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Melius Club

Lo Stato Del Vinile [Parte Seconda...]


Messaggi raccomandati

Inviato

 

Horace Silver – Silver’s Serenade – Blue Note (1963) – AAA Blue Note Tone Poet (2024)
Recensione alla veloce per chi passate le feste di Natale mangia il pandoro benefico: la Silver Collection va pian pianino completandosi, un rubino dopo l’altro.
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Bisognerebbe evitare di chiedere all’oste se il vino è buono, così come bisognerebbe evitare di chiedere a me se un disco di Horace Silver è bello e vale la pena. Quando si tratta di certi nomi il sottoscritto tende a mancare di oggettività. Ogni volta che Blue Note annuncia un nuovo titolo tripla A, tratto dal catalogo del pianista di origini capoverdiane, faccio grande festa.
Horace Silver come Thelonious Monk, Duke Jordan, Charles Mingus…artisti che si ascoltano soprattutto per le loro composizioni. Monk è la sua musica, Mingus è la sua musica, Jordan è strettamente legato alle sue composizioni, e così Horace Silver.
A me è sempre piaciuto lo stile compositivo di Horace Silver, quindi quando apro una ristampa tripla A dei suoi dischi parto già bendisposto.
Infatti l’ascolto di Silver’s Serenade mi ha soddisfatto a pieno, avendo io ritrovato il caro Horace in piena forma.
Il pianista-compositore si misura con l’Hard-Bop dei primi anni ’60, evitando gli accenti latini e su un impianto spesso orchestrale, affidato ai fiati di Blue Mitchell (tromba) e Junior Cook (sax tenore); ci propone cinque brani molto legati al sound anni ’60, moderno e televisivo, nel senso che spesso si fece ricorso a questo tipo di musica nei film e nei telefilm, soprattutto polizieschi, di quel periodo.
Allora, siccome a me i dischi di Horace Silver sembrano sempre belli dirò, giusto per non passare per un recensore di apparecchi Hi-Fi, con tutto il rispetto, che colloco Silver’s Serenade, nella mia classifica personale dei suoi lavori, sotto 6 Pieces Of Silver, Song For My Father e Blowin' The Blues. E anche The Tokyo Blues.
Mi è piaciuto ma i titoli citati secondo me sono un filino migliori.
Poi alla fine gli do comunque 10 di voto artistico, non vorrei vi faceste illusioni. Il voto artistico è in ogni caso 10 o giù di lì, trattandosi di Horace Silver, però almeno ho dato l’impressione di un minimo di rovello critico. Alla peggio, cosa vi devo dire, mi metterò a recensire gli apparecchi Hi-Fi. Se quello è il mio destino, pazienza. Tra l’altro sul mio impiantino scrauso suona tutto più o meno bene e di conseguenza parto col piede giusto. Alberto, ci sarebbe questo filo elettrico che ho tirato giù dall’abat-jour de mi’ nonna…che mi scriveresti ‘na recensione? Pronti, son qua apposta (pagando...). Suona benissimo! Già solo a guardarlo. Anzi, è pure vintage. Attaccaci un trasferello col nome altisonante, e spara…che so…duemila Euro. Ti squaderno io una bella recensione positiva da leccarsi i bassi (questa è forte eh…ma quanto sono bravo nell’arte del calembour!). Fidatevi, l’impiantino scrauso non tradisce mai, sono gli impiantoni stra-lusso che fottono il recensor-cortese.
Tornando al capoverdiano, buona la registrazione; c’è sempre ‘sto pianoforte Blue Note un po’ inscatolato, che per me che adoro il pianoforte è una sofferenza. Il contrabbasso anche è un po’ lunghetto e troppo avanti, ma comunque siamo ai piani alti della ripresa Hi-Fi.
Pagato 37 Euro su IBS con lo sconto “Tripode” che viene concesso soltanto a chi ha tre piedi.
Ho mandato una fotografia di mia Zia Filomena che effettivamente non ha tre piedi ma è grande e grossa e fa veramente paura; e da lontano sembra un tripode (del Triassico).
Voto artistico: 9,9586
Voto tecnico: 9 ½
Alberto.

 

  • Melius 1
Inviato
4 ore fa, OTREBLA ha scritto:

Pagato 37 Euro su IBS con lo sconto “Tripode” che viene concesso soltanto a chi ha tre piedi.
Ho mandato una fotografia di mia Zia Filomena che effettivamente non ha tre piedi ma è grande e grossa e fa veramente paura; e da lontano sembra un tripode (del Triassico).

Sempre ottime recensioni in stile classico direi , ma non ti facevo così vecchio da tre piedi .

Inviato

Effettivamente con l'avanzare dell'età mi accorgo di questo fenomeno...che divento sempre più vecchio.

Fortunatamente sono un audiophilo (philo), che per sua stessa natura nasce anziano o comunque invecchia precocemente (le testine, le valvole, il vinile, il due telai...), quindi sento meno il passare del tempo rispetto ai comuni mortali (col compattone-baracca tutto lucine e bassi pompati).

Alberto.

 

 

Inviato
7 ore fa, OTREBLA ha scritto:

questo fenomeno...che divento sempre più vecchio

Non ti preoccupare succede anche agli altri , è una brutta malattia . 

  • 2 settimane dopo...
Inviato

 

In questa domenica piovosa e gelida, che tuttavia prelude vagamente alla Primavera (molto vagamente)  col mio teino tattico che non aspetta altro di essere sorseggiato, inauguro una serie di recensioni che chiamerò: “Chad Kassem E’ Un Bel Drittone”, dedicata alle produzioni meno rinomate di Analogue Productions.
George Wallington – Jazz For The Carriage Trade – Prestige Records (1956) – AAA Analogue Productions (2022)
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Recensione alla veloce perché la sintesi innanzitutto: chi diavolo è Teddy Kotick?
Negli ultimi tempi ho accumulato un po’ ristampe Analogue Productions non di prima fila, titoli meno noti, che come al solito si trovano più facilmente dei titoli maggiormente richiesti.
Da dove vogliamo iniziare, dal lato tecnico o da quello artistico? Ditemi voi, tanto il discorso non è che cambi gran che.
Signùr quanto amo Phil Woods! Ogni volta che trovo un suo disco tripla A lo compero. Alto sassofonista di morbidezza, fantasioso ed autenticamente Bop, con una voce piena che sembra stia suonando il sassofono tenore, non il contralto. Ma cominciamo dal titolo: “Jazz Per Gente Di Un Certo Livello”, che è tutto un programma.
A proposito, Teddy Kotick è un bassista, storicamente a fianco di Phil Woods, collaborò anche con Horace Silver, Charlie Parker e Bill Evans. Morì prematuramente nel 1986, a soli 57 anni.
Si aggiungono Donald Byrd alla tromba ed Art Taylor alla batteria.
George Wallington dal suo pianoforte cura i fantastici arrangiamenti ed interviene con dolcezza e tono perentoriamente…controllato.
Ora, cosa gli sia venuto in mente a Chad Kassem di ristampare questa roba lo sa il diavolo.
Che esistesse Jazz For The Carriage Trade io nemmeno lo sapevo, anzi nessuno lo sapeva tranne Chad Kassem.
Non si capisce che vantaggio possa trarre il signor Analogue Productions dal ristampare lavori per nulla famosi come il Prestige 7032. Be’, evidentemente il ragazzo conosce la discografia Jazz meglio di quanto non la conosca io, o si fa consigliare da qualcuno parecchio edotto, perché Jazz For The Carriage Trade è una cometa annunciante il verbo audiophile.
Due quintali di pepita d’argento con scritto Jazz sopra.
Fa bene Kassem a fregarsene bellamente del fatto che taluni titoli non siano così noti, nemmeno presso gli appassionati; fa benissimo a ristamparli ugualmente. Se sono tutti così, non includerli nel catalogo Analogue Productions sarebbe un crimine.
Hard-Bop swingato oltre il livello di guardia, arricchito dalla coppia Byrd-Woods, che fa da contrappunto al pianista e si prende quasi interamente la scena. Veramente un disco da podio.
Persino la ballad, che di solito mi convince meno, in questo caso mi ha totalmente conquistato. Grande lavoro da parte del palermitano George Wallington (al secolo Giacinto Figlia, la cui famiglia emigrò negli USA l’anno successivo la nascita del musicista), responsabile dell’accuratissima orchestrazione. Un maestro del Be-Bop questo siculo, il cui stile pianistico, mai urlato, è soltanto un tassello nel progetto complessivo della sua architettura musicale. Wallington è un direttore d’orchestra nato, nel senso più ampio e completo del termine. Si percepisce chiaramente che mentre suona sta anche dirigendo il quintetto, lo sta plasmando secondo un suo spartito mentale. Il quintetto è il suo spartito e la sua orchestra.
Wallington riesce nel difficile intento di tenere un piede in almeno tre scarpe, quella dello swing, quella del Hard-Bop già pieno e quella dell’originalità.
Inoltre, rendendosi conto di avere alle spalle due che sono oggettivamente sparati a mille, lascia loro briglia sciolta, così Donald Byrd trilla alla velocità della luce come un usignolo sotto steroidi e Phil Woods pennella materico col suo sax.
Registrazione assurda (Van Gelder, sempre lui...) è del 1956 e suona come se fosse dell’altro ieri.
Dettagliatissima, pulitissima, definita in maniera...vogliamo dirlo?...quasi digitale. Ecco, l’ho detto.
ED E’ PURE MONO, L’ANIMA DE’ LI’ M...!
Copertina Stoughton singola, laminata. Vinile QRP: il famoso iceberg che nemmeno i sonar sentono arrivare.
Pagato 43 Euro su IBS con lo sconto “Gente di un certo livello” che viene concesso soltanto a chi dimostra di frequentare il jet-set. Io, che sono cresciuto nelle osterie e la persona più importante che conosco è un tizio che una volta si è tuffato completamente nudo nell’Adda, e si era di Gennaio, mi sono scattato un selfie davanti al cancello dell’aeroporto di Orio Al Serio, vestito di tutto punto, con la ventiquattrore incatenata al polso, il finto Rolex e la pipa in bocca. Mi hanno inviato un buono sconto di soli 2 Euro...dico, ma come? soltanto due Euro? Giro il buono e vedo che dietro c’è scritto a penna: “Le scarpe barbùn!!!!!”.
Voto artistico: 10 +
Voto tecnico: 10
Alberto.

 

  • 2 settimane dopo...
Inviato

 

Questa Domenica in Settembre, non sarebbe pesata così…ah no scusate è Febbraio. Mi è partito il Guccini che è in me…
Questa ultima Domenica di Febbraio inizio un trio di recensioni che chiamerò “Buona la terza”.
Bobbi Humphrey – Fancy Dancer – Blue Note (1975) – AAA Blue Note Classic (2024)
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Recensione alla veloce perché la velocità è quasi sempre un pregio, soprattutto ad una certa età; che poi ci viene il fiatone: un Jazz molto annacquato e lontano dalle mie corde.
Giudizio un po’ tranchant, lo ammetto, anche considerando che la texana Bobbi Humphrey è davvero brava.
E’ il genere che proprio non mi fa impazzire.
Trattasi di sette tracce, nelle quali su una base spiccatamente Pop-Dance anni ’70, con tanto di archi elettronici, coretti, Synth ed effetti vari, la brava flautista improvvisa per l’intera durata del pezzo.
Queste sette composizioni, parecchio simili l’una con l’altra, si connotano per una veste, elegantissima per carità, ma troppo Fancy (decorata), perlomeno per i miei gusti.
Fancy Dancer è quindi un brutto lavoro? No, affatto, grazie anche agli ottimi musicisti di supporto ed agli arrangiamenti, riccamente realizzati.
Inoltre il fantasioso fraseggiare della Humphrey nobilita questo genere musicale che, francamente, è pensato per un largo pubblico non specificamente amante del Jazz.
Avendo pagato Fancy Dancer una inezia (…pensa te quanti ne devono aver venduti), non mi lamento, ma il suo Jazz molto contaminato, nella parte contaminata mi lascia abbastanza indifferente.
Lei, ripeto, è una signora flautista, ed il suo incedere, instancabile e fluente, è pasta della più gustosa pagnotta. Però lo schema è sempre quello ed alla fine risulta un po’ troppo ripetuto ed appiattito sulle preferenze di un pubblico generalista.
Registrazione anni ’70 che più anni ’70 non si può. Tutto bello sparato avanti, scena sonora inesistente, effetto DiscoMix, palla roteante specchiata che improvvisamente compare sul soffitto della sala di ascolto. Peace And Love, dai che si balla.
Non è una brutta registrazione, il dettaglio c’è, il flauto emerge il giusto e pure gli altri strumenti solisti. E’ manipolata al 101 per cento, pompatina, con l’effetto stereo accresciuto, com’era d’uso all’epoca, ma suona bene.
Fancy Dancer è carino, commerciale e carino. Fosse dipeso da me lo avrei ristampato nella serie AAA Classic? Nel suo genere è un classico senz’altro, però no…non lo avrei ristampato.
Siete fortunati che non decido io!
Pagato ben 11 Euro su IBS con lo sconto “Figli Dei Fiori”, valido per chi fornisce prova di fumare soltanto…sigarette accresciute.
Ho pronte non so più da quanti mesi tutta una serie di recensioni di dischi che non mi hanno molto convinto. Ho del pudore a pubblicarle, magari sai, a qualcuno quei dischi sono sembrati sublimi, e poi si tratta sempre di ottimi se non eccellenti musicisti. Ogni tanto ne tiro fuori una, quasi per dovere più che per convinzione.
Voto artistico: 7 1/2
Voto tecnico: 9

 

  • 2 settimane dopo...
OTREBLA
Inviato

 

Seconda puntata della serie “Buona La Terza”, in questa Domenica di tempo primaverile, in cui gli augelletti fanno il controcanto al mio Hi-Fi ed il consueto tè domenicale ha quasi raggiunto in fondo della tazza. Adesso ci metto l’ultimo biscottino, lo lascio lì a rammollarsi e poi lo butto giù intero come un’ostrica.
Stanley Turrentine & Shirley Scott – Common Touch (Blue Note 1968) - AAA Blue Note Classic (2022).
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Recensione alla veloce per chi ha meno tempo da perdere di me (praticamente tutti): quasi buona la seconda!
Non si può certo dire che il sassofonista di Pittsburgh non sia stato adeguatamente rappresentato nelle serie Classic e Tone Poet di Blue Note. Ben sette i titoli ristampati, incluso quello in esame, che lo vede in compagnia della sua prima moglie Shirley Scott, organista di talento.
Disco abbastanza composito questo Common Touch, varia da un Soul-Funk un poco commerciale al Soul con accenti Rock, quasi Progr, ai classici Cool-Jazz e Be-Bop. Un lavoro che insomma mira ad accontentare tutti, e probabilmente ci riesce. Shirley Scott sostiene con energia gl’interventi del marito, garantendo costanza di note, ma in realtà tutti danno il massimo impegno per la riuscita del lavoro; incluso Leo Morris, il batterista, che obbiettivamente si da un gran daffare.
Common Touch, come ripeto, vuol essere un po’ tutto, un po’ Jazz, un po’ Funk, un po’ Rock, antico e moderno al tempo stesso; Bob Cranshaw suona il Fender Bass ed il chitarrista Jimmy Ponder ci da dentro come una rockstar.
Le premesse per un risultato pasticciato e confuso ci sarebbero tutte, è invece Common Touch riesce a destreggiarsi molto bene fra vari generi musicali, grazie all’innegabile valore di Stanley Turrentine, che improvvisa sempre in modo coerente ed in qualche misura fa da cemento per l'intero edificio.
Registrazione…del 1968; vi basti sapere ciò; manipolata senz’altro; leggermente pompatina e non potrebbe essere altrimenti; sax asciugato e riverberato più ripulitura e lucidatura a specchio (forse anche troppo).
Bella è bella eh, trasparente e bilanciata, a parte il basso un po’ rimbombante, ma non vanta quella naturalezza ed il tipico calore delle registrazioni Blue Note di 10 anni prima.
Però ci sta, è una registrazione adeguata al genere (o meglio, ai generi) ed ai tempi e fa un grande effetto quando la si ascolta. Se si alza il volume c’è di che divertirsi ed inimicarsi a morte il vicinato.
Vinile Optimal silenzioso.
Pagato 16 Euro (spedito) in offerta su Amazon.fr., con lo sconto "Occhio Che Questi Ci Rimangono Sul Groppone", che l'algoritmo autogenera se il cliente clicca dieci volte su uno qualsiasi dei vinile Analogue Productions (io ci avrò cliccato almeno mille volte). 
Voto artistico 9 +
Voto tecnico 9 ½

Alberto.

 

  • Melius 1
  • 3 settimane dopo...
Inviato

 

Domenica di passaggio all’ora legale, che è l’unica cosa legale rimasta in Italia, e terza ed ultima puntata della serie “Buona La Terza”, sempre per la collana Classic di Blue Note.
Per riprendermi dal cambio di ora piazzo sul giradischi un disco movimentato, così magari mi viene voglia di preparare la borsa per la piscina.
Intanto che valuto attentamente la questione, mi faccio un’altra tazza di tè, mando giù tre biscotti insieme, e calo la Lyra su:
Brother Jack McDuff – Moon Rappin’ – Blue Note (1970) – AAA Blue Note Classic (2022)
Recensione alla veloce per chi gli han garantito che più si va veloci e meno ci si mette: e stavolta è proprio…buona la terza!
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Jack McDuff dall’Illinois principiò la sua avventura professionale suonando il contrabbasso nel gruppo del sassofonista Willis Jackson, per poi passare all’organo Hammond alla fine degli anni ’50.
Registrò con Prestige, Atlantic e Blue Note.
Il punto forte di Moon Rappin’, ciò che mi ha conquistato…non c’è. Da qualunque angolazione lo si guardi, Moon Rappin’ è una somma di punti forti. Le composizioni di Jack McDuff trascinano con le loro coinvolgenti melodie; gli impasti strumentali, a lunghi tratti orchestrali, conquistano per la fantasia ed il ritmo ed i molti musicisti di contorno fanno un lavoro eccezionale (il batterista da spettacolo). Infine l’organista, compositore, arrangiatore ed orchestratore, Brother Jack McDuff, dallo stile immediato e ricco di invenzioni, mostra di saperci davvero fare.
Tutto mi aspettavo meno che questo disco mi piacesse così tanto. Quando l’ho acquistato, superscontato, ho pensato: “Ah be’ sì, il solito disco Soul-Funk, capirai quanti ce ne sono…lo ascolterò una volta e buonanotte…non ci faccio nemmeno la recensione, figurati se ci perdo tempo…”.
Sì, le balle Alberto...
Ce la fai sì la recensione.
In Moon Rappin’ si è tentato, riuscendovi a pieno, di coniugare il Be-Bop alla Dance Music, al Funk ed allo Swing orchestrale. Il risultato è che non si sta fermi un attimo, presi dal ritmo e dalla spinta dinamica di questa festa musicale.
La struttura dei brani è sempre la stessa, un leitmotiv di facile ascolto, che ritorna più volte, ed in mezzo variazioni di impasti strumentali, improvvisazioni non troppo attinenti ma nemmeno totalmente avulse, quasi a richiamare la suite.
Un lavoro di scrittura mica da poco e che ricorda Gill Evans e Charles Mingus, ma con un occhio meno elitario.
Rispetto al succitato Fancy Dancer, nel quale vi è qualche ripetizione di troppo, in Moon Rappin’, grazie alla certosina fase preparatoria (perché è chiaro che siamo di fronte ad un disco attentamente pianificato), non si ha l’impressione di ascoltare sempre lo stesso brano.
Registrazione molto elaborata e modificata in sede di missaggio, con l’immagine avanzata e dinamiche “rimpolpate” a bella posta, ma il risultato è oggettivamente di grande efficacia. Artificiosa ma con grande intelligenza e senso dell’armonia, a comporre un quadro sonoro artificiosamente naturale.
Moon Rappin’ andava inserito nella serie lusso Tone Poet, con quella sontuosa copertina Stoughton. Perlomeno questa volta la consueta mesta e scaccionissima copertina Blue Note Classic, in cartoncino da scatola dei medicinali, è doppia, venendo a risultare un po’ meno triste del solito.
Vinile Optimal silenzioso.
E pensare che l’ho pagato soltanto 11 Euro su IBS con lo sconto “Il Primo Che Si Addormenta Ha Perso” che viene riconosciuto soltanto a chi dimostra di possedere tutta la discografia di Grigorij Sokolov; ho millantato la stampa streaming 180 grammi 24 bit AAA SACD 45 giri; l’impiegato IBS mi fa: “Ah sì, ho presente, l’ha comperata da noi vero?” ed io: “Naturalmente, ne ho prese due copie per sicurezza, non sia mai che una mi si rovini...”, “Bravo, mi compiaccio, le mando subito un buono sconto…anzi due!” “Grazie!” “Prego!” “Viva Sokolov!” “Chi?” “Come chi? Sokolov...di lui si parla...” “Come dice lei, le mando gli sconti via mail”.
Voto artistico: assolutamente 10.
Voto tecnico: indiscutibilmente 10.

 

  • Thanks 1
Inviato

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Mazza che andare il McDuff...

  • 1 mese dopo...
Inviato

 

 

Questa nuova Domenica di Maggio…dolce partire, ah no, quello è Aprile…e comunque ‘ndo vado io col mio stipendio?…va be’ soprassediamo, che Giorgia dice che va tutto bene...La Domenica presente vede il consueto tè fumare nella tazza, ove ho lanciato, tipo canestro, una mezza macina (nel senso del biscotto), che si è incastrata negli elementi del termosifone; si rende quindi necessario introdurre la nuova puntata della serie “Chad Kassem E’ Un Gran Drittone”, per un disco di cui io, modestamente, non mi sarei mai sognato l’esistenza.
Ello-lui si intitola:

All Mornin’ Long – Red Garland (e quell’altro) – Prestige (1957) – AAA Analogue Productions (2022)
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Recensione alla veloce per coloro che pensano che meno OTREBLA scrive e meglio è: G.b.c.d.p.a.a.l. Siete contenti? Ho usato le abbreviazioni. Non si capisce niente, però è sintetico.
Altro titolo che boh…da dove sia saltato fuori lo sa solo Chad Kassem.
Com’è? Ad esempio rispetto alla recente ristampa Craft-OJC di Groovy, registrato lo stesso anno?
Be’, qua c’è lui. E lui, all’anagrafe Coltrane John William, fa la differenza; caspita se la fa.
Le registrazioni realizzate per l’etichetta Prestige rappresentano secondo me il suo periodo migliore. Il contrasto delle forze opposte, il naturalismo di Garland e l’astrattismo di Coltrane, ricorda quegli snack dolci e salati al tempo stesso, il cui equilibrio di sapori riesce particolarmente appetitoso.
In All Morning Long John Coltrane è in compagnia, oltre che del texano seduto al pianoforte, della tromba di Donald Byrd, del contrabbasso di George Joyner nonché della batteria di Art Taylor.
Il Lato A è curiosamente occupato da un solo brano, scritto dal texano, un blues non originalissimo, anzi per niente, ma piacevole e risolto molto bene con l’alternarsi dei vari interventi solistici.
Girando il disco si viene a rivelare il lato B.
Piccola parentesi per coloro che sono alle prime armi col giradischi; per ascoltare più musica, il segreto è girare il disco, giacché sul lato opposto al Lato A c’è un altro lato con altra musica, che dal punto di vista tecnico si chiama Lato B. Il neofita, imprimendo una repentina mossa rotatoria, tipo Bruce Lee ne I Tre Dell’Operazione Drago, può agevolmente apprezzare il lato B, come noi uomini di mondo, tutti (o quasi), in effetti apprezziamo sin dalla più tenera età.
Si esordisce con They Can’t Take That Away From Me, un celebre standard di George Gershwin, cui Coltrane infonde un senso di fascinosa nobiltà musicale. Segue Our Delight di Ted Dameron, pianista Jazz, il quale ha composto un numero considerevole di standard bop e swing, difatti noterete che nei dischi pubblicati durante gli anni ’50 e ’60 spessissimo compaiono sue composizioni.
La tromba di Donald Byrd squilla come il telefono di mia zia Rossana negli anni ’70, che ti faceva ribaltare sul divano ogni volta e pareva fossero arrivati i pompieri, mentre il sassofonista più tardi modale e più tardi ancora mistico, mi fa quasi dimenticare l’opinione non del tutto scevra da talune riserve che di solito ho di lui.
E' magico.
Non ho parlato del texano titolare, il quale esibisce uno stile di arpeggi veloci, inframezzati ad accordi orchestrali, la cui bravura viene messa un poco in ombra dal mistico, tant’è che quasi mi verrebbe da considerare questo All Mornin’ Long un disco di John piuttosto che di Red. Anche se così non è. Particolarmente in palla il sempre bravo batterista Art Taylor.
Ed abbiamo finito perché i brani sono soltanto tre.
Registrasiòn monofonique…del ’57…Rudy Van Gelder in cabina di regia…secondo voi come suona?
Bravi, ci siamo capiti.
All’anima del Mono…ma come c… è possibile che queste registrazioni Mono suonino meglio delle Stereo? A parte che poi, di tanto in tanto, parte l’effetto stereo fantasma e pare di sentire una divisione canale destro e sinistro che in realtà non c’è.
Qualcuno mi spieghi ‘sta cosa dell’effetto stereo fantasma.
Pulizia, bilanciamento, presenza…tutto a posto…basso…un pochino secco, magari solo un pochino…giusto a trovarle un difetto.
Vinile QRP afono come la punta dell’Everest. Bella la copertina Stoughton con laminatura a spessore. Superlusso!
Pagato 43 cavolo di eurozzi su IBS, con lo sconto “Seee, domani che ti facciamo lo sconto Alberto!” che viene riconosciuto a chi si aspetta di acquistare gli Analogue Productions scontanti, ed è pari allo 0,00000003% più una pernacchia.
Voto artistico: 10
Voto tecnico: 10
Voto al prezzo: 2

 

 

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  • 2 settimane dopo...
  • 5 settimane dopo...
Inviato

Ripropongo il mio ultimo intervento, 25 Maggio 2025, eliminato per problemi tecnici.

Queste mi sa che saranno le ultime recensioni perché come sapete Trump mette i dazi e noi non potremo comperare più nulla di ‘sta roba amaraccana. Dovremo tornare all’autarchia, con le produzioni Fonit Cetra, su vinile ultraleggero, che lo potevi riporre nella copertina piegato in quattro che non succedeva niente. In attesa dei dazi, splastichiamo l'Acoustic Sounds a seguire, stando attenti a non versargli il tè domenicale sopra…
Stan Getz And Bill Evans – Unreleased Recordings - Verve (1974 – R. 1964) – AAA Acoustic Sounds (2024)
Recensione alla veloce per chi apprezza le analisi a volo d’uccello, se mi passate l’alata metafora: Stan Getz + Bill Evans, come a dire il mare + l’Estate.
Mi sa che questa è veramente una recensione superflua.
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Ho sempre amato alla follia Stan Getz, che considero uno dei più grandi tenor-sassofonisti della storia del Jazz, e l’unico erede diretto degli Hawkins, Webster e Young.
E’ il mio tenor-sassofonista preferito…a seconda dei giorni, poiché non riesco mai a decidermi tra lui, Sonny Rollins e Coleman Hawkins.
Unreleased Recordings lo dovete tuttavia comperare per un altro motivo, ovvero ciò che si ascolta terminato l’ultimo brano del Lato B. Un dietro le quinte brevissimo, in cui Bill Evans improvvisa nello stile Stride sul famoso motivo popolare russo Oci Ciornie.
Quei pochi secondi di musica valgono solo loro la spesa, credetemi.
Uno pensa Bill Evans…serio, concentrato, cupo, travagliato, e poi scopri che faceva lo Stride col colbacco in testa.
Tornando ai lirici, il dolcissimo e poetico sassofonista ed il suo alter ego al pianoforte…che dire…incantano (fanno la loro  parte anche Ron Carter al basso, molto ben rimpiazzato in alcuni brani da Richard Davis, ed Elvin Jones ai tamburi)
Pensavo che i due grandi jazzisti venissero a risultare, lirico + lirico, anche troppo, ma li avevo sottovalutati, tutto risultano tranne che melensi o stucchevoli; anzi, se c’è da prendere la tangente, e dare un taglio più astratto, si va di tangente senza la minima esitazione, da parte di entrambi.
Tra Hard-Bop, ballad ed un bellissimo valzer, impossibile scollarsi dalla poltrona fino all’ultimo solco.
Jazz a livelli elevati.
Ci si può sforzare in ogni modo di descrivere una bella donna, ma alla fine bisogna vederla di persona per farsene un’idea precisa.
Chissà per quale cavolo di motivo Verve ha accantonato questo disco prima di decidersi a pubblicarlo, dieci anni dopo la registrazione, nel 1974.
Boh…vai a capire il mondo.
Registrazione buona ma nel 1964 si poteva fare di meglio. Pianoforte cupo, immagine poco larga, stanno un po’ tutti ammassati…
E’ comunque un’ottima registrazione, non siamo ai massimi livelli ma si difende.
Pagato 33 Euro su IBS con lo sconto “Bellachioma” che viene concesso soltanto a chi esibisce una capigliatura folta e lucente, che ricade morbida sulle spalle scoperte. Ho mandato una mia fotografia con la parrucca, sulla provinciale, nelle ore antelucane. Successivamente ho ricevuto tre buoni sconto, due dischi gratis ed un mazzo di fiori.
Voto artistico: 10.
Voto tecnico: 9 +

 

  • Thanks 1
  • 2 settimane dopo...
Inviato

 

Io la Domenica non ho mai voglia di fare niente, mentre durante la settimana non è una questione di voglia, bensì di deliberata strategia.
Per voi però faccio un’eccezione e…mi preparo il tè. Che è una fatica da non sottovalutare, soprattutto con questo caldo e tenendo conto dell'età che avanza, la quale corrisponde più o meno agli anni di:

 

Sonny Stitt – Blows The Blues – Verve (1960 – R. 1959) – AAA Acoustic Sounds (2024)
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Recensione alla veloce per chi ha tutto il diritto di sapere le cose subito, perché io pago e pretendo: dico ma almeno un pandoro benefico scaduto potreste inviarmelo! Taccagni!
Adesso scrivo a Chiara e me lo faccio mandare da lei (tanto chissà quanti gliene sono avanzati).
Mentre aspetto intingo nel tè domenicale un succedaneo, di quelli molto andanti, che si vendono a pacchi di tre agli svincoli autostradali. Sa di pandoro, ma molto alla lontana, e comunque non è benefico per niente (anche perché alle porte di Luglio è abbastanza scaduto).
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Seconda recensione alla veloce leggermente più seria della prima: la vera Hi-Fi, sontuosa ed accattivante, da saletta al Milano Hi-Fidelity.
Ah che bello, il Verve piacione. Ragazzi, il Verve piacione è sempre una garanzia. Uno non sa cosa mettere sul piatto, massìii…vado di Verve piacione.
Il Verve piacione è come la pizza, dubbi su cosa mangiare questa sera? Ordiniamo la pizza e tutti sono felici.
Molti i brani di Sonny Stitt inclusi in Blows The Blues, melodie semplici ed orecchiabili. Lui è bravo eh…con tutto che per anni s’è sorbito le accuse di “Copia di Charlie Parker”. In questo caso però si tiene a giusta distanza dal suo modello, tranne che in alcuni brevi sprazzi nei quali parte alla velocità della luce e il Bird che è in lui emerge con prepotenza. Ma sono lampi.
Stitt è protagonista assoluto, mentre Lou Levy (pianoforte), Lerory Vinegar (contrabbasso) e Mel Lewis (batteria) si limitano ad andare in scia.
Lo stile di questo bravo sassofonista è cantabile al massimo grado, morbido, autorevolissimo, di quella autorevolezza alla Charlie Park…oddìo…ci sono ricascato!
Be’ insomma, è bravo, tanto. Uno Swing-Bop come da titolo, cioè Blues, dall’incedere più che altro moderato, sostenuto dalla solita registrazione Verve che porca miseria se suona. Ammappatelo che suonare!
C’è da sorprendersi se a suo tempo Analogue Productions ne abbia licenziata una versione doppio 45 giri? Direi di no, se non fai il doppio 45 giri con ‘sta roba, con cosa lo devi fare?
Per la nuova ristampa Acoustic Sounds Chad Kassem (che come sappiamo è un bel drittone) ha utilizzato le vecchie lacche realizzate per Classic Records, alla fine degli anni ’90, da Bernie Grundman. Quindi è una nuova vecchia ristampa.
E infatti il disco suona da Dio, sax olografico, trasparenza da urlo, immagine hollywoodiana, come in molti Verve coevi, se non che questo è Mono…pazzesco! Vai a capire chi è il tecnico del suono, ma se tanto mi da tanto sarà il solito Val Valentin.
Che dire, Jazz abbastanza classico risolto alla grandissima da un sassofonista su vasta scala, che sapeva il fatto suo e che poteva contare su una tecnica fermissima, da primo della classe.
Blows The Blues è la tipica ristampa per audiofili: suona benissimo, si ascolta che è un piacere, problemi zero. Portatelo alle fiere Hi-Fi e ci farete un figurone.
Disco consigliato senza riserve ma…c’è un ma…il 10 non me lo strappa.
Porca misera, ma come?
Ebbene sì. Qualcuno potrebbe non essere d’accordo ed io potrei trovarmi d’accordo col suo disaccordo.
Personalmente ho trovato Blows The Blues troppo piacione. 
Certamente, siamo nel 1959, tuttavia, anche considerando l'epoca, c'ha quel quid di pettinatura in più che non non mi sconfinfera del tutto.

Se devo scegliere preferisco i miei altri due Lp di Stitt, ovvero Stitt Plays Bird e The Top Brass, entrambi Atlantic/Speakers Corner.

Pagato 36 Euro su Feltrinelli con lo sconto “Uomo Invisibile” che viene concesso soltanto a chi ha inventato la tuta che rende invisibili. Ho mandato una fotografia in cui si vede la mia cucina completamente vuota ed un cartello piazzato sulle piastrelle con scritto: “Io sono qua”; ci sono cascati!

Voto artistico: 9
Voto tecnico: 10 come minimo.
Alberto.

 

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Inviato

 

Insomma li mette o non li mette Trump i dazi? E prima li mette, poi rimanda, il 10% no facciamo il 30, però dal primo Agosto...e ora del primo Agosto fa tempo a cambiare idea altre settanta volte...eccheppalle ‘sto uomo!
Va be’, affidiamoci alle poche certezze che ci sono rimaste, ed una di queste è che indubitabilmente “Chad Kassem E’ Un Bel Drittone”. Il tè domenicale vede sul piatto un disco di livello superiore, uno di quei dischi che sì, meritano il massimo dei voti come tanti suoi colleghi, tuttavia si staccano dal gruppo degli ottimi e fanno categoria a sé.
Booker Ervin – Exultation! – Prestige (1963) – AAA Analogue Productions (2021)
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Recensione alla veloce per coloro che tanto non lo comperano perché costa troppo sia coi contro-dazi che senza. Questo è proprio il tipico prodotto con i contro-dazi!
Il nome di Booker Ervin è legato a quello di Charles Mingus, difatti lo ritroviamo in famosi lavori del contrabbassista come Ah Um, Blues & Roots, Mingus Dynasty,  Oh Yeah e Mingus Mingus Mingus Mingus Mingus.
Ad inizio carriera veniva considerato, per capacità tecnica ed originalità, al pari di John Coltrane. In effetti il suo stile ricorda un poco quello di Coltrane ma è comunque diverso, più blues, ironico e swing.
In Exultation! si sente l’influsso di Charles Mingus, ovvero di quella tendenza a prevedere tutto, a lavorare molto di partitura orchestrale, improvvisando ma con giudizio.
Lo accompagnano il bravo alto-sassofonista Frank Strozier, timbro morbido, in alcuni passaggi ricorda Eric Dolphy, il maestro del contrabbasso Butch Warren, Walter Perkins alla batteria e il fantastico pianista Horace Parlan, anche lui del giro di Mingus.
Lo stile complessivo di Exultation! richiama le dissonanze monkiane, eleganti, mai stridenti, moderne ma senza rompere…l’atmosfera; un gioco di fughe in avanti e retromarce improvvise, la cui visione musicale non si concentra unicamente su ciò che andava di moda in quel momento ma tenta di tenere tutto assieme, swing e nuovi linguaggi. Compito arduo e molto bravo chi all’epoca riuscì nella difficile impresa.
Il gruppo è compattissimo e di grande valore, convincenti i brani originali, ben sei su otto, composizioni dallo stesso Ervin.
Just In Time e No Land’s Man aprono con una versione breve, un preludio, al quale segue una seconda traccia più lunga. Si ha l’impressione che il brano sia finito lì ed invece inizia di nuovo, e non si tratta di una take alternativa ma appunto del secondo tempo. Trovata inedita e simpatica.
Registrazione di Rudy Van Gelder, negli standard, cioè molto buona, direi da 10 meno, il meno ce lo metto perché come al solito il pianoforte è un po’ inscatolato. Il resto però si staglia di fronte all’audiofilo pignolo, ottimamente ripreso. Vinile QRP silenziosissimo. Copertina Stoughton laminata.

Un Jazz più elaborato del solito, che per le sue caratteristiche, come dicevo, non è per niente semplice da portare in porto senza che risulti pesante, frammentario od irrisolto. Quando tutto funziona alla perfezione si è di fronte ad un'opera artistica speciale.
Pagato 43 Euro su IBS con lo sconto “Auanagana” del più trenta per cento, nel senso che se lo comperi ti aumentano il prezzo del trenta per cento, però tu devi dire che è uno sconto.
Non ho capito bene come funziona...
Voto artistico: 10
Voto tecnico: 10.

Alberto.

 

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Inviato

Uno di quei dischi che sì, meritano il massimo dei voti come tanti suoi colleghi...
Meritano...come tanti suoi...

Eh sì che l'ho riletta...va be'...al limite mi candiderò per un posto al Governo...con questo po' po' di italiano dovrei avere le carte in regola...

By the way, quell'affare sul piatto del giradischi, nel caso ve lo domandaste, è il pezzo di un motore di un monoplano, la parte a contatto con l'elica.

Alberto.

Inviato
2 minuti fa, OTREBLA ha scritto:

è il pezzo di un motore di un monoplano,

Già, qui si vola alti...

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