giorgiovinyl Inviato 16 Ottobre Inviato 16 Ottobre 1 ora fa, campaz ha scritto: Detto questo, il limite è evidentemente tutto mio (ho visto che la Penguin l’ha inserita nella core collection…). Esatto... i dischi raccomandati dalla Penguin cerco sempre di ascoltarli più volte, anche se di primo acchito non mi fanno impazzire. Grazie ai due scozzesi ho potuto scoprire tanto grande jazz...
analogico_09 Inviato 16 Ottobre Autore Inviato 16 Ottobre 4 ore fa, damiano ha scritto: Non ho mai posseduto "Take five" disco che leggo suonare benissimo ma dove l'unica cosa minimamente interessante, per me ancora, è qualche passaggio di Paul Desmond. Perbacco, sono contento che si sia da'accrodo su questo.., poche parole e hai fatto centro.., io mi sono dovuto sgolare nell'altra discussione per dire la mia... Agli inizi neppure Desmond che trovavo "esteriore" riusciro a mare, perrò per via dello stile personale in sefguito lo rivalutai.., e non l'avessi mai sceritto... Per quanto riguarda Joe Pass, confesso di conoscerlo appena e di non essere preparato per inter_loquire, quindi resto in ascolto delle vostre osservazioni integrando magari con qualche ascolto.., 1
damiano Inviato 17 Ottobre Inviato 17 Ottobre 9 ore fa, analogico_09 ha scritto: nell'altra discussione Si, ho letto qualche minuto dopo aver risposto a Giorgio....coincidenze 🙂 Però vedi che,in effetti, è un disco di cui si parla; da una parte per scegliere la versione con miglior rapporto prezzo/prestazioni, dall'altra per sottolineare che la resa sonora è importante ma non può essere determinante. Ciao D. PS. Sto cercando di metter giù uno scritto sintetico (impresa ardua) su Cecil Taylor. A mio giudizio è uno dei pianisti più importanti del jazz che mi pare sia colpevolmente, io per primo, ignorato in Musica. Ri-ciao
Questo è un messaggio popolare. campaz Inviato 17 Ottobre Questo è un messaggio popolare. Inviato 17 Ottobre Fatemi spendere due parole in difesa di Dave Brubeck e del suo Time Out. Mi rendo conto che siamo di fronte a un jazz accondiscendente, una declinazione della musica afroamericana distillata suonando per il pubblico bianco dei college e delle università. Tanta tecnica, tanta pratica, e l’obiettivo costante dell’orecchiabilità. È facile, per un appassionato, preferire il rigore del bop o la lucente – e al tempo stesso finissima – ricerca di un Jimmy Giuffre. Eppure anche il jazz di Brubeck ha un suo perché e, abusando dei luoghi comuni, verrebbe quasi da dire che se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Sulla solidità musicale del suo approccio non mi pronuncio: non possiedo gli strumenti per un’analisi circostanziata. Ho letto, come tutti, di contaminazioni, estrapolazioni, sperimentazioni: Time Out è un disco pensato, elaborato, sofisticato nel senso migliore del termine. Ma io resto un ignorantone: i dischi non li giudico per quello che rappresentano, ma per la gioia che mi procurano. E allora, pur sapendo che Powell, Monk e Bill Evans sono stati più determinanti per la storia del jazz, quel brivido che mi dà l’attacco di Take Five, il divertimento di portare Mozart sulle rive del Bosforo, e l’energia quasi orgiastica che attraversa ogni nota di questo disco mi fanno comunque – e convintamente – gridare al capolavoro. Davis era più bravo? Sì. Mingus aveva più spessore? Sì. Coltrane portava avanti una ricerca totale, che non si limitava alla forma ma penetrava la sostanza? Sì, senza alcun dubbio. Eppure, come in letteratura abbiamo bisogno tanto della densità di un Italo Calvino quanto della leggerezza di un Simenon (citazione non casuale: sono due dei miei scrittori preferiti), così nel jazz – musica catalizzatrice e generatrice, magma da cui tutto origina e in cui tutto confluisce – il contributo di Brubeck resta imprescindibile. Sarà stato perfettino, il classico secchioncello che suscita l’antipatia dei compagni più dotati ma meno disciplinati, ma tutti i buoni voti che ha preso se li è meritati fino in fondo. 3
Questo è un messaggio popolare. analogico_09 Inviato 17 Ottobre Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 17 Ottobre 1 ora fa, damiano ha scritto: Sto cercando di metter giù uno scritto sintetico (impresa ardua) su Cecil Taylor. A mio giudizio è uno dei pianisti più importanti del jazz che mi pare sia colpevolmente, io per primo, ignorato in Musica. Ri-ciao Sarà interessante leggerti. Esponente di primissimo piano del jazz "libero" dalle regole armonico-tonali, la sua musica era troppo "provocatoria" per poter raggiungere il grande pubblico che non seppe ascoltare oltre il primo stadio più superficiale. Personalmente l'ho sempre apprezzato, essenzialmente da disco, mesi fa mi soffermai sull'eccellente album "Conquistador" nel topic degli ascolto vinilici. https://melius.club/topic/484-il-disco-in-vinile-che-state-ascoltando-ora/page/955/#findComment-1552249 Ma ebbi la fortuna e il privilegio di ascoltarlo in un raro concerto una sola volta (non veniva spesso in Italia) durante la prima versione itinerante di Umbria Jazz nel luglio del 1975, ad Orvieto . Mi ritrovai vicino ad Arrigo Polillo, il "leggendario" direttore della "leggendaria" rivista Musica Jazz che leggevo assiduamente e voracemente e tutto eccitato attaccai bottone e approfittando della sua squisita gentilezza e disponibilità andai dritto al punto. Ovvero al fatto che avessi letto nella suddetta rivista, anche da una recensione di un disco di cui non ricordo il titolo, la sua opinione molto critica sulla musica di Cecil Taylor Non averi potuto non chiedergli le ragioni di una posizione cosi "impopolare" in campo critico più.., "militante" per così dire in quegli anni delle contestazioni generali... . Polillo mi rispose, quel che avvo già letto ma in modo più colloquiale e ravvicinato, che trovava non organico il lavoro del pianista non perchè fosse di un free molto "radicale", ma perchè non riusciva a cogliere la chiusura del cerchio nelle sue performance più iconoclastiche ... Riporto molto sinteticamente, per quel che ricordo, aldilà dei dettagli il senso è quello: è roba di mezzo secolo fa... Ricordo inoltre chiaramente che contrappose a Taylor il pianista dell'ultimo quintetto di Mingus attivissimo in quegli stessi anni , anche in Umbria Jazz (lo ascoltammo entrambi nella precedente serata di concerti che si svolsero a Perugia) a quel Don Pullen che benchè lavorasse di atonalità (scrivo le cose molto alla leggera) manteneva maggior legame con la "tradizione" e con il blues... Provai a balbettare qualcosa, non che mi sentissi intomorito, ma da uno dei più stimati e "antichi" critici di jazz italiani, all'epoca solo Musica Jazz scriveva di jazz non a livelli fanzinieschi... c'era solo da imparare. Fu una bella discussione, per me emozionante, leggevo sempre i suoi scritti, le sue risposte ai lettori nella entusiasmante rubrica : "lettere al direttore" (Cose di altri tempi molto migliori degli attuali). Il concerto tardava a cominciare e fu molto paziente non di meno divertito con un giovinastro un poco frikkettone qual ero 50 anni fa... ... Polillo non aveva sempre "ragione".., a volte manifestava qualche idiosincrasia discutibile - era mica un robot - ma la sua onestà intellettuale, la sua profonda conoscenza del jazz, il suo acume critico-letteraio, quanto di più lontano dal "pennivendolume di regime", me lo facevano apparire come un nume tutelare della critica disintereata ed appassionata. Qundo criticava in negativo un disco, o che ce l'avesse, si fa per dire, con Archie Sheep che già ai tempi era un mio idolo, non sempre ero d'accordo, ma se scriveva che un disco era di valore potevi comprarlo ad occhi bendati ed orecchie chiusi, per riaprirli dopo con viva e vibrante soddisfazione mentre lo ascoltavi... Scusa se mi è partito il turbo e mi sono lasciato andare ai ricordi legati tuttavia al grande pianista. Attendo di leggere il tuo sceritto. 3
analogico_09 Inviato 17 Ottobre Autore Inviato 17 Ottobre @campazGrazie del tuo interessantimo e sentito intervento, Danilo, io mi sono già speso nell'altro topic quindi non mi va di ricominciare qui. Mi scuserai se al minimo mi permetto di dire chein manier molto più rozza della tua credo di aver già prospettato cose sulle quali ti sei soffermato tu in modo più "Wfavorelo" al disco in questione, edi io apprezzo e rispetto. Ma vorrei precisare sottolineare cheio non ne faccio una questione di cosa si meglio o peggio, non mi interessa il fatto che Brubeck non sia Monk né vome Bill Evans, etc, che la sua musica scompaia come neva al sole al confronto con la musica di Mingus, sarebbe come scoprire l'acqua calda. Quello che io sento, che ascolto, è che quella di Time Out, specificamentedi Take Five, gli altri brani sono di un manierismo occasionale, buono pwer creare un'atmosfera di sottofondo nella sala da thè, che sia musica piacevole sulle prime, durante i successivi 10 anni, voglio abbondare, dopodichè ti rendi conto di quanto la piacevolezza si affievolsca, sia diventata come una sorta di tormentone che non riesce più a sostenere il peso del tempo. E mentre con Monk mi sembra di essere appena arrivato a capire qualcosa di quel che seguiterà a vivere nel futuro, con la musica di Brubeck mi sembra di guardare una pubblicità con la musichetta saltellante che faccia vendere bene le acque minerali firizzanti con tante bollicine... Poi possiamo parlare del valore di costume, sociale, affettivo, generazionale, audiofilo, perfino "ideologico", nobilmente nostalgico, etc, di quel progetto discografico nato per "piacere", per accontentare le aspettative del pubblico bianco, e sta bene ma personalmente non riesco a vedere il capolavoro MUSICALE né riesco a sentire l’energia quasi orgiastica che attraversa ogni nota di questo disco ... ciò che te lo fa ritenere capolavoro, cosa che assolutamente rispetto ma su cui non concordo. Per poter provare l'orgiastico - tribalismo afro_americano (a cui ammicca superficialmente il buon Morello col suo drumming oleografico che imkiti il "buon selvaggio") dovrei dirigermi verso i dischi di Art Blakey, di Max Roach, di Elvin Jones,.., oppure sul versante classico, verso le musiche barbariche, iconosclastiche ed orgiastiche di Igor Strawinsky che con effetto di reciprocità attinse molto agli stilemi del jazz, e il jazza agli strawinskiani... (magari poi ne parla anche Damiano nel suo scritto sull'"orgiastico" Cecil Taylor...) Scusa la mia "verve"...
campaz Inviato 17 Ottobre Inviato 17 Ottobre @analogico_09 Siamo tutti appassionati di jazz, ci capiamo perfettamente. Una volta ho scritto che A Love Supreme mi aveva logorato: mica lo disprezzavo, che è un capolavoro è chiaro come il sole, dicevo solo che dopo quarant’anni di ascolto era arrivato il momento di prendere una pausa (e nel frattempo ho approfondito la conoscenza dell’ultimo Coltrane). Quando, finalmente, lo rimetterò sul piatto (nel mio caso virtuale) sarà una festa! Potrei ascoltare solo Mingus o solo Monk, mi basterebbe la discografia di uno di quei geni assoluti, però mi piace variare, confrontare, esplorare. D’altronde mi sono innamorato del Caravaggio a una mostra milanese di tanti anni fa: s’intitolava Caravaggio e i caravaggeschi, insieme a qualche opera del maestro c’è n’erano tante di autori minori che lo imitavano. In quel contesto il genio del grande artista svettava e diventava evidente anche a uno zuccone come me. Ecco, io lo so che Brubeck non è il più bravo di tutti, lo so che ha saputo vendersi, ma io ho avuto bisogno del suo approccio brillante. Per capire, per attribuire, ma anche per divertirmi ascoltando. Ascoltare i suoi dischi mi trasmette una carica positiva e mi aiuta a comprendere qualcosa di più della storia della musica afroamericana. Tutto qui, e secondo me non è neppure poco. Con sempiterna stima, d
analogico_09 Inviato 17 Ottobre Autore Inviato 17 Ottobre @campaz Siamo d'accordo sul fatto che si vive anche di musica che sa come vendersi per divertire mirando anche al successo, alla cassetta come naturale conseguenza. Di musica del divertimento ne avrò ascoltata a fiumi, da sempre, come tutti immagino, ma nei limiti temporali e per quel certo spasso di breve durata che esse offrono per poi farne a meno come qualsiasi altro oggetto di cosumo. Bisognerebbe sempre distinguere tra musica per divertirsi che oltre questo non ha altro da offrire e musica che mentre diverte si mostra all'ascoltatore per quant'altro vi sia ancora da scoprire ad ogni nuovo ascolto, quasi come se la si ascotasse per la prima volta. A proposito del già citato A Love Supreme di Coltrane, tra i primi dischi di jazz di peso che acquistai ed ascoltai per la prima volta molti anni fa, insieme al Town Hall Concert di Mingus e MU first part di Don Cherry fresco di uscita, più li ascolto e più mi entusiasmo nel provare immutata la sensazione di scoprire ogni volta che li metto a girare un altro segmento d'infinito di cui tali musiche dell'anima e della mente, del nostro pianeta terra e del cosmo siano fatte. Questi purtroppo non mi succede con Brubeck e vivo ugualmente felice.
analogico_09 Inviato 18 Ottobre Autore Inviato 18 Ottobre Da Il Manifesto di oggi. Il «silenzio» di Don Cherry Ultrasuoni Ricordi/Trent’anni fa se ne andava il trombettista statunitense. Spesso al fianco di Ornette Coleman, è stato un pioniere della connessione fra le musiche del mondo https://ilmanifesto.it/il-silenzio-di-don-cherry Mi soffermo spesso su questo straordinario poeta della musica e dei suoni universali, tra i miei musicisti preferiti, in assoluto. Non dirò altro, vi lascio al bellissimo, acuto e "sentito" articolo a firma di Guido Festinese. A voi il piacere di scoprire in proprio il "segreto" del Silenzio (è possibile creare un acconte leggere alcuni articoli gratis per questo quotidiano che vanta una sezione culturale davvero pregevole. In seguito si potrà scegliere se abbonarsi o meno) Solo un estratto... UN PAIO DI SECONDI In Silence Don Cherry inizia il pezzo, esponendo quasi con dolente timidezza l’impressionante, mesto tema che sa di destino e di ineluttabilità, poi, mano mano, la pocket trumpet viene assorbita nel tessuto orchestrale che ad ogni ripresa ispessisce il suono. A tre minuti e cinquanta il minuscolo ottone di Don Cherry entra con una sestina slabbrata, fremente, ustionante di note, un paio di secondi: Don Cherry è tutto lì. Poi di nuovo il turgore, e, via via, un anti climax che termina sulle note rade del pianoforte di Carla Bley, a richiamare l’inizio. Sapeva suonare così, Don Cherry, ai limiti del pitch di intonazione, col suo strumento speciale miniaturizzato e ultraportatile apparso nella guerra di Secessione, o lirico e pulito come un narratore di favole. Sempre antivirtuoso nel suono: gli interessava l’intensità e la verità, non la tecnica ineccepibile, la forzatura dei limiti per vedere cosa c’era al di là dello specchio di Alice, non la rassicurazione estetizzante dei macinatori di note. Sensibilità duttile che gli tornerà assai utile quando, ben presto come vedremo, diventerà anche uno degli anticipatori e pionieri della connessione fra le musiche di tutto il pianeta. Un ritratto toccante, Chapeau all'autore! Silence. Un brano scritto dal suo grande amico Charlie Haden e pubblicato nel 1983 su The Ballad of the Fallen, a nome di Haden e Carla Bley. Si ravvisano continuità con il leggendario album Liberation Music Orchestra di Haden e Bley, Don Cherry nell'ampio, straordinario organico orchestrale. 1
damiano Inviato 18 Ottobre Inviato 18 Ottobre 4 ore fa, analogico_09 ha scritto: Silence. Un brano scritto dal suo grande amico Charlie Haden e pubblicato nel 1983 su The Ballad of the Fallen, a nome di Haden e Carla Bley. Grandissimo disco da ascoltare e metabolizzare un tozzo alla volta. Una volta finito il processo, se riuscito, induce una specie di dipendenza che lo fa diventare un riferimento assoluto della discografia di cui fa parte. Il finale di Carla Bley è magistrale e nella mia immaginazione è come il monologo di Rutger Hauer in Blade Runner. Secondo me ancora meglio di "Liberation Music Orchestra"..... Ciao D. 1
analogico_09 Inviato 18 Ottobre Autore Inviato 18 Ottobre 3 ore fa, damiano ha scritto: Grandissimo disco da ascoltare e metabolizzare un tozzo alla volta. Una volta finito il processo, se riuscito, induce una specie di dipendenza che lo fa diventare un riferimento assoluto della discografia di cui fa parte. Il finale di Carla Bley è magistrale e nella mia immaginazione è come il monologo di Rutger Hauer in Blade Runner. Secondo me ancora meglio di "Liberation Music Orchestra"..... Ciao D. Un disco straordinario, Damiano, con LMO si possono prendere fraternamente per mano, il primo più "polifonisco", quasi classico, l'altro più "frastagliato" votato al "popolare", ci sono anche lì cose che "voi umani... alla blade runner. Basti pensare al poderoso assolo di Haden in Song for Che che "chitarrizza" il basso e fa tremare le viscere creando il più fertile dei terreni per gli altri strumentisti che si avvicendano via via: dopo il brevissimo canto femminile si ascolta per primo Don Cherry ai doppi flauti favolosi suonati dai fauni mitologici ritratti negli antichi vasi grechi e poi il lungo, vibrante assolo di Carla Bley in War Orphans... Ma quei due secondi scarsi di tromba, quel "frullio" impossibile, come un lampo a ciel sereno, rompono e ristabiliscono il "Silence". Vanno oltre le più virtuose capacità tecniche, più che una semplice "espressione", sono il genio puro e incorrotto, la metafisica dei suoni, una scossa improvvisa di ascesa al cielo come la descrive un mio amico di penna... Mi capita spesso di riconoscere in tutti i dichi di Don Cherry , ne ho davvero molti, oltre a quanto ascoltato più volte dal vivo, brevi momenti di musica visionaria e dirompente, mai aggressiva e men che lirica, che imprime forza, bellezza e trascendenza all'intero disco o concerto pur senza ripetersi spesso. . Fuori di ogni schema, sempre inatteso. 1
damiano Inviato 19 Ottobre Inviato 19 Ottobre Ed un'altra interpretazione molto interessante e rispettosa di "War Orphans" è quella contenuta nel disco omonimo di Bobo Stenson, in compagnia dell'amico di mille avventure Jormin e dal batterista di casa ECM Christensen. Stenson è un pianista assolutamente unico ed originale che usa la sottrazione piuttosto che l'addizione per evidenziare le peculiarità della ricerca armonica che lo distingue particolarmente. Ciao D. 1
analogico_09 Inviato 19 Ottobre Autore Inviato 19 Ottobre Un bellismo disco un trio eccellente, questa era l'ECM che piaceva a me... Il brano composto da Ornette Coleman con la Bley al piano diventa ancora più dolente e sommesso, più essenziale, con il battito "cardiaco" del basso di Haden in un crescendo strumentale che va a mano a mano verso il Free per trornare all'essenza desolata del dolore nella quale si spengono lentamente le estreme, enigmatiche note. Nell'interpretazione di Bobo Stenson, ottimo pianista e interprete, al pari dei due partners (Joe Christensen lo ritroviamo nei dischi dei migliori musicisti europei, tra cui nell'eccellente " The Pilgrim..." di E. Rava) il vigoroso l'interplay risulta più "raffinato", più "mentale" ma sono entrambe dimensioni del sentire "musicale" alte e nobili, degnissime del genio compositivo di Ornette Coleman. 1
Questo è un messaggio popolare. analogico_09 Inviato 20 Ottobre Autore Questo è un messaggio popolare. Inviato 20 Ottobre Un annuncio sensazionale di un'uscita discografica settembrina che non mi pare abbia avuto ampia eco. Si tratta del doppio LP e doppio CD intitolati LOVE IS HERE Complete 1975 Recordings at The Maison De La Radio Paris . Il capo suonatore è quella vecchia grande conoscenza, "figlio" e granitico "sostegno" di Coltrane che aveva per nome Pharoah Sanders al sax tenore e vocal; Danny Mixon, piano e organo (lo ascoltai nel 1976 dal vivo al Music In di Roma nel quintetto di Mingus come sostituto di Don Pullen assente non ne ricordo il motivo pur ricordando che lo rimpiangemmo; Calvin Hill, double bass, (lo ascoltai con Massimo Urbani ed Enrico Rava, con Max Roach sempre negli anni '70, grande musicista); Greg Bandy, batteria. Il progetto, etichetta "Transcendence Sounds" si confessa Deluxe 180 gr Limited Edition, never beforer released in its entirety!, transfered from the original stero tape reel at the french INA (institut national de l'audiovisuel), con incluso booklet con rare delle fotoscattate al Maison de la radio e altre notazioni critiche. Si sente molto bene, livelli di suono e dinamica, "texture" sonora molto naturale... Da Tidal è più pompato e ... non c'è paragone con il suono del vinile. Ho scoperto ieri la faccenda. Riportava la notizia Il Manifesto e ne parlava molto bene. Ho trovato il progetto integrale in Tidal e tra ieri ed oggi l'ho ascoltato interamente due volte, sta andando anche ora menmtre scrivo. Pazzesco! Non solo non è un recupero da fondo del barile o da cassetto delle muffette dimenticata, ma oserei dire che è forse il miglior disco tra quelli intitolati al "Faraone". Ho cercavto nel web i dettagli di questo disco, costa mediamente 43 euro on line più spedizione e la disponibilità è prevista per la fine di Ottobre. Avendo deciso che lo avrei fatto mio (sarà il regalo di mia moglie per il mio compleanno... ) ho telefonato verso le 15 alla Discoteca Laziale, la più gentile e fornitissima discoteca di tutti i tempi, è lo avevano a consegna immediata. Non lo faccio spesso.., fatto mettere da parte monto sullo scooter e lo vado tosto a prelevare, con le due ruote si può sfidare il delirante traffico romano. Un'andata e ritorno in poco tempo ed eccomi qui a scialare con mio bel "giocattolone" che suona da Dio e caccia fuori il meglio della formula "spiritual jazz" sincera e viscerale a cui sempre ci ha abituato Sanders. Con e senza Coltrane. Mi fermo, occorre approfondire e metabolizzare questa meraviglia,. Suggerisco di leggere l'articolo de Il Manifesto tuttavia tentatore e contagioso e a mio modesto avviso veritiero fino in fondo e.., crepi l'avarizia riporto le ultime frasi benchè sia più conveniente ascoltare prima la musica, o vedere un film, e poi leggere i commenti altrui, ma oramai io ho letto... Si ascolta nel concerto la fumigante e continuamente variata suite in tre parti che dà titolo al tutto, e un finale altrettanto poderoso con Love Is Everywhere, dove il Faraone si lasca andare anche a un canto gonfio ed estatico. E poi un blues improvvisato di terragna potenza, e tre momenti di dedica a Coltrane. Due ore infiammate: ma si esce dall’ascolto pacificati e grati per questo tesoro ritrovato di vero «spiritual jazz». (Guido Festinese). It's all true 1 2
Questo è un messaggio popolare. campaz Inviato 29 Ottobre Questo è un messaggio popolare. Inviato 29 Ottobre Blue Note pubblica Silver in Seattle: Live at the Penthouse, live inedito ripreso al Penthouse di Seattle nell’agosto 1965. Il quintetto del pianista comprende la tromba di Woody Shaw, il tenore di Joe Henderson, Teddy Smith al basso e Roger Humphries alla batteria. Questi musicisti, con l’eccezione di Smith, suonano anche nell’album The Horace Silver Quintet Plus J.J. Johnson, registrato nell’ottobre dello stesso anno. Un disco che probabilmente non aggiunge nulla alla statura del pianista, ma che risulta, come sempre, piacevole e ben costruito. Preziosa, a mio personale avviso, la bella versione di Song for My Father che supera i nove minuti di durata. Io l’ho trovato fra le novità segnalate da Qobuz, ma è disponibile anche in CD e vinile. 2 2
campaz Inviato 30 Ottobre Inviato 30 Ottobre How Times Passes, debutto da leader di Don Ellis, è un disco che mi ha piacevolmente sorpreso come non mi accadeva da tempo (lo affiancano Jaki Byard, Ron Carter e Charlie Persip). Ellis, che diventerà un grande sperimentatore, qui tende a superare i confini del bop tradizionale, pur rimanendo – tranne nella lunga Improvisational Suite #1 – entro spazi di jazz “edibile”, conciliando l’innovazione nei modi e la tradizione nelle forme. La scena era quella dell’avanguardia newyorkese, il disco è stato inciso nel 1960: gli echi dell’irrequietezza tipica del periodo sono evidenti, ma è un jazz fresco e corroborante, da apprezzare ascoltandolo e riascoltandolo. Insomma, se non si è capito mi è piaciuto un sacco. 2
analogico_09 Inviato 1 Novembre Autore Inviato 1 Novembre Riprendo dal topic sugli ascolti vinilici, vorrei condividere un'altra leggendaria seduta musicale live del jazz, quella che si svolse il 16 Luglio 1962 al mitico Five Spot Cafè di N.Y. e che fu rilasciata integralmente nel 1974, anno in cui lo acquistai, anche in cofanetto triplo LP dalla Prestige dal titolo "The Great Concert of Eric Dolphy". Con Dolphy nel quintetto vi è tra quanto di meglio potesse offrire il panorama jazz di quella decade prodigiosa. Eric Dolphy, Alto Saxophone, Flute, Bass Clarinet Booker Little, trumpet Mal Waldrom, piano Richard Davis, bass Eddie Blackwell, drums Menzione speciale, a parte Dolphy, stellari gli altri compagni, credo vada al grande Booker Little, autentico poeta della tromba (suona un po' "ironico" l'accostamento dei due termini ... ma tant'è). Rudy Van Gelder fu il mago delle registrazioni che trasfigurava in arte, al pari della musica, lo stesso, "semplice" suono. Successivamente furono rilasciati due CD vol 1 e 2, incompleti. Nel 2011 vi fu l'edizione che comprendeva anche gli ultimi due brani non presenti nel precedenti CD Prestige, presenti invece nel cofanetto vinilico, intitolato "Eric Dolphy / Booker Little Quintet – At The Five Spot - Complete Edition" Le parole non servono per una musica propulsiva creata sui più potenti slanci inprovvisativi da musicisti immensi, visionari, sognatori di un jazz senza tempo e senza confini, fonte di ispirazione per i successivi innovatori ancor più "spericolati" della musica afroamericana. 1 1
egalli Inviato 1 Novembre Inviato 1 Novembre 4 minuti fa, analogico_09 ha scritto: Rprendo dal topic sugli ascolti vinilici, vorrei condividere un'altra leggendaria seduta musicale live del jazz, quella che si svolse il 16 Luglio 1962 al mitico Five Spot Cafè di N.Y. e che fu rilasciata integralmente nel 1974, anno in cui lo acquistai, anche in cofanetto triplo LP dalla Prestige dal titolo "The Great Concert of Eric Dolphy". Con Dolhy nel quintetto vi è tra quanto di meglio potesse offrire il panorama jazz di quella decade prodigiosa. Eric Dolphy, Alto Saxophone, Flute, Bass Clarinet Booker Little, trumpet Mal Waldrom, piano Richard Davis, bass Eddie Blackwell, drums Menzione speciale, a parte Dolphy, stellari gli altri compagni, credo vada al grande, "superbo" Booker Little, autentico poeta della tromba (suona un po' "ironico" l'accostamento dei due termini ... ma tant'è). Rudy Van Gelder fu il mago delle registrazioni che trasfigurava in arte, al pari della musica, lo stesso, "semplice" suono. Successivamente furono rilasciati due CD vol 1 e 2, incompleti. Nel 2011 vi fu l'edizione che comprendeva anche gli ultimi due brani non presenti nel precedenti CD Prestige, presenti invece nel cofanetto vinilico, intitolato "Eric Dolphy / Booker Little Quintet – At The Five Spot - Complete Edition" Le parole non servono per una musica propulsiva creata sui più potenti slanci inprovvisativi da musicisti immensi, visionari, sognatori di un jazz senza tempo e senza confini, fonte di ispirazione per per i successivi innovatori della musica afroamericana. Grazie bellissima segnalazione....in particolare perchè pone tra le altre cose, anche l'attenzione su di un musicista un pò dimenticato come Ed Blackwell. Uno dei batteristi in assoluto tra i più grandi della storia del Jazz. Ricordo un suo concerto con gli Old e New Dreams di Don Cherry tanti ma proprio tanti anni fa al fu Centro Palatino qui a Roma, dove assistetti ad una delle performance di batteria tra quelle che non dimenticherò mai. Sentii lo strumento suonare con una profondità espressiva che solo in rarissime occasioni ho avuto modo di riascoltare (Max Roach con Bill T. Jones intorno al 1995, Al Foster al Teatro dell'Opera e davvero pochi altri). Bellezza pura e semplice.... 2
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