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Good religion trascendenza/mistica


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Inviato

 

L’idea di un’etica fondata sulla ragione non è ancora del tutto scomparsa, ma adesso è perlopiù confinata agli scrittori popolari appartenenti al movimento neo-ateista: la si ritrova, per esempio, nelle trite banalità ateistiche sciorinate da Richard Dawkins nei passaggi conclusivi del suo L’illusione di Dio .

Come abbiamo visto, le scienze naturali non riescono a fornirci una base convincente per immaginare e vivere una vita buona. Ma, alla fine, non è importante. Criticare la scienza perché non è in grado di produrre principi morali è come prendersela con un microscopio perché non fa un buon caffè. Ogni strumento è progettato per un determinato scopo. Se vogliamo investigare la struttura e il comportamento del mondo materiale ci rivolgiamo alla scienza; per l’etica, ci rivolgiamo alla filosofia morale e alla teologia. Affermare che esiste un unico modo lecito di investigare e rappresentare la realtà produce un restringimento del nostro campo visivo intellettuale nel quale non possiamo permetterci di finire imprigionati e soffocati.

Poiché si tratta di cose che non possono essere provate, su ciò che è giusto e ciò che è vero dobbiamo elaborare dei giudizi. Non si tratta, tuttavia, di giudizi arbitrari o irrazionali, come se per poterli formulare fosse necessaria la sospensione del pensiero razionale. Lo abbiamo sostenuto più volte nelle pagine di questo libro: quando un certo tipo di narrazione si rivela inadeguata per un determinato scopo, abbiamo tutto il diritto di attingere ad altre narrazioni che ci sostengano nella nostra ricerca di giustizia all’interno della società e di integrità personale nella sfera esistenziale privata. Per affrontare interrogativi di questa profondità serve una narrazione più ampia, un’altra mappa di significato, che arricchiscano e allarghino il nostro campo visivo....Gli esseri umani non possono fare a meno di pensare e di parlare di Dio, di scienza e di fede. Fa parte della nostra natura essere attratti verso le domande e le intuizioni religiose. Ecco perché i partigiani del razionalismo che si sentono minacciati dalla persistenza del divino tentano di eliminarla dalla sfera pubblica a causa della sua «irrazionalità». Ma noi esseri umani siamo destinati a porci queste domande così come siamo destinati a mangiare e bere per sopravvivere, o a provare attrazione per altre persone per riprodurci. È necessario per la nostra identità e per il nostro benessere in quanto umani. Lasciamo dunque che queste conversazioni abbiano luogo! Porsi grandi domande e cercare le risposte è una componente essenziale della natura umana...La realtà è complicata. Certo, ci sono persone che tentano di ridurla a ciò che il nostro intelletto è in grado di gestire e che sbeffeggiano chiunque si opponga a questo loro modo semplicistico e riduzionistico di vedere il mondo. Ma l’universo in cui viviamo è troppo ricco perché un’unica tradizione di indagine, un’unica prospettiva d’approccio o un unico livello descrittivo bastino a fornirne una rappresentazione esaustiva, o anche solo esemplificativa. Tante, tantissime sono le sfaccettature dell’esistenza da esplorare, e incredibile è il numero di livelli della realtà con cui dobbiamo confrontarci. Non sappiamo che farcene dei monologhi di individui saccenti e troppo compresi nella difesa della propria disciplina per stare ad ascoltare gli altri: a noi serve che le voci più eminenti e più significative dell’umanità si mettano a dialogare. Occorre un intreccio di idee, di approcci e di narrazioni....Il mio intento con questo libro non è offrire una difesa né della scienza né del cristianesimo, bensì indagare ciò che accade quando alla scienza e alla fede viene offerta la possibilità di dialogare, in toni tranquilli e rispettosi, senza darsi cura dell’immancabile reazione sdegnata di coloro che, gretti e irritanti guardiani di un’illusoria purezza culturale, avvertono come minaccioso questo dibattito e vorrebbero chiuderlo ancor prima che inizi...Lo scrittore Salman Rushdie ha, giustamente, un atteggiamento assai critico nei confronti di ogni «ideologia che pretenda di possedere una spiegazione completa e totalizzante del mondo». Sia la scienza che la religione rischiano con facilità di trasformarsi in ideologie (soprattutto quando asseriscono di possedere il monopolio esclusivo della verità). Lo stesso errore accomuna il fondamentalismo religioso e l’imperialismo scientifico. Si tratta, tuttavia, di un errore evitabile . Se sostengo la necessità di ricorrere a una molteplicità di mappe e livelli di realtà e di narrazioni non è solamente perché la realtà di per sé è così complessa da esigere una simile forma di rappresentazione, ma anche per contestare qualunque pretesa di ultimità da parte della scienza o della religione...la religione può arricchire la narrazione scientifica impedendole di sprofondare in un tecnocratico e «noioso catalogo delle cose comuni» , come avrebbe detto John Keats. Il sociologo Max Weber, riferendosi a un modo eccessivamente intellettuale e razionalizzante di guardare alla natura che la riduce a ciò che è misurabile e quantificabile, parlava di «disincanto». Una prospettiva religiosa non nega in alcun modo l’utilità scientifica di un approccio razionalistico di questo genere, ma, semplicemente, ribadisce che se si deve fornire una descrizione completa ed esauriente della realtà c’è di più da dire; inoltre, essa fornisce un’integrazione alla narrazione scientifica con cui quella descrizione si potrebbe ottenere...Lo scrittore Salman Rushdie ha definito questi momenti di intuizione del trascendente «il volo dello spirito umano al di fuori dei confini della sua esistenza materiale, fisica». Anche Isaac Newton esprimeva più o meno lo stesso concetto quando diceva che la scienza è sulla riva di una verità più grande, troppo spesso preoccupata di accumulare dati senza però saperne cogliere il significato ultimo: mi sembra di essere stato solo un ragazzo che gioca sulla spiaggia e trova qua e là una pietra più liscia o una conchiglia più bella del solito, mentre il grande oceano della verità giace sconosciuto davanti a me...Tuttavia, se c’è chi vede nei confini una cosa da difendere e da presidiare, io li considero permeabili, quasi implorassero di essere esplorati e travalicati in maniera creativa e fruttuosa. Noi esseri umani, in quanto tali, siamo liberi di sceglierci i nostri racconti di senso e abbiamo il diritto di ribellarci alle narrazioni limitanti e vincolanti che la cultura cerca di imporci. Ormai la vecchia narrazione del conflitto scienza-religione è considerata storicamente sottodeterminata e frutto di ispirazione ideologica. Non siamo più prigionieri del suo incantesimo. È ormai tempo di adottare un approccio migliore, per esempio la narrazione di arricchimento suggerita nelle pagine di questo libro. Questa narrazione della scienza e della fede è rispettosa di entrambe le parti dialoganti, e insieme riconosce che l’intrecciare le loro tematiche ci consente di avere una cognizione più profonda delle cose che davvero contano nella vita. Non consiste nell’inventarsi un universo fantastico, ma nel distinguere quei livelli più profondi di signicato e di bellezza che, pur essendo già presenti nel nostro universo, molto spesso rischiano di essere ignorati se ci si affida a un’unica tradizione di indagine o a una sola mappa della realtà...

Tratto nuovamente da: La grande domanda di Alister McGrath

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Mi sembra opportuno citare queste riflessioni dal libro Oltre i confini (Ken Wilber)

"Crescita significa fondamentalmente allargare ed espandere i propri orizzonti, la crescita quindi dei propri confini, esternamente in prospettiva e internamente in profondità". 

"Ogni linea di confine, come potrà dire ogni esperto in campo militare, è anche una potenziale linea di battaglia - e il nemico è diverso ad ogni livello. Oggi passiamo la vita a tracciare confini e tracciare confini significa crare opposti. Più sono rigidi i propri confini, più sono forti le proprie battaglie. Più mi attengo al piacere, più necessariamente temo il dolore. Più perseguo il bene, più sarò ossessionato dal male. Più ricerco il successo, più temerò la sconfitta. Più valuto qualcosa, più sarò ossessionato dalla sua perdita. La maggior parte dei nostri problemi, in altre parole, riguarda i confini e gli opposti da essi creati... Alla base di molte  difficoltà c'è la nostra tendenza a considerare gli opposti come irricononciliabili, come del tutto distinti e separati l'uno dall'altro...Mentre gli opposti spesso si sono rilevati come aspetti complementari della stessa realtà. Una linea non è necessariamente un confine. Una linea sia essa mentale, naturale o logica non divide e separa solamente ma associa e unisce anche. Non è utile separare gli opposti e  fare progressi verso il positivo rifuggendo dal negativo, bensì cercare di armonizzare gli opposti, sia positivi che negativi, scoprendo un terreno che li trascenda e li includa tutti e due".

 

 

 

 

 

Inviato

Siamo giunti al XXI secolo, un’epoca di notevole miglioramento materiale, fondato largamente sui progressi tecnologici stimolati da una profusione di scoperte scientifiche. Nondimeno, il XX secolo è stato tormentato da una quantità enorme di violenza, più di quanta ve ne sia mai stata, e al principio del XXI sembra che la violenza assassina stia assumendo nuove forme la cui potenza è in perenne aumento. La causa di tale scompiglio non è l’insufficienza di conoscenze tecniche o di beni materiali, ma l’indisciplinatezza della mente...Se si potesse eliminare la sofferenza indesiderata e ottenere la felicità con il semplice progresso materiale e il benessere, ebbene, i ricchi dovrebbero essere liberi dal dolore, ma ovviamente non è così. Di fatto, chi si è procurato una buona quantità di denaro, agi e potere, tende a diventare eccessivamente altezzoso e possessivo, particolarmente avido, indirizzato più che altro al male, e sempre più apprensivo. Chi vive con moderazione non è assolutamente al riparo dai tre veleni della bramosia, dell’avversione e dell’ignoranza, ma in genere è assai meno tormentato da altri problemi. Che cosa ci rende infelici? La nostra mente si trova a tal punto sotto l’influsso delle emozioni autodistruttive che tali atteggiamenti, ben lungi dall’essere considerati dannosi, sono accettati di buon grado e incoraggiati. La felicità non proviene unicamente dalle condizioni esterne; deriva soprattutto dalla disposizione interiore. Oggi i paesi che hanno raggiunto un grande progresso materiale cominciano ad accorgersi che salute fisica e malattia, nonché le condizioni in cui versa la società, sono intimamente connessi ai processi mentali...È molto importante compiere un’indagine analitica sul nostro modo di pensare e sentire. Negli ultimi tremila anni l’analisi più profonda dei processi mentali interiori è stata compiuta in India, perciò è a tali intuizioni che attingo in questo libro...Avendo osservato che alcuni stati mentali difettosi quali la bramosia e l’avversione mettono radici nell’egotismo, il Buddha insegnò qualcosa che nessuno aveva spiegato prima di lui, il concetto dell’assenza del sé. Fu un’intuizione eccezionale e, in effetti, nei duemilacinquecento anni e più che sono trascorsi dalla sua epoca, nessuno, al di fuori della sua tradizione, ha insegnato questo concetto...Non s’intende qui affermare che il sé sia del tutto inesistente: è ovvio che esista un sé che desidera la felicità e non vuole la sofferenza. Il Buddha, tuttavia, insegnò che il sé si costituisce in dipendenza dalla mente e dal corpo. Istituì in tal modo la concezione nota come «originazione dipendente», che mette in risalto l’interrelazione di tutte le cose... Il valore di una religione è relativo per ciascun individuo. La concezione filosofica di una religione può essere la più completa ed esauriente, e tuttavia rivelarsi inadatta a uno specifico individuo. Come ho già detto, persino ai suoi seguaci il Buddha non insegnò sempre la visione più radicale. Piuttosto che cercare di imporre a tutti la concezione più profonda, insegnò in conformità con gli interessi e le inclinazioni individuali...il valore di un sistema religioso dipende dalla sua affinità con il singolo praticante; il migliore è quello che arreca maggior giovamento alla persona... Le persone hanno bisogno di un sistema adatto a sé. Ecco perché è molto importante attribuire valore a tutti i sistemi religiosi. Benché sul piano filosofico vi siano grandi differenze tra di essi, tutti possiedono precetti adatti a coltivare un atteggiamento positivo verso gli altri e aiutarli, tutti si richiamano alla pratica dell’amore, della compassione, della pazienza, dell’appagamento, e attribuiscono valore alle regole della società. Poiché tutte le religioni condividono tali obiettivi, è importante rispettarle e apprezzare i loro contributi...Se osserviamo senza pregiudizi le religioni che possiedono una base filosofica, vediamo con chiarezza che ciascuna di esse è stata di giovamento a molti nel passato, continua a esserlo nel presente e lo sarà in futuro. Benché in nome delle religioni di questo mondo siano stati causati tanti problemi, ritengo che esse abbiano aiutato più di quanto abbiano nuociuto...Secondo il mio punto di vista, mostrarsi di buon cuore perché esiste un Dio creatore amorevole è per gli individui dotati di un certo tipo di personalità un messaggio più efficace della relatività o relazionalità, che chiamiamo originazione dipendente, al cuore del messaggio buddhista. Pertanto, è decisivo individuare la religione che arreca più giovamento a un determinato individuo, considerata la grande varietà di inclinazioni delle persone

Tratto da: Verso l'illuminazione (Dalai Lama)

 

 

 

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La regola d'oro

Il vertice di tutte le grandi tradizioni spirituali mediante cui si attua il movimento della religio (relazione armoniosa degli esseri umani con la divinità e relazione armoniosa degli esseri umani tra di loro) è la cosiddetta «regola d'oro». Essa consiste in quella fondamentale direzione dell'energia interiore che, legandoci a un senso più grande di noi, ci conduce a ritenere il nostro Io non come la cosa più importante che c'è, e a vivere di conseguenza nel rispetto e nella solidarietà reciproca.

Tutte le grandi religioni conoscono la regola d'oro:

- Induismo: «Non bisognerebbe comportarsi con gli altri in un modo che non è gradito a noi stessi: questa è l'essenza della morale» (Mahàbhàrata XIII, 114.8).

- Giainismo: «L'uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo come egli stesso vorrebbe essere trattato» (Sutrakri-tanga 1,11.33).

- Religione cinese: «Quello che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini» (Confucio, Dialoghi 15,23).

- Buddhismo: «Una condizione, che non è gradita o piacevole per me, non lo deve essere neppure per lui; e una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso io imporla a un altro?» (Samyutta Nikaya v,353.35-354.2).

- Ebraismo: «Non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te» (Rabbi Hillel, Shabbat 31 a).

- Cristianesimo: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» {Matteo 7,12, cfr. Luca 6,31).

- Islam: «Nessuno di voi è un credente fintanto che non desidera per il proprio fratello quello che desidera per se stesso» (  Hadithe - Detti di Muhammad - di an-Nawawi 13).

Qual è la condizione trascendentale che rende possibili queste affermazioni e questi comportamenti? E l'aver legato se stessi a qualcosa di più grande di sé, è l'aver trasceso il semplice interesse naturale dove regnerebbe «il gene egoista». Questo è il vero significato, in senso fisico e non metafisico, del sovra-naturale: non cioè sovrannaturale, termine che rimanda a inesistenti scenari metafisici; ma sovra-naturale, termine che dice il superamento della logica dell'interesse per entrare in quella dell'inter-esse, dell'essere-insieme, della relazione armoniosa. In questo senso la religione è sovra-naturale, perché immette una logica sconosciuta al gene egoista e alla logica del potere.

Tratto da: Io e Dio di Vito Mancuso (Teologo italiano, docente di Teologia moderna e contemporanea presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Al centro del suo lavoro sta la costruzione di una teologia laica, nel senso di un rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla filosofia e alla scienza.)

 

 

 

 

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Inviato

 

Oltre ad una visione meccanicistica della realtà

La nostra cultura ha ereditato una filosofia razionalista che ha come modello di base il dualismo cartesiano che divide la res extensa dalla res cogitans e separa il reame della materia da quello della mente.

Questi princpi sono confluiti in una concezione deterministica e positivistica dell’esistenza che la definisce come uno strano accidente limitato nello spaziotempo, e ostracizza la realtà spirituale oltre i confini di ciò che è reputato reale.

La separazione tra materia e spirito ha condotto allo sviluppo di una cultura della fisicità che ha privilegiato l’identificazione dell’uomo con i portati del corpo e della mente concreta, invece che con l’intera unità biopsico-spirituale.

Se i vantaggi di una cultura razionalista e materialista si sono visti nello sviluppo tecnologico e scientifico, gli svantaggi sono apparsi evidenti nello svilimento dei significati spirituali ed etici dell’uomo moderno.

Identificato con l’intelligenza razionale e con la dimensione della fisicità, l’uomo ha sempre più prodotto oggetti e beni di consumo trascurando valori e significati che non trovano una collocazione concreta e spaziotemporale secondo i canoni culturali. Dedicato all’azione più che alla contemplazione, ed alla produzione più che alla creazione, l’uomo moderno andato perdendo il senso della poesia, della musica e della bellezza, mentre il trionfo di miti concreti ha sempre più incrementato la competizione e la corsa al successo monopolizzando l’umana intenzionalità in una dimensione orizzontale della vita. Tale visione frutto di una concezione scientifica (scientista) che dicotomizza l’unità della vita, codificando l’esistere come un fatto meramente materiale. Secondo il meccanicismo newtoniano che ha informato la visione della scienza negli ultimi secoli, l’universo costituito di materia, definita in una rigida dimensione spaziotemporale che soggiace al principio di causalità, e si muove nel vuoto. L’universo materiale esclude la presenza di Dio che ne rimane fuori e non ha nulla a che fare con la natura concreta della realtà umana...Nel complesso, ad un innegabile miglioramento delle condizioni oggettive di vita si contrappone nella nostra era una sorta di agonia dell’anima che si manifesta nella carenza di valori e di virtù e nell’alienazione dell’uomo dalla sua matrice trascendente. Volto a ciò che è “concreto” ed “oggettivo” e separato dalla sua sorgente immanifesta, l’uomo si separa dal senso di Dio, dell’Amore, dell’Eternità e conseguentemente diventa preda della paura e della solitudine, della violenza e della malattia mentale. Va da s la comprensione che, in una cornice concettuale che trascura la qualità per la quantità , non possono esistere i presupposti per la pace e l’amore tra gli uomini.

 

Tratto da: Forma e sviluppo della coscienza di Laura Boggio Gilot

 

 

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La scienza non può svelare il mistero fondamentale della natura. E questo perché, in ultima analisi, noi stessi siamo parte dell'enigma che stiamo cercando di risolvere.🎯
Max Planck (nel 1918 ricevette il Premio Nobel per la sua ipotesi dei Quanti)

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Il Cielo «simboleggia» la trascendenza, la forza, l’immutabilità, semplicemente con la sua esistenza. Esiste perché è alto, infinito, immutabile, potente.”
Mircea Eliade

Inviato

 

Neuroscienze e religione: la “neuroteologia”

di Marirosa Di Stefano (Marirosa Di Stefano, laureata in Medicina, già professore associato di Neurofisiologia all’Università di Pisa. I suoi principali temi di ricerca hanno riguardato la plasticità corticale e le interazioni interemisferiche. Attualmente si occupa di divulgazione scientifica)

Conclusione dell'articolo:

Nel campo della neuroteologia il dibattito è aspro: le diverse fazioni difendono ciascuna i propri dati e le proprie teorizzazioni mentre con scarso fair play accademico svalutano quelli degli altri attraverso libri, blog e interviste televisive. Forse sarebbe più produttivo interrogarsi sui limiti di un approccio puramente neuroscientifico ad un tema come quello della religiosità che per le sue molteplici sfaccettature (psicologiche, culturali, sociali, ambientali) richiederebbe piuttosto una modalità di studio interdisciplinare.

Da L’ATEO 2/2019

https://www.uaar.it/uaar/ateo/archivio/123/neuroscienze-religione-neuroteologia/

E se lo dicono loro! :classic_biggrin:

 

Inviato

 

“Se ognuno comprendesse che scienza e religione costituiscono due forme dell’esperienza umana perfettamente distinte, il mondo sarebbe un posto molto migliore.”

Ian Tattersall (Ha studiato presso l'Università di Cambridge Archeologia e Antropologia, e poi presso l'Università di Yale geologia e paleontologia dei vertebrati. Nel 1971 ha conseguito il dottorato a Yale. Ha lavorato come docente presso la New School for Social Research e presso la City University di New York, proseguendo la carriera nell'insegnamento come professore alla Columbia University e alla City University di New York. Fondatore della Hall of Human Biology and Evolution dell'American Museum)

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Abbiamo ben poca idea di come siano comparse le complicate cellule eucariotiche degli organismi viventi, e con loro le complesse forme di vita che vediamo sulla Terra. Scientificamente, parametri così stretti come quelli necessari alla vita hanno una tale minuscola probabilità di presentarsi che il celebre cosmologo britannico Stephen Hawking li ha descritti come segue: “Se si considerano le possibili leggi e costanti che potevano scaturire, le probabilità contrarie a un universo che abbia prodotto la vita come la nostra sono immense”, e “Ogni volta che si comincia una discussione sulle origini dell’universo, io penso che vi siano implicazioni chiaramente religiose”. Un altro cosmologo di fama, Roger Penrose, prendendo in considerazione soltanto uno dei parametri necessari per un universo che sostenga la vita, ha posto la probabilità dell’emergenza del nostro universo pari a 1 su ovvero uno diviso dieci elevato alla potenza di, elevato alla potenza di 123. Tali numeri ci schiacciano. Figuriamoci la probabilità dello sviluppo di vita intelligente! Presumere che non vi sia alcun Dio o atto creativo dietro il nostro universo così incommensurabilmente improbabile, a me sembra perlomeno arrogante...Io sono fermamente convinto che la spiritualità, la religione e la fede abbiano un ruolo importante nella nostra vita. Ci mantengono umili dinanzi alle grandi meraviglie della natura, aiutano a sostenere i nostri valori sociali, promuovono la cura per i deboli e per i poveri, e forniscono speranza e una sorta di codice morale nel mondo di oggi, sempre più complesso. La scienza e la spiritualità fanno entrambe parte integrante della ricerca umana della verità e del significato della vita; esse ci forniscono possibili vie per comprendere e apprezzare il nostro vasto universo e il posto che abbiamo al suo interno....

L’affondo portato da Dawkins è che la religione non è soltanto un male, ma è anche stupida, e che alle persone religiose non si debba alcun rispetto da parte del resto della società (nel capitolo 1 di L’illusione di Dio , Dawkins presenta un intero paragrafo intitolato “Rispetto immeritato”, in riferimento al suo punto di vista che le persone religiose non meritino alcun riguardo per le loro convinzioni)...In ogni caso, lo scopo principale del libro di Dawkins è il tentativo di sfruttare la scienza per dimostrare che la religione è falsa e che Dio non esiste. Dawkins vuole sostituire “Dio” con “evoluzione”, e mostrare che i fattori di quest’ultima – sopravvivenza del più adatto, adattamento all’ambiente e selezione naturale (inclusa la riproduzione sessuale preferenziale per gli individui meglio adattati) – conducono direttamente alla complessità della vita che vediamo tutt’intorno a noi e che, quindi, non c’è mai stato bisogno di un “creatore” esterno

...Noi sappiamo che l’evoluzione è come cambiano le forme di vita nel corso del tempo. La domanda è se l’evoluzione possa davvero sostituirsi a un artefice primario delle leggi della natura – comprese quelle dell’evoluzione stessa e del fondamentale punto di partenza del processo evolutivo. Di fatto, la scienza contemporanea non è stata in grado di affrontare tali problemi chiave...Poiché Dawkins non ha una conoscenza avanzata in fisica e in matematica, le sue considerazioni sull’universo visto come un tutt’uno sono facilmente confutabili; difatti, nessun fisico serio affermerebbe che un meccanismo “simile all’evoluzione biologica” operi in qualche maniera in un universo puramente fisico

...Il Nuovo Ateismo è combattivo, aggressivo e bellicoso nei confronti delle persone di fede. I suoi sostenitori asseriscono che la religione è male, e lo affermano forte e chiaro. E che siano o no scienziati, i Neoatei impiegano frequentemente la scienza come loro strumento.

Questi Neoatei – Dawkins, Krauss, il defunto Hitchens, Harris e Dennett – sono uniti da un grande obiettivo comune, e si rinforzano continuamente l’un l’altro. Il problema della scienza che si ritrova nei libri e nelle conferenze dei Neoatei è che non si tratta di scienza pura – ovvero l’oggettivo perseguimento della conoscenza dell’universo. Piuttosto, si tratta di “scienza con uno scopo”: quello di confutare l’esistenza di Dio. Pertanto, gli argomenti che questi scrittori adducono sono spesso tendenziosi. Piegano e distorcono la scienza secondo i propri intendimenti e i propri fini, in maniera non troppo differente rispetto a ciò che uno scienziato sul libro paga di una compagnia farmaceutica potrebbe fare scrivendo una relazione favorevole su un farmaco dalla discutibile efficacia, prodotto dalla stessa compagnia.

Tratto da: Perché la scienza non nega Dio di Amir D. Aczel (matematico e storico della scienza, ha scritto numerose opere di divulgazione scientifica)

 

 

 

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Roger Penrose ha trascorso una vita a cercare di capire i meccanismi dell’universo. Ed è giunto a una conclusione stupefacente: se l’entropia (una misura del disordine impiegata comunemente in fisica) dello spazio fosse stata leggermente diversa da quella che è in realtà, anche per una minuscola frazione, l’universo non esisterebbe. Quindi, l’universo deve essere stato “sintonizzato” a un livello di finezza che possiamo difficilmente concepire. Scrive Penrose in La strada che porta alla realtà : "Si può far ricorso al principio antropico per spiegare la natura molto speciale del Big Bang? Questo principio può essere incorporato come parte del quadro inflazionano, in modo che uno stato inizialmente caotico (massima entropia) possa nonostante ciò condurre a un universo come quello in cui viviamo, in cui signoreggia la seconda legge della termodinamica?"

La seconda legge della termodinamica afferma che l’entropia di un sistema isolato aumenta con il passare del tempo. Il modello di Penrose di un universo che consenta alla vita umana di scaturire presenta determinati requisiti, come il mantenimento della seconda legge e le condizioni di equilibrio delle temperature e di altre variabili che sono con essa coerenti. Scrive: Il ragionamento sarebbe approssimativamente questo: “Per l’esistenza di vita senziente, abbiamo bisogno di un universo grande con scale temporali abbastanza lunghe affinché abbia luogo l’evoluzione, in condizioni favorevoli, eccetera; ciò richiede una qualche inflazione, che abbia origine da qualche minuscola regione iniziale liscia e che, una volta avviata, prosegua sino a fornirci quell’universo osservabile, meravigliosamente enorme, che conosciamo”. Nonostante questo quadro possa sembrare di una tale meravigliosa natura romantica da essere completamente immune da attacchi scientifici, io non credo sia così […]. La precisione richiesta in termini di volume dello spazio delle fasi, è per lo meno di 1 su . Il numero viene dall’entropia di un buco nero di massa uguale a quella dell’universo osservabile.   

Soltanto un genio matematico come Penrose poteva proporre un universo in grado di ospitare la vita basato sulle richieste termodinamiche di un buco nero. Poi, lui affina la sua tesi chiedendo: “Ma abbiamo davvero bisogno dell’intero universo osservabile affinché si abbia vita senziente?”. Stando alla sua risposta solo una parte minima dell’universo sarebbe costretta ad avere condizioni favorevoli per sostenere la vita e l’intelligenza. Può così cedere leggermente sui requisiti, concludendo: Perciò la precisione necessaria, da parte del nostro Creatore […] per creare questa piccola regione è soltanto circa uno su […]. Il nostro “Creatore” ha ora bisogno solo di una “minuscola regione liscia” della “varietà iniziale” più piccola di quella di prima. È molto più probabile che il Creatore si imbatta in una regione liscia […]. Vi è stato davvero qualcosa di molto speciale nel modo con cui l’universo ha avuto inizio […]. Potremmo assumere la posizione in base alla quale la scelta iniziale sia stato un “atto di Dio” […] o potremmo cercare qualche teoria scientifica/matematica per spiegare la natura straordinariamente speciale del Big Bang. La mia preferenza va certamente al tentativo di capire quanto in là possiamo andare con la seconda possibilità. 

...Parecchi fisici avversano il principio antropico, poiché questo non fornisce alcuna spiegazione, a parte quella banale che le cose sono come sono perché non potrebbero essere altrimenti. E il principio antropico non è un buon sostituto di Dio. Si potrebbe anche dire che c’è un solo universo e che Dio lo ha modellato in questa maniera – con i parametri e le forze tutti perfettamente adatti allo scopo – così come ha creato la vita intelligente. Postulare un numero infinito di universi e un principio antropico che “scelga” fra loro quello nel quale dobbiamo vivere è una maniera di costruire un modello del vivente davvero dispendiosa, e tutt’altro che scientifica. Hawking e diversi altri fisici sperano che una “teoria del tutto” un giorno spieghi i valori dei parametri dell’universo in modo che il principio antropico possa essere ritirato dalla circolazione.

...Anche se il principio antropico non ha la validità scientifica richiesta di norma o la capacità di spiegare davvero le cose, i Neoatei abbracciano questo modo di ragionare poiché fornisce un sostituto di Dio. Richard Dawkins dedica quasi trenta pagine di L’illusione di Dio a questo principio, collegandolo persino alla selezione naturale: questa “funziona perché è una strada cumulativa a senso unico volta al miglioramento. Occorre una certa fortuna per iniziare, e il principio antropico dei ‘miliardi di pianeti’ ce la concede”.   Si noti che la maggior parte dei fisici detesta il principio antropico, come ammette Dawkins, che però aggiunge: “Non capisco perché. A me [l’idea] pare bella, forse perché la mia coscienza è stata risvegliata da Darwin”.   Per esempio, Penrose, di fatto, appena può schiva il principio antropico: per lui l’origine dell’universo è piuttosto un “atto di Dio” o qualcosa che potremo scoprire quando avremo la “teoria finale” della fisica.

Tratto dal testo di cui sopra

 

 

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Esiste soltanto questo mondo, fatto di cose, oggetti fisici, atomi, molecole, oppure c’è anche un’altra dimensione, non fisica? La parola metafisica deriva dal greco μεταφυσικά (metaphysicà) e significa “oltre le cose fisiche”. Nel I secolo a.C. Andronico di Rodi, nel classificare le opere del filosofo Aristotele, si trovò di fronte ad alcuni scritti che venivano dopo gli scritti concernenti la natura, τὰ Φυσικά (tà Physicà), quindi li classificò come “oltre i libri di Fisica”. In seguito, nel corso della storia la parola venne a indicare quella parte della filosofia che si occupa di ciò che trascende il mondo fisico. A tal proposito è utile ricordare che metafisica nell’uso corrente non significa “oltre la natura”, dato che quest’espressione indicava in greco solo una nomenclatura bibliografica, ma significa “oltre ciò che è fisico”, differenza che è cruciale.

 

È questo il problema centrale della metafisica: c’è solo questo mondo fisico, il mondo visibile, tangibile, materiale, di cui tutti possiamo fare esperienza, o c’è anche un altro “mondo”, non visibile, non materiale? Ai materialisti tale questione non interessa affatto dato che loro sono convinti che esistono solo entità materiali, cioè entità composte di materia. Questa convinzione deriva per la maggior parte dall’esperienza sensoriale. Le cose materiali, gli oggetti fisici, si possono vedere, toccare, sentire, etc… I materialisti credono di andare sul sicuro, dal momento che tutto ciò che è composto di materia è esperibile in modo certo, se ne può avere esperienza direttamente, in prima persona. Quindi, ci sono persone che escludono a priori la questione metafisica, non se ne danno pensiero, non ci badano, non la prendono in considerazione. Tuttavia, a ben vedere, quest’atteggiamento potrebbe essere un azzardo. Infatti, se esistesse davvero una dimensione del genere e fosse di primaria importanza per la vita dell’uomo, lasciarsela sfuggire sarebbe da sprovveduti. A tal proposito, qualche anno fa mi trovai a parlare con un tipico materialista, benestante, calato nei piaceri sensuali, attaccatissimo ai soldi, anche un po’ narcisista, e gli chiesi se lui avesse almeno una volta pensato che forse ci potrebbe essere una realtà diversa da questa nostra terrena, una realtà superiore, spirituale, forse anche un Dio. Con mia sorpresa rispose: “Sarebbe troppo bello!”. Che strano! Come mai una risposta del genere? Evidentemente, dato che la sua mentalità consisteva nel voler possedere quante più cose possibili, gli avrebbe fatto piacere mettere nel novero anche quelle ipotetiche cose spirituali, più pregiate, così lui si sarebbe arricchito ancor di più ma questa volta in un modo molto più qualitativo. Nonostante la sua rozza impostazione materialista quel tizio sospettò, forse per la prima volta in vita sua, che ci sarebbe potuto essere qualcosa di molto vantaggioso nell’altra dimensione. E in effetti, a chi non farebbe piacere avere un supporto, una guida, un aiuto, una forza che proviene da un ambito o da un Essere ultraterreno? Sarebbe veramente bello, anzi meraviglioso, splendido. Quando si parla di queste cose vengono subito alla mente due parole, religione e spiritualità , che però non hanno lo stesso significato. In generale, la religione ha una dimensione marcatamente sociale, comporta pratiche e rituali, luoghi di culto, templi, chiese, moschee, sinagoghe, documenti, scritture sacre in cui è codificata la dottrina. La religione richiede la predisposizione a credere e ad avere la fede . La spiritualità invece scaturisce da un’esperienza interiore, soggettiva, caratterizzata dal bisogno di trovare un significato nella vita, il senso della propria esistenza, scoprire la verità, muoversi verso l’auto-trascendenza. Oggi si parla di spiritualità senza religione , ma è possibile anche la religione senza spiritualità, se si pone troppa enfasi sui rituali esteriori...Più vicina alla metafisica è la spiritualità, in quanto dimensione originaria che trova la sua fonte nell’esperienza intima dell’individuo...

Scegliere una filosofia, una metafisica, una religione sicuramente non è un subire passivo la disponibilità del proprio ambiente. Scegliere è un’altra cosa. Significa cercare, vagliare, distinguere, conoscere diverse opzioni.

Ci sono casi in cui la cultura del proprio ambiente non è in grado di venire incontro adeguatamente alle esigenze profonde delle persone. In questi casi è necessario prendere consapevolezza che la propria cultura è solo una delle tante e non necessariamente è la migliore. Forse è buona per certe cose ma non per altre.

In conclusione, un sentimento anima quest’intera ricerca, dalla prima pagina fin qui: per ogni essere umano, per ognuno di noi c’è la propria, personale, individuale strada buona, autentica. Però non tutti ci credono, non tutti riescono a individuarla, alcuni nemmeno ci pensano, distratti dalle mille cose del mondo, dagli affanni quotidiani, dal trambusto di un mondo sempre più complesso, multiforme, caotico, incautamente calato nelle sabbie mobili del materialismo e incantato dalle esteriorità. Proprio grazie alla metafisica, che consente di andare oltre questo mondo fisico, oltre il visibile, proprio perché rende concepibile ciò che “non si vede”, diventa possibile almeno presentire che davvero esiste la via autentica per ciascuno di noi. Non è evidente, non è constatabile come le altre cose del mondo, ma c’è.

Tratto da: Quattro argomenti-chiave per l'esistenza di Leonardo Claps (docente a contratto all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Antropologia culturale, Psicologia culturale, Filosofia della scienza e Educazione dell’adulto. Precedentemente ha insegnato Antropologia filosofica in istituti superiori e Storia della filosofia (occidentale e orientale) all’Università delle Tre Età di Potenza. È anche addetto ai servizi bibliotecari)

 

 

 

 

 

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Tutti sanno che la religione coinvolge la fede. Sembra che molte persone siano convinte che la fede implichi chiudere gli occhi, stringere i denti e credere almeno in sei cose impossibili prima di colazione, perché ce lo dice la Bibbia, o il papa, o qualche altra autorità indiscutibile. Niente affatto! Il salto che la fede può richiederci è verso la luce, non nel buio. Pervenire ad una fede motivata in ciò di cui si tratta è lo scopo sia della ricerca religiosa, sia della ricerca scientifica. La religione, come abbiamo detto, può essere un valore reale solo se è effettivamente vera; non è una tecnica per farsi coraggio e tenere alto il morale...Io penso che scienza e religione, superata la prima impressione, siano cugine, da un punto di vista intellettuale. Ambedue sono alla ricerca di un credere che sia motivato. Né l’una né l’altra possono pretendere di possedere la conoscenza assoluta, certa, poiché ciascuna deve fondare le proprie conclusioni sul ruolo reciproco che giocano interpretazione ed esperienza. Di conseguenza, entrambe devono essere disponibili all’eventualità della correzione. Nessuna delle due si basa soltanto sui puri fatti, o su mere opinioni. Sono parte ambedue del grande tentativo umano di capire. Ciò nonostante, tra la scienza e la religione vi sono, ovviamente, delle differenze. Una delle più significative è che la scienza si occupa di un mondo fisico che è a nostra disposizione per essere maltrattato o fatto a pezzi come più ci garba. In poche parole, la scienza può sottoporre le cose alla verifica sperimentale. Dio, invece, non è a nostra disposizione in questo modo. La Bibbia dice: «Non metterai alla prova il Signore tuo Dio». Non ha alcun senso dire: «Se un Dio esiste, che mi fulmini»...Decisamente, Egli non accetta di giocare a questa partita folle;, né lo fa la gente. Se, per mettere alla prova la tua amicizia, io escogito in continuazione piccole trappole, di fatto, la diffidenza mostrata distruggerà la possibilità di una vera amicizia tra di noi. Nell'ambito dell’esperienza personale sappiamo tutti che, sia tra di noi sia nei confronti di Dio, la verifica deve lasciar spazio all’avere fiducia. Anche nella scienza ci sono branche nelle quali è impossibile effettuare esperimenti: la cosmologia e la biologia evolutiva, ad esempio...Di per sé, la scienza rappresenterebbe un modo disperatamente limitato ed impoverito di vedere le cose. La musica sarebbe ridotta a delle vibrazioni nell’aria. Un quadro meraviglioso sarebbe visto soltanto come un insieme di macchie di colore di cui è nota la composizione chimica. Il fatto che la scienza ignori i problemi di valore fa parte della sua tecnica d’indagine, ma ciò non significa neppure per un istante che non esistano valori o che non siano di fondamentale importanza. Quasi tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta scivola tra le larghe maglie della rete scientifica. Durante le cordiali dispute con i miei amici non credenti, ho sempre cercato di incoraggiarli ad alzare i propri occhi oltre gli orizzonti limitati del punto di vista scientifico. Io credo che la bellezza fornisca una finestra essenziale sulla natura della realtà, e non sia pura e semplice emozione...Un’altra forma di esperienza umana resa comprensibile dalla fede in Dio è, ovviamente, la stessa esperienza religiosa. Dovremmo ricordarci che quasi tutte le persone, in ogni tempo ed in qualunque luogo, hanno avuto qualche forma di fede religiosa. La miscredenza, largamente diffusa nel mondo occidentale contemporaneo, è un fenomeno, sia storicamente che geograficamente, limitato. Come la persona stonata dovrebbe valutare seriamente l’eventualità che gli amanti della musica vivano un’esperienza che varrebbe la pena provare, così gli occidentali non credenti dovrebbero esaminare l’eventualità che anch’essi stiano perdendo qualcosa d’importanza vitale...Abbiamo bisogno delle intuizioni sia della scienza sia della religione nella nostra ricerca di comprensione. La domanda che pone (e a cui risponde) la scienza è essenzialmente: «Come?». In quale modo avvengono le cose? La domanda che pone (e a cui risponde) fondamentalmente la religione è: «Perché?». C’è un significato, uno scopo che agisce dietro ciò che accade? Se vogliamo capire quel che sta succedendo, abbiamo bisogno di rivolgere ambedue queste domande.

Tratto da: Quark, caos e cristianesimo di John Polkinghorne (filosofo, teologo e fisico britannico. Insignito dell'Ordine dell'Impero Britannico -KBE-, nominato Fellow della Royal Society -FRS-, specializzato in fisica teorica e teologia.  Scrittore di fama e pastore anglicano, professore di fisica matematica alla University of Cambridge dal 1968 al 1979, poi dimessosi dalla cattedra per studiare ed essere ordinato pastore anglicano nel 1982. È stato presidente del Queens' College -Cambridge- dal 1988 al 1996; nel 2002 gli è stato assegnato il Premio Templeton -del valore di un milione di sterline- per contributi eccezionali nell'affermare la dimensione spirituale della vita)

 

 

 

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La religione non è solo una tecnica per tener alto il morale, un pio anestetico per alleviare un poco la sofferenza della vita reale. La questione religiosa fondamentale è il problema della verità. Naturalmente, la religione può essere in grado di sostenerci nella vita, o nell’avvicinarsi della morte, però solo se si occupa della reale natura delle cose. Tra le persone che conosco e che mi sembrano le più intelligenti e risolute nell’affrontare la realtà vi sono monaci e monache, persone che praticano la vita religiosa della consapevolezza acquisita mediante la preghiera. Indagando sui molteplici aspetti dell’esperienza che riguardano la scienza e la religione, mi sembra che esse condividano un medesimo desiderio di apprendere il vero. In questa ricerca, nessuna delle due potrà raggiungere una certezza assoluta; entrambe esigeranno una fede che sia motivata ma non al riparo dal poter essere messa in discussione. Basta, in effetti, considerare come ciascuna affronti il proprio compito...La teologia sa da tempo che le nostre immagini di Dio sono inadeguate all’infinita ricchezza della sua natura; che i concetti umani di Dio sono, in ultima analisi, idoli da distruggere di fronte alla realtà che è ben più grande...Al di sotto di uno strato superficiale, la scienza e la religione, nella loro ricerca della verità, sono intellettualmente cugine...ho cercato di presentare un resoconto dell’amicizia tra scienza e teologia; e credo che questa sia la valutazione più giusta.La religione è il nostro incontro con la realtà divina, esattamente come la scienza è il nostro incontro con la realtà fisica. Uno scienziato può essere un credente (e molti lo sono). Io sono felice di essere uno di costoro e ho scritto questo libro nella speranza che possa aiutare altri a fare un’analoga scoperta.

Tratto dal testo di cui sopra

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Di uguale animo nei confronti dei compagni, degli amici e dei nemici, degli indifferenti, dei neutrali, degli odiosi, dei partigiani, dei giusti e degli empi

Bhagavad Gita

 

 

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Orbene, non vi è una classe di sostanza o un genere comune cui appartenga il Brahman. Pertanto, non può essere indicato da parole che, come «essere» nel senso ordinario, significano una categoria di cose. Né può esser indicato dalla qualità, perché è senza qualità; né dall’attività perché è senza attività: «in riposo, senza parti né attività» secondo le scritture. Né può esser indicato dalla relazione, perché è «senza un secondo» e non è oggetto d’altro che di se stesso. Pertanto non può esser definito da alcuna parola o idea; come dice la scrittura, è l’Uno «davanti a cui si ritraggono le parole».

Śankara (Sri Samkaracarya, vissuto in India nell'VIll sec. d.C., è stato il codificatore dell'Advaita Vedanta. Con la sua poderosa opera filosofica ha compiuto quello che potremmo definire la più grande sintesi e armonizzazione di tutto il pensiero filosofico dell'India)

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Uno dei più grandi favori accordati transitoriamente all’anima in questa vita è quello di metterla in grado di vedere così distintamente e di sentire così profondamente che essa non può affatto comprendere Dio. Queste anime assomigliano in questo un po’ ai santi in cielo: fra questi, coloro che Lo conoscono più perfettamente scorgono più chiaramente che Egli è infinitamente incomprensibile. Infatti, coloro che hanno la visione meno chiara non scorgono così chiaramente come gli altri di quanto Egli trascenda la loro visione.

San Giovanni della Croce (Collaboratore di S. Teresa d'Avila nella fondazione dei Carmelitani Scalzi, Dottore della Chiesa , universalmente riconosciuto come mistico per eccellenza, Giovanni della Croce risulta sempre più un affascinante maestro: le sue parole e il suo messaggio sanno di mistero, del mistero di Dio)

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L’importanza del Brahman è espressa da neti neti (non così, non così); perché al di là di questo, che tu dici non esser così, non vi è nient’altro. Il suo nome, comunque, è «la Realtà delle realtà». Come dire: i sensi sono reali, e il Brahman è la loro Realtà.

Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad (è tra le Upaniṣad vediche più antiche, se non la più antica. Probabilmente coeva se non leggermente anteriore alla Chāndogya Upaniṣad)

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I semplici, assoluti e immutabili misteri della divina Verità sono nascosti nel buio superluminoso di quel silenzio che rivela in segreto. Perché questa oscurità, pur essendo di un buio profondissimo è, tuttavia, di un fulgore radioso; e pur essendo al di là del tatto e della vista, essa colma il nostro spirito cieco con gli splendori della bellezza trascendente ... Desideriamo ardentemente restare in questa oscurità traslucida, e, attraverso il non vedere e il non conoscere, vedere Colui che è al di là sia della visione sia della conoscenza, per il fatto stesso di non vederLo e non conoscerLo. Perché questo è veramente vedere e conoscere e, per mezzo dell’abbandono di tutte le cose, lodare Colui che è oltre e sopra tutte le cose. Perché qui siamo abbastanza vicini all’arte di coloro che scolpiscono nella pietra un’immagine che par viva: rimovendo da essa tutto ciò che impedisce una visione nitida della forma latente, rivelandone la bellezza nascosta solo togliendo il superfluo. Perché io ritengo sia più opportuno lodarLo col togliere e non con l’attribuire; perché noi ascriviamo attributi a Lui, quando partiamo dagli universali e scendiamo attraverso gli intermedi fino ai particolari. Ma qui togliamo a Lui ogni cosa, salendo dai particolari agli universali, in modo da poter conoscere apertamente l’inconoscibile, che è celato dentro e sotto tutto ciò che può essere conosciuto. E contempliamo quell’oscurità al di là dell’essere, che è celata sotto tutta la luce naturale.

Dionigi L’Areopagita

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Quindi, per quanto riguarda un’espressione pienamente soddisfacente della Filosofia Perenne, esiste un problema semantico che è sostanzialmente insolubile. Questo fatto dev’essere tenuto sempre presente da tutti coloro che ne leggono le formulazioni. Solo così potremo capire sia pur lontanamente di che cosa si stia parlando. Considerate, ad esempio, le definizioni negative del Fondamento dell’essere, trascendente e immanente. In formulazioni come quelle di Eckhart, Dio è equiparato al Nulla. In un certo senso l’equazione è esatta; perché Dio non è certamente cosa alcuna. Per usare l’espressione di Scoto Eriugena, Dio non è qualcosa: Egli è Quello. In altre parole, il Fondamento può essere denotato attraverso il suo esserci , ma non può esser definito come dotato di qualità. Ciò significa che la conoscenza discorsiva circa il Fondamento non è semplicemente, come ogni conoscenza illativa, una cosa che stia a uno o più passi dalla realtà che è di conoscenza immediata; essa invece è e, per la natura stessa del nostro linguaggio e dei nostri schemi tipici di pensiero, essa deve essere una conoscenza paradossale. Non si può avere una diretta conoscenza del Fondamento se non attraverso l’unione, e l’unione si può raggiungere solo con l’annullamento di quell’ego preoccupato di se stesso, che è la barriera che separa il «tu» dal «Quello».

Tratto da: La Filosofia Perenne di Aldous Huxley (autore e filosofo britannico nacque in una nota famiglia di scienziati e personaggi eminenti nella vita pubblica inglese del XIX secolo. Suo nonno, Thomas Henry Huxley, era stato un biologo marino grande amico di Charles Darwin e sostenitore della teoria darwiniana dell’evoluzionismo; suo padre, Leonard Huxley, lavorò come assistente editore della Cornhill Magazine, un’influente rivista liberale e suo fratello Andrew Fielding Huxley, un fisiologo e biofisico, vinse il Premio Nobel per la Medicina nel 1963)

 

 

 

 

 

 

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Platone ha cambiato la storia della filosofia perché per la prima volta ha spiegato con la sola ragione che si può dimostrare l’esistenza di un essere che non è quello che vedi, senti e tocchi: un essere trascendentale e intelligibile. Ha chiamato questo processo “seconda navigazione”. Per gli antichi la prima navigazione era quella tradizionale, a vela, la seconda era quella a remi, faticosa ma necessaria per uscire da quelle situazioni in cui il vento mancava del tutto e rischiava di trasformare il viaggio in tragedia. Per Platone la “prima navigazione” fu il processo conoscitivo con i sensi dei presocratici. Ci sono cose che si sanno ma che non si riescono a vedere, toccare e sentire. Con cosa si conoscono quindi? Con l’intelligenza. Entra in gioco quella che i greci chiamavano ψυχή. La seconda navigazione viene trattata in due parti: la prima è la teoria delle idee, la seconda deriva dalla consapevolezza che le idee hanno bisogno di qualcosa in più dei principi primi da cui derivano, e questo qualcosa sono l’uno e la diade. Platone parla anche all’uomo di oggi perché usa un linguaggio non tecnicistico, accademico e incomprensibile, ma parla a tutti. Gli antichi sostenevano che ci fossero due categorie di medici: il medico di medicina e il medico dell’anima. Platone disse ai numerosi medici che frequentavano l’Accademia: “I medici greci sono grandi, perché hanno capito che non si può curare un particolare, un organo, se non nell’intero.” Secondo questa massima, era necessario curare non solo il corpo ma anche l’anima, da cui nascevano i mali più grandi. Quando pubblicai Corpo, anima e salute, tenni una lezione ad alcuni medici psichiatri che me lo avevano chiesto. Essi obiettarono dicendo che queste considerazioni costituivano la loro teoria medica d’avanguardia e stentavano a credere che già Platone avesse avuto questa intuizione. Scrissi sul “Corriere della Sera” una massima di Platone, che diceva: “Lo Stato che io ti descrivo forse non si realizzerà mai sulla Terra. Lo Stato si costruisce nella tua anima, έν τή ψυχή. Lo Stato che esiste nel mondo reale è un ribaltamento di quello che hai dentro tu.Se votiamo persone squallide, siamo squallidi anche noi, tali e quali.

Platone scrisse la Repubblica, tra le altre cose, per capire bene cosa fosse l’anima, perché nel grande è possibile vedere il piccolo in maniera stupenda.

La filosofia oggi vive un momento di crisi profonda. Il nichilismo ha portato molti professori a scegliere la filosofia di metodo: quella formale, analitica ecc., perché non vogliono entrare nei contenuti. Habermas scrive addirittura che la filosofia non ha più diritto di parlare di etica. Io penso che l’Europa si salverà se i giovani ritorneranno agli ideali e alla capacità di spendersi per essi. Molti obiettano dicendo che sempre meno persone credono negli ideali. A questo proposito, mi ha colpito molto una frase di Kierkegaard, grande filosofo dell’Ottocento, che diceva: “Cristo vive finché ci sarà anche uno solo sulla Terra che lo considera un contemporaneo. Scomparirà completamente quando questa condizione verrà meno”.

Giovanni Reale (è stato a lungo ordinario di Storia della Filosofia Antica fondando il Centro di ricerche di Metafisica dell'Ateneo cattolico. Uno dei massimi esperti di filosofia antica in campo internazionale, Reale è stato autore di una monumentale storia della filosofia greca e romana e di innumerevoli contributi e saggi scientifici, su Platone, Aristotele, Seneca, Plotino e Agostino, molti dei quali destinati alla circolazione internazionale, attraverso la traduzione in diverse lingue straniere. Nel 1982 ha fondato la collana Vita e Pensiero )

https://www.ccdc.it/documento/invito-al-pensiero-antico-intervista-al-prof-giovanni-reale/

Inviato

 

Oggi nessun fisico serio nega i concetti di non oggettività e di non località. La non località ci insegna che le cose non sono così primitive, senz’anima e limitate nello spazio come voleva la fisica classica. Nessuna particella è isolata, piuttosto ognuna di esse possiede un’«idea» dell’ambiente circostante, del mondo intero. Uno dei pensatori più noti tra i fisici quantistici degli ultimi anni, Hans-Peter Dürr, si esprime così: «L’individuo umano è connesso con l’intero cosmo».

In molte religioni esiste una traccia antichissima di questa visione, in particolare nell’induismo e nel buddhismo. Le parole dell’eminente studioso Shankara, «Ātman è Brahman» – «L’anima individuale è una cosa sola con l’anima del mondo» –, sono perfettamente in armonia con l’affermazione di Dürr. Questo tipo d’intuizione si ritrova anche nella mistica cristiana e nella letteratura monastica.

Circa quarant’anni fa mi è capitato di parlare con un eremita della Chiesa ortodossa e gli ho chiesto come potesse conciliare il suo isolamento con la fede cristiana, che possiede una spiccata componente sociale. Mi ha risposto che, nella sua ricerca dell’armonia con Dio, era di aiuto all’uomo tanto quanto una persona attiva. Anche nella Chiesa cattolica esistono ordini monastici che tentano di costruire una «cellula di salvezza», convinti appunto che, per quanto minuscola, possa influenzare il mondo intero. In questo modo ognuno di noi, creando attorno a sé una di queste cellule, è in grado di esercitare il proprio influsso sul cosmo. Ciò è vero persino nel caso in cui tale cellula sia caotica. Anche la preghiera, con la quale trasformo me stesso dal punto di vista fisico, nella misura in cui cambia la mia funzione d’onda, può influenzare un altro.

Hans-Peter Dürr sosteneva che il termine «fisica quantistica» fosse una scelta infelice per indicare la materia in questione. Più calzante sarebbe stato «fisica olistica», che meglio descrive una fisica dove tutto si appartiene e nulla è isolato.

Grazie alla non località, la fisica quantistica dimostra inoltre che il metodo cartesiano di suddividere i problemi in parti più semplici, per poi risolverli separatamente, non è corretto: l’intero eccede la somma delle sue parti. Anche l’uomo è più della somma dei suoi organi, come la medicina moderna sempre più spesso si trova a constatare. E la natura è fatta e funziona in modo diverso da come ci ha insegnato la fisica classica.

...

D’altra parte la fisica moderna è ormai convinta che esista una dimensione trascendente la realtà percepibile e misurabile, la cui descrizione oltrepassa il campo della sua indagine.

La realtà fisica non è che una proiezione della verità assoluta sul piano individuato dagli organi di senso e dagli strumenti di misurazione, che chiamerò piano esteriore , ed è comparabile con lo scenario presentato da Platone nella sua allegoria della caverna. L’uomo incatenato percepisce unicamente delle ombre su un muro, proiezioni create dalla luce che colpisce gli oggetti che si muovono davanti alla parete, e mai gli oggetti nella loro piena realtà, nella loro verità assoluta.

È possibile che in un prossimo futuro appaia in maniera ancora più lampante quanto l’indagine fisica non offra nulla più che un piccolissimo riflesso dell’assoluto. Da circa cinquant’anni siamo convinti di poter descrivere la struttura della materia attraverso il cosiddetto modello standard della fisica delle particelle, eppure questo si rivela sempre meno completo e sempre più incapace di descrivere la verità.

Tratto da: Qualche nota su Dio e la fisica quantistica di Anselm Grun (un monaco benedettino tedesco, che dirige il centro di spiritualità annesso all’abbazia di Münsterschwarzach nei pressi di Würzburg. Scrittore, conferenziere e terapeuta, è oggi uno dei più apprezzati maestri di spiritualità, le cui opere sono tradotte nelle principali lingue)

e Michael Grun ( fisico, ex docente di fisica e matematica)

 

 

 

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Inviato
20 ore fa, LUIGI64 ha scritto:

D’altra parte la fisica moderna è ormai convinta che esista una dimensione trascendente la realtà percepibile e misurabile, la cui descrizione oltrepassa il campo della sua indagine.

Questa se l'è inventata proprio :classic_biggrin:...

Inviato

@faber_57 Diciamo che in questo caso il termine trascendente, sarebbe da mettere tra virgolette

Si riferisce a qualcosa che è oltre a ciò che comunemente è definito materiale/fisico, quindi non percepibile  e misurabile

Comunque, sono d'accordo con te, non avrei utilizzato quel termine, avendo solitamente connotati spirituali/religiosi

Essendo una traduzione, sarebbe anche da verificare in lingua originale

Vabbè

Inviato

 

Heisenberg cita quindi Keplero, che nella sua descrizione dell’armonia delle sfere si lascia andare a un’invocazione: «Ti ringrazio Signore Iddio, nostro Creatore, che mi permetti di vedere la bellezza della tua opera di creazione». Riportando poi la sua esperienza personale, racconta di poter testimoniare, dopo anni di sforzi per comprendere la teoria dei quanti, l’«apparizione di una relazione, davvero non molto facilmente intuibile, ma in fondo semplice nella sua sostanza; questa relazione fu trovata immediatamente convincente per la sua completezza e la sua bellezza astratta».

Heisenberg è convinto che la conoscenza della bellezza ultima, la quale si rivela non soltanto nel creato, ma anche nella conoscenza delle relazioni più profonde presenti nella natura, non sia una conoscenza puramente razionale. Si tratta bensì di una conoscenza intuitiva. Il riferimento qui è a Wolfgang Pauli, fisico svizzero e amico di Carl Gustav Jung, che scrive: «Il processo di comprensione della natura, insieme con la gioia che l’uomo prova nel capire, per esempio nella consapevolezza di avere acquisito nuove conoscenze, sembra che riposi su una corrispondenza, un giungere alla concordanza delle immagini interiori della psiche umana con gli oggetti esterni e il loro comportamento».

Pauli confronta queste immagini con quelle archetipiche di cui parla Jung e con le «idee preesistenti nella mente di Dio e impresse nell’anima come immagine di Dio». Percepiamo la bellezza per mezzo delle immagini interiori che Dio ha seminato dentro di noi. Sono queste a renderci possibile la comprensione delle relazioni intrinseche del cosmo. .... Per Heisenberg la conoscenza religiosa e quella scientifica sono perciò strettamente imparentate e legate alla coscienza della bellezza del mondo. In tale bellezza si intuisce sempre qualcosa di Dio, poiché Egli è bellezza assoluta, che traspare attraverso la bellezza della natura e la bellezza della conoscenza umana. Heisenberg termina il suo discorso, rivolto agli artisti, con una parafrasi di un principio fondamentale di Keplero: «La matematica è l’archetipo della bellezza del mondo».

Tratto sempre dal testo di cui sopra

 

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