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I dischi invisibili


Grancolauro

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Grancolauro

La Nonsuch Records è una casa discografica coi fiocchi: conta tra i suoi artisti gente come Brad Mehldau, Ambrose Akinmusire,  David Byrne, Ry Cooder e molti altri. I dischi di musica classica si contano tuttavia sulle dita di una mano.

Tra questi c’è un altro disco invisibile: le Variazioni Goldberg eseguite al pianoforte da Jeremy Denk. Un disco speciale, a mio modo di vedere. Innanzitutto per la qualità della presa audio, anche qui da riferimento assoluto. In secondo luogo per l’approccio “orchestrale” di Denk a questo brano: grande separazione dei piani sonori e differenziazione timbrica delle voci,  al punto che a volte non sembra di ascoltare un pianoforte ma piuttosto il dialogo tra un violino, una viola e un violoncello. Il tutto senza nessun esibizionismo o fuoco pirotecnico. Davvero una gioia ascoltare questo disco, semplice e al contempo

prezioso.

 

 

 

  • Melius 2
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@cactus_atomo Sì, hai ragione. Ultimamente mi sembra che Berlin Classic continui a pubblicare lavori di musicisti non molto noti, ma la qualità artistica e la qualità delle registrazioni sono molto aumentate raggiungendo non di rado l'eccellenza.

Una casa discografica che segue un percorso simile è la Aparté Music: catalogo ridotto ma ben congegnato, e qualità media molto elevata. All'interno del catalogo Aparté si trova un altro disco invisibilie: l'integrale delle opere per violino e pianoforte di Ravel eseguta da Elsa Grether e David Lively. Disco splendido, e registrazione allo stato dell'arte. Si parlava in un altro thread di quanto sia difficile, in sede di registrazione, catturare le nuanches timbriche ed espressive degli strumenti acustici. In questo disco colpisce la qualità della ripresa audio del violino, come pure  il notevole equilibrio tra i due strumenti che il disco sa restituire. Da ascoltare senz'altro, direi. Si trova su Qobuz.

 

 

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analogico_09
Il 1/4/2024 at 20:48, Grancolauro ha scritto:

Tra questi c’è un altro disco invisibile: le Variazioni Goldberg eseguite al pianoforte da Jeremy Denk. Un disco speciale, a mio modo di vedere. Innanzitutto per la qualità della presa audio, anche qui da riferimento assoluto. In secondo luogo per l’approccio “orchestrale” di Denk a questo brano: grande separazione dei piani sonori e differenziazione timbrica delle voci,  al punto che a volte non sembra di ascoltare un pianoforte ma piuttosto il dialogo tra un violino, una viola e un violoncello. Il tutto senza nessun esibizionismo o fuoco pirotecnico. Davvero una gioia ascoltare questo disco, semplice e al contempo

prezioso.

 

A me sembra che il pianista cerchi di "riavvicinarsi" attraverso il suo strumento, entro certi limiti, al carattere "geneticamente" clavicembalistico del pezzo bachiano per quanto riguarda sia la tecnica, sia le trasparenze di frase nell'l'approccio dinamico-agogico tendente a snellire l'incedere contrappuntistico, nei modi da te ben evidenziati, qualcosa che vada verosimilmente verso le direzioni esecutive/interpretative dell'"essenzialità" tracciate dalle pratiche filologiche.
Mi pare notare che la "lezione" di tale "pratica" superati i confini  delle "appartenenze" più naturali, come pure i "coatti", abbia già da tempo influenzato la "tradizione".

Tutta la musica di Bach, anche la strumentale solistica risuona come un'orchestra. Ma nelle Goldberg in modo particolare mi pare sentire, benchè franto da cento voci confluenti nell'unità metafisica, il canto lirico che l'uomo intona per se stesso e per la Divinità nella più pura, assorta e spoglia solitudine.

 

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4 ore fa, analogico_09 ha scritto:

qualcosa che vada verosimilmente verso le direzioni esecutive/interpretative dell'"essenzialità" tracciate dalle pratiche filologiche.

Penso tu abbia ragione. Quello che a me piace particolarmente dell'interpretazione di Denk è l'attenzione per gli aspetti "architettonici" delle Goldberg. Su questo ci sarebbe da riflettere molto. Denk ha sviluppato una sua teoria al riguardo. Se ne trova una traccia nel video qui sotto.

 

 

In generale, seguendo i tuoi stimoli, si potrebbe dire che Denk pone in evidenza il legame di Bach con la tradizione madrigalistica che concepiva la polifonia come dialogo tra voci. Questo appare evidente nei canoni che Bach inserisce ogni tre variazioni. Qui Denk sfrutta le potenzialità timbriche del pianoforte per separare e differenziare espressivamente le voci proprio come accade in un madrigale.

  • Melius 1
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analogico_09

@Grancolauro Molto interessanti le tue oservazioni, Bach riusciva a tener un un orecchio aperto sulla tradizione, a ritroso fino al cantus firmus, sul presente proiettato nel futuro, inglobando questa "summa humanitais", come la manda Massimo Mila, nelle sue creazioni di stile arcaico, moderno e ... divinatorio di ciò che dovrà ancora giungere negli universi musicali successivi. Le  cose che sto scrivendo a braccio sono ben più comoplesse ed articolate, non occorre dirlo, meriterebbero di essere più degnamente approfondite, sto solo cercando quel "misterioso" filo rosso che mettere teoricamente Bach e Monteverdi in comunicazione tra loro.
Le linee madrigalistiche, non solo monteverdiane, iniziano a prendere le distanze dalla scrittura polifonica del '500 dominante che resterà in auge ancora a lungo, per tutto il '600, tornano alle melodie, ovviamente concertate, intrecciate tra di loro, al canto più disteso ed aperto fatto di testo e di musica fusi tra di loro iin grado di esprimere i più soavi accenti, il sentimento umano semplice, poetico o drammatico, i più comuni "affetti", mentre le magnifiche architetture polifoniche seguitavano a verdersela con l'"Assoluto". Nel frattempo il basso continuo ha già bussato alle porte... 
Bach recupera e rielabora le antiche forme madrigalistiche ridonando loro nuova vita, attualità ed interesse (a dire il vero non tutti i contemporanei capivano Bach, a causa dell'anticaglia che ndava recuperando... ) anche nei modi da te prospettati, insieme al cantus firmus monteverdiano che ritroviamo nelle sue Cantate, Mottetti, etc.
All'inizio la rappresentazione madrigalistica si svolgeve essenzialmente in privato, nei palazzi nobiliari, negli ambienti musicali, domestici, familiari, e per questo potrebbe essere definita musica da camera, anzi da salone o da "stanza"...  E si torna un po' a quel senso di (beata) "solitudine" e di maggior privatezza ed (auto)riflessività che spinge l'artista e l'uomo musicale a cercare i linguaggi e le forme sonore in grado di rappresentare al meglio la sua istanza emozionale, poetica e "visionaria",  si torna a ciò che lega Bach, le sue Goldberg della "solitudine" notturna, forse un po' "sonnambula".., alle "(i)stanze" madrigalistiche del "sè" e dell'"es".

  • Melius 2
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