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Melius Club

Napoli e Milano


mozarteum

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42 minuti fa, mozarteum ha scritto:

Mai come Amsterdam, urina continua ovunque e comincio anche a dubitare dell’origine dei canali

Credo che da questo punto di vista la Manhattan di fine anni '70 (poi non ci sono più stato) nei pressi della Metropolitana fosse imbattibile.

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11 ore fa, appecundria ha scritto:

ostile

Sui torinesi, come su tutte le popolazioni, secondo me esistono dei forti pregiudizi, nei limiti delle generalizzazioni...

Provo ad aggiungerne qualcuno anche io.

Inizio con un difetto, abbastanza diffuso, oltre a certe inquietanti presenze scolorite (ma questo è un altro discorso): l'eccessiva parsimonia e attaccamento alle loro cose e al denaro. Emblematico quel "a buon rendere" con il quale ti ringraziano quando offri loro un caffè.

Però da meridionale ormai adottato da quasi 30 anni da Torino, devo dire che non mi dispiace, dei torinesi, quella gentile mitezza che li fa riservati e poco espansivi come giapponesi, non invadenti, pronti ad aprirsi (il giusto) una volta capito che non hai scaglie verdi sotto la pelle e zampe palmate. Retaggio del diffidente istinto di sopravvivenza montanaro e dell'egoismo raccoglitore e conservatore contadino. La vulgata li considera falsi e cortesi. Sono cortesi, perché per loro la cortesia, il culto passatista per le buone maniere, la riluttanza a familiarizzare e a condividere le loro emozioni con il primo che passa, è un loro modo di essere e di mostrarsi agli altri, ma non è falsità. Se devo dire la verità, preferisco una persona cortese eventualmente un po' ipocrita ad uno sgarbato autentico. Poi parlo di "torinesi": ma ne esistono ancora? Torino ormai è un piacevole melting pot, alla faccia dei difensori della razza. In trent'anni, ho visto una grigia città industriale, come da stereotipo, abbandonarsi alla creatività dell'economia post industriale e terziaria e ai ritmi certamente non fordiani della movida di San Salvario e del Quadrilatero. Gli indigeni, soprannominati bojanen, a connotarne la caparbia resistenza in chissà quale battaglia, ma secondo i maligni, una certa riluttanza all'iniziativa e al dinamismo, quindi predisposti, hanno iniziato ad apprezzare, senza opporre resistenza, l'ozioso edonismo di marca più magnogreca.  Poi c'è la raffinatezza civettuola e crepuscolare della città, con i suoi caffè, gli angoli silenziosi, i ponti nebbiosi sul suo "mare" lungo, le piazze acciottolate nascoste, i suoi misteri, la Collina, che con la catena alpina dal profilo ormai familiare incorncia la città e la risparamia al terrapiattismo padano. 

Torino è una signora un po' agée, dai modi gentili e sobri, la sua vicina a poco più di un centinaio di chilometri, è una donna vistosa, siliconata e petulante. 

Per la carità diddio, Milano è una bella città, dinamica, moderna, europea, ma così come trovo più che accettabile vivere Torino, con i suoi ritmi tutto sommati umani per essere una grande città, trovo insopportabile l'omologazione meneghina, migliaia di uomini vestiti nello stesso completo grigio da autisti del tram, strafighe superfirmate, lo sciamare irrefrenabile, secondo me, per molti, inconcludente ma è così che si fa, l'eterna ansia da prestazione, la bauscità e non ultimo il modo di parlare con quel taaac che è diventato immancabile. 

Napoli, ovviamente, fuori concorso, nel bene (tanto), ma anche nel male, un po'. 

 

 

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Per ragioni legate al mio gusto personale, non sono mai riuscito a "digerire" Milano. Ogni cosa di quella città mi pareva falsa e decisa a tavolino da qualcuno intento a studiare il modo più smart per mettertelo in coolo. Non ne sopportavo l'inquinamento, l'odore, l'orizzonte chiuso, la frenesia fine-a-se-stessa, l'imbecillità dei numerosissimi "ti mi dici cosa devo fare e io lo faccio" (capii più tardi che sarebbero stati un cancro inevitabile ovunque) la selezione spietata delle cerchie sociali in base al reddito/posizione.

Aver frequentato l'ambiente legato ai lavori della MM3 del 1990 - quando Milano non era solo da bere ma se la sarebbero anche sparata in endovena se solo avessero potuto, ed averlo fatto in una posizione decisamente sovradimensionata per la mia giovane età, per il mio studio, per la mia limitata esperienza e il mio ingenuo idealismo probabilmente ancora influisce sul mio severo giudizio. 

D'altro canto ammetto oggi quello che la città mi ha "dato": Esperienza, corazza lavorativa, fiuto per i mettìnculi e, fuori dal lavoro, vi ho schiavazzato come mai altrove. 

Detto questo, non sono mai più riuscito a digerirla.

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Io ne ho diversa percezione. Certo il lavoro, il desiderio di ricchezza e successo (ma non ancora a livelli Usa, c’e’ una bonomia tutta italiana unita a un buon gusto nel saper vivere) sono spesso fattori di turbolenza sia nella vita personale che in quella relazionale: ma questo e’ un discorso generale che Verga mirabilmente tratta nella prefazione non ricordo se del Don Gesualdo o dei Malavoglia (profondo sud quindi). Vista dall’alto questa operosita’ genera progresso, dal basso prevalgono visuali affaticanti e talora meschine

 

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@Martin E' una percezione della città riassumibile con qualche lieve variante nel celebre motto meneghino: Lavoro, guadagno, paaago e prentedo.

 

Come ho già scritto è una città che io vivo solo lavorativamente e un paio di volte l'anno. Mi è più frequente avere a che fare con dei milanesi approdati qui in provincia. 

Essi sono di due categorie, volendo generalizzare: la prima è quella del "taaaac, feeegaaa" di molti manager approdati ai più comodi pascoli locali, fuori dalla competizione all'ultimo sangue delle aziende milanesi, i quali nel pragmatismo spiccio provinciale durano lo spazio di una trimestrale in netto calo. Non sempre, ma spesso va così.

La seconda categoria è di quelli stupefatti, che quando si accorgono che qui con 30 euro possono ammazzarsi di Negroni (l'aperitivo neh) o con 100 euro possono cenare ad un livello da pluristellato scaligero (che gliene pela 250 quando va bene) o essere sulle piste da sci in 40 minuti e in spiaggia in 45, iniziano a parlare uno strano dialetto similveneto per mimetizzarsi e sperare di essere adottati da qualcuno.

Questi fanno tenerezza.

 

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