Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 22 Dicembre 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 22 Dicembre 2024 Questa domenica parlerò di due lavori dello stesso musicista: Art Blakey. Uno dei due è stato pubblicato nella serie Craft-OJC e quindi inserisco la recensione qua. Anzi, le recensioni. Recensione alla veloce numero uno, perché per una questione di spendig-review non possiamo dilungarci: buono, ma non quanto quell’altro. Recensione alla veloce numero uno di nuovo, perché tu' is megl che uàn: molto più buono questo di quell’altro, perlomeno io lo preferisco. . Art Blakey – Caravan – Riverside (1963 – R. 1962) – AAA Craft Records Serie OJC 2024 . . Art Blakey – Mosaic – Blue Note (1962 – R. 1961) - AAA Blue Note Classic (2023) . . Uno dei due dischi in esame mi ha un po’ spiazzato; c’è qualcosa di meno blakeiano rispetto agli altri dischi che ho del batterista di Pittsburgh e sicuramente rispetto all’altro recensito. E’ più moderno, a tratti modaleggiante. Inoltre è come se, a differenza dell’altro, non fosse Blakey a condurre il gioco. Lo trovo meno ispirato. Nell’altro invece riconosco il mio Art Blakey sinfonico, pieno e definitivamente Hard-Bop, che non anticipa nulla e va diritto sul suo binario. Eppure la formazione è più o meno la stessa, cambia soltanto il contrabbassista, Jymie Merritt in un caso e Reggie Workman nell’altro. Sono due dischi diversi e separati ed io preferisco di gran lunga quello meno sperimentale. Che è anche meno rigido dell’altro ed include del Jungle anni ’40 , con quell’effetto tipico della batteria, giocato sui tom e sul rullante, un pezzo Latino, uno Swing ed un gran bel pezzo con tre melodie incastrate l’una nell’altra ed il giro armonico del basso che fa da collante. La registrazione però non è all’altezza di quello più moderno, con la batteria più sottile ed in generale un suono più secco. C’è anche un effetto stereo tipo ping-pong, col tom sulla sinistra ed il charleston sulla destra. L’altro disco come ho detto è registrato meglio, anzi è registrato benissimo. Sul secondo brano del lato B c’è una sciabolata di Hubbard da seimila decibel da far esplodere i tweeter. Una bellezza di registrazione con tromba olografica, ottimo il pianoforte e dinamica da far scattare l’impianto d’allarme. Circa la musica, come ho detto, tutti i brani si connotano per un taglio molto moderno, dissonante e modaleggiante in taluni aspetti. Entrambi i vinile risultano silenziosi. Voto artistico disco Uno: 9 + Voto tecnico disco Uno: 10 Voto artistico disco Due: 10 Voto tecnico disco Due: 9 /12 Come? Non avete capito qual è il disco Uno e qual è il disco Due? Certo, non ve l’ho detto. Scopritelo da voi. Ho pagato Mosaic 22 Euro su Amazon.fr e Caravan 33 Euro su IBS. 3
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 5 Gennaio Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 5 Gennaio Thelonious Monk – Monks Music – Riverside Records (1957) – AAA Craft Recordings (2024) Recensione alla veloce perché davvero per certe opere non c’è da farla tanto lunga: uno dei dischi Jazz più belli che abbia mai ascoltato e che abbia in collezione. . . Non ho altro da dire. Per una volta la recensione alla veloce coincide con la recensione alla lenta. Tuttavia, per non farla davvero troppo corta, vi racconterò come andò che Monk fu immortalato sulla carriolina da bambini. In realtà i grafici della Riverside lo volevano fotografare vestito da monaco con un bicchiere di whisky in mano, dietro ad un pulpito, ma Monk, che aveva imparato i rudimenti del pianoforte in chiesa, non ne voleva sapere di mischiare il sacro col profano e ne nacque una discussione. Dopodiché il pianista si rintanò dall’altra parte dello studio fotografico, ove era stato allestito un set con vari giocattoli; visto il carrettino rosso vi si sedette e mise il broncio. Paul Weller, il fotografo, guardandolo lì seduto ebbe l’ispirazione, gli chiese rispettosamente il permesso e fece il famoso scatto. Questa pietra miliare della storia del Jazz inizia con un inno tradizionale della religione anglicana, Abide With Me, che Monk suonava all’organo a Rocky Mountain durante le predette funzioni domenicali. Il primo brano originale è il famoso Well, You Needn't durante il quale si sente Monk che urla due volte il nome di Coltrane. Il pianista non aveva stabilito la successione delle parti soliste ed il povero Coltrane non aveva la più pallida idea di quando fosse il suo turno di improvvisare, così fu Monk stesso a dargli il segnale in quella strana maniera. Sia Coltrane che Coleman Hawkins ebbero non poche difficoltà a seguire Monk nelle sue intenzioni musicali, e per tale ragione furono aspramente rimproverati: “Siete o non siete uno l’inventore del sax tenore e l’altro il grande Coltrane? Allora trovate la musica nei vostri strumenti, fra tutti e due dovreste riuscire a trovarla no?”. Pensa te che modo di ragionare…. Anche il trombettista Ray Copeland e l’alto-sassofonista Gigi Gryce ebbero la loro parte di rimbrotti. L’unico che ne uscì indenne fu il batterista Art Blakey il quale, avendo già lungamente collaborato con Monk, sapeva esattamente quello che il pianista si aspettasse da lui. La registrazione, a 67 anni di distanza, sfodera una freschezza e completezza sonora da lasciare di stucco. Il pianoforte è ripreso benissimo ed in tutti i parametri Hi-Fi Monk’s Music sorprende per la qualità generale del suono. In Monk’s Time Thelonious Monk compone un’opera che una volta di più dimostra che la sua musica rappresenta il passato, il presente ed il futuro del Jazz. Il classico disco da capsula del tempo. Consigliato a chiunque ami la musica. Alberto. E veniamo alla recensione vera e propria di questa prima Domenica dell'anno. 5
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 5 Gennaio Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 5 Gennaio Harold Land – The Fox – HifiJazz (1960) – Contemporary Records (1969) – AAA Craft Records (2024) . . Recensione alla veloce per chi lo aspetta la fidanzata: convenzionale ma con classe. Harold Land da Houston imbracciò il sassofono tenore all’età di diciassette anni, facendosi in seguito le ossa nelle band rhytm-and-blues della sua città. Spostatosi a Los Angeles conobbe l’amico Eric Dolphy ed entrò a far parte del gruppo di Clifford Brown e Max Roach. Le collaborazioni si susseguirono per tutti gli anni ’50 con Curtice Counce, Bobby Hutcherson e Blue Mitchell; infine costituì diversi gruppi di cui fu leader egli stesso. Il suo stile deriva da Charlie Parker nel fraseggio nonché da John Coltrane nella voce ed in talune scelte stilistiche. The Fox, registrato nell’Agosto 1959, fu rimasterizzato dieci anni dopo dalla Contemporary che lo ripropose al pubblico di allora. Offre un Jazz di derivazione Be-Bop, abbastanza classico, anche un po’ prevedibile, però eseguito in maniera che nessuno al mondo possa avanzare il minimo rilievo. The Fox è uno di quei dischi anni ’50 che non ti fanno sobbalzare dalla poltrona ma che ti danno un’idea precisa di ciò che all’epoca fosse il canone jazzistico nei giorni feriali; ovvero il prodotto buono per ogni occasione, garantito dai migliori bopper in quel momento sulla piazza. The Fox è come uno di quei campionari che gli agenti di commercio si portavano appresso nei loro giri aziendali, e che riproducevano perfettamente, su scala ridotta, gli articoli realizzati in fabbrica. Co-protagonista del disco è il trombettista Dupree Bolton, la cui voce fresca ed arrotondata, nonché la notevole agilità tecnica, determinano il colore dell’esibizione. Una caratteristica del disco sono i ripetuti dialoghi serrati e ritmici tra sax e tromba. In queste ultime settimane sto ascoltando soltanto capolavori, dischi realmente eccezionali, e ciò ha condizionato le mie aspettative circa i dischi che ancora dovevo ascoltare. Per rientrare in ambiti più ordinari ho dovuto ascoltare The Fox più volte, in modo tale che il mio giudizio non fosse influenzato dagli ascolti precedenti. Sulle prime difatti non mi aveva per nulla conquistato. I brani in scaletta escono dalla penna di Harold Land e del pianista Elmo Hope; questi ultimi si connotano per la presenza di elementi dissonanti alla Thelonious Monk. Anche la registrazione è abbastanza standard per i tempi, ovvero mediamente dettagliata, dinamica e trasparente. Considerando poi che risale al 1959 non si può non darle il massimo dei voti. Dischi come The Fox arricchiscono la collezione di un appassionato di Jazz, magari non le fanno fare un deciso passo avanti, ma sicuramente la completano. Eccellente come al solito il trasferimento AAA di Kevin Gray. Vinile silenziosissimo e senza difetti. Pagato 26 Euro su IBS con lo sconto “Boyscout”, che viene accordato a chi è capace di accendere un fuoco in terrazzo usando le tende del salotto, della polvere da sparo trafugata e lo SME 3009. Voto artistico 9+ Voto tecnico 10 Alberto. 3 1
OTREBLA Inviato 11 Febbraio Autore Inviato 11 Febbraio In arrivo per il 2025 nuove ristampe della collana Craft-OJC 1. The Musing Of Miles Davis - Prestige (1955) 2. Thelonius Monk - Himself - Riverside (1957) 3. Miles Davis - Walkin' - Prestige (1957) 4. The Incredible Jazz Guitar Of Wes Montgomery - Riverside (1960) 5. Joe Pass: Virtuoso - Pablo (1973) Praticamente mi interessano tutti. E pure tanto. Accidenti... Alberto. 1
gabel Inviato 14 Febbraio Inviato 14 Febbraio Il 11/2/2025 at 17:27, OTREBLA ha scritto: Praticamente mi interessano tutti. E pure tanto. Accidenti... Alberto. Preparati ad una trasfusione di 🩸🤣
OTREBLA Inviato 14 Febbraio Autore Inviato 14 Febbraio @bear_1 E ti pare poco? Disco favoloso. @gabel Non girare il coltello nella piaga...il Monk lo devo prendere per forza. Per me Thelonious Monk è una terapia ed un elisir di lunga vita. Walkin' mi manca e non c'è scelta, va preso. Il Pablo lo prendo DI SICURO. Come vedo la scritta Pablo io compero, qualunque cosa sia. Potrei rinunciare al Montgomery ed al Miles del '55...però...sarebbe una rinuncia sofferta... Alberto.
Moderatori Mister66 Inviato 14 Febbraio Moderatori Inviato 14 Febbraio In attesa di 4 AP Pablo oggi mi sono arrivati questi… 😉
gabel Inviato 14 Febbraio Inviato 14 Febbraio @Mister66 quello di Carter ce l’ho già da un po’, quello di Cannonball invece no: posso chiederti dove l’hai preso e quanto lo hai pagato? Grazie mille! 🙏🏻
Moderatori Mister66 Inviato 14 Febbraio Moderatori Inviato 14 Febbraio @gabel carter ho una vecchia edizione americana che suona discretamente.. questa è un altro pianeta… Cannonball su Amazon https://amzn.eu/d/83Fb6JO
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 16 Marzo Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 16 Marzo Ma quand’è che finisce di piovere? Persino il mio tè domenicale sa di allungato. La giornata è uggiosa, la recensione…pure. E comunque, viva Gunthar Spetzel! Red Garland – Groovy – Prestige Records (1957) – AAA OJC-Craft Records (2024) . . Recensione alla veloce per quelli che preferiscono spendere i soldi nei dischi piuttosto che nelle armi: già il fatto che la Stoughton è laminata (lucida) implica inevitabilmente un voto alto. Ma non altissimo. Groovy è un termine vecchio slang, caduto in disuso, che significa “Bello!, Forte!, Figo!”. Hamptom Hawes, il famoso pianista, ne faceva uso in continuazione. Il suo collega Red Garland è famoso soprattutto per le collaborazioni con Miles Davis, durante gli anni ’50. Partecipò a decine di registrazioni Prestige e Groovy è il quinto suo album da solista con questa etichetta. Durante gli anni sessanta Garland interruppe la carriera da professionista, a causa della scarsità delle proposte di lavoro. Groovy è un classico della collana OJC ed in passato è stato proposto in versione doppio 45 giri, da Analogue Productions. Beatissimo chi la possiede. Il pianista è affiancato da Paul Chambers al basso e da Art(hur) Taylor alla batteria. Lo stile jazzistico è abbastanza classico, senza forzature e scatti in avanti, ben eseguito, anche grazie all’apporto dei due notevoli comprimari. Red Garland esibisce un pianismo ortodosso, poco invadente ed “accordato”, in quanto lavora spesso di accordi, per il cui tramite tende a riprodurre il tipico effetto botta e risposta delle big band. Il suo quindi è un approccio orchestrale all’improvvisazione jazzistica, dalla quale traspare in maniera evidente l’influenza di Charlie Parker. Un trio perfettamente integrato, col solito mirabile uso dell’archetto da parte di Paul Chambers, una specie di firma del contrabbassista di Pittsburgh. A base di Bop canonico questo di Groovy, sorvegliatissimo (forse anche troppo) e ben eseguito. Il programma include Hey Now, brano originale di Garland, piacevole e sbarazzino. Registrazione monofonica con sottile velo davanti, pianoforte leggermente chiuso e batteria un po’ troppo in là. Molto buona la resa del contrabbasso. Può darsi che il nastro master cominci a sentire il peso degli anni, oppure semplicemente sto ascoltando troppi Pablo/AP e l’orecchio è sintonizzato su quelli. In ogni caso, per essere del 1957, Groovy è una vecchia signora ancora in grado di fare conquiste. Il vinile della RTI è decisamente silenzioso. Pagato 25 Euro su IBS con lo sconto “Amici di Bardonecchia” che viene riconosciuto a chi invia prova documentale di essere stato almeno una volta in vita sua a Bardonecchia. Siccome io Bardonecchia non l’ho mai vista nemmeno in cartolina, ho inviato una fotografia del 1996 delle mie vacanze a Laigueglia (che in fondo non è molto lontana da Bardonecchia…in linea d’aria), sulla quale effettivamente si vede il mare, ma solo una fettina a destra, che può anche sembrare l’azzurro dell’orizzonte dietro la pista da sci (con le palme); mi sono inventato la storia che quello sulla sinistra, mezzo di spalle, col gelato ed i bermuda, è il famoso fondista altoatesino Gunthar Spetzel, che all’epoca riempiva i rotocalchi; per farla breve, se la sono bevuta. Voto artistico: 9 1/2 Voto tecnico: 9 1 3
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 13 Aprile Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 13 Aprile La pioggia agli irti colli...ah no quella era la nebbia...E’ iniziata la stagione monsonica qua in terra orobica, con le piogge torrenziali che andranno avanti fino a Giugno. Per protesta mi faccio un tè equatoriale, ci butto dentro un avanzo di colomba pasquale di quelle estremamente economiche (con due mandorle due, una di qua e una di là, ben distanziate) e passo ad una recensione che si può dire cumulativa, dedicata ad un gigante del sassofono contralto, uno dei miei sassofonisti preferiti. La serie di dischi che vi presento è a tal punto omogenea per qualità artistico/tecnica, che da parte mia avrebbe poco senso soffermarmi in maniera specifica su ogni singolo lavoro. Si parla di Arthur Pepper detto “Art”, il più importante alto-sassofonista della storia del Jazz dopo il re del sassofono contralto Charlie Parker. . . Recensione alla veloce per chi è arrivato presto ed è già troppo che aspetta: il Jazz dei vertici, oltre al quale non c'è nulla. Per la verità Arthur Edward Pepper da Los Angeles fu anche clarinettista e tenor-sassofonista. Siccome però quando suona il clarinetto ricava gli stessi impasti timbrici e ricorre alla medesima articolazione di quando suona il sax-contralto, ed altrettanto fa col sax-tenore, in definitiva si può dire che il musicista abbia sempre suonato il sax-contralto. Il suo primo strumento tuttavia fu la tromba, che imbracciò compiuti i nove anni. L’anno successivo il piccolo Art ha un incidente e si rompe entrambi gli incisivi, così trasloca al clarinetto. Compiuti i quattordici anni, influenzato dallo stile di Benny Goodman ed Artie Shaw, entra nella banda della scuola; più tardi, da giovane professionista, si fa le ossa nelle orchestre di Gus Arnheim, Benny Carter e soprattutto Stan Kenton. Il suo apprendistato nelle big-band emerge con fulgida chiarezza quando lo si ascolta improvvisare. L’impostazione è disciplinata, quadratissima, sorvegliatissima. Non urla mai, non deraglia, non si avventura contro un ostacolo al di là del quale non è in grado di vedere. Pertanto Art Pepper è un sassofonista classico, alla Coleman Hawkins, Ben Webster, Lester Young? Niente affatto e questa è la sua seconda fondamentale caratteristica. Con tale bagaglio di esperienza nell’ambito della disciplina orchestrale, Pepper sviluppa il suo stile in maniera assolutamente originale e modernissima. Riesce in ciò che riuscì a pochissimi suoi colleghi nella storia del Jazz, con una mano rinsalda la tradizione Bop/Swing e con l’altra da briglia sciolta ad un passo inedito, ad un approccio innovatore, che lo ha reso un maestro ancora attualissimo. La grandezza di Art Pepper è il risultato, come sempre in questi casi, di una serie di caratteristiche antitetiche. I cinque dischi che potete osservare in fotografia, costituiscono una preziosa eredità della sua arte e la scelta obbligatoria per qualunque appassionato di Jazz. Si possono sovrapporre sia quanto a qualità artistica che tecnica, grazie al fatto che tutte le registrazioni furono realizzate da Roy Du Nann, il Rudy Van Gelder della Contemporary Records. Roy Du Nann fu indubitabilmente un maestro nella registrazione Hi-Fi, non meno capace del suo collega in forza alla Blue Note. Tra l’altro inventò una sorta di sistema Dolby ante-literam, che applicò alla registrazione del disco di Sonny Rollins Way Out West; Du Nann incrementò di proposito il livello delle alte frequenze (di 6dB) allo scopo di eliminare il sibilo del nastro, riservandosi di rimetterlo a posto in sede di taglio della lacca. . . I dischi fotografati in realtà sono sei, tuttavia The Intimate Art Pepper non fa parte del gruppo nato sotto le insegne della Contemporary, essendo stato pubblicato da Artist House nel 1979, e ristampato da Analogue Productions negli anni ’90, assieme ad altri due titoli del medesimo periodo: New York Album e So in Love. Sarebbe il caso che Chad Kassem si decidesse a ristampare (ricorrendo alla lacche di trent'anni fa) questi tre imperdibili lavori risalenti all’ultimo periodo del sassofonista. L’ho aggiunto forzando un po’ la coerenza cronologica, inquantoché serve come pietra di paragone rispetto all’Art Pepper della fine degli anni ’50, per appurare quali cambiamenti fossero avvenuti nello stile e nei modi del sassofonista in vent’anni di attività. Nada de nada. E’ l’identico Art Pepper del 1957-60. Stesso suono rotondo, levigato, stessa timbrica d’agata, medesimo l’incedere ondoso, a balze dai picchi smussati, identiche la fantasia e la ricerca musicale. Tra l’altro anche sotto il profilo tecnico The Intimate Art Pepper (riversato da Stan Ricker utilizzando la medesima catena valvolare che utilizzava Doug Sax) non sfigura affatto di fronte ai suoi predecessori, poiché suona una meraviglia, con il contrabbasso di Ron Carter che sfonda il muro del tempo e si catapulta nella vostra stanza d’ascolto, una dinamica da martello demolitore, trasparenza quadridimensionale. L’unico piccolo difetto di The Intimate Art Pepper è la presenza di due brani per sassofono contralto solo, che risultano un po’ forzati e deboli nell’effetto complessivo. Il sassofono non è uno strumento che si presti ad essere suonato in solo; si percepisce che manca qualcosa. Tornando alle ristampe tripla A della Craft Records oggetto della mia recensione, la scelta spetta a voi e potete pure tirare a caso, essendo certi di vincere sempre. In Art Pepper + Eleven (1959) troverete un suono orchestrale e gli spettacolari arrangiamenti di Marty Paich. In The Rhythm Section (1957) abbiamo un quartetto di grandi nomi, affiatatissimo, e così in Intensity (1960), mentre in Smack Up (1960) si aggiunge la tromba di Jack Sheldon ed in Gettin' Together (1960) quella di Conte Candoli (con Winton Kelly al pianoforte). Vari standard più alcune notevoli composizioni originali dello stesso sassofonista, che suona il sassofono contralto, il tenore ed il clarinetto. I musicisti di supporto sono tutti bravissimi. Ho la fortuna di possedere Smack Up e The Rhythm Section nelle versioni tagliate da Doug Sax per Analogue Productions tre decenni fa, il cui suono è uno scalino più…sontuoso, del suono ricavato da Bernie Grundman in questi recenti Craft, il quale ha fatto comunque un lavoro straordinario. Ma la morbidezza, l’immanenza e la grandiosità del suono di Sax temo sia sparita, sebbene non abbia potuto confrontare direttamente le stampe di Sax e Grundman di Smack Up e The Rhythm Section. Art Pepper è uno di quei nomi del Jazz da cui non si può proprio prescindere, capace di mettere d’accordo sia gli amanti dell’innovazione ad ogni costo che i puristi della tradizione. “Quando suono in gruppo gli altri componenti della band in qualche modo mi dirigono ed io in qualche modo dirigo loro. Bisogna raggiungere una speciale connessione con ogni membro del gruppo, contribuire all’insieme, piuttosto che badare esclusivamente alla nostra piccola parte ” – Art Pepper. Ed è esattamente ciò che troverete in questi stupendi lavori. Voti artistici: mooolto alti. Voti tecnici: alti mooolto. Alberto. 3 1
capodistelle Inviato 13 Aprile Inviato 13 Aprile Sempre Analogue Productions di Smack Up ( 2009 ), The Rhythm Section (2003) e Intensity (2003) esiste una versione, 45 rpm. Smack Up e The Rhythm Section masterizzati e tagliati da Kevin Gray, Steve Hoffman mentre Intensity è opera di Roy Du Nann.
GioSim Inviato 4 Maggio Inviato 4 Maggio The Intimate di Art Pepper stampa analogue productions, me l’hai fatto ricordare ed eccolo sul piatto, confermo stampa strepitosa, mi stavo avvicinando al jazz e questo è stato uno dei primi acquisti. Giorgio
OTREBLA Inviato 4 Maggio Autore Inviato 4 Maggio Aaaaabbe'...chissà se The Way It Was! è Full Analogue...
GioSim Inviato 4 Maggio Inviato 4 Maggio Se non ricordo male si sente molta differenza di incisione tra le due facciate, dovrò riascoltarlo è più di qualche anno che non l’ascolto. Giorgio
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