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Melius Club

Jazz!


analogico_09

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giorgiovinyl
Inviato
1 ora fa, campaz ha scritto:

Detto questo, il limite è evidentemente tutto mio (ho visto che la Penguin l’ha inserita nella core collection…).

Esatto... i dischi raccomandati dalla Penguin cerco sempre di ascoltarli più volte, anche se di primo acchito non mi fanno impazzire. Grazie ai due scozzesi ho potuto scoprire tanto grande jazz...

analogico_09
Inviato
4 ore fa, damiano ha scritto:

Non ho mai posseduto "Take five" disco che leggo suonare benissimo ma dove l'unica cosa minimamente interessante, per me ancora, è qualche passaggio di Paul Desmond. 

 

 

Perbacco, sono contento che si sia da'accrodo su questo.., poche parole e hai fatto centro.., io mi sono dovuto sgolare nell'altra discussione per dire la mia... :classic_laugh: Agli inizi neppure Desmond che trovavo "esteriore" riusciro a mare, perrò per via dello stile personale in sefguito lo rivalutai.., e non l'avessi mai sceritto... :classic_biggrin:

 

Per quanto riguarda Joe Pass, confesso di conoscerlo appena e di non essere preparato per inter_loquire, quindi resto in ascolto delle vostre osservazioni integrando magari con qualche ascolto..,  

  • Haha 1
Inviato
9 ore fa, analogico_09 ha scritto:

nell'altra discussione

Si, ho letto qualche minuto dopo aver risposto a Giorgio....coincidenze 🙂

Però vedi che,in effetti, è un disco di cui si parla; da una parte per scegliere la versione con miglior rapporto prezzo/prestazioni, dall'altra per sottolineare che la resa sonora è importante ma non può essere determinante.

Ciao

D.

PS. Sto cercando di metter giù uno scritto sintetico (impresa ardua) su Cecil Taylor. A mio giudizio è uno dei pianisti più importanti del jazz che mi pare sia colpevolmente, io per primo, ignorato in Musica.

Ri-ciao

analogico_09
Inviato

@campazGrazie del tuo interessantimo e sentito intervento, Danilo, io mi sono già speso nell'altro topic quindi non mi va di ricominciare qui. Mi scuserai se al minimo mi permetto di dire chein manier molto più rozza della tua credo di aver già prospettato cose sulle quali ti sei soffermato tu in modo più "Wfavorelo" al disco in questione, edi io apprezzo e rispetto. Ma vorrei precisare sottolineare cheio non ne faccio una questione di cosa si meglio o peggio, non mi interessa il fatto che Brubeck non sia Monk né vome Bill Evans, etc, che la sua musica scompaia come neva al sole al confronto con la musica di Mingus,  sarebbe come scoprire l'acqua calda. Quello che io sento, che ascolto,  è che quella di Time Out, specificamentedi  Take Five, gli altri brani sono di un manierismo occasionale, buono pwer creare un'atmosfera di sottofondo nella sala da thè, che sia musica piacevole sulle prime, durante i successivi 10 anni, voglio abbondare, dopodichè ti rendi conto di quanto la piacevolezza si affievolsca, sia diventata come una sorta di tormentone che non riesce più  a sostenere il peso del tempo.
E mentre con Monk mi sembra di essere appena arrivato a capire qualcosa di quel che seguiterà a vivere  nel futuro, con la musica di Brubeck mi sembra di guardare una pubblicità con la musichetta saltellante che faccia vendere bene le acque minerali firizzanti con tante bollicine... Poi possiamo parlare del valore di costume, sociale, affettivo, generazionale, audiofilo, perfino "ideologico", nobilmente nostalgico, etc, di quel progetto discografico nato per "piacere", per accontentare le aspettative del pubblico bianco, e sta bene ma personalmente non riesco a vedere il capolavoro MUSICALE né riesco a sentire l’energia quasi orgiastica che attraversa ogni nota di questo disco ... ciò che te lo fa ritenere capolavoro, cosa che assolutamente rispetto ma su cui non concordo. Per poter provare l'orgiastico - tribalismo afro_americano (a cui ammicca superficialmente il buon Morello col suo drumming oleografico che imkiti il "buon selvaggio") dovrei dirigermi verso i dischi di  Art Blakey, di Max Roach, di Elvin Jones,.., oppure sul versante classico, verso le musiche barbariche, iconosclastiche ed orgiastiche  di Igor Strawinsky che con effetto di reciprocità attinse molto agli stilemi del jazz, e il jazza agli strawinskiani... (magari poi ne parla anche Damiano nel suo scritto sull'"orgiastico" Cecil Taylor...)
Scusa la mia "verve"... :classic_smile:

Inviato

@analogico_09 Siamo tutti appassionati di jazz, ci capiamo perfettamente. Una volta ho scritto che A Love Supreme mi aveva logorato: mica lo disprezzavo, che è un capolavoro è chiaro come il sole, dicevo solo che dopo quarant’anni di ascolto era arrivato il momento di prendere una pausa (e nel frattempo ho approfondito la conoscenza dell’ultimo Coltrane). Quando, finalmente, lo rimetterò sul piatto (nel mio caso virtuale) sarà una festa! Potrei ascoltare solo Mingus o solo Monk, mi basterebbe la discografia di uno di quei geni assoluti, però mi piace variare, confrontare, esplorare. D’altronde mi sono innamorato del Caravaggio a una mostra milanese di tanti anni fa: s’intitolava Caravaggio e i caravaggeschi, insieme a qualche opera del maestro c’è n’erano tante di autori minori che lo imitavano. In quel contesto il genio del grande artista svettava e diventava evidente anche a uno zuccone come me. Ecco, io lo so che Brubeck non è il più bravo di tutti, lo so che ha saputo vendersi, ma io ho avuto bisogno del suo approccio brillante. Per capire, per attribuire, ma anche per divertirmi ascoltando. Ascoltare i suoi dischi mi trasmette una carica positiva e mi aiuta a comprendere qualcosa di più della storia della musica afroamericana. Tutto qui, e secondo me non è neppure poco. Con sempiterna stima, d

analogico_09
Inviato

 

@campaz Siamo d'accordo sul fatto che si vive anche di musica che sa come vendersi per divertire mirando anche al successo, alla cassetta come naturale conseguenza. Di musica del divertimento ne avrò ascoltata a fiumi, da sempre, come tutti immagino, ma nei limiti temporali e per quel certo spasso di breve durata che esse offrono per poi farne a meno come qualsiasi altro oggetto di cosumo.
Bisognerebbe sempre distinguere tra musica per divertirsi che oltre questo non ha altro da offrire e musica che mentre diverte si mostra all'ascoltatore per quant'altro vi sia ancora da scoprire ad ogni nuovo ascolto, quasi come se la si ascotasse per la prima volta. 

A proposito del già citato A Love Supreme di Coltrane, tra i primi dischi di jazz di peso che acquistai ed ascoltai per la prima volta molti anni fa, insieme al Town Hall Concert di Mingus e MU first part di Don Cherry fresco di uscita, più li ascolto e più mi entusiasmo nel provare immutata la sensazione di scoprire ogni volta che li metto a girare un altro segmento d'infinito di cui tali musiche dell'anima e della mente, del nostro pianeta terra e del cosmo siano fatte. 

Questi purtroppo non mi succede con Brubeck e vivo ugualmente felice. :classic_wink::classic_smile:

 

analogico_09
Inviato

Da Il Manifesto di oggi. 

Il «silenzio» di Don Cherry

Ultrasuoni Ricordi/Trent’anni fa se ne andava il trombettista statunitense. Spesso al fianco di Ornette Coleman, è stato un pioniere della connessione fra le musiche del mondo

 

https://ilmanifesto.it/il-silenzio-di-don-cherry 

 

Mi soffermo spesso su questo straordinario poeta della musica e dei suoni universali, tra i miei musicisti preferiti, in assoluto. Non dirò altro, vi lascio al bellissimo, acuto e "sentito" articolo a firma di Guido Festinese.

 

A voi il piacere di scoprire in proprio il "segreto" del Silenzio
(è possibile creare un acconte leggere alcuni articoli gratis per questo quotidiano che vanta una sezione culturale davvero pregevole. In seguito si potrà scegliere se abbonarsi o meno) 

Solo un estratto... 
 

UN PAIO DI SECONDI

In Silence Don Cherry inizia il pezzo, esponendo quasi con dolente timidezza l’impressionante, mesto tema che sa di destino e di ineluttabilità, poi, mano mano, la pocket trumpet viene assorbita nel tessuto orchestrale che ad ogni ripresa ispessisce il suono. A tre minuti e cinquanta il minuscolo ottone di Don Cherry entra con una sestina slabbrata, fremente, ustionante di note, un paio di secondi: Don Cherry è tutto lì. Poi di nuovo il turgore, e, via via, un anti climax che termina sulle note rade del pianoforte di Carla Bley, a richiamare l’inizio. Sapeva suonare così, Don Cherry, ai limiti del pitch di intonazione, col suo strumento speciale miniaturizzato e ultraportatile apparso nella guerra di Secessione, o lirico e pulito come un narratore di favole. Sempre antivirtuoso nel suono: gli interessava l’intensità e la verità, non la tecnica ineccepibile, la forzatura dei limiti per vedere cosa c’era al di là dello specchio di Alice, non la rassicurazione estetizzante dei macinatori di note. Sensibilità duttile che gli tornerà assai utile quando, ben presto come vedremo, diventerà anche uno degli anticipatori e pionieri della connessione fra le musiche di tutto il pianeta.

 

Un ritratto toccante, Chapeau all'autore! 

 

Silence. Un brano scritto dal suo grande amico Charlie Haden e pubblicato nel 1983 su The Ballad of the Fallen, a nome di Haden e Carla Bley.

 

 

Si ravvisano continuità con il leggendario album Liberation Music Orchestra di Haden e Bley, Don Cherry nell'ampio, straordinario organico orchestrale.
 

 

  • Melius 1
Inviato
4 ore fa, analogico_09 ha scritto:

Silence. Un brano scritto dal suo grande amico Charlie Haden e pubblicato nel 1983 su The Ballad of the Fallen, a nome di Haden e Carla Bley.

Grandissimo disco da ascoltare e metabolizzare un tozzo alla volta. Una volta finito il processo, se riuscito, induce una specie di dipendenza che lo fa diventare un riferimento assoluto della discografia di cui fa parte.

Il finale di Carla Bley è magistrale e nella mia immaginazione è come il monologo di Rutger Hauer in Blade Runner.

Secondo me ancora meglio di "Liberation Music Orchestra".....

Ciao

D.

  • Melius 1
analogico_09
Inviato
3 ore fa, damiano ha scritto:

Grandissimo disco da ascoltare e metabolizzare un tozzo alla volta. Una volta finito il processo, se riuscito, induce una specie di dipendenza che lo fa diventare un riferimento assoluto della discografia di cui fa parte.

Il finale di Carla Bley è magistrale e nella mia immaginazione è come il monologo di Rutger Hauer in Blade Runner.

Secondo me ancora meglio di "Liberation Music Orchestra".....

Ciao

D.

 

Un disco straordinario, Damiano, con LMO si possono prendere fraternamente per mano, il primo più

 "polifonisco", quasi classico, l'altro più "frastagliato" votato al "popolare", ci sono anche lì cose che "voi umani...  alla blade runner.  :classic_wink: Basti pensare al poderoso assolo di Haden in Song for Che che "chitarrizza" il basso e fa tremare le viscere creando il più fertile dei terreni per gli altri strumentisti che si avvicendano via via: dopo il brevissimo canto femminile si ascolta per primo Don Cherry ai doppi flauti favolosi suonati dai fauni mitologici ritratti negli antichi vasi grechi e poi il lungo, vibrante assolo di Carla Bley in War Orphans... 

Ma quei due secondi scarsi di tromba, quel "frullio" impossibile, come un lampo a ciel sereno, rompono e ristabiliscono il "Silence". Vanno oltre le più virtuose capacità tecniche, più che una semplice "espressione", sono il genio puro e incorrotto, la metafisica dei suoni, una scossa improvvisa di ascesa al cielo come la descrive un mio amico di penna... Mi capita spesso di riconoscere in tutti i dichi di Don Cherry , ne ho davvero molti, oltre a quanto ascoltato più volte dal vivo, brevi momenti di musica visionaria e dirompente, mai aggressiva e men che lirica, che imprime forza, bellezza e trascendenza all'intero disco o concerto pur senza ripetersi spesso. . 

Fuori di ogni schema, sempre inatteso. 



 

 

  • Melius 1
Inviato

Ed un'altra interpretazione molto interessante e rispettosa di "War Orphans" è quella contenuta nel disco omonimo di Bobo Stenson, in compagnia dell'amico di mille avventure Jormin e dal batterista di casa ECM Christensen. 

Stenson è un pianista assolutamente unico ed originale che usa la sottrazione piuttosto che l'addizione per evidenziare le peculiarità della ricerca armonica che lo distingue particolarmente. 

Ciao

D.

 

  • Thanks 1
analogico_09
Inviato

Un bellismo disco un trio eccellente, questa era l'ECM che piaceva a me... Il brano composto da Ornette Coleman con la Bley al piano diventa ancora più dolente e sommesso, più essenziale, con il battito  "cardiaco" del basso di Haden in un crescendo strumentale che va a mano a mano verso il Free per trornare all'essenza desolata del dolore nella quale si spengono lentamente le estreme, enigmatiche note. 
Nell'interpretazione di Bobo Stenson, ottimo pianista e interprete, al pari dei due partners (Joe Christensen lo ritroviamo nei dischi dei migliori musicisti europei, tra cui nell'eccellente " The Pilgrim..." di E. Rava)   il vigoroso l'interplay risulta  più "raffinato", più "mentale" ma sono entrambe dimensioni del sentire "musicale" alte e nobili, degnissime del genio compositivo di Ornette Coleman. 

 

 

 

 

 

  • Melius 1
  • 2 settimane dopo...
Inviato

How Times Passes, debutto da leader di Don Ellis, è un disco che mi ha piacevolmente sorpreso come non mi accadeva da tempo (lo affiancano Jaki Byard, Ron Carter e Charlie Persip). Ellis, che diventerà un grande sperimentatore, qui tende a superare i confini del bop tradizionale, pur rimanendo – tranne nella lunga Improvisational Suite #1 – entro spazi di jazz “edibile”, conciliando l’innovazione nei modi e la tradizione nelle forme. La scena era quella dell’avanguardia newyorkese, il disco è stato inciso nel 1960: gli echi dell’irrequietezza tipica del periodo sono evidenti, ma è un jazz fresco e corroborante, da apprezzare ascoltandolo e riascoltandolo. Insomma, se non si è capito mi è piaciuto un sacco.

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  • Melius 2
analogico_09
Inviato

Riprendo dal topic sugli ascolti vinilici, vorrei condividere un'altra leggendaria seduta musicale live del jazz, quella che si svolse il 16 Luglio 1962 al mitico Five Spot Cafè di N.Y. e che fu rilasciata integralmente nel 1974, anno in cui lo acquistai, anche in cofanetto triplo LP dalla Prestige dal  titolo "The Great Concert of Eric Dolphy".

Con Dolphy nel quintetto vi è tra quanto di meglio potesse offrire il panorama jazz di quella decade prodigiosa. 


Eric Dolphy, Alto Saxophone, Flute, Bass Clarinet

Booker Little, trumpet

Mal Waldrom, piano

Richard Davis, bass 

Eddie Blackwell, drums 


Menzione speciale, a parte Dolphy, stellari gli altri compagni, credo vada al grande Booker Little, autentico poeta della tromba (suona un po' "ironico" l'accostamento dei due termini ... ma tant'è).
Rudy Van Gelder fu il mago delle registrazioni che trasfigurava in arte, al pari della musica, lo stesso, "semplice" suono.

Successivamente furono rilasciati due CD vol 1 e 2, incompleti. Nel 2011 vi fu l'edizione che comprendeva anche gli ultimi due brani non presenti nel precedenti CD Prestige, presenti invece nel cofanetto vinilico, intitolato "Eric Dolphy / Booker Little Quintet – At The Five Spot - Complete Edition"

 

Le parole non servono per una musica propulsiva creata sui più potenti slanci inprovvisativi da musicisti immensi, visionari, sognatori di un jazz senza tempo e senza confini, fonte di ispirazione per i successivi innovatori ancor più "spericolati" della musica afroamericana. 
 

 

  • Melius 1
  • Thanks 1
Inviato
4 minuti fa, analogico_09 ha scritto:

Rprendo dal topic sugli ascolti vinilici, vorrei condividere un'altra leggendaria seduta musicale live del jazz, quella che si svolse il 16 Luglio 1962 al mitico Five Spot Cafè di N.Y. e che fu rilasciata integralmente nel 1974, anno in cui lo acquistai, anche in cofanetto triplo LP dalla Prestige dal  titolo "The Great Concert of Eric Dolphy".

Con Dolhy nel quintetto vi è tra quanto di meglio potesse offrire il panorama jazz di quella decade prodigiosa. 


Eric Dolphy, Alto Saxophone, Flute, Bass Clarinet

Booker Little, trumpet

Mal Waldrom, piano

Richard Davis, bass 

Eddie Blackwell, drums 


Menzione speciale, a parte Dolphy, stellari gli altri compagni, credo vada al grande, "superbo" Booker Little, autentico poeta della tromba (suona un po' "ironico" l'accostamento dei due termini ... ma tant'è).
Rudy Van Gelder fu il mago delle registrazioni che trasfigurava in arte, al pari della musica, lo stesso, "semplice" suono.

Successivamente furono rilasciati due CD vol 1 e 2, incompleti. Nel 2011 vi fu l'edizione che comprendeva anche gli ultimi due brani non presenti nel precedenti CD Prestige, presenti invece nel cofanetto vinilico, intitolato "Eric Dolphy / Booker Little Quintet – At The Five Spot - Complete Edition"

 

Le parole non servono per una musica propulsiva creata sui più potenti slanci inprovvisativi da musicisti immensi, visionari, sognatori di un jazz senza tempo e senza confini, fonte di ispirazione per per i successivi innovatori della musica afroamericana. 
 

 

 

Grazie bellissima segnalazione....in particolare perchè pone tra le altre cose, anche l'attenzione su di un musicista un pò dimenticato come Ed Blackwell. Uno dei batteristi in assoluto tra i più grandi della storia del Jazz. Ricordo un suo concerto con gli Old e New Dreams di Don Cherry tanti ma proprio tanti anni fa al fu Centro Palatino qui a Roma, dove assistetti ad una delle performance di batteria tra quelle che non dimenticherò mai. Sentii lo strumento suonare con una profondità espressiva che solo in rarissime occasioni ho avuto modo di riascoltare (Max Roach con Bill T. Jones intorno al 1995, Al Foster al Teatro dell'Opera e davvero pochi altri). Bellezza pura e semplice....

  • Melius 2

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