Savgal Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 @ferrocsm Il punto è che purtroppo troppo spesso le famiglie di questi giovani raramente sono "proletarie". Chi non riesce a iniziare un percorso universitario e talvolta a conseguire un titolo di scuola superiore non li appellerà più come un tempo "figli di papà", ma la sostanza è la stessa.
mozarteum Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Figlio di papa’ significava di larga spesa grazie alle finanze di papa’. Chi e’ studioso e in gamba perche’ viene da famiglie dove si respira cultura, benessere anche materiale, e’ bravo e basta, perche’ non e’ manco detto che quella condizione di partenza assicuri sempre una felice riuscita
31canzoni Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Me mi tocca sempre amme fare il sinistrorso con l'eskimo. Da un lato l'analfabetismo di ritorno, dall'altro tra i più giovani una dispersione scolastica crescente. Se la politica volesse investire invece di tagliare la pubblica istruzione (non parlo di questo governo, anche se piazzare all'istruzione uno come valditara -nomen omen- è significativo) da 30 anni e probabilmente già da prima. Se il progetto politico è la riduzione da esseri consapevoli, quando non critici, a consumatori sempre più semplici e votati al consumo, questi poi sono i risultati.
Velvet Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Nah, emoticon son roba da vecchi. Ora solo acronimi e monosillabi
ferrocsm Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 1 ora fa, Savgal ha scritto: Il punto è che purtroppo troppo spesso le famiglie di questi giovani raramente sono "proletarie". Questo non lo so@Savgal anche perché non ho approfondito limitandomi solo ad un puro aspetto tecnico e da li è venuta fuori il mio convincimento, ripeto però che erano giovani universitari di ben oltre vent'anni, qui in zona abbiamo anche un Ipsia i cui dirigenti e professori ci chiedono una collaborazione per insegnargli qualcosa di pratico inerente al nostro lavoro e qui devo dire che non sono proprio tutte rose e fiori, perché ne trovi un po' di tutti, da quello che vedi ci mette tanto impegno a quello che nel mentre sei lì che gli spieghi qualcosa lo vedi intento a consultare il telefonino, che è una cosa che mi fa incavolare e allora sbotto dicendogli che stiamo perdendo tempo in due, però dalla loro hanno i sedici anni e anch'io allora non ero certamente da prendere ad esempio come impegno scolastico.
Guru Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Io però vedo ragazzi in gamba, laureati, svegli, e figli di persone istruite, che hanno un italiano scritto inferiore a quello dei pari grado della nostra generazione. Mia madre, maestra elementare, ha corretto la forma delle tesi dei tanti miei nipoti e l'ha sempre sostenuto. Pure io ho notato questo correggendo una tesi. Figli di maestra elementare e di laureato in economia, ragazzi svegli che si sono laureati con ottime votazioni, ma l'italiano delle tesi non adeguato al grado di istruzione raggiunto.
Velvet Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 A me hanno sempre ripetuto che saper comunicare (concetti, sentimenti, ragionamenti, pensieri) fosse fondamentale nella vita come nel lavoro. Si vede che si sbagliavano.
Amministratori cactus_atomo Inviato 10 Dicembre 2024 Amministratori Inviato 10 Dicembre 2024 @Velvet e come il pedone che cammina di notte e vede una macchina con i fari, lui la vede e crede che siccome la vede lui anche l'autista lo veda. il guaio che molti non si preoccupano di capire se e cosa l'interlocutore ha capito,, 30 anni fa dissi ad un collega (che si vantava pure di avereuna formazione da giornalista) che dalla relazione su un incontro di lavoro importante non si capiva cosa era uccesso. la risposta è stata che tanto chi era all'incontrospeva cosa era successo e chi non c'era sicuramente non interessava la relazione. sono tanti quelli che si parlano addosso
Partizan Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 5 ore fa, mozarteum ha scritto: Valida anche in passato. Quello che non capisci, o fai finta di non capire è che stiamo peggiorando! In Europa siamo ultimo tra i paesi industrializzati. https://www.repubblica.it/cronaca/2024/12/10/news/ocse_italiani_adulti_analfabeti_funzionali-423875393/?ref=RHLM-BG-P10-S1-F Ciao. Evandro
mozarteum Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 3 ore fa, 31canzoni ha scritto: la riduzione da esseri consapevoli, quando non critici, a consumatori sempre più semplici e votati al consumo, Una via di mezzo fra la simca e la smart pero’ e’ d’uopo (sodo)
Partizan Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 5 ore fa, mozarteum ha scritto: Valida anche in passato. Quello che non capisci, o fai finta di non capire è che stiamo peggiorando! In Europa siamo ultimi tra i paesi industrializzati. https://www.repubblica.it/cronaca/2024/12/10/news/ocse_italiani_adulti_analfabeti_funzionali-423875393/?ref=RHLM-BG-P10-S1-F Ciao. Evandro
audio2 Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 se da una vita si ostinano a non riformare ne i cicli ne i contenuti scolastici, non poteva che finire così.
carmus Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 @mozarteum in effetti il look della collega è da rockstar: piercing , tatuaggi, unghie lunghe e colorate. Le ho contato circa 10 orecchìni in un solo padiglione auricolare..
Savgal Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Un articolo dall'organo di "potere al popolo" (Il Sole 24 ore) sulla questione di come sia diventato determinante per gli esiti scolastici il livello culturale dei genitori. I «SUPERPOLLI» E I DISASTRI DI UNA SOCIETÀ SEGREGATA Le disuguaglianze vanno ridotte non cristallizzate. Per questo occorre contrastare la tendenza nel nostro paese a formare classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi di Vittorio Pelligra 19 gennaio 2020 Negli Anni '90 il biologo evoluzionista William Muir condusse un esperimento sulla riproduzione delle galline. L'idea era quella di ottenere esemplari più produttivi attraverso un processo di selezione successiva. Muir formò due gruppi: il gruppo di controllo era composto da galline dalla produttività media (in termini di uova deposte), mentre il secondo gruppo era formato da animali altamente selezionati sulla base delle loro elevate performance. Galline altamente produttive che Muir chiamò "super-chicken". A questo punto occorreva solo far passare il tempo e verificare se, generazione dopo generazione, l'andamento della produttività dei due gruppi avrebbe iniziato a divergere. L'ipotesi era che i super-selezionati super-chicken, col passare del tempo avrebbero incrementato la loro produttività, in un processo di miglioramento continuo della specie. Dopo sei generazioni, quando Muir osservò il risultato finale del suo esperimento, capì che qualcosa, nelle sue ipotesi, era profondamente sbagliato: gli eredi del gruppo di controllo, quello delle galline "mediocri", erano tutti, infatti, belli paffuti, in salute e altamente produttivi. Le galline superstar, invece, erano quasi tutte morte, uccise a colpi di becco dagli unici tre esemplari superstiti. Questa storia mi è tornata alla mente, per qualche ragione, dopo aver letto dell'istituto comprensivo di Roma che, nella presentazione della scuola, su sito web, ha scritto che «l'ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell'utenza che appartiene a fasce socio-culturali assai diversificate». Ora sul sito rimane solo questa innocua frasetta, ma, prima che scoppiasse la polemica, si poteva leggere anche altro. Per esempio, che due dei plessi scolastici «accolgono alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto», mentre in un'altra sede vengono accolti «prevalentemente alunni appartenenti a famiglie dell'alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti, e simili)». Aspettativa di vita tarata sullo stradario Sono convinto che queste frasi, al di là del loro tono anacronistico, non dovrebbero sorprendere, né scandalizzare nessuno. Non siamo ipocriti! La nostra società è diseguale; le nostre città sono diseguali; i nostri quartieri sembrano appartenere, a volte, a mondi differenti, perché, in parte, rispecchiano mondi differenti. Facciamo una passeggiata nella civilissima Torino. Se prendiamo il tram dalla zona della precollina, fino al quartiere delle Vallette, per ogni chilometro percorso che ci allontana dalla zona "bene" del centro, verso la periferia, potremo verificare che l'aspettativa di vita degli abitanti si riduce di cinque mesi. Alla fine della passeggiata, all'interno della stessa città, saremo passati da una zona i cui abitati hanno un'aspettativa di vita di 82,1 anni, ad una nella quale, invece, si può sperare di vivere in media, 77,8 anni; quasi quattro in meno. Ma lo stesso succede a Londra. Percorrendo la Jubelee line della metropolitana, dal centro verso la periferia, ad ogni fermata si perdono sei mesi di vita. A Glasgow e a Washington, sono stati rilevati divari ancora più impressionanti, fino a 15 anni di differenza nell'aspettativa di vita tra i quartieri del centro e quelli della periferia. Classi eterogene e "parità di trattamento" Anche Roma non fa eccezione. Per questo non ha senso meravigliarsi del fatto che due plessi dello stesso istituto ospitino alunni provenienti da contesti socio-economici differenti. O che la scuola lo dichiari. Sorprendono di più le reazioni di ipocrita sorpresa e di inutile sdegno e gli articoli di stampa intrisi di biasimo e condanna. Dovremmo chiederci piuttosto quali sono le conseguenze di questo stato di cose, come gestire al meglio queste disuguaglianze e possibilmente come attivare processi che riescano a contrastare la sistematica tendenza alla crescita della disuguaglianza. Una questione più rilevante della presenza di bambini appartenenti a classi sociali differenti, candidamente e un po' ingenuamente rappresentata dalla scuola di Roma, sarebbe, per esempio, quella relativa ai criteri utilizzati dalla direzione della scuola per formare le classi nel plesso dove coabitano i figli dell'alta borghesia con quelli dei loro giardinieri e delle loro badanti: classi omogenee per "pedigree" familiare o classi, volutamente, miste? Questo dato, sì che sarebbe interessante conoscerlo. Perché i criteri utilizzati per formare le classi influenzano in modo significativo i risultati ottenuti dagli studenti. E i dati della Fondazione Agnelli mostrano che la tendenza nel nostro paese, purtroppo, va verso la formazione di classi il più possibile omogenee dal punto di vista dello status socio-culturale delle famiglie dei ragazzi. Classi di "super-polli" che, però, alla fine, danno risultati peggiori. Le classi "miste", eterogenee per composizione, invece, a parità di condizioni, fanno bene a tutti; ai figli dei poveri, come a quelli dei ricchi. Ma forse questo né i presidi, né i genitori lo sanno. Significa che i risultati sono migliori nelle classi eterogenee, a patto che queste ricevano lo stesso trattamento delle classi "selezionate". Il problema è che il "trattamento" spesso non è lo stesso. Estese ricerche mostrano, infatti, che i docenti delle classi miste tendono ad adottare un atteggiamento più fatalista nei confronti dei loro studenti, che la qualità dell'insegnamento impartito in queste classi è inferiore, che il numero delle ore dedicate all'insegnamento piuttosto che a esercizi ripetitivi è minore, così come lo sono le gratificazioni e gli incoraggiamenti rivolti agli alunni (Dupriez V., Draelants H., 2003. "Classes homogènes versus classes hétérogènes: les apports de la recherche à l'analyse de la problématique", Cahier de Recherche du GIRSEF, Louvain-la-Neuve, n. 24). Ecco perché può risultare difficile parlare di "parità di condizioni". Traslocare per avere una chance La questione centrale su cui dovremmo tutti concentrarci riguarda gli effetti della disuguaglianza sul futuro dei piccoli studenti di oggi e fino a che punto la scuola pubblica possa rappresentare uno strumento di riequilibrio efficace attraverso la promozione di pari opportunità in partenza, per tutti i nostri giovani. Raj Chetty e Nathaniel Hendren, due economisti di Stanford e Harvard, analizzando i dati di più di sette milioni di famiglie, hanno recentemente mostrato quanto il quartiere in cui si cresce influenzi in maniera determinante variabili come il reddito, la probabilità di andare all'università, la fertilità e i modelli parentali, di cui i bambini di quelle famiglie faranno esperienza nel loro futuro ("The impacts of neighborhoods on intergenerational mobility I: Childhood exposure effects," The Quarterly Journal of Economics, 2018, 133 (3), pp. 1107-1162). I risultati di coloro che si trasferiscono in un quartiere migliore crescono del 4% per ogni anno di vita passato nel nuovo quartiere. In questo dato c'è un elemento importante, che ha molto da dire a chi vorrebbe concretamente operare attraverso politiche di inclusione per migliorare le prospettive di chi nasce in una famiglia "svantaggiata". Quando il quartiere decide il tuo futuro Il vero nodo dello svantaggio non è tanto, quindi, legato alle condizioni di partenza ma alla segregazione che le condizioni iniziali determinano e, soprattutto, alla mancanza di meccanismi correttivi. Se nasci povero e, per questo, sei costretto a crescere in un ambiente privo di stimoli, di sollecitazioni, di legami sociali significativi e di occasioni formative, allora il tuo destino è segnato. Non tanto perché sei nato povero, ma perché la povertà non scelta ti ha segregato in un ambiente sfavorevole. Ma se, nonostante la povertà originaria, si creano le condizioni per uscire da quell'ambiente deprivato e crescere in uno più stimolante, dove anche l'effetto dei pari esercita una pressione positiva, allora le possibilità che l'ascensore sociale si rimetta in moto crescono significativamente. Purtroppo, i movimenti da un quartiere all'altro sono molto rari, perché, in assenza di politiche pubbliche mirate, si rivelano proibitivamente costosi; una forma di investimento che raramente una famiglia basso reddito può permettersi. Questo elemento cristallizza una situazione che non fa altro che rigenerare disuguaglianza. Perchè dove si studia conta I dati mostrano che, a parità di condizioni, lo stesso investimento in istruzione, porterà benefici maggiori se si abita in un quartiere con un reddito medio elevato, rispetto ad uno con un reddito medio più basso. Le ragioni possono essere varie e avere a che fare con la qualità delle scuole, con l'effetto dei pari, con la qualità, cioè, delle relazioni interpersonali, con le norme sociali, le reti di amicizie e l'ampiezza delle opportunità. Tutti questi elementi operano in maniera complementare con il capitale umano cognitivo e non-cognitivo dei bambini, amplificandone o riducendone gli effetti positivi. Si capisce, allora, come, soprattutto in un'economia nella quale il mercato del lavoro va sempre più alla ricerca di conoscenze e specializzazione, le condizioni di partenza portino alla creazione di un equilibrio nel quale la scuola, invece che rappresentare un percorso di emancipazione e di creazione di opportunità e, quindi, maggiore eguaglianza, diventa essa stessa, un meccanismo di riproduzione e di accentuazione delle differenze. Meno segregazione per avere meno diseguaglianze La disuguaglianza che è andata aumentando stabilmente negli ultimi dieci anni in tutte le regioni italiane, tranne che in Molise ed Emilia-Romagna, si combatte anche combattendo la segregazione nelle nostre città. E questo dovrebbe coinvolgere, in maniera integrata, la politica nazionale, le amministrazioni locali, i pianificatori, gli urbanisti, la scuola, la società civile organizzata, tutti. Occorre ripensare i nostri luoghi, i quartieri, il trasporto pubblico locale che rende a volte impossibili gli spostamenti, le scuole brutte, dentro e fuori. Per non parlare, poi, delle cosiddette politiche di "decoro urbano". Amministratori che curano il centro delle loro città come il salotto di casa propria e considerano le periferie alla stregua delle cantine dove scaricare inutili rifiuti. Tappeti sotto i quali nascondere il degrado sociale. Per risolvere il problema basta un'ordinanza contro l'accattonaggio in centro o l'istallazione di quelle panchine progettate apposta per evitare che i barboni possano sdraiarcisi sopra. Architettura e urbanistica ostile, anti-umana e de-umanizzante. A Medellín il valore aggiunto viaggia in cabinovia Ma invertire la rotta è possibile e, paradossalmente, alcune delle esperienze più interessanti, in questo senso, arrivano da quei paesi che un tempo chiamavamo "in via di sviluppo". Medellín, in Colombia, è una città tristemente nota per il cartello del narcotraffico e per una delinquenza che, fino a poco tempo fa, la rendeva una delle città più pericolose al mondo. Quattro milioni e mezzo di persone che vivono in un centro ricco e moderno, ma soprattutto sulle colline introno al centro, interamente ricoperte da enormi "barrios" fatti di baracche e case abusive. Quartieri cresciuti come funghi, per sovrapposizione, in maniera del tutto caotica. Case che si arrampicano sulle pendici intorno alla valle della Cauca senza lasciare spazio a strade, vie d'accesso, spazi comuni. Più sei povero più vivi in alto, lontano dal centro dove la vita della città si svolge, dove ci sono le scuole e le attività economiche principali. Un tessuto urbano che porta all'auto-segregazione, visto che, anche volendo, un autobus non potrebbe passare su quelle viuzze e, così, se nasci lì, sei tagliato fuori. Ma qualcosa cambia nel 2004. Visto che gli autobus e i tram non possono arrivare su quelle colline, vengono costruite tre line di cabinovie che collegano i "barrios" con il centro a valle. Nove chilometri di cavi che trasportano ogni giorno 30mila persone e che, velocemente, contribuiscono alla rinascita della città dell'"eterna primavera". Si attiva una risorsa, fatta da migliaia di cittadini che fino a quel momento erano visti come costi, pesi, zavorra appunto. In pochi anni l'occupazione cresce del 15% e si registra un incremento delle attività artigianali del 22 per cento. I musei di San Paolo spazi pubblici per cittadini attivi Qualche anno prima di Medellín avevo visitato la Pedreira, una favela nella periferia di San Paolo in Brasile. Un agglomerato urbano dove circa 400mila persone vivono in condizioni di difficoltà, precarietà, abusivismo e disagio economico e sociale. Una delle realtà sociali che opera in quel contesto è "Afago", una Ong che tra le attività di formazione ed emancipazione dei piccoli del quartiere, con lezioni di musica e corsi di capoeira tenuti da volontari, molti dei quali ex-utenti della cooperativa, prevede visite ai meravigliosi musei del centro di San Paolo. Non solo perché la bellezza cura la sofferenza, ma perché anche una visita al museo può essere un atto di cittadinanza attiva, soprattutto se compiuto da bambini che, non certo per scelta, sono nati ai margini di tutto. Quei bambini imparano che la città è anche loro, si impossessano in questo modo dello spazio pubblico, riacquistano centralità; loro che, nati ai margini, ai margini sono destinati a stare per sempre, in assenza di una volontà educativa inclusiva. Anche dalle periferie più estreme, dunque, possiamo imparare come combattere la segregazione alla quale, anche nelle nostre città tanti sono condannati. Che il neoministro dell'istruzione con il suo sottosegretario twittino pure post indignati contro la scuola romana, ma poi, invece di usarla come capro espiatorio di responsabilità che stanno altrove, si facciano promotori di azioni innovative, profonde ed efficaci, di riorganizzazione e di integrazione che, anche a costo quasi zero, potrebbero, già da ora, contribuire a sollevare dalle schiene di tanti dei nostri studenti la zavorra che il destino di essere nati lì, invece che là, gli ha caricato sulle spalle.
Savgal Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Mi riprometto di leggere il documento citato da Repubblica in originale, tuttavia emerge che la situazione peggiore è quella dei miei coetanei "Le persone di 55-65 anni mostrano i valori di competenza più bassi rispetto ai giovani di 16-24 anni". Oltre un terzo degli adulti è analfabeta funzionale, Italia ultima tra i Paesi industrializzati di Alessia Candito Lo rivela un’indagine Ocse. Situazione drammatica nel Mezzogiorno, indietro in tutti i settori 10 Dicembre 2024 Dai quindici ai venti punti sotto la media Ocse in termini di capacità di leggere e comprendere testi scritti e informazioni numeriche, come di raggiungere il proprio obiettivo in una situazione dinamica in cui la soluzione non è immediatamente disponibile. Oltre un terzo degli adulti è in una condizione di analfabetismo funzionale e quasi la metà ha grosse difficoltà nel “problem solving”. Lo rivela l’indagine sulle competenze degli adulti (Survey of Adult Skills) realizzata nell’ambito del programma dell'Ocse per la valutazione internazionale delle competenze degli adulti. Da un decennio l’Italia rimane inchiodata in fondo alla classifica e non si muove da lì. L’Italia va male, è lontana dai 260 punti che sono media Ocse, in classifica sta solo al quartultimo posto, seguita solo da Israele, Lituania, Polonia, Portogallo e Cile, a decine e decine di punti da Finlandia, Giappone, Olanda, Norvegia e Svezia, i paesi con le migliori prestazioni in tutti e tre i domini. La situazione peggiore al Sud E soprattutto al Sud la situazione è drammatica. I residenti nel Nord e nel Centro d’Italia – emerge dall’indagine - riescono spesso a raggiungere punteggi di competenza pari o vicini a quelli della media Ocse, al contrario di quanto accada nel Mezzogiorno che presenta valori sempre significativamente inferiori alla media. I migliori risultati arrivano dal Nord-Est, unica area in cui si raggiungano risultati sufficienti anche relativamente alla capacità di comprendere e usare i numeri. “È evidente la stretta relazione tra competenze cognitive e sviluppo del Paese. I valori più bassi di competenze si concentrano nelle aree meno attrattive del Paese. Occorre investire per il recupero dei territori del Mezzogiorno”, dice Natale Forlani, presidente Inapp. Le competenze e l’età Pesa anche l’età. Le persone di 55-65 anni mostrano i valori di competenza più bassi rispetto ai giovani di 16-24 anni e le donne sono ancora lontane dagli uomini nella capacità di comprensione e utilizzo di informazioni matematiche e numeriche. Nelle competenze di problem solving adattivo la media italiana è di 231 punti, a fronte di una media Ocse di 251 punti. Per questo dominio, solo Lituania, Polonia e Cile conseguono punteggi più bassi del nostro Paese. Un segnale positivo c’è. I giovanissimi (16-24 anni) in Italia raggiungono punteggi di competenze superiori al resto della popolazione e, nel caso della numeracy, anche dei giovani di 25-34 anni. Il divario di competenze tra 16-24enni e 55-65enni, in termini di valori medi di competenze, è sempre evidente qualsiasi sia il dominio preso in esame: ciò che si osserva nel caso italiano è una notevole perdita di competenze all’avanzare dell’età, ma con un buon bagaglio di partenza. Gli analfabeti funzionali Nella literacy il 35% degli adulti italiani (media Ocse 26%) ha ottenuto un punteggio pari o inferiore al livello 1 e rientra quindi nella categoria degli analfabeti funzionali. Nel senso che sanno leggere e scrivere, ma hanno difficoltà grandi (o addirittura insuperabili) nel comprendere, assimilare o utilizzare le informazioni che leggono. Nella definizione Ocse, al livello 1 (25% del campione in Italia) riescono a capire testi brevi ed elenchi organizzati quando le informazioni sono chiaramente indicate. Al di sotto del livello 1 (10%) possono al massimo capire frasi brevi e semplici. All'estremità opposta dello spettro (livelli 4-5), il 5% degli adulti italiani (contro il 12% medio Ocse) ha ottenuto i risultati più elevati, in quanto possono comprendere e valutare testi densi su più pagine, cogliere significati complessi o nascosti e portare a termine compiti. Le difficoltà in matematica Anche in matematica nell'indagine 2023, il 35% degli adulti italiani (media Ocse 25%) ha ottenuto punteggi pari o inferiore al livello 1. Sono in grado di fare calcoli di base e trovare singole informazioni in tabelle o grafici, ma sono in difficoltà con compiti che richiedono più passaggi (ad esempio risolvere una proporzione) al livello 1 (24% in Italia). Al di sotto (11%) possono solo sommare e sottrarre piccoli numeri. Sul fronte opposto, gli adulti 'high performers', ai livelli 4 o 5 delle competenze matematiche, sono il 6% in Italia, ma molto al di sotto del 14% medio Ocse. Investire nell’istruzione La soluzione, emerge dal rapporto, sta nell’istruzione, che ha ruolo fondamentale nell’accrescere le competenze viene confermato. In Italia, gli adulti di 25-65 con titoli di studio terziario ottengono punteggi di competenze superiori rispetto a chi ha un’istruzione secondaria superiore e, ancor di più, in relazione a quanti possiedono al massimo un’istruzione secondaria inferiore. Nonostante questo solo il 20% delle persone di 25-65 anni possiede un livello di istruzione pari o superiore alla laurea e ben circa il 38% ha un titolo di studio inferiore al diploma. Gli uomini continuano ad avere migliori risultati delle donne in numeracy, mentre non vi sono differenze di genere in literacy e problem solving adattivo. E il divario aumenta quando le analisi sono circoscritte alle sole persone con istruzione terziaria, ma si annulla se si considerano solo gli adulti con un titolo di studio terziario in discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. “La ridotta quota di donne con titoli Stem, che conferma le scelte selettive delle donne dettate da stereotipi culturali, pone ostacoli al raggiungimento della parità di genere nelle competenze di numeracy, ma anche alla crescita complessiva delle competenze del Paese”. 1
ascoltoebasta Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Mizzica,più di un quarto,quindi ben oltre il 50%,degli italiani fatica a fare calcoli di media complessità? Siam messi proprio maluccio.
Gaetanoalberto Inviato 10 Dicembre 2024 Inviato 10 Dicembre 2024 Se avete bisogno di qualcuno che vi spieghi gli articoli a disposizione.
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