diversa, di una c. della povertà, o di una c. dell’assenteismo; di una c. della pace, della solidarietà, dell’altruismo, del dialogo (per es. tra le diverse religioni) e all’opposto di una c. del profitto, della tangente o addirittura della mafia.
Savgal Inviato 25 Agosto 2024 Inviato 25 Agosto 2024 Quanto al popolo, un termine che nel recente passato era utilizzato era quello di "popolino", inteso nel senso spregiativo di quella parte del popolo meno progredita culturalmente e socialmente. Il termine popolino era in uso sorpattutto in certa piccola borghesia.
nullo Inviato 25 Agosto 2024 Inviato 25 Agosto 2024 42 minuti fa, Savgal ha scritto: popolino abbiamo anche l'abusato termine itagliani. in uso da chi si ritiene crema per qualificare i cafoni che votano diversamente e pensano diversamente.
Savgal Inviato 25 Agosto 2024 Inviato 25 Agosto 2024 Cultura come patrimonio sociale. Alla cultura nell’accezione di patrimonio personale se ne affianca progressivamente un’altra, in cui la cultura diviene un patrimonio collettivo, propria di un'intera società. Questa si afferma con l'Illuminismo. L'Encyclopédie intendeva rappresentare congiuntamente la sintesi della cultura della sua epoca e il manifesto di un nuovo e diverso modo di intendere e fare circolare il sapere. Diderot e d'Alembert, inoltre, si pongono un altro problema, se per cultura debba intendersi solamente il sapere umanistico consolidato nell'ormai lunga tradizione dell'università, o se non vi si debbano includere anche le scienze naturali e, novità ancora più radicale, le "arti meccaniche", secondo la proposta formulata da Diderot nella voce "Arte". Connessa con questa idea di cultura come patrimonio sociale vi è un ulteriore significato, che si afferma poco più tardi in età romantica, cultura diviene l'insieme di conoscenze, ma anche il linguaggio e gli stili espressivi, che caratterizzano un popolo e che dovrebbero permeare la formazione di tutti gli individui che a quel popolo appartengono. La cultura diviene l’essenza dell'identità di una nazione. Si iniziò a parlare di una "cultura francese", "tedesca", e così via, rompendo con una tradizione secolare, che definiva la cultura come un corpus sostanzialmente unitario di ascendenza soprattutto greco-latina. L'affermarsi della nuova accezione del termine avviene contestualmente all'affermarsi dell'idea di nazione e di nazionalismo. Secondo le principali definizioni dell'Ottocento e del primo Novecento, una nazione esiste non vi è solo un'unità di territorio, di lingua, ma anche di cultura. L'esistenza di un patrimonio culturale diviene il presupposto dell'esistenza stessa della nazione ed è, insieme, l'obiettivo delle istituzioni dello Stato nazionale, in particolare delle istituzioni formative. L'affermarsi di quest'accezione del termine cultura è quindi connesso allo sviluppo dei sistemi nazionali di educazione ed istruzione. A partire dall'Ottocento compito essenziale della formazione scolastica diviene preservare e diffondere il patrimonio linguistico, storico, testuale, che è considerato proprio della nazione di appartenenza e parte essenziale dell'identità di un popolo, consolidatasi nella “tradizione” (quasi sempre inventata, come ha dimostrato Hobsbawm). La cultura rappresenterebbe la parte più alta delle concezioni di un popolo, quella che si esprime nell'arte, nella religione, nella filosofia, la parte spirituale profonda della vita di una collettività, l'anima di quel popolo, con una connotazione che richiama quasi sempre aspetti irrazionali. Il termine è usato anche in contrapposizione a quello di civiltà, che invece rappresenta la parte più superficiale delle concezioni espresse da un popolo, da una nazione, da uno stato oppure da un'epoca. La civiltà è razionalista, fiduciosa nelle possibilità di rischiarare l'animo umano, crede nella storia, nelle facoltà puramente umane. Questa distinzione appartiene a un'epoca e a un clima particolari, nasce nella Germania fra Ottocento e Novecento in clima di forte contrapposizione con la Francia. Un esponente di rilievo di questa contrapposizione è lo scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) (soprattutto in Considerazioni di un impolitico, 1918). Mann scrive: "Civiltà e cultura non soltanto non sono un'unica e stessa cosa, ma termini antitetici; formano una delle molteplici manifestazioni dell'eterna discordanza della nostra umanità e del contrasto fra spirito e natura. [...] Cultura significa unità, stile, forma, compostezza, gusto; è una certa organizzazione spirituale del mondo, sia pur tutto ciò avventuroso, scurrile, selvaggio, sanguinoso, pauroso. La cultura può comprendere l'oracolo, la magia, la pederastia, il cannibalismo, culti orgiastici, inquisizione, autodafé, ballo di S. Vito, processi di streghe, fiorir di venefici e delle più varie atrocità. Civilizzazione è invece ragione, illuminismo, distensione, ritegno, compostezza, scetticismo, chiarificazione... spirito. Sì, lo spirito è civile, è borghese; è il nemico giurato degli istinti, delle passioni, è antidemocratico, antieroico, ed è solo un controsenso apparente quando si afferma che è anche antigeniale". La Zivilization (civiltà) è lo spirito, l'illuminismo, la ragione, il progresso, ma paradossalmente anche la materia, poiché si tratta di uno spirito che adora l'idea del benessere per tutti, che quindi deve affidarsi alla materia e così finisce per essere sommerso dall'economia; è anche spirito francese, definito come letteratura. È Occidente, erudizione, lusso e sfinimento, decadenza vitale. Nel romanzo “La montagna incantata”, Thomas Mann fa impersonare i due termini opposti a due personaggi del romanzo: il luciferino Naphta incarna la Kultur, mentre l'illuminista Settembrini incarna la Zivilization. Questa distinzione caratterizza una intera tendenza del Novecento, quella della cultura della crisi che attraversa tutto il secolo, ma è forte soprattutto fra le due guerre mondiali. Autori come T.S. Eliot, Johan Huizinga, José Ortega y Gasset, Oswald Spengler, Paul Valéry, la riprendono, la utilizzano, ed esprimono attraverso di essa la condanna della civiltà materialista, massificata, americanizzata, nella quale erano convinti di vivere. La cultura si stava perdendo o si era già persa nell'Occidente del XX secolo, secolo del quale quegli autori sentivano in modo molto forte che certamente avrebbe chiuso un millennio, ma anche che probabilmente aveva già chiuso un'epoca. Invece, la civiltà prosperava, poiché era fatta di benessere per tutti, di produzione, di vittoria sulla malattia, sulla miseria, sull'ignoranza, ma anche di divertimenti a buon mercato e di cultura di massa. Il segno che l'epoca in cui vivevano fosse alla fine era considerato il fatto che questi segni di decadenza fossero interpretati dall'epoca stessa come testimonianze di progresso. In modo esemplare in Spengler (Tramonto dell'Occidente), ma anche in tutta questa corrente, cultura si identifica dunque con una fase giovane, mentre civiltà è una fase vecchia, cioè decadente della storia. L'epoca presente era appunto definita come civiltà.
ferdydurke Inviato 25 Agosto 2024 Inviato 25 Agosto 2024 E qual è il ruolo dell’Italia in tutto questo?
appecundria Inviato 25 Agosto 2024 Autore Inviato 25 Agosto 2024 27 minuti fa, ferdydurke ha scritto: qual è il ruolo dell’Italia L'Italia sta rispondendo a questi problemi con il premierato che non ridurrà i votanti ma le votazioni. In pratica, invece di eleggere il parlamento che poi vota il governo, gli elettori votano direttamente il conducente che in forza di ciò resta in carica forzosa per la legislatura completa. Da chiarire i ruoli delle Camere e soprattutto del PdR. Sia come sia, è una risposta. Può non piacere ma è una risposta. Certo ci mette fuori dalle democrazie liberali per finire in una terra sconosciuta, visto che nessuno al mondo ha questo sistema. Vi si avvicinano l'Ungheria e per certi versi la Russia.
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