Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 14 Aprile 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 14 Aprile 2024 Anni fa, più di 25, quando iniziai ad acquistare vinile audiophile, molte delle uscite di musica Jazz venivano per lo più ignorate, o comunque riscuotevano scarso successo. Più che altro si vendevano gli Impulse! ed i Blue Note che conoscono tutti e che costituiscono il portato naturale di chi è arrivato al Jazz passando dal Rock o dal Pop. Inoltre andava per la maggiore qualche sempreverde del catalogo Verve. Le poche etichette audiophile pubblicavano tuttavia numerose altre ristampe, meno celebri, di artisti non così popolari come i vari Miles, Coltrane e Bill Evans. Fu così che riuscii a comporre una corposa collezione di titoli meno in voga, di jazzisti a volte sconosciuti, che immancabilmente mi sorprendevano per l’alto valore artistico, nonché sonico. Dischi che, visto lo scarso successo commerciale, venivano offerti a prezzo scontato. Il mio rapporto con la musica Jazz si è sviluppato in maniera cronologica, vale a dire iniziando da Scott Joplin; sono sempre stato poco interessato al periodo sperimentale, europeo e contaminato del Jazz (Jazz + classica, Jazz + rock, Jazz + modo lidio, Jazz + serialità, Jazz + Funk, ecc.) Jazz Samba a parte (adoro la musica brasiliana); sicché preferivo di gran lunga uno degli “scarti” ai primi della classe, e benedicevo le etichette audiophile che accanto ad A Love Supreme, Kind Of Blue e Blue Train pubblicavano tanta altra roba meno rinomata. Dello stesso Monk, autore eminentemente ostico ai più, ebbi occasione di acquistare a prezzi ribassati una quantità esagerata di ristampe tripla A, riuscendo a comporne la quasi intera discografia in edizioni Full Analogue (alcune risalgono alla metà degli anni ’90). Ad un certo punto però la pacchia finì. Gli appassionati europei avevano evidentemente rivalutato quel tipo di Jazz a me più congeniale e sul quale mi sarei specializzato, che in età moderna sarà collocato sotto la definizione di Mainstream, e che io preferisco chiamare Jazz Alternativo a quello alternativo. Oggi come oggi per qualunque cosa Swing o Be-Bop tripla A c’è l’assalto alla diligenza, con poche eccezioni. Uno dei tanti dischi che all’epoca mi tirarono dietro è la stampa Analogue Productions che vedete nella fotografia qui sotto: . . D’accordo, Coleman Hawkins non è mai stato un sassofonista poco noto, ma Night Hawk non se lo filò davvero nessuno e temo che la Analogue Productions ne abbia vendute pochissime copie, quantomeno in Europa. Gli americani, secondo quella che è la mia esperienza, negli anni ’90 erano più legati degli europei al Jazz del periodo Swing e Be-Bop, e forse negli States il disco vendette di più. Ciò che vi posso dire è che, al pari di molte altre ristampe dello stesso genere, pagai Night Hawk due Lire, come rimanenza di magazzino. In questo lavoro il vecchio leone del sassofono tenore si confronta col più giovane (nel 1960 aveva 38 anni) Eddie Lockjaw Davis, che evidentemente ne ricalca le orme. Night Hawk è un disco strepitoso ed è registrato ben oltre il dieci di voto tecnico. E’ la tipica registrazione che, per come suona, “chiama” il 45 giri e persino la versione su nastro a due tracce. Invidio chi può ascoltarselo in uno dei due suddetti formati. Per anni mi sono ripromesso di approfondire il per me sconosciuto sassofonista Eddie Davis, del cui stile avevo avuto un rapido assaggio ascoltando Night Hawk. Per anni mi è rimasta la curiosità. Perlomeno fino ad oggi: . . Eddie Lockjaw Davis With Shirley Scott – Cookin’ With Jaws And The Queen – Cookbook Vol. 1-2-3 and Smokin’ – Prestige Recordings (1958) – AAA Craft Records (2023). . . Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: occhio che sono soltanto cinquemila copie, e a me non paiono tante. Lo dico nel vostro interesse, io la mia ce l’ho, per me il problema non si pone. Addenda alla recensione alla veloce, per chi non ha davvero nessuna voglia di leggere la lenzuolata che seguirà: Stoughton singole (satinate, purtroppo) in numero di quattro. Cofanetto che le contiene di buona qualità. Esaustivo libretto, ricco di belle fotografie. I quattro vinile RTI, tipo sepolcri egizi. Bernie Grundman alla consolle. Ottanta Euro spedito da Newtownvideo, con lauto sconto (da non confondersi con l’ “Autoscontro”, che è un’altra cosa), perché evidentemente nun se vendeva. Forse per via del fatto che la plastica di sigillatura era un po’ strappata e rovinata. Recensione alla lunghissima per tutti gli altri (che mi vogliono tanto bene): . . Aaaaaahhh! Mi è capitato il vinile difettato! E’ pieno di scritte rosse! Però in fondo non è nemmeno brutto…massì, lo tengo. Pare che il newyorkese Edward Davis debba il soprannome di “Lockjaw” (mascella serrata), al fatto che fosse solito addentare il bocchino del sassofono con presa insolitamente decisa. Iniziò la sua avventura musicale, giovanissimo, studiando la batteria; in seguito decise di passare al sassofono poiché la batteria: “era troppo faticosa”. Collaborò con le orchestre di Count Basie, Francy Boland e Harry Sweet Hadison. Suonò assieme ai gruppi di Sonny Stitt, Gene Ammons e Louis Armstrong. Oltre che musicista fu impresario musicale e gestore del famoso Minton’ Club di New York. Di solito, trovandomi a considerare l’acquisto di dischi che non conosco, li ascolto preventivamente in Rete; tuttavia, quando possibile, applico il teorema Duvivier, di mia invenzione, saltando l’ascolto preventivo; in base al teorema Duvivier i dischi nei quali suona il grande contrabbassista George Duvivier, di cui ho già parlato recensendo Two Headed Freap di Ronnie Foster, non possono essere brutti e se ne può rischiare l’acquisto a scatola chiusa. Il teorema Duvivier avrà funzionato anche stavolta? I quattro LP di Cookin’ With Jaws And The Queen offrono un Jazz classico, che nelle note del ricco libretto a corredo viene definito “Soul-Jazz”, ma che io chiamerei Be-Bop dalla forte componente Blues (con spruzzi di Rock & Roll e Latino), distinguendolo dal Soul-Jazz anni ’60, che trovo più commerciale ed in cui l’elemento Soul prevale su quello Jazz. Molte le composizioni originali, scritte dallo stesso Davis (quattro) dalla Scott (tre) o dalla coppia Scott-Davis (cinque); in totale i pezzi originali sono ben 13 su 23. C’è un brano (I Surrender Dear) in CookBook nr. 2 che viene tagliato in maniera criminale proprio sul più bello, con uno sfumato assolutamente privo di senso. Peccato. Veniamo al cast. Eddie Lockjaw Davis: tenorista dal timbro più secco rispetto a quello di Hawkins (la cui voce rotonda, compatta e potente, difficilmente trovava eguali) e dall’emissione più sforzata. Nel citato Night Hawk ad un certo punto Hawkins imita il graffiato di Davis e quasi i due non si distinguerebbero, se non fosse che Hawkins è comunque una spanna sopra (e va be’…). In Cookin’ With Jaws And The Queen Eddie Davis risulta essere un ottimo tenor-sassofonista sulle peste di Coleman Hawkins, con una propria personalità di voce, più secca e graffiante. Shirley Scott, la cui formazione musicale iniziò con lo studio della tromba, passò successivamente all’organo; essendo nata a Philadelphia si trovò nelle condizioni ideali per venire influenzata dallo stile dei maggiori organisti dell’epoca: Jimmy Smith e Jimmy McGriff, entrambi concittadini della Scott, nonché Jackie Davis, in effetti originario della Florida. Jackie Davis mosse i suoi primi passi da solista esibendosi proprio a Philadelphia (all’Harlem Club) ove risiedette per qualche anno. Shirley Scott, pur non vantando lo stesso virtuosismo di Jimmy Smith, si fa comunque apprezzare ed ammirare per le sue capacità. Lavora molto di accordi piuttosto che di arpeggi, sebbene anche con questi ultimi dimostri di saperci parecchio fare. Punteggia, improvvisa, accompagna e commenta in maniera sempre coinvolgente, con un notevole senso del Blues. E’ lei che rimarca, nei vari pezzi, la componente Soul. Jerome Richardson: una rivelazione. Suona spesso il flauto traverso e qualche volta il sax tenore. Il suo apporto è fondamentale, creando un piacevolissimo contrasto tra la dolcezza del flauto e la ruvidezza del sax di Eddie Davis. Come sassofonista si avvicina più di Davis allo stile di Coleman Hawkins. Davis è caldo estivo, caldo secco, Richardson è caldo invernale, rincantucciati di fronte al camino. George Duvivier: ben si comprende il motivo per cui Duvivier fu per anni il contrabbassista più conteso dagli studi discografici: fa tutto ciò che serve e lo fa benissimo. Può rendersi completamente invisibile o balzare improvvisamente al centro della scena. Anche con assoli brevissimi è capace di spiccare e lasciare un segno indelebile. E’ il transformer del contrabbasso, un momento pare in un modo, un altro momento ha cambiato completamente forma. Da un certo punto di vista è il contrabbassista ideale, mai fuori tono, sempre perfettamente integrato e coerente con ciò che il brano richiede. Un maestro. Tanto quanto lo furono Sam Jones, Ray Brown, Paul Chambers, Butch Warren, Ørsted Pedersen, Scott LaFaro, ecc. Arthur Edgehill (batteria): si integra alla perfezione nel gruppo; si sente che è bravo, pur non assurgendo mai al ruolo di protagonista. E passiamo al suono. L’analisi delle registrazioni è facilitata dalla circostanza che risalgono tutte (sono tre) al 1958 (Giugno, Settembre e Dicembre). Le sessioni si tennero presso il Rudy Van Gelder Studio, col sciòr paròn seduto al mixer. La posizione di alcuni strumenti può cambiare da un brano e l’altro, tipo il sax che da destra passa a sinistra. Piccoli cambiamenti, nulla di rilevante. Trasparenza da premio Nobel (sto brigando affinché lo istituiscano. Ci sono da ungere molte mani, mandatemi un contributo…in pandori…benefici); dinamica più che buona, timbrica ottima, palcoscenico sonoro tutto sommato realistico, benché con qualche vuoto al centro. Tra parentesi, mi sono fatto l’idea che i riversamenti di Bernie Grundman risultino più “caldi” rispetto a quelli di Kevin Gray. Non so se avete avuto anche voi la stessa impressione. Bernie Grundman ha fatto un eccellente lavoro di rimasterizzazione dei nastri e taglio lacca, dichiarato Full Analogue da cima a fondo. Edizione limitata a 5.000 copie, non numerate. Costa sui 130 Euro su Amazon.it. Poco, tanto? Fate voi, dopo la mia recensione penso che non resterà a 130 Euro. Acquistate Cookin’ With Jaws And The Queen ed abbiate il coraggio di venirmi a dire, in questo thread, che non ne valeva la pena. Vi aspetto. Voto artistico: 10 in carrozza. Voto tecnico: essendo tre registrazioni diverse, si va da 9 ½ a 10, dipende dal brano, diciamo 10 arrotondato. Voto alla Craft: stra 10. Voto a me che ho scritto questa recensione: mbe’… 3 1
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 25 Aprile 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 25 Aprile 2024 Festa della Repubblica, recensione patriottica. Iiiitalianiiiiii, l'ora delle decisioni irrevocabili è arrivata! Mi vendo la casa! . Mal Waldron – Mal/2 - Prestige Records (1958) – AAA OJC-Craft Records (2023) . Recensione alla veloce, per chi non ha voglia di leggere: cioè, fatemi capire, voi aspettate la mia recensione per acquistare ‘sto disco? Allora, avviso: a chi non acquista ‘sto disco viene inibita la lettura delle mie recensioni (che tanto lo so che non vedete l’ora di leggerle). Ho fatto un accordo con l’Amministratore, abbiamo sviluppato una specie di micro-relè, che funziona con le onde cosmiche atarassiane-athameppiane e scatta in automatico oscurando il thread. Adesso lo attivo, aspettate un attimo che punto l’antenna in direzione della galassia di Atarass-Athamèp…e pronuncio la sacra formula in sumero accadico, il cui significato resta a tutt'oggi in gran parte oscuro. Mi raccomando a voi, serve il più assoluto silenzio. . Atàraaaaass! ATARA’AASS! Atàrass dde‘stocàass! Athamèeeep ATHAMEE’EEP! Athamèp dde‘stacèepp! . . La verità è che sui dischi ben riusciti non c’è mai molto da dire (sui capolavori anche meno). Ma è mai possibile che non riesca a trovare un Prestige che non mi piace? Ce ne sarà uno? Mal Waldron, storico pianista di Charles Mingus, c’è, ma non si vede. Come il trucco. Lato A standard, Lato B brani originali (e spacca in una maniera...maro’, è una favola…). Lato C: ammazza che disco! Che disco incantevole. Machemmeraviglia!! Dai che parto con la recensione positiva stile rivista Hi-Fi: ho visto la luce! ah che prodotto! ah che qualità! Ragazzi, cosa vi devo dire... Ma che belli che sono ‘sti OJC-Craft, ma che belli santo cielo! Li devo comperare tutti...io mi ipoteco la casa...dov’è? dove l’ho messo?….dov’è il numero del notaio? Diciamolo chiaramente, la serie OJC di Craft non la batte nessuno, è il Top. Dunque, prendete nota: Coltrane (prima maniera), Sulieman (un ottimo trombettista, già sotto Monk), Sahib Shihab (sassofonista, pure lui da Monk), Jackie McLean, Julian Euell (bassista allievo di un certo Mingus); infine Ed Thigpen ed Art Taylor, che si dividono il seggiolino della batteria. E poi c’è il titolare, Mal Waldron, pianista powelliano, più per togliere che per aggiungere; sta in cabina di regia e manovra la giostra. Il disco? Un razzo atomico caz..spita! Una freccia di giada scoccata da una nube di fuoco, che va a conficcarsi esattamente nel cuore del Jazz...e te… non la vedi nemmeno passare. Spatapàm! Hai visto passare ‘na freccia? Tipooo...di giada venuta giù da una nube infuocata? Me pare... Ah sì sì, lo vista. I brani scritti da Waldron, che occupano il Lato B, fanno le scarpe agli standard del Lato A. E’ il Jazz Prestige...e chi lo ammazza? Parliamo della registrazione? Vecchiotta, del tipo anzianotta, un po’ chiusa, un po’ limitata, tutto ridotto: dinamica, timbrica, scena sonora. Quindi… suona alla grande. Eeembe’, suona, suona. Come un Mono, perché è Mono, ma un Mono ellenistico, che si pavoneggia, perché non lo sa di essere Mono. Scena avanti eppur bilanciatissima; ma quant’è più coerente il Mono rispetto allo Stereo? Tutta ‘sta polpa al centro, che più al centro nun se po’, e quell’effetto radiolone a valvole, un altoparlante uno, che fa tanto vecchia Hi-Fi, e checcepiace. Hai voglia se ce piace. Stoughton laminata, stampa RTI non silenziosissima (porcdiquell°çò@#ù*^§°£$§§!). Voto artistico: non gli do 10 perché poi dite che esagero. Allora facciamo… 9,999999 Voto tecnico: 9 meno. Pagato 36 Euro su IBS, con lo sconto retrogrado, del coso fratto il cos’altro... Occhio che scatta il relè! Alberto. 4 2
giorgiovinyl Inviato 26 Aprile 2024 Inviato 26 Aprile 2024 Non perdo tempo a leggere la recensione perché so già che il disco è bello. Tra l'altro super affaròn (insieme a tanti altri) perché preso in un acquisto complessivo. Diciamo che ho risparmiato 35 euro e spiccioli
gabel Inviato 26 Aprile 2024 Inviato 26 Aprile 2024 Il 25/4/2024 at 15:25, OTREBLA ha scritto: Festa della Repubblica È (era) il 25 aprile, festa della liberazione. La festa della repubblica è il 2 giugno. Comunque apprezzo lo sforzo! 😄 Possibile che i Craft-OJC siano sempre i più cari? 😡
Tronio Inviato 26 Aprile 2024 Inviato 26 Aprile 2024 29 minuti fa, gabel ha scritto: Possibile che i Craft-OJC siano sempre i più cari? Per forza! Da quando c'è "gente" che li recensisce mettendo sempre voti dal 9,999999 in su...
OTREBLA Inviato 26 Aprile 2024 Autore Inviato 26 Aprile 2024 Che figura! Certo, Festa Della Liberazione! Athameeep! E fortuna che sono di sinistra.... Tronio, il prossimo Craft-OJC lo stronco per ben benino, così il prezzo cala. Alberto. 1
giorgiovinyl Inviato 28 Aprile 2024 Inviato 28 Aprile 2024 Il 26/04/2024 at 19:12, Tronio ha scritto: Per forza! Da quando c'è "gente" che li recensisce mettendo sempre voti dal 9,999999 in su... È un gran bel disco ma gli darei 4 stelle non di più. Quindi 8… se può aiutare a fare scendere il prezzo…. 😉 1
OTREBLA Inviato 2 Giugno 2024 Autore Inviato 2 Giugno 2024 Yusef Lateef – Eastern Sounds – Prestige MoodsVille (1961) – AAA Craft Records Serie OJC (2023) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: un’ottima prova del sacerdote dell’East-Jazz. . . Le composizioni presenti in Eastern Sounds, del polistrumentista Yusef Lateef, contengono elementi di chiara derivazione orientale. Sono inoltre inclusi due brani tratti da altrettante pellicole cinematografiche di grande successo: Spartacus (1960) e La Tunica (1953). Si tratta dei pezzi più convenzionali dell’album, che ne abbassano un poco il giudizio complessivo. A parte un Don’t Blame Me, dolcemente arrangiato in forma di ballad, e le due colonne sonore citate, la cui paternità cinematografica è manifesta nell’arrangiamento classicheggiante, tutto il resto deriva dalla penna di Lateef e costituisce la ragione per cui Eastern Sounds è così meritevole di attenzioni. Tra dediche alle figlie ed alla moglie, delicatissime atmosfere orientali, misteriose danze crepuscolari e richiami coltraniani, Lateef piega le esigenze della musica Jazz ai suoi fini, che sono quelli di indagare le molteplici sfaccettature dei modi musicali levantini. Un disco anomalo, teatrale, impostato quasi da disco di Classica, in cui si può ascoltare una forma di Jazz sotto diversi aspetti anticipatoria della World Music, che nel 1960 deve essere sembrata decisamente fuori dal coro ed anticonformistica. A me Eastern Sounds è piaciuto e lo consiglio, sebbene a tratti lo abbia trovato un po’ troppo ragionato e pianificato, dal che deriva quel suo essere leggermente impostato e non del tutto spontaneo. Segue una direzione ben precisa e non sgarra di un millimetro; sotto taluni aspetti pare quasi scritto, più che improvvisato, e mi ricorda le Suite, o la musica a programma. Spicca, oltre a Lateef, il batterista Lex Humphries, che avevo già avuto modo di apprezzare nel Tone Poet di Donald Byrd, At the Half Note Cafe; Humphries con la sua batteria dirige, connota e caratterizza l’intera esibizione. Yusef Lateef è un bravo e sorprendente autore. In Purple Flower, ad esempio, si rifà al capolavoro Passion Flower di Billy Strayhorn, con risultato lodevole. Lo accompagna il pianista Barry Harris, ed il contrabbassista Ernie Farrow che nel bellissimo The Plum Blossom, in apertura di disco, suona il Rabaab, specie di liuto persiano. Lateef imbraccia il sassofono tenore, il flauto, l’oboe e lo Xun, flauto globulare di origine cinese, dal timbro morbidissimo. Circa la resa sonora, Eastern Sounds pare registrato due minuti fa. E ciò vi basti. Rudy Van Gelder si è superato. La dinamica spacca, batteria iperrealistica, il sassofono è lì con voi, la trasparenza è notevole. C’è poco da dire su registrazioni di così elevata qualità, se non che offrono un’esperienza d’ascolto rara, persino tra le riprese coeve in casa Blue Note, Impulse!, Verve, ecc. Pagato 35 Euro, un tantinello più del normale (nonostante gli sconti di prammatica) su IBS. Questi OJC-Craft non riesco proprio a trovarli a prezzo Affaròn. Il vinile RTI rumoreggia un pochino sul Lato B. Meglio il Lato A. Gli do una lavata? Machemmefrega… Voto artistico: 9 1/2 Voto tecnico: 10 1
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 16 Giugno 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 16 Giugno 2024 Questa Domenica si parla di pianisti. Uno qua e l'altro nel thread Lo Stato Del Vinile. The Cats – New Jazz Records (1959 – Registrato nel 1957) – AAA Craft Recordings-OJC (2023) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: pensavo fosse Burrell e invece era Flanagan. . . Ammetto di non amare gran che Kenny Burrell. Ho diversi suoi lavori e nessuno mi entusiasma più di tanto. Lo trovo un chitarrista troppo impostato e misurato. Cool nel senso più borghese del termine. Dotato indubbiamente di grande talento, ma troppo classico ed ortodosso per i miei gusti. Pertanto mi sono approcciato a The Cats con poche aspettative. E invece no, The Cats è un gran bel disco, pur nella sua classicità, inoltre non è Burrell segnare il tracciato, come pensavo, ma il pianista Tommy Flanagan, autore di quattro delle cinque composizioni in scaletta. Che non sono per niente male. Un esempio è Eclypso, ballabile dal sapore latino che chiude il Lato A, un altro è Solacium, in apertura Lato B, nel quale Flanagan si diverte a citare alcune famose melodie, tra cui Besame Mucho e l’Improvviso Op.66 di Chopin; mi è piaciuto anche Tommy’s Time, che come appunto dice il titolo si occupa di ritmo, con repentini cambiamenti di tempo. In generale tutto il disco è godibilissimo ed offre un Bop ammiscato, come dicono a Napoli, nel quale spiccano oltre a naturalmente Tommy Flanagan, dallo stile misurato e contenuto, il trombettista Idrees Sulieman e il batterista Louis Hayes, che in Minor Mishap tiene botta dall’inizio alla fine. Kenny Burrell al suo solito elegante e aristocratico. Da non dimenticare John Coltrane , qua in versione bluesy, sebbene come sempre un poco più avanzato rispetto agli altri. Un Jazz sicuramente d’epoca, poco disposto ad anticipare i tempi, se non fosse per Coltrane che qualcosa di prematuro ce l’ho infila sempre, altrimenti non sarebbe Coltrane; un disco che conquista al primissimo ascolto, ma non stanca nemmeno dopo diversi ascolti. In tutti i casi The Cats è un lavoro corale, ove ognuno collabora da par suo al notevole risultato finale. Passando al suono abbiamo una registrazione monofonica, un po’ chiusetta ed opaca, con i musicisti avanti fatta eccezione per il batterista ed un’immagine naturale tipica dei dischi Mono; buona la profondità e molto buono il dettaglio. Per essere del 1957 direi che ce n’è in avanzo. Copertina Stoughton a finitura lucida e vinile RTI non silenziosissimo sul Lato B. Caz..ccidenti! Pagato 34 Euro su IBS. Voto artistico: 9 ½ Voto tecnico 9++ 3 1
OTREBLA Inviato 16 Giugno 2024 Autore Inviato 16 Giugno 2024 Io mi chiedo come si faccia a scrivere "ce l'ho infila sempre..."...e l'ho riletto varie volte eh... Sarà l'età? Bah...
Gaetanoalberto Inviato 18 Giugno 2024 Inviato 18 Giugno 2024 Il 17/06/2024 at 00:13, OTREBLA ha scritto: Io mi chiedo come si faccia a scrivere "ce l'ho infila sempre..."...e l'ho riletto varie volte eh... Sarà l'età? Bah... Lo avevo notato subito infatti, e mi sono molto sorpreso
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 28 Luglio 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 28 Luglio 2024 E' quasi Agosto e come ogni quasi Agosto, fa un gran caldo. "Col gran caldone, c'è la doppia recensione", dice l'adagio popolare. Una di qua e una nel thread Lo Stato Del Vinile. Ecch’allà! Un altro OJC di Craft. E mo’ questo attacca su quant’è bello, su quanto è spettacolare, e il capolavoro di qua e il capolavoro di là…e che due balle Alberto! Eh ma ragazzi, se sono tutti eccellenti gli OJC è colpa mia? Il catalogo OJC di Craft Records, per quanto mi riguarda, è la principessa delle serie Jazz audiophile . Comunque avete ragione, si finisce per ripetersi ed annoiare. Comprerò i dischi mezzi modali e mezzi free, belli indigesti, che dopo trenta secondi stai già pensando se non è il caso di prenotare quel tale intervento dolorosissimo ai denti che hai sempre rimandato…così almeno mi diverto a stroncarli, e ci si diverte tutti assieme. Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: ennàmo…allora non mi ascoltate! Ron Carter Where? - Prestige Records (1962) – AAA Craft Recordings (2024) . . Ma guarda lì che bellezza! Where? è l’album di debutto del bassista Ron Carter nel mondo discografico. Il teorema Duvivier si può applicare anche se nel disco George Duvivier suona in un solo brano (in duo con Carter)? E’ una questione spinosa. Pensiamoci un po’… Momento…chi è questo tizio qua? Eric Dolphy? Ah va be’ se c’è se c’è anche Dolphy il problema non si pone…ragazzi…non lo apro nemmeno, lo lascio sigillato. Voto artistico: 10 e lode. Recensione terminata. Così, senza neppure ascoltarlo. Non serve. Come dite? Volete proprio che lo ascolti? E’ 10, fidatevi. Carter + Duvivier + Dolphy? Sarà come minimo un’opera sublime. Visto che mi guardate in quel modo, con aria di rimprovero, lo ascolterò. Ma c'avevo qua un disco di free-jazz da recensire... E va be', perdiamo tempo, come volete voi. Però questa volta intendo essere più severo, sobrio ed avaro di complimenti. ME-RA-VI-GLIO-SA, SPET-TA-CO-LA-RE, PO-DE-RO-SA gemma datata 1961, che a trovarle un difetto diventa un esercizio di spiritismo. Vede schierati il titolare dal Michigan, una lunghissima carriera alle spalle ed infinite collaborazioni con il gotha del Jazz mondiale, il citato tizio del teorema (che fa una comparsata), Mal Waldron al piano e Charlie Persip alla batteria (tutto spazzole e ritocchi di fino). E poi c’è Eric Dolphy. Vale a dire Mennea alla campestre della parrocchia. Il primo brano, composizione dello stesso Carter, intitolato Rally, pare davvero un rally tra le note, col titolare dal Michigan al violoncello e Mennea che parte in direzione iperurano tornando indietro giusto per il caffè. Segue sfida di contrabbassi, Carter-Duvivier. The winner is…non lo so ma cavolo che pezzo stellare! E poi viene lui…tra i miei standard preferiti…quasi mi commuovo…Softly As In A Morning Sunrise, rivisitato a colpi di archetto e sax contralto…è una cosa…una cosa…indescrivibile. Finisce il lato A. Ma come? E’ già finito? Via, lato B subito…una ballad di Randy Weston (colui che voleva essere Thelonious Monk) che da il titolo al disco; Ron Carter ancora al violoncello e via di tremolio da far appunto tremolare le vene all’ascoltatore. Si giunge ad una marcia Gospel, Dolphy al flauto, che è come dire Houdini al torneo di briscola della bocciofila…giustamente la gente si alza e se ne va; Ron Carter per l’occasione suona la chitarra…no, volevo dire il contrabbasso…ma è come se suonasse la chitarra. Si chiude con un altro bel brano del vice di Monk Randy Weston, Dolphy ancora al flauto, che è come dire Gal Gadot in curva allo stadio. Capirete che la partita non la guarda più nessuno. Vogliamo parlare della registrazione? La solita spada Prestige (by Rudy Van Gelder), che cala inesorabile sulle orecchie dell’audiofilo esigente. Trasparenza, dettaglio, dinamica, tutto a puntino; forse un po’ lontanuccio il pianoforte, ma tanto Waldron suona con la sordina di suo, quindi va bene così. Copertina tipo Stoughton dalla finitura goffrata; il vinile RTI è la fossa delle Marianne. E secondo lorsignori io cosa dovrei dargli di voto? Ma potrà mai essere che io dia il voto ad un disco del genere? D’altro canto non volevo nemmeno aprirlo. Voi fate un po’ come vi pare. Voto tecnico: 9 + Alberto. 6
Gaetanoalberto Inviato 28 Luglio 2024 Inviato 28 Luglio 2024 La mia è molto più originale https://melius.club/topic/484-il-disco-in-vinile-che-state-ascoltando-ora/?do=findComment&comment=1208317
OTREBLA Inviato 28 Luglio 2024 Autore Inviato 28 Luglio 2024 E bravo Gaetano, ti ho dato un Melius per l'originalità.
GioSim Inviato 1 Settembre 2024 Inviato 1 Settembre 2024 Buongiorno ragazzi, questo di Ron Carter l’avevo ascoltato e forse non gli avevo dato la giusta attenzione. Oggi incuriosito dalle vs recensioni l’ho riascoltato e devo dire che invece mi è piaciuto molto, sicuramente lo prenderò non appena mi capiterà un buon prezzo. @OTREBLA @Gaetanoalberto grazie
GioSim Inviato 15 Novembre 2024 Inviato 15 Novembre 2024 Come scritto sul mio precedente post ho acquistato da Feltrinelli Ron carter where? Questa è la terza copia (su due ordini) che devo rimandare indietro per una evidentissima deformazione, un lato concavo e l’altro convesso, praticamente una scodella. Oggi con il servizio clienti ho insistito perché volevano farmi il rimborso (per ogni ordine si possono fare Max due sostituzioni) e gli ho proposto di verificarmelo prima di rispedirmelo. Cosa veramente strana, mai successo prima, per chi l’ha preso come è la vs copia. Grazie, Giorgio
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 17 Novembre 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 17 Novembre 2024 Cannonball Adderley – Know What I Mean? - Riverside (1962) – AAA OJC-Craft Records (2024) Recensione alla veloce per chi fa lo sciopero della lettura: Bill Evans Imperator Augustus! . . Con l’OJC-Craft di Mal Waldron ho voluto scherzare, dicendo che se non lo comperate scatta l’ammonizione, ma in questo caso sono serio: ‘sto disco bisogna proprio cercare di averlo in collezione. Non ci sono storie. Un conto è un eccellente disco Jazz come ce ne sono moltissimi, un conto è un mezzo capolavoro come Know What I Mean?. Premetto che darei non so cosa per sapere chi ne ha scritto gli arrangiamenti: se sono di Adderley allora mi devo inginocchiare umilmente di fronte a cotanta arte. Ciò non di meno l’estrema bravura del sassofonista, la cui voce aperta lo colloca dalla parte dei chiaristi, alla Coltrane e Dexter Gordon, con un tono tuttavia più dolce e spigliato, viene in parte adombrata da un convitato di pietra che semplicemente sovrasta ed annichila, con la sua personalità musicale, l’intero gruppo; il quale comprende Percy Heath al contrabbasso e Connie Kay alla batteria; quest’ultimo più che altro si limita ad accompagnare, tranne che nel brano del titolo, Know What I Mean?, in cui ha un ruolo più di primo piano. Come dicevo c’è un’ombra che incombe e dilaga: mi riferisco allo stregone Bill Evans. Anche il più timido appassionato di Jazz sa che è arduo sfuggire al fascino del pianismo di Evans; questo ragazzo lo vendi a chiunque, pure a chi ascolta soltanto Marilyn Manson. Impossibile resistere al suo mondo fiabesco, onirico, introspettivo, di un Jazz atemporale, evocativo e denso di malinconico lirismo. Miles Davis si diceva pronto a convenire sul fatto che il suo repertorio ebbe a subire un netto miglioramento con l’acquisizione di Bill Evans nel gruppo. Personalmente non credo di aver mai ascoltato un disco di Bill Evans che non mi abbia convinto al 100% o quasi, ma per qualunque artista, anche il più bravo, possono esservi lavori riusciti un poco meglio di altri. Know What I Mean? è molto al di sopra della perfezione e lo potete tranquillamente considerare come parte della discografia di Bill Evans, più che di quella di Cannoball Adderley. Il quale comunque è altrettanto fenomenale e da lodare in maniera incondizionata; se poi gli arrangiamenti sono suoi, be’…allora bisogna assegnargli il Nobel postumo; Adderley si presentava in studio di registrazione carico di spartiti musicali, su cui poteva aver annotato tre differenti approcci per ogni singolo pezzo in scaletta. E camminava avanti e indietro indeciso su quale preferire. Basterebbe e avanzerebbe quanto detto finora per decidersi all’acquisto, tuttavia ‘sto bel frisbee solcato è pure registrato da pazzi. Trasparenza, dinamica, dettaglio…non c’è un parametro che difetti. Bella l’immagine, coerente e bilanciata. Know What I Mean? si colloca ai primissimi posti nella classifica delle ristampe sinora licenziate da Craft per la serie OJC, assieme a Thelonious Monk e Coltrane, che essendo un disco di Monk è un CATS senza discussioni (Capolavoro Assoluto Trascendentale e Stratosferico). Appena terminato di ascoltare Know What I Mean? ho subito pensato: “Questo è proprio un CATS di disco, non c’è il minimo dubbio”. Il voto artistico non lo do, perché finché si tratta di una certa ordinarietà nel novero dell’eccellenza, molto volentieri mi presto al giochino un po’ scemo dei voti…ma per roba così, non esiste che mi metto ad assegnare punteggi. Siamo troppo fuori della mia portata. Mi limito a consigliarvelo caldamente e se ci dovete spendere un po’ più di soldi del normale, pazienza. Il vinile RTI è un nastro di seta impregnato di oli essenziali. Avesse fatto un minimo crick avrei maledetto in eterno Thomas Edison. Pagato 37 Euro su IBS. Voto tecnico: 10. Alberto. 2 1
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