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Ai confini del Jazz


damiano

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one4seven
10 minuti fa, damiano ha scritto:

"The Way Up",

Naturalmente. È "la chiusura col botto" del PMG. È, a mio avviso, un condensato in 60 e passa minuti, senza una pausa che sia una, di tutto Metheny passato "e futuro".

Futuro però che ha preso altre direzioni rispetto a quelle che "The Way Up" fa intuire. 

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one4seven

Ed Infine (per oggi :classic_biggrin:) recupero un progetto nato nel 2022, che mi è piaciuto un bel pò, con due lavori all'attivo > https://www.discogs.com/artist/11253458-Flock-12

UK super-group Flock comprises five leading musicians from London's open-minded jazz and experimental scenes


 



 


 

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Gaetanoalberto

1972 -Extrapolation - John McLaughlin (chitarra), John Surman (sax) Brian Odges (contrabbasso) Tony Oxley (batteria).

Una miscela di suoni dentro ed al confine, nella quale si vedono i collegamenti con il passato  ma anche lo sguardo agli sviluppi successivi.

La componente melodica è sempre chiaramente riconoscibile, anche con il contributo della linea di basso, senza essere sopraffatta dalla ritmica, ed ogni tanto trasporta ai confini, con Surman in forma e McLaughlin in perfetta sintonia con armonie a tratti orientaleggianti.

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1 ora fa, one4seven ha scritto:

Ebbene eccolo appena uscito il suo ultimo lavoro, per la Nonesuch Records.

Bene, sapevo che stava per uscire ma non avevo contezza della data. Ambrose è bravissimo e la musica che suona è sempre da ascoltare con estrema attenzione e mai velocemente.

Ciao

D.

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Stasera mi sono ripassato Lyle Mays il bravissimo pianista, compagno di Metheny nel Group e coautore della maggioranza della composizioni.

Mays è considerato sia dai musicisti professionisti che dagli appassionati di musica come uno dei pianisti e tastieristi jazz più innovativi e creativi

Egli si definiva "un serio compositore contemporaneo con un approccio avanzato alla musica classica, all'estetica armonica e allo sviluppo strutturale attraverso le forme lunghe".

I lavori del Group sono molto noti e famosi (decine di Grammy vinti) mentre le opere di Lyle Mays da solista sono meno conosciute: 

Lyle Mays (Geffen, 1986), Street Dreams (Geffen, 1988), Fictionary (Geffen, 1993),

Solo: Improvisations for Expanded Piano (Warner Bros., 2000), The Ludwigsburg Concert (Jazzhaus, 2015), Eberhard (self-released, 2021). Vi cito il primo e l'ultimo perché so che poi farete un giretto tra le altre cose: https://www.discogs.com/it/master/54917-Lyle-Mays-Lyle-Mays

e da Lyle Mays estraggo la suite Alaskan Suite, composta da Northern Lights, Invocation e Ascent nel quale si possono riconoscere le parole con le quali Mays si autodefiniva; poi The Ludwisburg Concert https://www.discogs.com/it/release/8441122-Lyle-Mays-Quartet-The-Ludwigsburg-Concert

dal quale ho estratto  la seconda traccia Either Ornette nel quale, come in buona parte del disco, si può apprezzare il lato più radicalmente Jazz dell'artista

 

 

 

 

Buon ascolto 🙂

Ciao

D.

 

 

  • Melius 2
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one4seven

Posso dire una stupidaggine? Si..

Pat Metheny & Lyle Mays... a mene viene un parallelo, che a mio avviso, ha funzionato alla stessa maniera.

Insomma, con lo stesso "schema vincente".  E cioè U2 & Daniel Lanois.

Naturalmente, con tutte le differenze del caso... ma "i ruoli" di base, sono stati gli stessi.

Ed i risultati pure: hanno creato "un sound" che è diventato una firma riconoscibilissima.  

  • Melius 2
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