P.Bateman Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 5 ore fa, lufranz ha scritto: 14 ore fa, Panurge ha scritto: vegani e novax, astemi li risparmio La ringrazio per il buon cuore e la benevolenza 😂 Non è per benevolenza, sono concorrenti in meno.
Schelefetris Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 Gli studi clinici sul vaccino Johnson & Johnson (Janssen) hanno dimostrato un'efficacia del 100% contro le forme gravi di Covid-19 dopo la somministrazione di due dosi e del 75% dopo una singola dose. Lo fa sapere in una nota Johnson & Johnson (J&J). L'azienda ha quindi comunicato l'intenzione di presentare all'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) la richiesta di autorizzazione per un pacchetto completo che include la dose singola più una dose di richiamo. Attualmente il vaccino J&J è autorizzato in dose singola. ANSA
piergiorgio Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 @Schelefetris se lo dicevano prima aspettavo a fare il richiamo col pfizer
Membro_0022 Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 Intanto oggi 10K nuovi contagi. Secondo voi siamo nuovamente nella m-r-d ?
criMan Inviato 17 Novembre 2021 Autore Inviato 17 Novembre 2021 @lufranz bisogna capire ancora se e' un ondina o un ONDONA.
Membro_0022 Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 @criMan come diceva quello caduto nella fossa biologica a chi cercava di tirarlo fuori: non fate l'onda !
keres Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 Sto covid ha rotto il piffero, nella struttura sanitaria dove lavoro, oltre al vaccino sul quale certamente non ho nulla in contrario, ci fanno fare un tampone ogni 15 giorni. Mi son rotto le scatole, poi a che serve se i visitatori entrano semplicemente con green pass e temperatura. 1
nullo Inviato 17 Novembre 2021 Inviato 17 Novembre 2021 @criMan @lufranz @wow https://www.lanazione.it/cronaca/covid-l-italia-sarà-tra-i-primi-paesi-a-uscire-dalla-pandemia-1.7004529 Leggere queste righe tranquillizza un po’, ma pensare ai discorsi sulla comunicazione ottima e abbondante e poi, sulle scelte fatte con certezze assolute e poi riviste, tanta inutile arroganza anche qui al riguardo invece di poter parlarne con serenità. Mah.... comunque sono dati in più su cui ragionare, se è ancora possibile. 1
Membro_0022 Inviato 18 Novembre 2021 Inviato 18 Novembre 2021 23 ore fa, nullo ha scritto: Leggere queste righe Leggo: Sulla chiusura delle scuole: "è stata una scelta sbagliata, considerato l'impatto devastante sul benessere sia dei bambini che delle loro famiglie". Questo non ha la minima idea di quanto le scuole abbiano contribuito alla diffusione del virus.
otaner Inviato 19 Novembre 2021 Inviato 19 Novembre 2021 8 ore fa, lufranz ha scritto: Questo non ha la minima idea di quanto le scuole Non solo sulle scuole!
Questo è un messaggio popolare. criMan Inviato 19 Novembre 2021 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 19 Novembre 2021 Visto che ci siamo , riepilogo di informazioni sul perche' della terza dose di vaccino e sua funzione. Dalla pagina https://www.facebook.com/pillolediottimismo/ Cosa succede quando un individuo si infetta con SARS-CoV-2 o con altri patogeni respiratori? Il sistema immunitario si organizza per attivare una risposta cellulare e umorale (anticorpi, complemento e peptidi antimicrobici). Queste risposte sono avviate dal sistema immunitario innato, che riconosce i patogeni e induce la produzione di citochine e chemochine proinfiammatorie. Questo primo intervento è seguito da risposte del sistema immunitario adattativo, che consiste di cellule T - che possono uccidere direttamente le cellule infettate - e cellule B, che producono anticorpi specifici per il patogeno nel siero e sulle superfici mucose. La risposta di tipo innato regola l’espressione di fattori della risposta cellulare antivirale (tra cui gli interferoni), nonché il reclutamento di ulteriori elementi che hanno un ruolo importante nell’immunità antivirale, nella riparazione dei tessuti e nel mantenimento dell’equilibrio omeostatico dell’organismo. È quando questo tipo di risposta diventa abnorme che si produce quel quadro di iperinfiammazione mediato dalla tempesta di citochine come si osserva tipicamente nell’infezione da SARS-CoV-2 o, ad esempio, nell’influenza grave da virus aviario A/H5N1. L’eliminazione virale si ottiene quindi efficacemente per intervento della risposta innata che è innescata a livello del tratto respiratorio superiore (naso e gola principalmente) e che richiede che venga attivata anche la risposta adattativa che porta all'uccisione delle cellule infette mediata dalle cellule T CD8+, coadiuvate dalle cellule B e dalle cellule T CD4+. Le immunoglobuline G (IgG) del siero, invece, sono gli anticorpi principalmente coinvolti nella protezione dai virus nel tratto respiratorio inferiore e nella limitazione della loro diffusione all’intero organismo, mentre le IgA della mucosa giocano un ruolo importante nell'immunità nel tratto respiratorio superiore. Le risposte cellulari e umorali contribuiscono al controllo e alla risoluzione dell'infezione primaria e gli anticorpi neutralizzanti svolgono un ruolo cruciale nella protezione contro la reinfezione grazie anche alla memoria immunologica mantenuta da particolari categorie di cellule T e B dette appunto “cellule della memoria”. Nel caso dell’infezione da SARS-CoV-2 non è certa la durata dell’immunità conferita dall’infezione naturale, anche se si suppone, in base alle evidenze fin qui raccolte, che possa essere superiore a 8-9 mesi. Cosa succede, invece, nel soggetto vaccinato? Gli attuali vaccini anti-covid vengono somministrati mediante iniezione intramuscolare nel deltoide, inducono la produzione della proteina spike da parte delle nostre cellule, e attivano la risposta immunitaria. La proteina spike è riconosciuta dal sistema immunitario umano che produce anticorpi detti neutralizzanti (cioè in grado di bloccare il virus). Infatti, appena viene intercettata, la proteina attiva le difese dell'organismo per stimolare le cellule B - che a loro volta si specializzano nella produzione di anticorpi - e i linfociti T, deputati alla distruzione delle cellule infette. In sintesi quindi, quando a una persona viene somministrato un vaccino a mRNA o un vaccino a vettore virale, alcune delle sue cellule leggono le istruzioni e producono l’antigene per un breve periodo, prima di degradare l’mRNA o il virus vettore. Il sistema immunitario riconosce l’antigene come estraneo, attivando le cellule immunitarie e generando anticorpi in grado di bloccare il virus con cui eventualmente si entrerà in contatto. Contestualmente, vengono attivate le cellule della memoria, deputate nel tempo a mantenere la risposta immune e, nel caso di una esposizione futura al virus, di rinnovarla. Ma se tutto questo è vero, perché chi è vaccinato può comunque infettarsi? E perché la risposta immunitaria indotta dal vaccino tende a diminuire nel tempo e, quindi, è consigliato fare una dose di richiamo dopo 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale? I vaccini anti-covid, così come tutti i vaccini utilizzati per difenderci da altri patogeni, non garantiscono una protezione del 100%. Mediamente, l’efficacia degli attuali vaccini verso il rischio di infezione va dal 75 al 90%, ed è sostanzialmente mantenuta nei confronti sia del virus originale sia di tutte le varianti fino ad ora identificate, compresa la delta, oggi predominante su tutte le altre. Certamente rispetto al virus originale, su cui sono stati disegnati tutti gli attuali vaccini, la variante delta ha acquisito la capacità di essere un po’ meno suscettibile all’azione neutralizzante degli anticorpi indotti dal vaccino e oggi emergono evidenze sulla riduzione nel tempo (oltre i 6 mesi) di tale capacità neutralizzante. Tuttavia, l’efficacia dei vaccini nel ridurre significativamente il rischio di malattia grave, di ospedalizzazione, di ricovero in terapia intensiva e di morte si è sempre mantenuta molto elevata: al di sopra del 90%. Serve a questo proposito ricordare che i vaccini sono stati sviluppati, sperimentati e autorizzati dopo aver dimostrato la loro efficacia nel ridurre significativamente il rischio di malattia e la morte e la buona notizia è che questi vaccini si mantengono eccezionalmente validi nonostante il declino dell’efficacia nel tempo e anche nelle fasce di età più a rischio. All'inizio della pandemia forse era un sogno pensare che un vaccino potesse ridurre le morti del 50%, ma oggi la protezione è ancora dell'80-90%… La dimostrazione che i vaccini riducono anche il contagio e l’infezione è stato ed è un risultato benvenuto e forse insperato. L’efficacia si è rivelata elevata (sopra l’80-90%) per tutti i vaccini oggi in uso fino a quando si sono diffuse le varianti più recenti, in particolare la delta. Questo ceppo virale, oltre ad una parziale potenzialità immunoevasiva, è dotato di caratteristiche di replicazione e di adattamento all’ospite che la rendono maggiormente trasmissibile. Ma c’è un altro fattore che limita gli attuali vaccini nella capacità di proteggere dall’infezione. Come spiegato sopra, l’inoculazione dei vaccini a mRNA e vettoriali avviene per una via (quella intramuscolare) diversa da quella percorsa naturalmente dal virus (ingresso dal naso e dall’oro-faringe), per cui con questi preparati la risposta innata locale e la produzione di IgA mucosali che sarebbero necessarie per bloccare a livello della porta di ingresso il virus è debole o del tutto assente. Questo significa che il virus può essere trasmesso anche ad un soggetto vaccinato, può replicare in oro-faringe per un periodo comunque limitato (poche ore) e con una carica virale inferiore rispetto a un soggetto non vaccinato, ma non è in grado di raggiungere l’apparato respiratorio inferiore (polmoni) e diffondersi nell’organismo, perché bloccato dagli anticorpi neutralizzanti e dalle IgA sieriche. Questo avviene almeno nell’80-90% dei casi circa, con un rischio residuo per il vaccinato di infettarsi e di ammalarsi tanto più consistente quanto più elevata è mantenuta la circolazione del virus. A supporto di ciò riporto i più recenti dati prodotti dall’Istituto Superiore di Sanità e qui presentati in forma di grafico rielaborato dal nostro Paolo Spada e dai dati sulle ospedalizzazioni e sulle morti riferiti dalla Health Security Agency britannica (vedi figure 1, 2 e 3) Dalla lettura dei grafici si evince come l’efficacia dei vaccini in termini di capacità di ridurre i ricoveri, gli accessi alle terapie intensive e le morti sia elevata e si mantenga significativamente alta fino ad almeno 5 mesi dopo il completamento del ciclo standard di immunizzazione. Il rischio di esposizione e di infezione anche nei vaccinati rimane, seppure significativamente inferiore a quello degli individui non vaccinati, che invece hanno una maggiore probabilità di ammalarsi in forma grave e di morire.. Meno lusinghieri sono i risultati sulla durata nel tempo della protezione verso il rischio di infezione: la figura 4, ripresa da un recente lavoro pubblicato su Science, mostra come si riduce nei vaccinati dopo 6 mesi la capacità di essere protetti dall’infezione. Sorprendono questi dati? Sicuramente no, e per le ragioni già esposte. A questo proposito ritengo molto interessanti i risultati di uno studio recente condotto all’Ospedale Niguarda di Milano: si tratta dello studio “Renaissence”, che ha riguardato l'analisi del siero di 2.179 operatori sanitari reclutati per valutare la risposta immunitaria al vaccino anti-Covid nel lungo periodo (da 14 giorni a 1 anno). Sei mesi dopo il completamento del ciclo di vaccino anti-Covid, il 99% degli operatori aveva ancora una buona presenza di anticorpi in circolo. E nonostante ci sia stato effettivamente un calo fisiologico degli anticorpi IgG (immunoglobuline G), solo lo 0,4% ha contratto l’infezione, e 9 su 10 in modo asintomatico. “Renaissance” è il primo studio avviato in Italia e uno tra i più ampi europei in termini di casistica. Tutti i partecipanti hanno completato il ciclo vaccinale tra gennaio e febbraio 2021, con il vaccino Comirnaty di Pfizer/BioNTech. "Con le prime due analisi, cioè dopo 14 giorni e 3 mesi dalla vaccinazione, avevamo osservato una risposta anticorpale in circa il 99% dei vaccinati", ricorda Francesco Scaglione, direttore del Laboratorio di analisi chimiche e microbiologia del Niguarda. Gli studi sierologici a distanza di 6 mesi confermano che nella stessa percentuale di vaccinati gli anticorpi sono ancora presenti in una buona quantità. Nel corso dei 6 mesi il titolo anticorpale medio è naturalmente sceso: in particolare, la curva di riduzione è stata più netta e veloce nei primi 3 mesi (tra i 14 giorni e i 3 mesi il calo è stato di circa il 70%) e più lenta e graduale nel periodo successivo (circa il 45%). Questo significa che anche in presenza di un numero relativamente basso di IgG conseguente ad un calo (fisiologico) degli anticorpi circolanti, una eventuale esposizione al virus sembra sia in grado di attivare una risposta efficace e rapida grazie ai linfociti T, le cellule “sentinella” che permettono di produrre una protezione duratura contro Covid grazie alla cosiddetta “memoria immunitaria”. Efficacia protettiva confermata anche dalle parole a commento del lavoro su Science precedentemente citato: "Sebbene l'efficacia del vaccino contro l'infezione sia diminuita sostanzialmente durante l'impennata della variante Delta, come misurato in questo studio sui veterani, la protezione contro la morte è rimasta relativamente alta, in particolare con i vaccini mRNA", afferma William Moss, MD, direttore esecutivo dell'International Vaccine Access Center presso il Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, il quale prosegue "Anche in coloro che vengono infettati a causa della diminuzione dell'immunità, c'è ancora un grado di protezione contro esiti negativi come il ricovero in ospedale e la morte". Questo, ovviamente, introduce l’argomento attualissimo sulla necessità o meno di somministrare una dose di richiamo a chi ha completato il ciclo vaccinale da almeno 6 mesi, al quale ritengo sia doveroso fare una premessa di carattere metodologico per consentire una più corretta lettura e valutazione dei dati riportati dagli studi più recenti. Tali studi sul calo della protezione vaccinale nel tempo sono stati prevalentemente di tipo osservazionale, e hanno incluso individui arruolati dalla vita reale, non partecipanti a sperimentazioni cliniche e non randomizzati per tenere conto delle differenze comportamentali, demografiche ed altro. Anche se la statistica tende a correggere alcune delle variabili confondenti, è impossibile tenere conto di tutti i potenziali fattori interferenti che, alla fine, potrebbero contribuire alla produzione di risultati meno lusinghieri a favore dei vaccini. Detto questo, rimangono le considerazioni di carattere biologico. Da questo punto di vista, studi che hanno preso in considerazione le tre componenti del sistema immunitario contemporaneamente (anticorpi, cellule B e cellule T) mostrano che la vaccinazione è in grado di stimolare un’immunità cellulare duratura, che le cellule B della memoria continuano a crescere di numero per almeno 6 mesi e a “maturare” la loro efficacia nel tempo. In particolare, le cellule B presenti nei centri germinativi dei linfonodi vanno incontro a mutazioni casuali dei loro geni finalizzati alla creazione di nuovi repertori di anticorpi che attraverso un processo evolutivo vantaggioso sono finalizzati ad aumentare la capacità del sistema immunitario nel combattere efficacemente non solo il virus attualmente circolante in misura prevalente (delta) ma, sembrerebbe, anche varianti di SARS-CoV-2 che dovessero emergere in futuro. Tutto questo per sottolineare come la risposta immunitaria che viene attivata dalla vaccinazione sia ben più complessa di quella valutata con il rilievo, la titolazione e il declino del titolo anticorpale circolante. E, mi auguro, che tali considerazioni servano anche a tranquillizzare tutti coloro che, trascorsi 6 mesi dal completamento del ciclo vaccinale, pensano di non essere più protetti: anche se il livello di protezione nei confronti del contagio e dell’infezione tende a ridursi a distanza di mesi dal completamento del ciclo vaccinale, l’efficacia verso il rischio di malattia e di ospedalizzazione rimane sufficientemente elevato anche a distanza di tempo. E a tutti coloro che, essendo stati vaccinati con il vaccino Astrazeneca, si ritengono più sfortunati in quanto sembra che il declino del titolo anticorpale neutralizzante dopo 6 mesi sia più marcato per questo prodotto, è utile ricordare che tale vaccino vettoriale è particolarmente efficace nel generare e mantenere una risposta di tipo T-cellulare, ancor più di quanto facciano i vaccini a mRNA; quella risposta, come si è ricordato, che garantisce nel tempo, insieme alle cellule B della memoria, una sorveglianza attiva nei confronti del virus e dello sviluppo di malattia. Quindi la dose di richiamo (3^ dose, dose booster) non sarebbe necessaria? Sì che lo è! La ragione è che, nonostante l’alta protezione clinica comunque mantenuta dai vaccini, è assolutamente auspicabile nella fase attuale della pandemia porsi come obiettivo prioritario quello di impedire la circolazione del virus e l’aumento dei contagi, non solo perché il rischio di infezione e di sviluppo di malattia grave è comunque alto nei pazienti fragili, negli immunodepressi e negli anziani (in cui il “calo” della competenza immunitaria è fisiologico e la risposta al vaccino è inferiore) ma anche e soprattutto per impedire che la circolazione elevata del virus possa favorire la continua evoluzione della quasispecie virale in nuove varianti, con maggiori capacità immunoevasive. Quindi, anche se ci sono evidenze che dimostrano come a distanza di mesi dalla vaccinazione la protezione tende a diminuire e l'incidenza delle infezioni da esordio (o breakthrough infections) inizia ad aumentare, una terza dose di richiamo incrementa rapidamente le risposte immunitarie contro il virus, fino a ripristinare la protezione della vaccinazione primaria. Al momento non ci sono però dati sulla durata a lungo termine di tale ulteriore protezione. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha già fatto proprie le indicazioni di FDA (USA), ma in relazione all’aumento della circolazione di SARS-CoV-2 è orientata ad ampliare la platea a cui offrire la dose di richiamo a tutti i soggetti di età >40 anni, oltre a considerare già gli individui con più di 60 anni, quelli con più di 18 anni con fattori di rischio importanti, e gli operatori esposti per motivi professionali. Vaccinare più persone è quindi l’intervento più efficace per mantenere bassi i tassi di trasmissione, ma anche qualsiasi aumento dell'efficacia del vaccino può aiutare. Da questo punto di vista è auspicabile che la ricerca sui vaccini prosegua: già sono disponibili vaccini costituiti da antigeni peptidici ricombinanti, somministrabili per via iniettiva (ma che potrebbero essere anche formulati come preparazione per via inalatoria e sublinguale, con l’effetto di produrre l’auspicata immunità mucosale locale), facili da trasportare e da conservare a temperature non critiche (rimangono stabili per mesi a +4°C), e sono poco costosi. 4 1
Schelefetris Inviato 19 Novembre 2021 Inviato 19 Novembre 2021 La pillola anti Covid della Pfizer, attualmente in fase di sperimentazione, ha ridotto dell'89 per cento i rischi di ricovero e decesso in persone ad alto rischio. Lo ha annunciato la casa farmaceutica, citando i dati del proprio studio sul farmaco. Gli effetti della pillola antivirale sono stati così convincenti, riferisce il Washington Post, che un panel indipendente di esperti che stanno monitorando la sperimentazione del farmaco ha consigliato di accorciare i tempi della sperimentazione. ********** Le indicazioni dell'Ema: il farmaco non è raccomandato in gravidanza La pillola anti covid della Merck, che potrebbe essere disponibile tra poche settimane, dovrà essere presa 2 volte al giorno per 5 giorni nella cura della malattia. La terapia deve iniziare entro 5 giorni dai primi sintomi. Arrivano le indicazioni dell'Agenzia europea del farmaco Ema sulla pillola antivirale molnupiravir per il trattamento di Covid-19, sviluppata da Merck Sharp & Dohme (Merck in Usa e Canada) in collaborazione con Ridgeback Biotherapeutics. ************ che finalmente arrivino farmaci curativi è indubbiamente una ottima notizia ma io rimango sempre più convinto che prevenire sia molto meglio che curare e rischiare strascichi...
Membro_0022 Inviato 20 Novembre 2021 Inviato 20 Novembre 2021 14 ore fa, Schelefetris ha scritto: che finalmente arrivino farmaci curativi è indubbiamente una ottima notizia ma io rimango sempre più convinto che prevenire sia molto meglio che curare e rischiare strascichi... Meglio riporre delicatamente i piatti nella credenza o lanciarli dall'altro lato della stanza, tanto hanno inventato la colla ? 😁
Martin Inviato 20 Novembre 2021 Inviato 20 Novembre 2021 Ecco la tabella covid delle regioni "grosse" del nord. Stavolta ho considerato i tempi di raddoppio dei ricoverati ordinari e intensivi, la % di novax e quella di ricoveri/attualmente positivi. Per quanto riguarda i ricoveri intensivi Emilia R. e Piemonte non hanno ancora raddoppiato il minimo annuale.
nullo Inviato 20 Novembre 2021 Inviato 20 Novembre 2021 @Martin curiosità...come consideri il rapporto fra contagi e ricoveri? In altri stati, non si è dimostrato affatto lineare, al crescere dei contagi non è corrisposto sempre un numero di ricoveri su quella base.
nullo Inviato 20 Novembre 2021 Inviato 20 Novembre 2021 Negli ultimi mesi nello UK ad esempio, si sono triplicati ( circa mille) e poi mantenuti abbastanza costanti i posti occupati in ti, a fronte di variazioni molto ampie dei contagi.
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