Morenik Inviato 13 Luglio Inviato 13 Luglio Che poi, di questo e dei suoi colleghi che l'hanno preceduto e di quelli che lo seguiranno, mica io ce l'ho ciò il livello per capire che questi pezzi di plastica sono capitali spesi bene ma è la recensione che li fa valere tutti.
Questo è un messaggio popolare. OTREBLA Inviato 14 Settembre Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 14 Settembre Raffresca Settembre nel dolce declinare dell’Estate, mentre non ci pensa neppure a declinare il teino domenicale, di quello stra-economico del furgoncino abusivo parcheggiato fuori il discount, che vende il tè fatto con gli scarti di segheria (una bustina dura sei mesi). Coll’aroma di pino truciolare in bocca, passo al disco della settima, ascoltato per mesi prima di decidermi a mettere il punto sulla di lui recensione. Volevo proprio dargli 10 di voto artistico, visti i precedenti con il medesimo artista e la notorietà del titolo; non c’è stato niente da fare, alla fine ho dovuto arrendermi e fermarmi un poco prima. Comunque sono contento di levarmelo finalmente dai piedi. Tina Brooks – True Blue - Blue Note (1960) – AAA Blue Note Classic (2024) . . Recensione alla veloce per chi ha bisogno di certezze in un mondo sempre più modale: il disco di Tina Brooks che mi è piaciuto meno, però mi è piaciuto. Non che sia un brutto disco eh, ma preferisco di gran lunga gli altri tre lavori di Tina Brooks che possiedo, ovvero The Waiting Game, Minor Move e lo splendido Back To The Tracks che tra l’altro è dello stesso anno, 1960, ed è una (sontuosa) ristampa Classic Records. Parto con la solita menata di quant’erano ganze le ristampe Classic Records? No, per stavolta no. Parliamo invece della registrazione di True Blue: un po’ fredda. Anzi no, è l’esecuzione che è un po’ fredda. C’è del freddo diffuso insomma. Avrei preferito più di corpo sul sax tenore che ho trovato un po’ secco, ed in generale avrei gradito maggior calore. Sembra una registrazione ripulita con tecniche digitali, ma sappiamo che così non è. Comunque nel complesso suona alla grande, i miei sono soltanto rilievi da gusto personale. Cominciamo col dire che cinque brani originali, composizioni di Brooks, non mi hanno convinto del tutto, per via del loro basarsi su motivi piuttosto semplici, ripetuti due volte, in mezzo ai quali si sviluppa una improvvisazione di quell’Hard-Bop che prelude allo stile Modale. Non è ancora Modale ma del Modale contiene il germe di una certa algida e tesa ripetitività. Gli ultimi due pezzi tornano in maniera decisa sullo stile Bop più classico ed è netto lo stacco rispetto a ciò che si è ascoltato fino a quel momento. Duke Jordan, pianista eminentemente Be-Bop, recupera tutto il calore e la genuinità del suo modo pianistico proprio negli ultimi due brani, mentre pare meno a suo agio nei brani precedenti. Molto più incasellato il trombettista Freddie Hubbard, con la sua tipica voce tagliente ed acida, inconfondibilmente Modale, un marchio di fabbrica. Ripeto perché sia chiaro, il disco non è Modale per nulla, è Hard-Bop puro con accenti Funk in True Blue e latini in Nothing Ever Changes My Love for You. Ma della modalità anticipa quantomeno l’atmosfera, tranne che negli ultimi due pezzi. Nota di merito per il batterista Art Taylor che già dal primo brano fa capire che intende prendersi la scena, e se la prende. Sui solchi finali di Nothing Ever Changes My Love for You, con il quale si conclude il lato B, mentre la tromba ripropone il tema, ho sentito alcune distorsioni o gracchiamenti. Penso dipenda dal vinile e non dalla registrazione. Eventualmente chi possiede la versione Music Matters potrebbe verificare e farmi sapere. Comunque io credo sia colpa del vinile Optimal, che peraltro è molto silenzioso. In conclusione True Blue un bel disco ma non mi fa svenire dall’emozione. Pagato 25 Euro su IBS con lo sconto “Vecchia Bari”, che viene concesso soltanto a chi parla il barese stretto. Ho mandato un file audio in cui leggo la versione in bergamasco moderno dell’Inferno di Dante e purtroppo non me lo hanno passato, commentando: “Avevamo detto il barese, non l’arabo! E poi è vietato il linguaggio scurrile!”. Eh…prendetevela con Dante… Voto artistico 9 1/2 Voto tecnico 9 1/2 Alberto. 2 1
OTREBLA Inviato 28 Settembre Autore Inviato 28 Settembre In questa Domenica festiva… Perché? ci sono anche le domeniche non festive? Bah…penso diiii…..va be’, ricomincio. In questa festività domenicale, col té fumante che aspetta sul tavolino ed una tonnellata di biscotti fragranti e profumati giacenti nel bustone ancora sigillato, dopo parecchi trascorsi torno a parlare del mio amato avatar, la bella stonata, come fu a suo tempo definita da gente che ne capisce, poiché ai piani alti si è pensato bene di stampare su vinile, per la prima volta: Diana Krall – Only Trust Your Heart – GRP Records (1995 – R. 1994) – Verve (2024) . . Ma guarda quant’era bionda la nostra stonatona! Recensione alla veloce per chi pur essendo stonato non ha venduto quindici milioni di dischi (e questa è un’ingiustizia): non vi azzardate a fare confronti! Devo innanzitutto preliminare…dal verbo to preliminare…insomma devo premettere che questa ristampa è stata masterizzata da Bernie Grundman from the original master tapes…a quel che si dice…certo che però non sembra proprio…a quel che si ascolta. Non è che suoni male, ma un confronto veloce con All Of You del 1996 (ristampa AAA ORG - 2009) che era meglio che non facessi, perché siamo proprio su un altro pianeta, e Love Scenes del 1997, (ristampa non si sa cosa Verve, pubblicata nel 2016) fa venire qualche dubbio, suonando questi ultimi enormemente meglio, con più spessore, dinamica, timbrica, insomma con più tutto. Non che Only Trust Your Heart suoni male, però a me pare compresso, in generale. E’ pur vero che il maestro Douglas Sax all’epoca si fosse occupato solo del mastering e non della registrazione, alla quale attese Al Schmitt. Questa ristampa, o meglio stampa, visto che è la prima volta che il titolo viene pubblicato su vinile, manca di corpo e il pianoforte sembra digitale. Suona bene, ma il confronto con Love Scenes, probabile riversamento digitale, mi fa preferire quest’ultimo. Sembra più tripla A lui di Only Trust Your Heart. In effetti ho sempre dubitato del fatto che la ristampa di Love Scenes fosse un riversamento digitale; su Discogs non vi è alcuna menzione circa il trasferimento, essendo soltanto specificato che fu rimasterizzato da Bernie Grundman, esattamente come il disco in esame. Tuttavia messi a confronto i due Grundman, vince il Grundman di Love Scenes del 2016, dieci a zero. Come mai? Probabilmente il difetto è nel manico, ovvero nel master. La vicenda sonica dei dischi della Krall segue una curva ascendente: Stepping Out, primo disco della biondissima, licenziato dall’etichetta Just In Time nel 1993, è registrato da cani, ma che più da cani non si può, ed è un vero peccato. Consiglio la versione su CD, perché la spesa per il doppio vinile non ha senso. Suona come un CD! Forse è per questo motivo che la allora trentunenne Krall per il suo secondo lavoro passa alla GRP Records ed in seguito alla Impulse!, mentre dal quinto disco in poi (When I Look In Your Eyes) approderà in casa Verve. Il suono Verve, avvolgente e di spessore, è quello più adatto al suo genere ed alla sua voce. Only Trust Your Heart comunque è stupendo. La Krall degli esordi, tanto cantante quanto pianista Jazz, sfodera una voce piena, naturale e cristallina, non ancora caratterizzata da quel timbro sabbiato di epoca successiva, che a volte risulta un po’ di maniera e diciamolo…stucchevole. Le fanno compagnia due star come Stanley Turrentine al sax tenore e Ray Brown al contrabbasso. Completano il gruppo Christian McBride al contrabbasso in alcuni brani (in sostituzione di Ray Brown) e Lewis Nash alla batteria. Standard risolti in maniera originale e moderna, molte improvvisazioni al pianoforte ed un brano interamente strumentale (CRS Craft che chiude il lato B). Il vinile di fabbricazione europea frigge un po’ troppo. Nel passaggio tra un brano all’altro si sente un crepitìo continuo, segno che la pasta vinilica non è della massima qualità; magari gli do una lavata. Ne esiste anche una versione Made in USA stampata alla RTI, però leggo su Discogs che presenterebbe lo stesso crepitìo di fondo del vinile europeo, e ciò mi sorprende molto…non capisco…Comunque è una cosa leggera e viene coperta dalla musica per la maggior parte dell’ascolto. Il punto è che questa ristampa Verve di Only Trust Your Heart è l’unica versione su vinile di un disco tra i più belli della discografia della canadese (non la tenda, la cantante), e quindi bisogna prenderlo per forza, pur con tutte le riserve cui ho accennato. Buona la confezione, con un bel pieghevole all’interno e busta foderata. Voto artistico: 10 Voto tecnico: eh questo è un problema: sarebbe 9 + se non ci si mette a fare confronti con i Classic Records, gli Org…e quant’altro. Credetemi, non è proprio il caso. Altrimenti è 7 e ½. Pagato 28 Euro su IBS con lo sconto “Biondone Canadesi” che viene concesso soltanto a chi c’ha l’avatar di una biondona canadese..., rigorosamente stonata, e se ne vanta pure. Alberto. 1
ferdydurke Inviato 28 Settembre Inviato 28 Settembre @OTREBLA Ma la Krall, secondo te, si può effettivamente dire che sia una cantante Jazz? A me pare più una furbina che propone Jazz annacquato e pop scadente. A me, come avrai capito, non piace per nulla o quasi…
OTREBLA Inviato 28 Settembre Autore Inviato 28 Settembre E non sei l'unico...i primi a non capire il successo della Krall furono i suoi concittadini di Nanaimo, sull'isola di Vancouver in Canada. Una ragazza tranquilla, amichevole ma timida, ansiosa di svolgere bene il suo lavoro. Non capivano cosa di Diana l'avesse resa così popolare. A quindici anni suonava già in pubblico, al ristorante della Lega Nazionale Hockey, preoccupata esclusivamente di non perdere lo spartito. La bambina Diana crebbe ascoltando i dischi di Duke Ellington, Nat King Cole, Fats Waller, Louis Armostrong, Teddy Wilson...come vedi nell'elenco non c'è Coltrane e nemmeno Archie Shep. Con che gusti musicali vuoi che venisse su? Tuttavia ci fu un uomo che capì subito il potenziale della giovane isolana, e quest'uomo si chiamava Ray Brown, che fu per la ragazza mentore ed instancabile promotore. Mica pizza e fichi. Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì il suo non è Jazz puro, per sua stessa ammissione datata 1996: "Intendo costruire un ponte tra il Jazz e la musica Pop" dichiarò alla stampa. Non si può certo dire che a 32 anni non avesse già le idee chiare. Che poi il risultato sia scandente, secondo me non lo è. Per come la vedo io la Krall è riuscita nel suo intento di costruire quel ponte, a volte la bilancia pende più verso il Jazz, a volte verso il Pop, tuttavia spesso il risultato non è affatto scadente. E poi ha una voce bellissima. Alberto.
gabel Inviato 30 Settembre Inviato 30 Settembre Il 28/9/2025 at 20:00, OTREBLA ha scritto: "Intendo costruire un ponte tra il Jazz e la musica Pop" Beh, non mi pare una novità, né l’unica che ci ha pensato. E neanche la migliore in questo campo, aggiungo. P.S.: vista a Umbria Jazz 1996. Era una semi sconosciuta. Come cantante jazz mi ha sempre convinto poco, come artista pop non saprei.
OTREBLA Inviato 30 Settembre Autore Inviato 30 Settembre Bene, ognuno ha i propri gusti...ci mancherebbe. 1
giorgiovinyl Inviato 3 Ottobre Inviato 3 Ottobre Il 28/09/2025 at 19:09, ferdydurke ha scritto: Ma la Krall, secondo te, si può effettivamente dire che sia una cantante Jazz? A me pare più una furbina che propone Jazz annacquato e pop scadente. A me, come avrai capito, non piace per nulla o quasi… Il 30/09/2025 at 21:07, gabel ha scritto: Beh, non mi pare una novità, né l’unica che ci ha pensato. E neanche la migliore in questo campo, aggiungo. P.S.: vista a Umbria Jazz 1996. Era una semi sconosciuta. Come cantante jazz mi ha sempre convinto poco, come artista pop non saprei. La penso come voi, non mi dice niente. Anni fa regalai un suo cd alla mia girlfriend di allora, a lei piaceva molto ma io non riuscivo ad ascoltare più di due-tre pezzi. Un pop con qualche spruzzata di jazz decisamente insulso, fatto per piacere a chi non conosce (o non capisce) il vero jazz. Per fare un solo esempio di una cantante che realmente creato un ponte tra pop e jazz Astrud Gilberto le è un 1.000.000 di volte superiore. 1
Folkman Inviato 3 Ottobre Inviato 3 Ottobre 4 minuti fa, giorgiovinyl ha scritto: Per fare un solo esempio di una cantante che realmente creato un ponte tra pop e jazz Astrud Gilberto le è un 1.000.000 di volte superiore. Sono d’accordo , io non l’ho mai considerata una cantante Jazz come tante altre come lei , si ascoltano per piacevolezza e buone registrazioni.Comunque se preso in quel senso il disco non è male .
OTREBLA Inviato 3 Ottobre Autore Inviato 3 Ottobre Ripeto, ognuno può pensarla come vuole sulla Krall, ma vorrei evitare che il thread si trasformasse in un ring tra chi pensa che sia una brava artista e chi pensa che sia sopravvalutata. Per quello si può aprire una discussione a parte. Alberto.
OTREBLA Inviato 19 Ottobre Autore Inviato 19 Ottobre Per il tè domenicale del presente dì festivo, ho preparato una razione tripla, poiché sarò impegnato per quasi un’ora e cinquanta…no, non devo ascoltare il disco recensito, devo guardare un film, e pure in Inglese…facciamo sei ore allora. Quando si dice l’attenzione al dettaglio! Quando si dice il professionismo! Gli altri recensori si sarebbero limitati ad ascoltare il disco! Caffè pagato per Otrebla! Va be’ ho capito, facciamo un bicchiere d’acqua gasata. Va bene, liscia. Taccagniiiiii…. . Sonny Rollins – Alfie - Impulse! (1966) – AAA Acoustic Sounds - (2022) . . Recensione alla veloce per chi deve andare al cinema a vedere la retrospettiva di Lando Buzzanca: un Sonny Rollins cinematografico, che però non mi ha conquistato. Le colonne sonore si dividono in due categorie, quelle famose e quelle che non conosce nessuno. Si capisce che una colonna sonora è buona perché tutti la conoscono. Le prime che mi vengono in mente sono quelle di Star Wars, Momenti Di Gloria e Febbre Da Cavallo… La colonna sonora di Alfie non è ahimè passata alla storia e forse è stato giusto così. Non è che sia facile scrivere una colonna sonora, tant’è che esistono professionisti che fanno solo quello di mestiere. Alfie è una commedia britannica di Lewis Gilbert (regista di alcuni 007), girata nel 1966, con protagonista Michael Caine. Prima di scrivere questa recensione mi sono visto il film, in Inglese naturalmente; fa parte del mio percorso di apprendimento della lingua, Inglese con sottotitoli in Inglese…non vi dico la fatica, tra idioms, phrasal verbs e slang cockney dei primi ’60. Il film è molto bello e soprattutto estremamente moderno, un gioiello di commedia scritta benissimo e con risvolti drammatici, animata da un grande Michael Cane, la cui interpretazione è da Oscar. Breve notazione riguardo ai film in lingua originale, anche perché io sarei pure un cinefilo di lunghissimo corso. Il film in lingua originale è un altro pianeta. Cambia proprio l’aspetto della pellicola. Certo bisogna studiare l’Inglese ad un livello parecchio avanzato (tipo traduzione simultanea all'ONU) e starci sopra anni, ma lo sforzo è ampiamente ricompensato. Il doppiaggio, c’è niente da fare, è una riproduzione in piccolo, un compromesso enorme. Dopodiché il commento musicale di Alfie non è che lasci chissà quale impressione di musica particolarmente epocale. E’ piacevole, decisamente descrittiva nello sviluppo e lo si percepisce anche senza aver visto il film. Quindi con Alfie Sonny Rollins ha fatto un cattivo lavoro? Al contrario, ha fatto un lavoro eccellente. Mentre guardavo il film pensavo come la colonna sonora fosse assolutamente perfetta e perfettamente integrata alle immagini; si tratta di musica a programma, specifica per quello scopo. Io preferisco gli altri dischi di Sonny Rollins, più marcatamente Jazz, questo è tutto. Detto ciò, si tratta sempre di uno tra i maggiori tenor-sassofonisti della storia del Jazz, che in Alfie si permette anche qualche digressione modale. Lo stile in generale è dialogico, come dicono quelli colti, vale a dire descrittivo. Oltre ai lunghi assoli di sax, intervengono un insolitamente moderno Kenny Burrell, e soprattutto il commento ritmico del batterista Frankie Dunlop, il cui apporto è decisamente cruciale. Sullo sfondo il tappeto di fiati dell’orchestra di Oliver Nelson. Registrazione vangelderiana di qualità top, con sax olografico e completo, batteria nitidissima, fiati compatti e dinamici. Un’immagine scalata ed ampia, dall’effetto bello tonico. Personalmente preferisco la versione alternativa del tema (ultimo brano lato B) che porta il nome del protagonista, alla versione ufficiale che apre il disco. In conclusione Alfie (il disco) è Hard-Bop avanzato, molto al servizio del film omonimo. Vinile QRP senza difetti. Pagato 28 Euro con lo sconto “Cinefili” accordato soltanto a chi ha visto La Corazzata Potëmkin, senza addormentarsi dopo cinque minuti. Io il film di Ėjzenštejn l’ho visto, qualche anno fa, ed effettivamente è una pellicola per soli cinefili; un cinefilo non può non vederlo, è troppo importante per la storia dello stile cinematografico, pur tuttavia bisogna ammettere che la Corazzata risulta un po’ pesantuccia...eh, è una corazzata! Il fatto è che in esso il regista ricorre a mezzi espressivi tipici del cinema contemporaneo, con preveggenza di quasi un secolo. Senza contare che mi ha fatto guadagnare il buono sconto. Voto artistico: 9 ½ Voto tecnico: 10 Voto al film: 10 +++ Ho scoperto che Alfie è uno dei più acclamati film della storia del cinema britannico e che ne ha cambiato il volto. Vedi, non si finisce mai di imparare… Alberto. 1
OTREBLA Inviato 2 Novembre Autore Inviato 2 Novembre La mia musica deve possedere bellezza di ritmo, semplicità di significati, influenze regionali, spirituali e tradizionali; melodia ed armonia. Gioia e malinconia, ricchezza e pienezza interiore, intelligenza emotiva. La mia musica deve suscitare emozioni dimenticate, che rivivono, forse, anche solo per un attimo. (H.S.) Con largo anticipo quest’anno sono passati i Re Magi ed oltre al tè domenicale hanno recato Oro, Incenso e... Silver (Horace) – Serenade To A Soul Sister – Blue Note (1968) – AAA Blue Note Classic (2024) Quanto amo Horace Silver! Va be’, non ve ne frega niente, era per dire. Antipaticiiiii! . . Recensione alla veloce con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale: “L’origine delle melanzane alla parmigiana è oggetto di diverse teorie, alcuni storici ritengono che la ricetta sia nata a Palermo…”. Ehm no, scusate, devo aver fatto casino con i parametri… Anyway… è di nuovo Silver Collection, che si arricchisce di un altro nobile aureo. Questa volta il pianista si trova in mezzo ad una nutrita compagnia di colleghi, tra cui il Charles Tolliver alla trombetta, il Billy Cobham ai tamburi, lo Stanley Turrentine al piffero gigante (una volta così un mio amico chiamò il sassofono tenore) ed il Bob Cranshaw al come si chiama...tipo violoncello ma più grosso. Horace Silver è naturalmente autore di tutti i brani in cartellone, tramite i quali il pianista prova ad adeguarsi ai tempi, riuscendovi benissimo. In effetti in questo Blue Note datato 1968 c’è molto Funk e richiami alla musica etnica (Spagna, Oriente, Africa), come andava di moda allora. Tuttavia non è il solito Funk variato, giacché Silver ci mette del suo e ciò fa una gigantesca differenza. Il compositore talentuoso, c’è niente da fare, cambia sempre il segno delle carte in tavola. Sono tutti molto in palla e diretti con pugno di ferro: Billy Cobham inventa e si prende la ribalta, Turrentine è coltraniano, Charles Tolliver alla Freddie Hubbard. In Serenade To A Soul Sister si capisce bene che Horace Silver è più compositore e direttore d’orchestra che pianista, sebbene come pianista non sia affatto da buttare via. Ma quel work-in-progress che traspare da alcuni brani (Rain Dance, che sembra proprio debba piovere di lì a poco e Kindred Spirits) è la prova che il capoverdiano è più interessato all’edificio nel suo complesso che alla piscina installata all’attico. Pertanto ne viene fuori la solita opera silveriana al 100%, che non la puoi semplicemente collocare nella categoria del Jazz-Etno-Funk, perché non ci sta per niente, nemmeno a pigiarla da tutte le parti. E’ partitura, con un buon sessanta per cento di Silver-Brand, tant’è vero che funziona ancora a distanza di cinquantasette anni. Registrazione molto buona, bilanciatissima, moderna ma con talento; forse leggermente secca e dimagrita, tipica di quei tempi, avrei preferito un po’ di spessore armonico in più. Quindi le do un cincino (ma proprio un niente) meno di 10. Vinili Optimal…optimal (con la Optimal è sostanzialmente una questione di cu…). Pagato 24 Euro con lo sconto “Audiofili Ibernati” riconosciuto soltanto a chi c’ha i cavi criogenici fatti con la criptonite. E non ci crederete, io li avevaveno e la criptonite me l’aveva data Lex Luthor in persona. Poi però sono arrivati i russi e me li hanno sequestrati con la scusa che in Siberia non hanno inventato il cordino per legare l’arrosto. Dice, Alberto potevi reagire! Sì bravi, con i russi armati di mangianastri con i discorsi di Salvini…minacciavano di attaccarlo all’impianto e mandarlo in loop per sei mesi, senza che io potessi disattivarlo. Ho dovuto consegnargli i cavi criogenizzati. Voto artistico: pronti?…cosa gli do secondo voi ad un disco di Horace Silver? Bravi, avete indovinato. Ma Alberto, sei fazioso, che razza di recensore della mutua! Un po’… Voto tecnico: 10….meno. Voto al cordino per l’arrosto: 7, perché finisce sempre che ne trovo un pezzettino in mezzo al sugo e me lo mangio per sbaglio. Alberto. 1
OTREBLA Inviato 4 ore fa Autore Inviato 4 ore fa Questo disco mi fa compagnia da ormai tre anni, e confesso di averlo ascoltato parecchio prima di decidermi a recensirlo. Non capivo come mai Joe Harley avesse deciso di ristamparlo…ed a tutt’oggi me lo chiedo. Mentre non ho alcun dubbio sul fatto che l’HI-Fi vada ascoltata col tè in tazza ed i biscotti, buoni, a portata di acchiappo. Perché il tè da tutto un gusto audiofilo, un calore aromatico, e insomma…migliora l’ascolto di: Gerald Wilson - Moment Of Truth – Pacific Jazz Records (1962) – AAA Blue Note Tone Poet (2022) . . Recensione alla velocissima per chi trova prolissa anche la recensione alla veloce: il classico lavoro per Big Band, senza particolari sorprese. Personalmente non lo avrei ristampato. La serie Tone Poet, per carità, va benissimo eh, però, se mi posso permettere, è un po’ discontinua ed a tratti enigmatica. Ad esempio io non capisco per quale motivo Joe Harley abbia aspettato 170 uscite (più o meno) di altrettanti titoli della sua meritoria serie, per decidersi a licenziare Flight To Jordan di Duke Jordan, che francamente doveva essere una delle prime dieci uscite, considerato il suo valore artistico; e niente, abbiamo dovuto aspettare 170 titoli prima che finalmente il capolavoro di Duke Jordan fosse ristampato. Per me non è che fosse un gran problema, avendo il privilegio di possedere la stratosferica ristampa (numerata) su due vinile 45 giri della Analogue Productions, che tengo come una reliquia, però restavo perplesso nel vedere come il titolo di Jordan fosse costantemente ignorato. . . Molto, ma molto prima di Flight To Jordan, nel lontano 2022, fu il turno di Moment Of Truth del bandleader Gerald Wilson, direttore d’orchestra puro, nel senso che in questa occasione arrangia e dirige, senza suonare alcuno strumento, sebbene Wilson fosse un trombettista. Tra gli altri bravi musicisti gli fa compagnia il chitarrista Joe Pass, che si ritaglia uno spazio solistico in tutti i brani tranne uno. Lo stile è Latino, Blues e Hard-Bop. Sette brani su nove sono composizioni dello stesso Wilson. Ho trovato particolarmente riuscito Patterns, peccato che sfumi sul finale, cosa comune ad altri brani (a volte lo sfumato è un po’ forzato, come in Latino, che va chiudendosi proprio sull’assolo di pianoforte). Gerarld Wilson dal Mississippi, che prima di acquistare la ristampa Tone Poet mi era decisamente ignoto, formò la sua prima Big Band di successo a metà degli anni ‘40, per poi continuare l'intera vita a dirigere diverse orchestre Jazz, divenendo popolare in tutti gli Stati Uniti. Confesso che non sono mai stato troppo appassionato del Jazz per Big Band. Di solito trovo lo schema orchestrale della Big Band un po’ ripetitivo ed a volte chiassoso. Mi piacciono molto le orchestre di Gil Evans, Charles Mingus, Duke Ellington e Count Basie perché escono dal tipico schema espositivo pocanzi descritto. Gil Evans è sinfonico, Duke Ellington è magico e fascinoso, Basie è irresistibile, e Mingus è...Mingus. L’ensemble di Gerald Wilson invece è… canonico, tanto che avendo un po’ di esperienza si può indovinare esattamente quando ci sarà la tipica esplosione dei fiati. Il disco è comunque piacevole e registrato bene, senza riverbero artificiale, con un’immagine compatta e avanzata; i solisti (tromba, trombone, sax tenore e chitarra) mostrano di essere bene in palla ed emergono in maniera nitida davanti all’orchestra. Forse il suono del lato A è un po’ chiuso, rispetto quantomeno all’ascolto del Lato B. Moment Of Truth per molti versi ricorda la musica degli show del Sabato sera degli anni ’60 e dei telefilm dello stesso periodo; non mi è dispiaciuto ma non ho riscontrato nulla di particolarmente originale. Per questo motivo il mio giudizio è un po’ più tiepido del solito. Copertina Stoughton singola, vinile RTI abbastanza silenzioso. Pagato…e che ne so, sono passati tre anni! Comunque poco, e con lo sconto “Recensioni Triennali” concesso soltanto a chi scrive una recensione impiegandoci tre anni, il che dovrebbe indurlo a capire che proprio non è il suo mestiere. Voto artistico: 8 Voto tecnico: 9 ½. Registrare una Big Band è cosa assai complicata, ed è molto molto raro ascoltare una registrazione perfetta sotto questo profilo. Il mio 9 ½ quindi è da considerarsi un gran bel voto. Alberto.
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