OTREBLA Inviato 2 Giugno 2024 Autore Inviato 2 Giugno 2024 Blue Mitchell – Bring It Home To Me – Blue Note (1967) – AAA Blue Note Tone Poet (2022) Recensione alla veloce, per chi non ha voglia di leggere: quando scegli brani belli, che acchiappano subito, metà del lavoro è fatto. Ed all’altra metà…ci pensa Richard! . . S’ode a destra uno squillo di tromba... Chi sarà mai? Ah be’, se squilla, è Richard Mitchell, non può che essere lui. Nella mia testa Blue Mitchell sta a Miles Davis come Kenny Dorham sta a Chet Baker (con le dovute specificità, s’intende). Blue Mitchell, trombettista a dir poco trasversale, oltre che al Jazz si dedicò al Funk, al Blues, al Rhythm And Blues, al Soul, al Rock e probabilmente a qualcos’altro ancora. Per vari anni fece parte della formazione di Horace Silver. In Bring It Home divide la scena con un gruppo di musicisti che risalta nella sua assoluta compattezza. Si distinguono Billy Higgins, Junior Cook, sassofonista alla Sonny Rollins, ed il pianista Harold Mabern Jr. Bring It Home To Me si compone di standards e brani originali; è un disco molto ben riuscito, leggero, spensierato, spedito, anche un filino commerciale, però funziona. Ottima la ripresa sebbene mi sarebbe piaciuto un po’ di corpo in più ed una dose più massiccia di basse frequenze. Esistono registrazioni Blue Note anni ’60 veramente ben fatte, prive di distorsioni, teoricamente da 10, ma difettano a mio giudizio di un filino di corpo, e detta assenza segna il confine tra il vecchio modo di registrare, grasso e profondo, ed il nuovo, nervoso e più netto. Sulla destra, in fotografia, potete vedere un altro disco di Mitchell, dalla copertina piuttosto anonima e bruttina (tra l’altro mi sono sempre chiesto cosa diavolo rappresenti…una barra filettata?), che offre proprio quel tipo di ascolto cui alludo: peso, profondità, calore e pastosità. Out Of The Blue si può considerare un disco test, da quanto suona bene; il sassofono di Benny Golson si materializza nella vostra stanza d’ascolto. E’ lì, davanti a voi. Quella fotografata è una portentosa, incredibile, spettacolare ristampa AAA Alto Edition, risalente ad almeno venticinque anni fa. Se riuscite a trovarla ve la stra-consiglio. Un 33 giri che rende come un 45 ed un Riverside da 10 e lode. Blue Note, questi sono i dischi da ristampare, mica il soul natalizio! Sse’ va be’, che glielo dico a fare… Tornando a Bring It Home To me, ottimo Mitchell e bravissimo Billy Higgins; in realtà sono tutti allo stesso (alto) livello, compatti e lanciatissimi, tra il Funk del primo brano ed il Blues dell’ultimo. Con intermezzi di Rumba e Soul. Gingerbread Boy, che apre il lato B, scritta da Jimmy Heath, mi fa venire in mente Per la moto non si da di Enzo Jannacci (cantata anche da Cochi e Renato), nel motivo del pianoforte. Va be’, roba mia, non so nemmeno perché l’ho scritto. Il vinile RTI sciaborda tra un brano e l’altro sebbene durante l’ascolto lo sciabordio non dia fastidio. Chissà a quale fase della produzione è dovuto questo disturbo, che a me ricorda le onde del mare, e che ogni tanto riscontro anche su altre ristampe. Con la consueta voluttà mi rigiro tra le mani l’elegante copertina Stoughton. Pagato 24 Euro su DvdLand. Voto artistico: 9 Voto tecnico: 9 1/2
damiano Inviato 2 Giugno 2024 Inviato 2 Giugno 2024 5 ore fa, OTREBLA ha scritto: Harold Mabern Jr. Grande pianista, sottovalutato e passato alle cronache come "ottimo turnista". Sequenze armoniche particolari e molto belle, ottima tecnica ed assoli per nulla banali anche se sempre molto razionali. Ciao D.
analogico_09 Inviato 2 Giugno 2024 Inviato 2 Giugno 2024 Il 19/5/2024 at 10:54, OTREBLA ha scritto: Quando un disco non mi convince, adotto un mio metodo per dargli la classica seconda possibilità: lo ascolto in continuazione, fino a che non mi piace.... Quindi si fa una sorta di "cura ludovico" fino a quando per forza poi non ti piace più? Se si mi sembra un buon sistema per risolvere in modo negativo ciò che di primo acchitto non ci convince e a cui mi pare non si voglia invero dare altra chance... Il 19/5/2024 at 10:54, OTREBLA ha scritto: L’unico problema è che di solito questo sistema produce l’effetto contrario, cioè di confermarmi nella mia iniziale impressione. Non so quante volte abbia ascoltato Duke Ellington & John Coltrane della Impulse!, in particolare lo splendido Angelica. Ebbene, ogni volta giungo immancabilmente alla medesima conclusione: l’improvvisazione di Coltrane è insopportabile e rovina il brano. Va da se, pleonastico precisare, che la auto-cura ludovico produca il risultato voluto, autocercato... L'improvvisazione di Coltrane è assolutamente in sintonia col carattere del brano, perfettamente in sintonia con l'"umore" un poì distaccato, freddino e leggermente "ironico" che lo stesso Ellington gli conferisce nell'introdurlo al piano e nel riprenderlo alla fine. Quindi si dovrebbe buttare via tutto, non solo Coltrane... Il 19/5/2024 at 10:54, OTREBLA ha scritto: Forse un giudizio artistico un po’ severo, ma molto dipende dal fatto che lo Stanley Turrentine che personalmente preferisco è un altro. Il fatto di preferire altro in un commento che si propone come critico nel dare anche i voti, dovrebbe essere più oggettivo e libero dai pregiudizi o dai gusti personali che si possono certamente nutrire e condividere ma quando si scambiano le due chiacchiere tra forumer non quando ci si mette nei panni del critico musicale. Io penso che le avversioni immotivate, più volte manifestate nei confronti di Coltrane, del modale, del free, e altro jazz limitrofo, quindi di una considerevole, fondamentale, inalienabile porzione di storia del jazz, senza la quale crollerebbe l'intera casa del jazz, a me sembra prevenzione che non ci rende credibil sia come appassionati sia come critici di jazz. E' la mia modesta opinione, va da se'. 2
OTREBLA Inviato 2 Giugno 2024 Autore Inviato 2 Giugno 2024 1 ora fa, damiano ha scritto: Grande pianista, sottovalutato e passato alle cronache come "ottimo turnista". Sequenze armoniche particolari e molto belle, ottima tecnica ed assoli per nulla banali anche se sempre molto razionali. Una volta tra i cosiddetti turnisti c'era gente tipo George Duvivier o appunto Harold Mabern Jr. ...vedi un po' tu...al giorno d'oggi uno come Mabern riempirebbe i teatri... Alberto.
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 16 Giugno 2024 Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 16 Giugno 2024 Questa Domenica si parla di pianisti. Si comincia con: Sonny Clark Trio – Blue Note (1958) – Blue Note Tone Poet (2023) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: quadrato e piazzato come pochi, uno di quei Tone Poet che appartengono ad un’altra categoria. Se non lo avete ancora comperato...eh...mi spiace...ormai è tardi...l'ultimo l'ho preso io. . . Ascoltando Sonny Clark ho sempre l’impressione di avere a che fare col vice di Bud Powell; il suo avatar. L’uomo che quando Powell fosse impegnato, veniva chiamato a sostituirlo. Nel novero della serie Tone Poet, con le ristampe che si susseguono a ritmo serrato, può accadere di perdersi qualcosa di valido per strada. Sonny Clark Trio, registrato nel 1957, dall’ottimo suono complessivo, con un bel basso profondo e grasso, il pianoforte in primo piano e la batteria un po’ arretrata, non si presta ad alcuna critica. Soltanto la presenza di Philly Joe Jones e Paul Chambers dovrebbe farvi capire dove si va a parare. Assistiamo all’esecuzione di un Be-Bop, tra Dizzy Gillespie e vari altri standard, di peso e sostanza, autorevole e dal piglio sicuro. Cosa devo dire di un lavoro che non presenta difetti? Io francamente non ne trovo. Mica posso inventarmeli. Il trio Jazz può essere isoscele (come in Erroll Garner) in cui vi è una punta prominente, oppure equilatero, in cui gli apici si trovano alla stessa altezza. Sonny Clark Trio è esattamente così, stanno tutti alla medesima altezza, compatti, piazzati e imbullonati ad un Be-Bop poco Hard. Sonny Clark non è Bud Powell ma nel solco del medesimo si dimostra un eccellente pianista Jazz, con qualcosa di suo ed una certa atonalità monkiana. Viene da chiedersi dove sarebbe arrivato questo bravo pianista se non fosse scomparso a soli 32 anni, minato dall’eroina. Sonny Clark Trio è talmente ben condotto ed eseguito che genera una perfetta sfera dimensionale, in cui prende forma il microclima ideale per rappresentare il tipo di Jazz tra Bop e Hard-Bop. Per cui se qualcuno mi chiedesse un disco esemplificativo di ciò che è lo stile di transizione tra Bop e Hard-Bop, sarei tentato di nominare il Tone Poet in oggetto. Registrazione di tutto rispetto, morbida, pianoforte un po’ piccolo e chiuso, basso profondo, ottimo bilanciamento, buona trasparenza; per essere del ‘57 promossa. Vinile RTI un po’ rumoroso. Vorrei capire per quale motivo i vinile RTI della serie OJC di Craft sono quasi tutti perfetti e per quelli della serie Tone Poet va un po’ a cu…Evidentemente è una questione di selezione e controllo qualità. Voto artistico: 10. Voto tecnico: 9 E passiamo ad un altro pianista ma...cambiamo thread, perché si parla di Craft... 3
OTREBLA Inviato 30 Giugno 2024 Autore Inviato 30 Giugno 2024 Questa calda domenica vede gareggiare due sassofoni ed una tromba. Si parte con i sassofoni. Cannonball Adderley – Quintet In Chicago – Verve (1964) – AAA Acoustic Sounds (2023) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: c’era un altro Coltrane in giro! . . Strepitoso gioiello targato Verve; vede contrapposti il tenore di John Coltrane ed il contralto di un tale Adderley. Julian Adderley detto “Cannonball” per la sua stazza, ricevette una solida educazione musicale tanto che già diciannove anni insegnava musica in una scuola statale in Florida. Giunto a New York, non ancora trentenne, dovette sopportare il peso di un soprannome piuttosto impegnativo: “Il nuovo Bird”. Si unì a Miles Davis (che gli affidò anche la responsabilità manageriale del gruppo) e successivamente si mise in proprio, raccogliendo unanimi consensi. Lo accompagnano Wynton Kelly al pianoforte, che al suo solito fa esibizione a sé (lo si può sentire canticchiare durante le improvvisazioni…questo pianista meraviglioso), Paul Chambers al contrabbasso e Jimmy Cobb alla batteria. In Quintet In Chicago c’è il Coltrane che piace a me, blues e dal tono morbido, interamente scevro dalle a volte stucchevoli pedanterie che ne caratterizzeranno lo stile successivo; ma la rivelazione è Adderley medesimo, che pur suonando il sax contralto quasi si confonde e di fonde, per bravura e voce, allo stesso Coltrane. In alcuni momenti sono indistinguibili! Adderley tuttavia non è un sassofonista moderno (a differenza di Coltrane) fa solo finta . Adderley è a mio parere molto più legato di Coltrane allo stile classico del sassofono e deriva più di lui dai vari Hawkins, Parker, Young, ecc. Quintet In Chicago è un disco semplicemente stupendo ove tra ballad e brani Bop più mossi, si giunge all’ultimo solco senza nemmeno accorgersene. Eccezionale la registrazione risalente al 1960, sui toni dell’oro, calibrata con la bilancia da orafo e dalla consistenza argillosa. Il vinile QRP è afono come un sarcofago egizio ancora sepolto nella coltre dei secoli. Voto artistico: 10 parecchio abbondante. Voto tecnico: 10 1
OTREBLA Inviato 30 Giugno 2024 Autore Inviato 30 Giugno 2024 E veniamo al trombettista. Dizzy Reece – Star Bright - Blue Note (1959) – AAA Classic Records (199…boh?)...introvabile...ma c'è il Blue Note Classic, recentemente pubblicato. . . Ho atteso un bel po’ prima di decidermi a recensire questo disco, in vendita a prezzo ribassato per molti mesi su Amazon.it, nella ristampa Blue Note Classic. In riferimento al quale vi è una sola recensione, nemmeno positiva. Scandalizzato dal silenzio generale ho deciso di spendermi in favore di un Blue Note stellare. Magari do prima un'occhiata a quello che dice la guida di riferimento, cosa dite? Macchissenefrega di quello che dice la guida...direi che per Star Bright posso cavarmela anche senza. Dizzy Reece (vero nome Alphonso Son) è nato il 5 Gennaio 1931 a Kingston, Giamaica, ed a soli 16 anni diventa musicista professionista. Soltanto due anni prima aveva iniziato lo studio della tromba. Un artista decisamente precoce. Il padre suonava il pianoforte nei cinema muti. All’età di tre anni Alphonso segue le orchestre marcianti durante le parate nella sua città ed a otto anni sparisce per andare ad ascoltare i trombettisti nel club vicino a casa. Terminati gli studi scolastici obbligatori decide di trasferirsi in Inghilterra, ove risiederà per dieci anni e troverà un ambiente fecondo per la musica moderna. Il ritorno a New York all’inizio degli anni ’60 non produce la spinta auspicata alla sua carriera. Per un decennio non registra nemmeno un disco da solista. Soltanto a partire dagli anni ’70 tornerà in studio di registrazione; questo lungo periodo di oscurità fu dovuto, secondo lo stesso Reece, a ragioni di discriminazione razziale. Star Bright è il secondo disco registrato per la Blue Note ed è…semplicemente uno splendore. Reece è anche eccellente compositore e quattro dei brani in scaletta sono farina del suo sacco. Tra questi è da citare i The Rake, incluso nella colonna sonora del thriller Nowhere To Go (1958), musicato interamente da Reece. E’ accompagnato da un Hank Mobley lanciatissimo, alla Sonny Rollins, Paul Chambers al basso, un Art Taylor che fa da stella cometa per il gruppo e…lui…come se non bastasse…mister “Secisonoiopotetestaretranquilli”: Wynton Kelly. Risultato: Be-Bop da urlo. Un disco oltre il 10. Dizzy Reece è trombettista classico, dalla voce bella cromatica, alla Bix Beiderbercke per intenderci, non potentissima ma ferma e profonda. Il compositore Reece è bravo quanto il trombettista. Gli arrangiamenti sono perfettamente soppesati e limati al micron; tra Paul Chambers, Art Taylor, Hank Mobley e mister “Nonc’ènessunproblemavoimiditequellochedevofareeiolofaccio” Wynton Kelly, il disco inizia e finisce che manco te ne accorgi. Quella che vedete in fotografia è la ristampa Mono della Classic Records, risalente ad una mezza vita fa. Il suono è da doppio 45 giri, perlomeno lo meriterebbe: trasparentissimo, bilanciato come sempre si dovrebbe fare , con un ottimo pianoforte (evviva!), tromba e sax molto ben ripresi. Immagine profonda ed ottima dinamica. Non perdete la ristampa Blue Note Classic e fatemi sapere come suona. Voto artistico: ben oltre il 10. Voto tecnico: 10.
OTREBLA Inviato 30 Giugno 2024 Autore Inviato 30 Giugno 2024 Ah scusate, ultimamente dimentico i prezzi. Sonny Clark Trio l'ho pagato 31 Euro spedito su Amazon.fr. Cannonball Adderley Quintet In Chicago l'ho pagato 35 Euro su IBS, mentre Star Bright della Classic Records...mi viene da piangere...non so se ce la faccio...'nsomma, io mi segno tutti i prezzi dei dischi quindi so esattamente quanto lo pagai... niente non ce la faccio, mi sale la depressione. Con la Stoughton laminata che pesa mezzo chilo solo lei Pensate ad una cifra, bassa, e dividetela per due. Che tempi ragazzi, che tempi... Alberto.
OTREBLA Inviato 2 Luglio 2024 Autore Inviato 2 Luglio 2024 By the way, lo strepitoso gioiello di Cannonball Adderley non è targato Verve ma Mercury. Povera Mercury, le chiedo scusa. Non soltanto registravano alla grande la musica Classica, questi della Mercury, ma se la cavavano pure col Jazz. Credo che l'errore attributivo sia dovuto al fatto che il suono di Quintet In Chicago somiglia moltissimo al suono Verve: avvolgente, pieno, corposo, cinematografico. Esiste anche una versione Speakers Corner di vari anni fa, che sono quasi certo renda altrettanto bene. Se a qualcuno interessa su Amazon.fr Star Bright di Dizzy Reece sta a 21 Euro + spedizione. Purtroppo il prezzo su Amazon.it è salito a 28,55 Euro. Alberto.
analogico_09 Inviato 4 Luglio 2024 Inviato 4 Luglio 2024 Il 30/6/2024 at 11:29, OTREBLA ha scritto: C’era un altro Coltrane in giro! .... In Quintet In Chicago c’è il Coltrane che piace a me, blues e dal tono morbido, interamente scevro dalle a volte stucchevoli pedanterie che ne caratterizzeranno lo stile successivo Mi piacerebbe se possibile sapere di quale/i stile/i successivo/i, di quali anni, di quali registrazioni in studio e live che mostrerebbe/ro le stucchevoli pedanterie coltraniane si parla senza motivare la sentenza. Che gli stili di Cannonball e di Coltrane siano diversi però è assolutamente vero, ed è giusto sottolinearlo, si fa opera di bene: non tutti hanno consapevolezza di ciò, nello stesso modo in cui sono pochissime le persone al mondo a sapere che l'acqua calda scotta meno di quella bollente... Non è però affatto vero che Cannonball non sia un musicista "moderno". Il fatto che sia più legato di Coltrane allo stile sassofonistico "classico", non significa che il genio musicale di Cannonball non sia capace di rendere modernissimo il proprio "classicismo" che seguita a vivere anche in Coltrane, in Miles Davis, praticamente in tutti i musicisti coevi, in modi e misura diversi, tutti pronti a farsi protagonisti del rinnovamento del jazz che seguita a restare strettamente legato alle radici del "classico" e della "tradizione" ancora più remota.., e così fino al free jazz ed oltre. La storia del jazz è una sola, ne andrebbero comprese e apprezzate e amate, "rispettate" da autentici appassionati, tutte le varie "stagioni" che sono in continuità l'una con l'altra con buona pace dei tentativi di separazione manichei. Di Coltrane c'è ne fu e seguita ad esserce solo uno. Idem di Mingus, di Rollins, di Davis, etc, etc. 2
giorgiovinyl Inviato 4 Luglio 2024 Inviato 4 Luglio 2024 18 ore fa, analogico_09 ha scritto: Mi piacerebbe se possibile sapere di quale/i stile/i successivo/i, di quali anni, di quali registrazioni in studio e live che mostrerebbe/ro le stucchevoli pedanterie coltraniane si parla senza motivare la sentenza. Purtroppo in era social la volpe che ritiene acerba l'uva che non riesce a raggiungere non finisce nella favola di Esopo ma sui forum di recensioni 18 ore fa, analogico_09 ha scritto: La storia del jazz è una sola, ne andrebbero comprese e apprezzate e amate, "rispettate" da autentici appassionati, tutte le varie "stagioni" che sono in continuità l'una con l'altra con buona pace dei tentativi di separazione manichei. Di Coltrane c'è ne fu e seguita ad esserce solo uno. Idem di Mingus, di Rollins, di Davis, etc, etc. Questo da te espresso è un concetto chiaro e semplice dovrebbe essere lapalissiano. C'è una incapacità assoluta di rapportarsi al jazz e al suo legame con la cultura degli afroamericani e al trovare strade che vadano oltre la tonalità occidentale
analogico_09 Inviato 5 Luglio 2024 Inviato 5 Luglio 2024 10 ore fa, giorgiovinyl ha scritto: C'è una incapacità assoluta di rapportarsi al jazz e al suo legame con la cultura degli afroamericani e al trovare strade che vadano oltre la tonalità occidentale Parlo in generale, non di rado capita di imbattersi in quella sorta di prevenzione "negazionistica" a fronte di una realta' antropologica, socio-culturale ed estetica molto complessa come quella del jazz, ricca di espressioni mutevoli, di forme diverse facenti tuttavia parte di un unico, meraviglioso quadro identitario, legate insieme da un tenace fil-rouge che attraversa l'intera storia musicale e spirituale del "popolo del blues". Ci sta che alcune "tappe" della storia del jazz universalmente ritenute fondamentali possano non piacere, non essere comprese, ma perchè disprezzare immotivatamente?
OTREBLA Inviato 16 Luglio 2024 Autore Inviato 16 Luglio 2024 Eccoci qua, scusate il ritardo. Le mie recensioni richiedono sempre più tempo. Quella che segue ad esempio ha implicato vari ascolti ed un paio di mesi di stagionatura. Si parla di: Dexter Gordon – One Flight Up – Blue Note (1964) – AAA Blue Note Tone Poet (2023) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: il mio tormentato rapporto con Dexter Gordon….sassofonista che proprio non riesco ad apprezzare fino in fondo; buono ma non eccelle. . . Nella mia personale classifica dei sassofonisti Jazz Dexter Gordon è l’ultimo della fila. In fondo e dietro a tutti. Per una strana combinazione di eventi, nel corso degli anni mi sono ritrovato in collezione molti dei suoi lavori su vinile. E’ il sassofonista di cui ho più dischi. Sin da quando iniziai ad ascoltarlo, tanti anni fa, mi diede l’impressione di una certa rigidezza e freddezza di stile. Un sassofonista dall’aplomb inglese, per così dire. Austero e compassato. L’approccio a One Flight Up è stato il mio solito: “Lo apprezzerò ma non mi farà impazzire”, sperando sotto sotto di essere smentito. E invece no, neppure questa volta. Prendiamo ad esempio il primo brano, Tanya, della durata di ben 18 minuti, composizione di Donald Byrd. Io dico, dopo diciotto minuti, durante i quali vi è forse qualche ripetizione di troppo, caro Dexter, ti sarà venuto in mente un modo per chiudere ‘sta cosa? Manco per niente, il brano sfuma. Dopo diciotto minuti con lo stesso motivo conduttore (tenuto in evidenza da Kenny Drew), sfuma. Il pezzo è piacevole e non ho niente da dire, ma è chiaro che io non gli darò mai dieci. La mia impressione è che si arrivi fino ad un certo punto e più in là non si vada. O forse è colpa mia, che non riesco a stabilire una sintonia col sassofonista di GO!. La ballad del Lato B l’ho trovata un po’ ingessata; l’ultimo dei tre brani è una composizione di Kenny Drew, che assieme a quella di Donald Byrd sembra sia stata scritta per un progetto da collettivo musicale, essendovi un filo che unisce i due pezzi. Arte Taylor giganteggia, anche perché la sua batteria è stata ripresa in modo tale da risultare in primissimo piano. Donald Byrd si distingue con un timbro chiaro, ampio, pulitissimo, alla Miles Davis. Niels-Henning Ørsted Pedersen è al suo solito un riferimento del contrabbasso jazz, e Kenny Drew difende il fortino dal suo pianoforte. La registrazione è da paura, ancora una volta il maestro Rudy Van Gelder mostra al mondo le sue qualità di tecnico del suono, e la sua capacità di fare…di fare le cose…Van Gelder…dico…momento…cos’è che c’è scritto qua…E CHI DIAVOLO E’ JACQUES LUBIN? Come sarebbe che il disco è stato registrato in Francia, il 2 Giugno 1964, da questo tale Lubin, agli studi della CBS di Parigi? Ah sì? Lubin? Arsenio? Come che sia… AMMAPPAPETELO CHE SUONARE! Voi mi siete testimoni che io ho sempre tessuto le lodi di Jacques Rubin…Drubin…o come cavolo si chiama. Che sono anni che ne parlo in questo Forum. Ecco, detto ciò, One Flight Up è la dimostrazione che all’epoca d’oro della registrazione stereofonica, soltanto che lo si volesse, chiunque possedesse le giuste competenze, con un po’ di dedizione ed attenzione, avrebbe potuto confezionare una registrazione stellare, anche senza chiamarsi Rudy Van Gelder. Così come fece Jacques Lubin…Arsenio, consegnandoci una batteria che pare quasi sovra-incisa, tanto si staglia con realismo sul diffusore di destra, una trasparenza da nastro a due tracce, dinamica a profusione e sax…con leggero riverbero ma molto nitido. Torno a ripetere, un bel disco senz’altro, Hard-Bop (con gli echi funk di Tanya) ricercato, forse anche troppo, ma il 10 non me lo strappa. Stupenda la Stoughton doppia, con un'iconica fotografia di Gordon seduto al bar. Pagato 38 Euro su IBS. Voto artistico: 8 1/2 Voto tecnico: 10 E’ che quando io mi metto in testa una cosa, poi è difficile che torni sui miei passi. Sono così, mi faccio un’idea e non la cambio facilmente. Alberto.
OTREBLA Inviato 16 Luglio 2024 Autore Inviato 16 Luglio 2024 DIFATTI! Dexter Gordon - Body & Soul – Black Lion (1964) – ADA Org Music (2017) Dice, ci credo che sei pieno di dischi di Dexter Gordon, se continui a comperarli! Era in offerta...su Amazon.fr…a 20 Euro (spedito)...l’ho dovuto prendere per forza... Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: voi mi siete testimoni (oculari) che io ho sempre parlato bene di Dexter Gordon, che lo apprezzo, e che nella mia personale classifica questo grande sassofonista si colloca perlomeno tra i primi…INSOMMA MI SIETE TESTIMONI! . . Ma come Alberto, ti piace più ‘sto cacchio di digitalone (dal vivo…pure…) del tripla A Tone Poet? MA NO! Vi sembra? Figuriamoci… Ehm…ad essere del tutto sinceri…sss…sss…ì…mi piace più il digitalone…. La verità è che tra standard, Kenny Drew che pare Duke Jordan, gli assoli di Niels-Henning Ørsted Pedersen (di nuovo)…ed il Gordon che va come un treno…’sto digitalone è una gemma. Bene ha fatto Mr. Org Music a riproporlo, sebbene in versione digitale, non essendo più disponibile il nastro master. Parliamo quindi della registrazione…ANZI NO!, ho cambiato idea, della registrazione è inutile parlare poiché il trasferimento è da file Hi-Res; bello sistemato da Bernie Grundman e trasferito da Daniel Krieger allo SST di Francoforte, Germania (per venire a sapere 'sta cosa ho dovuto scrivere a Mr. Org Music in persona). Quindi parlarne è inutile; col trasferimento digitale Hi-Res siamo capaci tutti, so anch’io che suona (‘na favola). Pare quasi un tripla A (sigh…me vie’ da piagne…). Trasparenza ottima (eh, però è digitale…), un’immagine altrettanto valida (l’abbiamo detto che è digitale?), che quasi si direbbe ripresa da studio (è digitaleeee!), anche perché gli applausi sono pressoché inudibili (è…voi sapete cosa). Non vale! Questo vuol dire barare! Voto tecnico: non pervenuto (potrebbe comunque aggirarsi sul 9. Il 10 ad un riversamento digitale non lo do manco sul patibolo, con la cravatta già annodata). Circa l’artistico…non l’istituto, il voto dico… Bop classicissimo…Kenny Drew che solo lui vale la spesa… Maledettiiiii perché non lo avete ristampato in Full Analogue! Che il cielo vi strafulmini! Una copia tanto dovevate fare, una per me e basta. Comunque il voto artistico non è importante e poi chi sono io per giudicare? Se proprio fossi costretto a dare un voto, sotto minaccia di sequestro dell’impianto Hi-Fi, darei un 9 1/2. Siccome questa recensione in futuro potrebbe essere usata contro di me dai digitalisti, la lascio anonima… L’Anonimo…veneziano (Bergamo una volta faceva parte della Serenissima).
OTREBLA Inviato 28 Luglio 2024 Autore Inviato 28 Luglio 2024 Continuo le recensioni dei dischi Blue Note Classic che non ho acquistato, poiché già possiedo la versione Classic Records risalente a ics decenni fa; un altro lavoro abbastanza ignorato dagli appassionati e che su Amazon, esattamente come Star Bright di Dizzy Reece, ha una sola recensione negativa, causa problemi legati alla stampa vinilica. Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: Clifford Jordan chi? Clifford Jordan – Cliff Craft – Blue Note (1957) – AAA Classic Records (199…vai a sapere…). Difficilmente reperibile, ma per vostra fortuna c’è la ristampa Blue Note Classic del 2024. . . Ad un certo punto della mia vita il nome di Clifford Jordan mi si è stampato permanentemente nella zucca per il fatto di essere l’autore di uno dei miei preferiti brani Jazz, una ballad dal titolo Vienna, che vi invito volentieri ad ascoltare: . . Bella no? Fino all’età di quattordici anni Clifford Jordan non aveva mai pensato di studiare musica, fu la madre ad insistere ed a, praticamente, costringerlo. Scelse il sassofono perché nel suo quartiere andava molto di moda. Lester Young costituì la sua principale fonte di ispirazione. La prima collaborazione fu con il compagno di classe Johnny Griffin, seguirono poi la partecipazione ai gruppi di Max Roach (in sostituzione di Sonny Rollins), Horace Silver e Sonny Stitt; successivamente fece parte del sestetto di Charles Mingus, a fianco di Erich Dolphy. Registrò tre lavori per la Blue Note e Cliff Craft [L’Arte di Cliff] è l’ultimo dei tre. L'album imbocca due strade abbastanza distinte: Il lato A include tre composizioni originali firmate dal sassofonista, e lo stile è già Hard-Bop pieno, la voce di Jordan chiara e di derivazione coltraniana, sebbene più morbida. Lo sviluppo dei pezzi è moderno. Sul lato B abbiamo invece brani di Charlie Parker, Ellington, e della coppia Gillespie/Parker. La voce del sassofono tenore diventa più scura, ancora più morbida e si riconosce l’influenza di Lester Young. Lo stile fa qualche passo indietro, verso un Bop più tradizionale. Accompagnano Jordan l’ottimo Art Farmer, la cui tromba è ripresa benissimo ed il cui ruolo è di primo piano, Bud Pow...ehm no scusate...Sonny Clark, decisamente powelliano nello stile, la star della batteria Louis Hayes (il batterista superiore alla media lo senti subito. E’ un’altra spinta, un’altra fantasia), ed il contrabbassista George Tucker. Il Blue Note 81582 si pone a metà tra il nuovo Hard-Bop, ricercato, dissonante, elaborato, ed il precedente Be-Bop più avanzato, come a proporsi quale corridoio di passaggio tra i due stili. Cliff Craft è stato registrato nel 1957 e noi ci crediamo anche se, per come suona, si potrebbe legittimamente dubitarne. Bilanciato è bilanciato benissimo, trasparenza a livelli alti, coinvolgente l’immagine stereofonica, basso ben articolato, ottoni e batteria in bella evidenza, Il tutto ammantato da un generale tepore, tipico delle registrazioni anni ‘50, che è un godimento per le orecchie. Siamo sicuri che è del 1957 e non di trent’anni più tardi? Pagato con l'argent de poche, quando i vinile audiophile (certi perlomeno) li regalavano. Voto artistico 9 ½ Voto tecnico 10 Siccome fa un gran caldo e come dice il proverbio “Col gran caldone c’è la doppia recensione” ci vediamo sul thread Edizioni su vinile Craft Recordings.
OTREBLA Inviato 29 Settembre 2024 Autore Inviato 29 Settembre 2024 Jerry Mulligan – Night Lights - Philips (1963) – AAA Acoustic Sounds (2024) Recensione alla veloce per chi non ha voglia di leggere: affascinante ed eversivo. . . Non avevo nemmeno iniziato ad ascoltare Night Lights che già mi ero pentito dell’acquisto. Cos’è sta roba? mi son detto. Non possiedo molti dischi del newyorkese Jeru, alias Gerry Mulligan (grave mancanza da parte mia), e quando si è profilata l’occasione di acquistare Night Lights a 33 Euro su IBS non ci ho pensato un attimo. Se non che…l’easy listening de’ ‘sto ciuffolo anche no…che è ‘sta lagna? Ah Alberto, te lo devo dire, hai toppato! Chissà se c’è modo di restituirlo…potrei accampare come motivo che nel mio condominio non abbiamo l’ascensore, pertanto della musica da ascensore non sappiamo che farcene. Deciso a liberarmene in qualunque modo, continuo l’ascolto del Philips 600-108. Al secondo brano tuttavia mi viene un sospetto…che al terzo brano diventa una certezza ed al quarto un’illuminazione: è tutto pianificato. Do un’occhiata alle note di copertina e scopro ciò che mi frullava in testa: gli arrangiamenti di Night Lights sono opera dello stesso Mulligan. Vado avanti con l’ascolto e scopro un altro disco rispetto a quel che pensavo; comincio finalmente a capire. Lo riascolto ancora e ancora nei giorni seguenti. Jerry Mulligan non fece mistero della sua estraneità ai modi liberi del Jazz. Lo disse chiaramente al giornalista Ralph Gleason nel 1962, anno della registrazione di Night Flights: “Il bello del Jazz è il fatto di essere così ordinato, disciplinato ed organizzato. Deve esserlo, per conservare la sua attrattiva. E’ all’interno di quest’ordine che il musicista trova la sua massima libertà. Mentre l’assenza di qualunque regola significa solo caos ed il caos non è mai ordinato. Non sei veramente libero se non hai una regola da cui partire”. Mulligan doveva essere molto attaccato alle regole, se addirittura se ne inventò una assai personale ed inedita; nonché non proprio comodissima, quella cioè di escludere il pianoforte (che egli stesso suonava e nemmeno tanto male) dai gruppi Jazz. Mulligan considerava il pianoforte una comoda “stampella” ed in effetti aveva ragione. Nessuno strumento come il pianoforte aiuta la riuscita dei gruppi Jazz. Decidere di eliminarlo per principio, significa complicarsi inutilmente la vita. Si spiega quindi una presa di posizione tanto anacronistica e provocatoria, classicista fino all’eversione, come quella che scaturisce dall’ascolto di Night Flights. Mulligan poteva sembrare un po’ rigido ma non era uno stupido e neppure un musicista tecnicamente impreparato. Decide quindi che se Cool Jazz deve essere, che lo sia in maniera assoluta e spettacolare. Arrangia con cura certosina, attenta al più infinitesimale dettaglio, e compone un’opera di una purezza e compiutezza con pochi eguali. Classica, perché è classica, ma inattaccabile per ricchezza e felicità di invenzione, ricerche armoniche e timbriche. Grazie al supporto di un pool di bravi musicisti, Art Farmer alla tromba, Bob Brookmeyer al trombone, Jim Hall alla chitarra, Bill Crow al basso e Dave Bailey alla batteria, l’album vive di vita propria e si pone come un riferimento nell’ambito di un certo Jazz di atmosfera, chiamiamolo così. Tra parentesi il batterista Dave Bailey è il titolare di un disco semi-sconosciuto, One Foot In The Gutter (Epic Records 1960) un piccolo capolavoro del Jazz tradizionale, a suo tempo ristampato da Classic Records (e di ciò sia essa benedetta in eterno). . . Speriamo che qualcuno si decida prima o poi a riproporre questo gioiello agli audiofili. Tornando a Night Lights, assolutamente da segnalare è il Preludio in Mi Minore di Chopin ri-arrangiato splendidamente e sontuosamente in forma di Bossa. Mulligan in apertura di disco è seduto al pianoforte (il brano che da il titolo al disco è suo e ricorda Vince Guaraldi), dopodiché imbraccia il sassofono baritono, che declina in modo clarinettistico evocando il Duke Ellington sound. La registrazione, accordandosi alla musica, risulta morbida e notturna. Pianoforte ben ripreso, ottoni in primissimo piano, batteria più sullo sfondo, basso un po’ lungo ma potente. Ottime la dinamica e la trasparenza. Nel complesso una registrazione in stile Verve, polposa e materica, però...è della Philips. Però l'etichetta sul vinile è della Verve. Un misto insomma. Voto artistico: 10 Voto tecnico: 9 ½ 1 1
one4seven Inviato 29 Settembre 2024 Inviato 29 Settembre 2024 9 ore fa, OTREBLA ha scritto: One Foot In The Gutter (Epic Records 1960) Che va insieme ai "fratelli" Gettin' Into Somethin' (Epic Records 1960) e 2 Feet In The Gutter (Epic Records 1961)
OTREBLA Inviato 30 Settembre 2024 Autore Inviato 30 Settembre 2024 Ah, buono a sapersi. Molto interessante... Alberto.
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