mozarteum Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa Comunque e’ evidente che in occidente sta montando una forte reazione al presepismo multiculturalista e indulgente. Secondo me siamo solo agli inizi. Prossimamente l’ europa virera’ a destra anche con l’apporto delle classi sociali deboli e saranno introdotte negli ordinamenti nazionali norme di “controlimite”. Passeranno nell’ordinamento nazionale solo norme comunitarie gradite ai parlamenti. Questo sara’ un indebolimento dell’europa politica e portera’ al risultato che russia e usa auspicano. d’altra parte non e’ tutta colpa loro, gli ingredienti di dissoluzione si sono largamente autosomministrati in europa con rigidita’ ideologico/burocratiche. spero di sbagliarmi perche’ io e come me molti in questa Europa attuale abbiamo uno standard di vita mai raggiunto in passato, in termini di facolta’ e liberta’. ma bisogna guardare con obiettivita’ agli eventi e correre ai ripari. per quanto mi riguarda piu’ di dire commuoviti cojone a chi incontro per strada di fronte all’adagio della settima di Bruckner non posso. salvo scoprire che il primo cojone sarebbe uno dei tanti “la roba e’ mia” di dx. in altri casi seguirebbe dibbbattito tempi difficili
senek65 Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa 17 minuti fa, mozarteum ha scritto: virera’ a destra Che cūlus!
extermination Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa 19 minuti fa, mozarteum ha scritto: Prossimamente l’ europa virera’ a destra anche con l’apporto delle classi sociali deboli Togli pure il prossimamente! C’è un paradosso che attraversa la politica oggi. Le disuguaglianze crescono, ma la domanda di redistribuzione diminuisce. Le classi popolari, storicamente legate alla sinistra, votano sempre più a destra. E le campagne elettorali si vincono con battaglie simboliche su religione, immigrazione e “valori tradizionali” più che su salari e welfare. Un nuovo studio (“Presidential lecture: identity politics”) firmato da Nicola Gennaioli e Guido Tabellini dell’Università Bocconi, in uscita su Econometrica, offre una spiegazione potente e spiazzante: non siamo più divisi in classi, ma in identità culturali. Ed è su queste che si gioca la partita della democrazia. “La polarizzazione politica non ruota più attorno alla ricchezza o al reddito”, afferma Gennaioli, professore del Dipartimento di Finanza della Bocconi. “È diventata una guerra tra visioni opposte della società: da un lato i progressisti multiculturali, dall’altro i conservatori legati a identità locali, religiose e tradizionali”.
audio2 Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa definiamo meglio destra perchè in cermania tra il sacco di merz quello del lavoro sporco e afd, non lo so mica quale è delle due
mozarteum Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa 3 minuti fa, extermination ha scritto: progressisti Parola autoannessa. A volte con disinvoltura
sirjoe61 Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa 23 ore fa, lello64 ha scritto: lo dico da tanto tempo e vedo che spesso siete quasi tutti d'accordo ma poi non riuscite e trattenervi non conviene ignorare questa persona? fare come se non esistesse? fate uno sforzo... e dai... ...è da tanto che lo penso...
wow Inviato 2 ore fa Inviato 2 ore fa 34 minuti fa, mozarteum ha scritto: Questo sara’ un indebolimento dell’europa politica e portera’ al risultato che russia e usa auspicano. Hai letto l'editoriale di Ezio Mauro?
31canzoni Inviato 1 ora fa Inviato 1 ora fa Dagli incubi di un’Europa sonnambula, con i Mig che attraversano i suoi cieli, riemerge il concetto di pre-guerra: e non ci stupisce più. Da tre anni stiamo scivolando progressivamente da un’incognita a una minaccia, a una riduzione della nostra sicurezza, al restringimento del nostro orizzonte di libertà. Dalle retrovie ci spostiamo sempre più verso la zona del fronte, ci scopriamo direttamente esposti, mentre saltano gli interdetti dietro cui credevamo di proteggerci: e ad ogni passo sullo scalino che scende verso il buio siamo costretti — anche senza accorgercene — a riprendere le misure del mondo, per trovare uno spazio sempre più scomodo nell’incertezza che cresce. Stiamo smarrendo i punti di riferimento, che sbiadiscono. Far parte del Primo Mondo, creatore e consumatore del progresso, della ricchezza e dell’innovazione non ci garantisce più, il doppio caos ci paralizza, perché alla crisi esterna delle guerre si somma la crisi interna al nostro mondo, che chiamavamo Occidente e che oggi vediamo svuotato e disarticolato, con tutto il suo sistema di valori disattivato e inerte. Prendiamo atto, ogni volta, accettando il ridimensionamento progressivo del futuro. La nostra capacità di adattamento fa parte dell’istinto di sopravvivenza, ma anche del senso di impotenza che ci circonda: e oltre una certa soglia rischia di diventare rinuncia, colpevole. Quei valori sono stati spesso esercitati come supremazia, talvolta come egemonia, ma hanno comunque testimoniato una civiltà del diritto e dei diritti, una cultura delle istituzioni, della regola e della convivenza e in questo senso hanno offerto un canone di libertà a tutti, addirittura nella pretesa all’universale. Possibile che oggi non abbiano più niente da dire a un mondo in fiamme e debbano essere ripiegati nel baule del Novecento, come la bandiera ammainata di un Paese sconfitto, o come fossero scaduti? Questo stato d’animo rischia di trasformarsi in sentimento politico, diffondendo la convinzione che il mondo sia ormai fuori controllo e la politica non riesca più a governarlo: figuriamoci la democrazia, a cui si chiede oggi di pagare per intero e da sola il disavanzo tra le promesse seminate in un secolo di progresso e le delusioni accumulate nelle emergenze degli ultimi anni. È una pretesa ingiusta, un calcolo miope, un saldo impossibile. Ma schiaccia comunque la democrazia sotto il peso di tutte le delusioni, le disuguaglianze, le frustrazioni e le ingiustizie, come la cultura sconfitta al cui posto emerge un culto, quello della forza semplificatrice, vendicatrice e comunque protettrice: idonea per dominare una fase in cui siamo ormai pronti a negoziare porzioni di libertà in cambio di quote di sicurezza. Non ci rendiamo conto che in realtà stiamo svendendo pezzi di una democrazia costruita negli anni, istituti creati per garantirci, regole di salvaguardia collettiva, norme introiettate come coscienza comune e diventate consuetudini, addirittura stile di vita collettivo, cifra di una civiltà. E non ci accorgiamo che c’è chi è pronto a comprare sul mercato del consenso quegli spazi di libertà che noi dismettiamo come vecchi, sopravvissuti e superflui: sono gli autocrati, i leader neo-autoritari che proprio in questa fase hanno lanciato la battaglia decisiva per conquistare il potere totale, superando la democrazia liberale e archiviandola. L’evidenza di questa sfida è sotto gli occhi di tutti, anche per il gigantismo del palcoscenico su cui si muove il regista del caos, Donald Trump, e per l’evidenza di quella che potremmo chiamare l’eccezione democratica in corso. L’attacco al pensiero critico, comunque alla libertà d’opinione, è il punto di svolta, con i personaggi televisivi sgraditi denunciati per nome e cognome, gli editori minacciati e spinti pubblicamente a licenziarli. Ciò significa, in una formula, che il sistema dell’informazione è sotto ricatto. Non ci sono più reticenze, il potere delle nuove destre estreme non si accontenta di cambiare il governo ma vuole cambiare il regime e manifesta esplicitamente l’intenzione di fuoruscire dal sistema forzandolo, per fondare un nuovo ordine proprio sulla rendita politica di questa deformazione. Ormai anche chi non aveva avvistato l’onda che si formava spingendo il secondo mandato trumpiano verso l’estremismo fatto governo, figlio dell’eredità eversiva all’assalto al Campidoglio, si trova davanti un’anomalia democratica che opera apertamente per svellere i cardini della civiltà occidentale, a partire dalla libertà d’espressione, di parola e di stampa, tutelate come fondamentali dal primo emendamento. L’assalto è infine giunto fin qui, al cuore della libertà costituzionale repubblicana. E da qui nasce una domanda: perché la democrazia non trova difensori naturali e spontanei che la proteggano, perché non si forma un blocco sociale di sostegno, perché i soggetti che hanno usufruito dei maggiori benefici dalla lunga stagione democratica non respingono la regressione in corso? Guardiamo la realtà: le classi popolari sembrano non avvertire l’allarme, come se il destino del sistema non le riguardasse più, e fosse un problema delle élite. Gli intellettuali non partecipano alla competizione, distratti. Il capitalismo non sente il dovere di difendere la democrazia (anche se è il contesto in cui ha potuto prosperare nella libertà), anzi sembra voler accompagnare la forzatura trumpiana del sistema per vedere cosa c’è dall’altra parte, e colonizzarlo come una terra rara in più. I liberali non scendono in campo a fianco della liberal-democrazia, come se fosse orfana. I populisti che denunciano nella democrazia il grande inganno e l’eterno complotto lucrano sulla sua crisi, pronti a giocarsi ai dadi le sue spoglie. La sinistra vede la crepa che divide l’Occidente ma anziché lavorare per superarla difendendo quei valori sotto attacco e facendoli definitivamente propri, inciampa nella faglia sospinta nelle sue frange da vecchie tentazioni anti-americane e addirittura filorusse, incapace di leggere i nuovi imperialismi: finendo nell’irrilevanza della terra di nessuno invece di compiere finalmente il suo destino liberandosi dei suoi demoni. La Chiesa, infine, è paradossalmente sfidata dall’estremismo cristianista che sostituisce la democrazia con la religione nell’universo Maga. Ecco perché la democrazia è sola, con la sua fragilità esposta, difesa solo dalla testimonianza quotidiana dei suoi valori. Ed ecco soprattutto perché precipitiamo nell’angoscia di questo clima di pre-guerra senza una cultura che ci difenda e ci definisca dandoci coscienza di ciò che siamo e di ciò che vogliamo, proprio mentre scopriamo che la democrazia ha bisogno di noi: perché non basta a se stessa e non può vivere senza il concorso dei cittadini, con ogni passione spenta, mentre la destra cammina già nel mondo post-democratico, “con Dio come testimone”. 1 1
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