senek65 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno Il problema è la morte. Senza la Nera Signora non ci sarebbe manco l'ombra delle religioni attuali.
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 17 minuti fa, Panurge ha scritto: Finalismo allo stato puro, no grazie. Trovo caos e caso più credibili. Punti di vista Ognuno può adottare quello che a lui sembra più verosimile e congeniale Giusto così ☺️
loureediano Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno Esatto siamo liberi di credere o no, ma nessuno dovrebbe incidere sulla vita altrui e purtroppo sono i credenti che vogliono incidere sulla vita altrui
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno Forse ti riferisci alle istituzioni religiose, i testimoni di geova, qualche catechista incallito, o il buddhismo moderno della soka gakkai D'altro canto, anche i riduzionisti e scientisti (neo ateisti soprattutto), possono adottare sistemi molto vicini al catechismo Catechismo di una scienza con una rete concettuale, molto molto stretta Siamo arrivati al punto che quasi, quasi, occorre giustificarsi e dare conto sul valore che si attribuisce alla dimensione del sacro... Vabbè
senek65 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 16 minuti fa, LUIGI64 ha scritto: Siamo arrivati al punto che quasi, quasi, occorre giustificarsi e dare conto sul valore che si attribuisce alla dimensione del sacro... Già capire cosa sia il "Sacro" è complicato...
densenpf Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 2 ore fa, Panurge ha scritto: Finalismo allo stato puro, no grazie. Trovo caos e caso più credibili Il caso non esiste, quindi non e' credibile.
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 2 minuti fa, senek65 ha scritto: "Sacro" è complicato Oppure, molto facile: semplicemente non esiste
Panurge Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 2 minuti fa, densenpf ha scritto: Il caso non esiste, quindi non e' credibile. si,si. Credeteci pure.
senek65 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 7 minuti fa, densenpf ha scritto: Il caso non esiste, E chi l'ha detto?
Panurge Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 20 minuti fa, LUIGI64 ha scritto: anche i riduzionisti e scientisti (neo ateisti soprattutto) mai visto un terribile riduzioscientista imporre o tentare di imporre per legge scelte relative alla sfera etica e personale, per i credenti è lo standard, naturalmente sposo la tesi di Harari per cui anche le ideologie politiche possono essere vere e proprie religioni, con tutte le ricadute del caso. 1 minuto fa, senek65 ha scritto: E chi l'ha detto? il Commissario Maigret. 1 1
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 10 minuti fa, Panurge ha scritto: terribile riduzioscientista Io più che altro mi riferivo ad una certa intollerenza di taluni scientisti nei confronti dei credenti Per ciò che riguarda le istituzioni, probabilmente hai ragione. Come detto, non mi riferivo a quelle Il sig. Dawkins, comunque auspicava ingenuamente, con una certa mentalità fondamentalista, di eliminare le religioni tout court... Immaginiamoci i suoi adepti
briandinazareth Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 18 minuti fa, densenpf ha scritto: l caso non esiste, quindi non e' credibile. spiegavo prima che usiamo la parola "caso" per indicare un fenomeno con moltissime variabili delle quali non abbiamo controllo che producono un risultato non finalistico. ci sono chimica, fisica e altre cose in una mutazione genetica, che è la base dell'evoluzione. ma al fine del ragionamento è proprio il "caso", come quando tiri dei dadi, ovviamente non c'è nulla di strettamente casuale, perché è fisica, ma al fine ultimo si comporta esattamente come una casualità. comunque, in generale, il caso esiste ed è alla base del nostro universo, basta vedere le particelle subatomiche e tutto quello che ci dice la fisica quantistica.
senek65 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno Noi, poveri mortali, ragioniamo con una scala del tempo troppo ridotta. Del resto stiamo al mondo, mediamente, manco per 100 anni, che nella scala del tempo universale è si e no un battito di ciglia. Quando il tempo diventa una questione di milioni o miliardi di anni, può accadere di tutto.
ascoltoebasta Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 46 minuti fa, loureediano ha scritto: Esatto siamo liberi di credere o no, ma nessuno dovrebbe incidere sulla vita altrui e purtroppo sono i credenti che vogliono incidere sulla vita altrui Esatto,e questo accade ovunque ci sia una forte religione in grado (e lo è quasi sempre) di influenzare scelte politiche destinate anche a coloro che vorrebbero ogni religione giustamente libera,ma coltivata nel proprio io o comunità. Pensiamo anche solo alle discriminazioni verso i Dalit,abolite per legge ma ancora vivide e praticate.
ascoltoebasta Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 4 minuti fa, senek65 ha scritto: Quando il tempo diventa una questione di milioni o miliardi di anni, può accadere di tutto. E ci diamo una importanza che non abbiamo,siamo davvero un insignificante nulla,delle comparse in una frazione di tempo infinitesimale. Grazie alla scienza abbiam trovato risposte a domande legittimate dall'ignoranza,che altrimenti vedrebbero ancora credere che i lampi siano l'ira degli Dei,abbiamo assistito alla nascita di nuove stelle dimostrando che non v'è nessuna mano divina a crearle,abbiamo osservato come alcuni animali,costretti a spostarsi a vivere a quote più alte,per il cambiamento climatico,in poche generazioni abbiano mutato il colore del proprio manto per adeguarsi alle nuove condizioni,dimostrando che la natura si adegua da sè senza nessun dio a disegnarla preventivamente.
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno 43 minuti fa, ascoltoebasta ha scritto: insignificante nulla, A proposito di nulla... ...Un aspetto affascinante del simbolo zero come fu inteso in India è la ricchezza del concetto che rappresentava. Mentre nella tradizione babilonese aveva un valore unidimensionale, quello di un posto vuoto in un registro contabile, in India era pensato come parte di un più ampio spettro filosofico di significati connessi al nulla e al vuoto... La parola bindu era usata per descrivere il più insignificante ente geometrico, il punto, oppure un cerchio rimpicciolito fino a ridursi al proprio centro, ove non ha estensione finita. In senso letterale indicava solo un «punto», ma rappresentava simbolicamente l’essenza dell’universo prima che si materializzasse nel mondo concreto di apparenze che noi percepiamo; rappresentava l’universo non creato a partire dal quale tutte le cose possono essere create. Questo potenziale creativo era illustrato mediante una semplice analogia: con il suo moto, un unico punto può generare delle linee, con il moto delle quali si possono generare piani che, a loro volta, con il loro moto possono generare l’intero spazio tridimensionale che ci circonda. Il bindu era il Nulla da cui poteva derivare ogni cosa... ...Le tradizioni religiose indiane erano più in sintonia con la sensibilità mistica e accettavano il concetto di non essere mettendolo sullo stesso piano di quello di essere. Così come molte altre culture orientali, quella indiana considerava il nulla come uno stato dal quale qualsiasi cosa poteva essere venuta e al quale poteva ritornare: anzi queste transizioni potevano verificarsi molte volte, senza inizio e senza fine. Mentre le tradizioni religiose occidentali cercavano di rifuggire dal nulla, l’uso del simbolo puntiforme dello zero negli esercizi di meditazione mostrava come uno stato di non essere fosse per i buddisti e gli induisti qualcosa da ricercare attivamente al fine di raggiungere il Nirvana: l’unità con il cosmo. La gerarchia dei concetti indiani di «nulla» costituisce un tutto coerente che include in modo organico il simbolo zero dei matematici. Tratto da: Da zero a infinito (John D. Barrow - già docente di astrofisica, attualmente insegna scienze matematiche presso l’Università di Cambridge ed è direttore del «Millennium Mathematics Project». Studioso di fama internazionale, considerato uno dei maggiori esperti al mondo della moderna ricerca cosmologica, è autore di centinaia di pubblicazioni scientifiche di cosmologia e astrofisica e di una dozzina di libri)
LUIGI64 Inviato 20 Giugno Inviato 20 Giugno Ecco altro santone....vedere in calce chi è realmente... La più elementare delle ragioni addotte è che interrompendo la propria attività di pensiero, l’individuo umano si espande al di là dei propri limiti personali, diventando ricettivo a un totalmente altro che potrebbe cogliere l’occasione per manifestarsi in lui; si mette in ascolto dell’“intimo”, cioè di ciò che è ancora più profondo della propria interiorità personale; e si immerge nel silenzio per prestare attenzione ad un verbo che si presume non abbia nulla a che fare con le parole del linguaggio articolato. Un’altra ragione connessa è che Dio, questo ideale regolatore della maggior parte delle correnti della vita contemplativa, così come della morale kantiana, non è, forse, altro che ciò che si mostra alla coscienza ordinaria come vertigine di assenza. L’uomo, affermano i fondatori del giudaismo hassidico, unendo tra loro le due ragioni menzionate, deve diventare vuoto come un corno d’ariete scavato servendo da richiamo annunciatore (un shofar in ebraico), se vuole permettere “alla voce divina di risuonare in lui”. Deve “annullare il suo io, svuotarsi di sè stesso” per realizzare infine che egli “dimora nel seno stesso del nulla” della vita divina. L’autore anonimo del testo mistico medievale in lingua inglese, The Cloud of Unknowing, non dice altro quando indica che la pratica dell’orazione ha come unico scopo di stendere “una nube di oblio tra voi e tutta la creazione”, e di prepararvi, attraverso ciò, a contemplare questo “nulla” nel suo “non luogo”, che il senso interiore riconosce come “tutto”. Un’ultima ragione, infine, esplicita la precedente pur correggendola del suo residuo di ingenuità. Invece di affermare che Dio non possiede l’essere ma, al contrario, tutto ciò che è si ritrova ad essere riempito da lui, e anziché dichiarare che Egli non è “niente di ciò che è”, si ha l’improvvisa intuizione che continuare a evocare “Dio” perfino in questa negazione (contrapponendolo a qualcosa che non è, e brandendolo, volenti o nolenti, come un’entità a parte), equivale paradossalmente a restare prigionieri della matrice intellettiva che ce “lo” rende inaccessibile. Per poter superare quest’ultimo ostacolo inatteso, bisogna avere il coraggio di sostituire “essere niente” con “niente”; niente di definito che possa fungere da predicato a qualcosa tramite la copula “è”; un niente forse analogo a quello dell’esperienza pura, che condiziona la manifestazione pur senza essere qualcosa di manifesto. Perciò, per comprendere questa verità ultima che non si rivela se non perdendo la sua ultima ed eminente denominazione, fa notare Meister Eckhart, bisogna farsi simili ad essa, lasciarla distendere su di sé fino a cancellare i confini tra la conoscenza, l’apparizione, e l’essere del vero. Il genere di verità qui evocato è prossimo all’estasi del sentire, di cui solo gli artisti sono capaci di esprimere l’intensità; è simile a quello “stupore” del contatto sensibile in cui il soggetto stesso della sensazione si perde in essa, dove “muore” annegato nel suo oceanico splendore, e dove non rinasce che contrapponendosi (temporaneamente) ad essa. Solo che la verità eckhartiana necessita di una generalizzazione dello stupore nella quale ogni modalità di coscienza possa acquisire l’intensità e l’autenticità del sentire dopo aver demolito i filtri interpretativi che rischierebbero di distanziarcene. Tutte le interpretazioni devono essere vagliate, approfondite e infine dissipate come un velo di nebbia, per rendere possibile questo rapimento ineffabile del vero. “Prima che esistessero delle creature”, scrive Eckhart (ovvero prima di qualunque possibilità per loro di interpretare e categorizzare), “Dio non era Dio, Egli era ciò che era”. Il non-interpretato, l’acategoriale per eccellenza, non si lascia catturare da una categoria particolare, e soprattutto non da una categoria teologica che esorterebbe a escludere qualcosa o qualcuno. Egli è ciò che è; Egli è tale; dove “tale” dissolve fino a l’“Egli” introduttivo. Qui possiamo vedere meglio come interpretare i paradossi dell’autore del Cloud of Unknowing: non essere questo o quello non vuol dire ridursi al nulla (annullarsi), ma semplicemente, quasi con innocenza, essere tale; essere, cioè, pienezza di determinazioni senza alcuna limitazione da parte di qualsivoglia determinazione particolare e infine essere pregno di tutto. Di conseguenza, per scivolare in lui, per farmi simile alla sua anelata verità senza pretendere di afferrarla (poiché significherebbe perderla), “io prego Dio di liberarmi da Dio”. Io lo prego (ma chi è “lui”, chi è “io”?) di liberarmi dalle pastoie mentali che mi spingono a pregare “lui” piuttosto che un altro, di impedirmi di dare alla mia ricerca forma di preghiera, o altra forma o nessuna forma; in altre parole, io lo prego di evitare che io “lo” determini in atto. Se mi avvalgo del veicolo dello stato di credenza, qui rappresentato dall’atteggiamento di preghiera, è solo per trasportarmi lontano dalle sue strettoie, presso la sorgente generativa, che non si cura dei limiti e del vocabolo stesso che tenta invano di definirla. ...Al termine di un tale lavoro di disgregazione, per non dire di sbriciolamento, dell’apparire, risulta evidente che qualsiasi entità con vocazione alla generalità, o con una pretenzione pur debole di permanenza, non può che essere considerata come una disposizione convenzionale di fugaci fenomeni. né gli universali concettuali, né la sostanza imperitura, né soprattutto la persistenza dell’“ego”, possono essere considerati se non come mere attribuzioni fittizie aventi finalità pratiche e funzione di pseudo-collante per una realtà che appare frammentaria e intermittente. Anche se la profondità di questa decostruzione della stoffa del mondo può risultare perturbante per chi la comprenda, e senza dubbio più ancora per chi ne fa esperienza diretta, è lei ad essere considerata come la miglior garanzia della finalità soteriologica del buddismo, in quanto dissipa l’illusione della costanza di sé e delle cose, e “placa” in tal modo il vano impulso a catturarli in maniera durevole. --- Estratto di “Cambiare stato di coscienza” pubblicato da Mimesis edizioni di Michel Bitbol (Direttore di ricerca emerito presso il CNRS e Archives Husserl a Parigi. Laureato in medicina, con un dottorato in fisica e una “Habilitation” in filosofia, ha curato i testi di Erwin Schrödinger ricevendo nel 1997 il premio dall’Académie des sciences morales et politiques, per il suo lavoro sulla filosofia della meccanica quantistica. In seguito ha approfondito lo studio delle relazioni tra fisica e filosofia della mente) https://www.indiscreto.org/come-si-fa-a-cambiare-stato-di-coscienza/
Messaggi raccomandati